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teoria dell'attaccamento

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PRIV

unread,
Jun 15, 2001, 1:52:36 AM6/15/01
to
Prima di cominciare una nuova giornata, vi lancio un tema nuovo:
sono abbastanza stupito del fatto che praticamente nessuno qui chiami mai in
causa la teoria dell'attaccamento, possibile che nessuno tra voi (forse
Vincenzo?) faccia riferimento a questo interessantissima e diffusissima base
teorica?

Mi riferisco ovviamente alla teoria nata da John Bowlby e poi da Mary Main,
Mary Ainsworth, Peter Fonagy...
Potrebbe essere una interessante base dalla quale continuare la discussione
psicoanalisi sì - psicoanalisi no


barby25

unread,
Jun 15, 2001, 10:32:47 PM6/15/01
to

"PRIV" <NOSSP...@inwind.it> escribió en el mensaje
news:EohW6.1119$XN1....@news2.tin.it...

....x chi non sapesse come me questa teoria, ecco alcune
delucidazioni...beccatevi la polpetta... :))

Guglielmo Spiombi, Carla Conti
Psicologia del Sé, teoria dell'attaccamento: un possibile modello integrato
nella terapia del paziente borderline

Parole chiave: Attaccamento disorganizzato; Bowlby; Borderline, disturbo; M.
Gales; G. Liotti; Paziente borderline; Psicologia del sé; Teoria dell'
attaccamento; Trauma; M. & E. Shane.

Il concetto di disturbo borderline di personalità ha le sue origini nei
primi anni di questo secolo, quando Breuler descrisse pazienti con
personalità caratterizzata da irritabilità e spiccata variabilità dell'
umore, ma il termine borderline sembra essere stato introdotto da A.Stern
nel '38 .

I pazienti affetti da questo disturbo furono a lungo considerati come
affetti da forme meno gravi di schizofrenia (la schizofrenia pseudonevrotica
di Hoch e Polatin, 1949; la schizofrenia ambulatoriale di Zilboorg, 1941) o
da forme atipiche di disturbo affettivo. Ma fu con i lavori di Gunderson e
Kernberg, negli anni '70, che il disturbo borderline divenne un'entità
clinica meglio definita e con una vera e propria sistematizzazione
strutturale che fu poi ripresa come inquadramento diagnostico nel DSM III.
Oggi tale disturbo è frequentemente diagnosticato nei paesi occidentali e
studi epidemiologici suggeriscono che la sua incidenza, nella popolazione
generale, oscilla attorno al 2 % con una tendenza ad un marcato aumento,
soprattutto nei giovani.

Da un punto di vista diagnostico, si è di fatto arrivati ad un certo accordo
nel considerare come caratteristici di questa sindrome alcuni elementi: la
grande vulnerabilità narcisistica del paziente, la intensa intolleranza alle
frustrazioni, che può innescare reazioni rabbiose che possono spingersi fino
all'autolesionismo, accanto ad una grande volubilità degli affetti associata
ad uno scarso controllo degli impulsi. Altra caratteristica è la particolare
qualità dei rapporti interpersonali che sono affettivamente intensi quanto
instabili, la costante presenza di un senso di vuoto interno come segnale
del profondo disturbo nella strutturazione del senso di identità, la
particolare intolleranza alle separazioni e alla solitudine ed infine,
transitori ma ricorrenti sintomi dissociativi (depersonalizzazione, amnesie
lacunari, stati oniroidi di coscienza).

Per quanto riguarda l'eziologia del disturbo borderline, questa è stata
attribuita da vari Autori al concorrere di numerosi fattori di rischio. In
particolare Paris (1996), elabora un modello che prende in considerazione
tre fattori di rischio: uno biologico, attribuibile ad una ereditarietà
comportamentale o ad un deficit neuropsicologico; uno psicologico, collegato
ad esperienze traumatiche e a stili comunicativi e di accudimento
disfunzionali; ed un terzo, sociale, legato alla destrutturazione dei valori
tradizionali, tipica della società occidentale attuale, con conseguente
perdita di valore di alcuni modelli sociali .
In ambito più vicino alle nostre teorie psicoanalitiche sappiamo come
Kernberg (1975) rintracci le origini del disturbo borderline nell'incapacità
del bambino di integrare le rappresentazioni del Sé e dell'oggetto,
costituitesi sotto il dominio di intensi impulsi aggressivi, con quelle
costituite sotto l'influenza degli impulsi libidici. Da ciò le
rappresentazioni totalizzanti del Sé e dell'altro che lo fissano in un mondo
nel quale, quando l'angoscia per la propria ambivalenza raggiunge livelli
intollerabili, vengono attivate massicce difese primitive - scissione,
idealizzazione primitiva, identificazione proiettiva, diniego - che tentano
di preservare le rappresentazioni dell'oggetto buono dalla minaccia di
distruzione. Per Kernberg, dunque, il problema del paziente borderline
risiede principalmente in un eccesso di aggressività innata nella prima
infanzia, (anche se egli in lavori successivi riconosce che un ambiente
infantile eccessivamente frustrante può accrescere tale aggressività ed
interferire con la qualità degli introietti che ne derivano) nella
prevalenza della scissione tra i meccanismi di difesa e nella diffusione
dell'identità con rappresentazioni del Sé e dell'altro scarsamente
integrate.

Un altro modello, concettualmente più vicino alla psicologia del sé, è
quello sviluppato da Gerald Adler (1985). Egli è uno degli autori che più ha
sottolineato il ruolo centrale della carenza dello holding environment nella
personalità del borderline, mettendo in evidenza come la caratteristica
principale del paziente consisterebbe in un'insufficenza funzionale e nella
conseguente instabilità di un certo tipo di introietti che sono fondamentali
nel sostenere psicologicamente il Sé. Questi introietti derivano dal
soddisfacimento, nelle prime relazioni d'accudimento, di bisogni primari di
sostegno e di conforto (oggetti di holding-soothing) ed il problema centrale
del paziente risiederebbe quindi proprio nel fallimento di questa esperienza
primaria. Utilizzando, poi, gli studi della Fraiberg sulla capacità del
bambino di utilizzare la memoria evocativa come mezzo per ricordare un
oggetto anche in assenza della sua presenza fisica, Adler suppone che nel
paziente questa funzione, fondamentale nello sviluppo del mondo
rappresentazionale, sia scarsamente sviluppata con conseguente vulnerabilità
nel tollerare le separazioni. Perciò in situazioni di stress o di intensa
partecipazione emotiva il paziente sembra incapace di collegarsi mentalmente
con il suo oggetto di holding, riuscendo a colmare questa lacuna solo
attraverso l'utilizzazione di oggetti concreti che fungano da stimolo
mnesico. In questo quadro l'esperienza di solitudine, il senso di vuoto
interno, di depressione, la difficoltà a sentirsi realmente vivo,
accompagnato, durante le separazioni, dall'angoscia di essere come
annichilito, diventano per Adler, il disturbo centrale del paziente
borderline. Ciò determinerà le sue reazioni, nelle varie espressioni
sintomatologiche, come tentativi di rivitalizzare un Sé vulnerabile o di
evitare un'autentica disintegrazione di Sé.
Altri autori come Fonagy, Steele, e Maffei sottolineano l'importanza, nel
paziente borderline di un disturbo centrale nelle capacità metacognitive, di
quelle funzioni cioè che rendono possibile alla nostra mente di distinguere
tra l'apparenza e la realtà, di poter pensare sul proprio pensiero o di
poter formulare una 'teoria della mente'.

Un'altra autrice, Marsha Linehan, più vicina ai modelli cognitivisti,
attribuisce invece un ruolo centrale nella patologia borderline ad un grave
deficit nel sistema di regolazione delle emozioni. Questo deficit sarebbe
causato, secondo questa teoria, dalla interazione tra variabili legate al
temperamento, che rendono particolarmente vulnerabile il soggetto a risposte
emotive intense e rapide, e variabili collegate a fattori ambientali. Quest'
ultime sarebbero dipendenti dal valore che, nell'esperienza interpersonale
di apprendimento del significato delle emozioni, il paziente attribuirebbe
alle proprie o alle altrui emozioni. Il suo concetto di "invalidazione dell'
esperienza emotiva" descriverebbe proprio la qualità dell'esperienza
interpersonale che lo porterebbe a destituire di significato e valore le
emozioni percepite in sè e negli altri.
Da questa breve rassegna dei vari modelli etiologici del disturbo borderline
ci sembra emergere una certa uniformità di vedute che portano a poter
identificare alcune costanti che i vari autori mettono in evidenza come
tratto centrale del disturbo.
La prima riguarda la particolare reattività emotiva alle esperienze reali o
immaginate di separazione che stimolano vissuti abnormi di abbandono e
solitudine.
La seconda viene identificata in una particolare difficoltà nel modulare le
risposte emotive, probabilmente secondaria ad un deficit dei processi
mentali superiori deputati a questo scopo.
L'ultima, infine, riguarda i contenuti rappresentazionali di sè e degli
altri che assumono un aspetto molteplice e contraddittorio impedendone una
possibile integrazione coerente.
Queste costanti, riconosciute nel lavoro dei vari autori citati, come gli
elementi caratterizzanti centrali del disturbo borderline, non hanno finora
trovato un processo mentale ed interpersonale unitario che possa portare ad
una descrizione comune nei termini di fattori di rischio forse predisponenti
allo sviluppo della sindrome borderline.
In questo lavoro ci vorremmo riferire ad una ipotesi formulata da G. Liotti,
sulla base della ricerca sui modelli d'attaccamento, che propone di
considerare l'attaccamento di tipo D come un possibile modello esplicativo
delle costanti psicopatologiche presenti nel disturbo borderline.

Psicologia del Sé e teoria dell'attaccamento
Gli ultimi sviluppi della teoria dell'attaccamento, orientati verso una
maggior considerazione delle vicende relazionali nella loro articolazione
all'interno del mondo soggettivo del paziente, rendono proficuo, in questo
momento, l'esplorare le convergenze tra questo modello ed i modelli
psicoanalitici orientati in senso relazionale.
A questo proposito, prima di entrare più specificamente nella discussione
dell'ipotesi, vorremmo descrivere brevemente, rifacendoci al lavoro degli
Shane e Gales (1997), alcuni punti di contatto tra la teoria dell'
attaccamento e la Psicologia del Sé e successivamente cosa si intende per
disorganizzazione dell'attaccamento.
In una recente pubblicazione Shane, Shane e Gales (1997) mettono in evidenza
come alcuni punti della teoria formulata da J. Bowlby e dai successivi
teorici dell'attaccamento abbiano una certa corrispondenza con il pensiero
di Kohut e con i successivi sviluppi della Psicologia del Sé. In particolare
vengono evidenziati otto punti di vicinanza teorica tra i due modelli.
Nel primo di questi viene preso in considerazione come il superamento della
polarità realtà/fantasia inconscia, insito nella teoria pulsionale, ha
portato gli autori "relazionali" ad una diversa considerazione dell'
importanza della vita reale, nel suo intersecarsi con la vita immaginativa,
per lo sviluppo dell'individuo. Quindi la comprensione dell'organizzazione
psichica ed in particolar modo delle modalità difensive attraverso le quali
l'individuo mantiene e regola l'equilibrio del Sé, non potrà prescindere dal
considerare l'esperienza "reale" del paziente.
In questo senso la vita fantastica e le modalità difensive che l'individuo
organizza per proteggere il proprio equilibrio psichico sono esse stesse
influenzate o ancor più derivano dall'esperienza vissuta. Per questo motivo
una più approfondita conoscenza del mondo psichico di una persona non potrà
prescindere dal tener presente anche l'importanza delle esperienze reali
vissute dal paziente. Questa considerazione si rintraccia sia nel lavoro di
Bowlby che nel lavoro di Kohut e dei suoi successori.
In un punto successivo, viene focalizzato come Bowlby consideri l'
attaccamento come una motivazione separata e distinta da altre motivazioni.
Una sorta di sistema motivazionale sovraordinato, in questo comparabile con
l'importanza che Kohut attribuisce al concetto del Sé come organizzatore
dello sviluppo, cosa che ci porta a pensare ad un sistema più ampio nel
quale il legame di attaccamento con l'altro e lo sviluppo del Sé sono
inestricabilmente intrecciati. Per gli Shane e Gales, anzi, l'obiettivo di
assicurare il consolidamento del Sé ed il consolidamento del legame con l'
analista, sentito come un oggetto di attaccamento, diventa uno degli aspetti
centrali della relazione analitica stessa.

Una frase di Bowlby sottolinea una ulteriore vicinanza con uno degli assunti
fondamentali di Kohut. "Il comportamento di attaccamento caratterizza l'
essere umano dalla culla alla tomba". E' evidente come questa breve
affermazione sia in sintonia con l'assunto di Kohut secondo il quale la
necessità di una qualche responsività di oggetto-sé sia considerata un
bisogno psicologico fondamentale per tutto il corso della nostra esistenza.
Questa posizione determina un'ulteriore confluenza tra la teoria clinica di
Bowlby e quella di Kohut in merito all'affermazione che la separazione, l'
indipendenza e l'autonomia, come dimensioni psicologiche diverse dalla
condizione di attaccamento, non debbono necessariamente diventare in sé gli
obiettivi centrali di ogni sviluppo psicologico o di ogni trattamento
psicoterapico. Ciò che invece viene ritenuto indispensabile tanto nello
sviluppo, quanto nella terapia, è la possibilità dello stabilirsi di un'
esperienza continuativa di "base sicura" dalla quale l'individuo possa
sviluppare una sua indipendenza ed autonomia e con la quale queste modalità
possano coesistere. In questo senso questa prospettiva è molto vicina alla
posizione di Kohut che afferma come sia errato assumere come obiettivi
obbligatori dello sviluppo umano e della terapia la separazione e l'
indipendenza, opponendo a questi concetti quello di matrice d'oggetto-Sé,
visto come la precondizione necessaria che inevitabilmente permea sia lo
sviluppo che la terapia. E' attraverso questo concetto che Kohut sottolinea
come la possibilità di sviluppare un legame d'interdipendenza con l'altro
sia un obiettivo centrale del suo modello di sviluppo e della sua teoria
clinica.

In un quarto assunto, viene considerato come, nella teoria dell'
attaccamento, Bowlby (1988 ) distingua chiaramente la funzione di
accudimento, svolta dall'oggetto di attaccamento, dal bisogno di
attaccamento manifestato dal bambino verso il genitore. "Nello sviluppo di
quello che Bowlby auspica come una ideale relazione di attaccamento con una
'base sicura', il genitore accudisce ed il bambino sviluppa l'attaccamento"
(Shane, Shane, Gales, 1997). Ciò specifica più precisamente un concetto che
nella psicologia del Sé è spesso meno definito. Stiamo parlando dell'
attribuzione di reciproche funzioni di oggetto-Sé sia del genitore verso il
bambino che del bambino verso il genitore, lasciando, spesso esclusivamente
ad una questione quantitativa, la distinzione tra un rapporto sano ed uno
patologico. Questa "reversibilità" del concetto di funzione di oggetto-Sé
non mette in evidenza, in forma più specifica, quello che Bowlby invece
afferma chiaramente e cioè che il legame di attaccamento è distinto in
normale ed invertito a seconda delle funzioni assunte dai membri della
diade. In questo senso l'affermazione di Bowlby ci aiuta non solo a
distinguere più precisamente tra i concetti di attaccamento ed accudimento
ma, spostato per analogia sul piano della clinica, riporta in primo piano
una fondamentale asimmetria, quella tra ruolo dell'analista e del paziente
nella relazione analitica.
Prendendo poi in considerazione la teoria motivazionale di Bowlby (1988) si
può notare come vi siano dei notevoli punti di convergenza con i cinque
sistemi motivazionali identificati da Lichtenberg (1989). Il punto di
maggior dissonanza, invece, riguarda la diversa considerazione che viene
attribuita agli affetti aggressivi. Mentre Lichtenberg li descrive come
parte del sistema motivazionale avversivo, uno dei cinque sistemi
motivazionali innati che organizzano il comportamento, Bowlby li considera,
similmente a Kohut, non come facenti parte di un pattern organizzato ma
piuttosto come il segnale di una risposta ad esperienze che entrano in
contrasto con il soddisfacimento di stati di bisogno psicologico.
Un ulteriore punto di convergenza con gli assunti della Psicologia del Sé
riguarda la funzione che Bowlby (1988) attribuisce al ruolo dello analista.
Egli lo individua nella capacità di assicurare quelle condizioni di base,
vale a dire l'esperienza di una base sicura, che aiutano il paziente ad
esplorare, insieme all'analista, quei modelli rappresentazionali passati e
presenti che determinano l'organizzazione delle esperienze soggettive ed
intersoggettive, cioè le rappresentazioni del Sé e del Sé con l'altro. Ciò
permette al paziente di riformulare, attraverso la consapevolezza del
proprio modello organizzativo (Internal Working Model) ed attraverso la
nuova esperienza terapeutica, un sistema di aspettative conscie ed inconscie
diverso dal passato.
In questo ruolo l'analista si dispone come un affidabile collaboratore che
aiuta, supporta ed incoraggia il paziente in questa esplorazione, il cui
fine sarà quello di permettere la strutturazione di un nuovo modo di
rappresentare il mondo e sè nel mondo.
Caratteristiche analoghe sono rintracciabili nella funzione che Kohut
attribuisce all'analista nel momento in cui, favorendo lo strutturarsi di
una cornice di riferimento costante attraverso l'atteggiamento empatico,
stabilisce un setting attendibile ed un ambiente sicuro. Sarà proprio
attraverso questa esperienza di un "ambiente sicuro" che verranno dispiegati
quei movimenti transferali e quelle esperienze d'oggetto-Sé che saranno la
base dell'attivazione di nuove modalità rappresentazionali nella mente del
paziente.
In questa sede non possiamo approfondire ulteriormente questi spunti di
riflessione, né analizzare i rapporti e le consonanze che gli sviluppi
successivi della teoria dell'attaccamento e della Psicologia del Sé hanno
determinato nel corso degli anni, valga per tutti, come accennato in
precedenza, il lavoro di P. Fonagy e coll. (1991, 1995) che individua la
stretta correlazione esistente nell'infanzia tra l'esperienza di una "base
sicura" e lo sviluppo della capacità metacognitiva di riflettere sul proprio
pensiero e di formare una "teoria della mente", proponendo una diretta
connessione tra lo sviluppo del Sé, nelle sue funzioni più costitutive, e la
qualità della relazione d'attaccamento che il bambino stabilisce con il
caregiver.

Pattern di attaccamento
L'esistenza di un sistema comportamentale di attaccamento nei primati e in
particolare nella specie umana è ormai accettata da tutti gli studiosi.
Bowlby (1969), a cui va il merito delle prime definizioni di attaccamento e
della sua funzione, riteneva, a livello etologico, che uno dei suoi scopi
principali fosse quello di proteggere dai predatori attraverso il
mantenimento della vicinanza ad uno dei membri adulti della propria specie,
che veniva identificato come figura protettiva. La figura di attaccamento è
di solito identificata con la madre biologica, ma non sempre esiste una sola
figura di attaccamento e questa può essere attivata in mancanza della madre.
Una volta identificata tale figura, il piccolo tende a starle vicino ed a
ricercarne la vicinanza in condizioni di pericolo o stress.
Oltre alla pura protezione dal pericolo esterno, il comportamento di
attaccamento svolge delle funzioni più complesse di sopravvivenza: il
mantenimento di condizioni più favorevoli di temperatura corporea, l'accesso
al cibo, il contatto con il gruppo, la protezione dai pericoli.
L'aspetto cruciale dell'attaccamento nella specie umana, oltre agli elementi
precedenti, è che attraverso questa relazione il bambino interiorizza quelle
strategie che mantengono, nel modo più adattivo possibile, il contatto con
la figura d'attaccamento. Egli "impara", cioè, a rappresentarsi dei modelli
cognitivo-affettivi del Sé e del Sé con l'altro che verranno attivati
ogniqualvolta sarà necessario raggiungere la maggior prossimità possibile
con la figura di attaccamento.
Questi modelli, dapprima basati su competenze innate specie-specifiche, si
andranno modificando ed organizzando attraverso la retroazione ambientale in
sistemi più complessi, gerarchicamente organizzati, con relazioni reciproche
e regole abbastanza stabili. In questa organizzazione avremo già la presenza
di scopi, tattiche, strategie e la capacità di autorappresentazione. In
particolare, avremo due distinti modelli di rappresentazione fondamentale:
il modello ambientale, che prefigura la condizioni di disponibilità ed
accessibilità della figura di attaccamento, ed un modello basato sulle
condizioni del soggetto, in particolare sulla rappresentazione del Sé e del
Sé con l'altro, in relazione alla capacità del soggetto di suscitare
reazioni positive in chi lo accudisce. Queste costruzioni sono di origine
precocissima, e saranno molto stabili e protette nel corso dello sviluppo,
formando il nucleo rappresentazionale interno del sistema di attaccamento e
sono state chiamate da Bowlby Modelli Operativi Interni (Internal working
model). Le ricerche iniziali sulle problematiche connesse all'attaccamento
vertevano principalmente sugli aspetti comportamentali dello stesso, mentre,
al momento attuale, l'attenzione è sempre più spostata sugli aspetti
rappresentazionali e cognitivi deputati all'organizzazione della percezione.
La classificazione dei pattern di attaccamento può avvenire impiegando vari
strumenti, il più famoso dei quali è la Strange Situation della Ainsworth.
Sulla base di una prima indagine svolta da M.Ainsworth nel 1978, l'Autrice
ha elaborato un sistema di classificazione in tre categorie dei pattern di
attaccamento: i bambini B, con attaccamento sicuro, i bambini A con
attaccamento insicuro evitante ed i bambini C con attaccamento insicuro
ambivalente o resistente. Più tardi Main e Solomon hanno individuato una
nuova categoria di bambini che mostravano un comportamento insolito alla
Strange situation e che è stato definito "disorganizzato-disorientato". Il
gruppo ha successivamente preso il nome di bambini D. Questa classificazione
tende a descrivere il pattern di attaccamento che riflette lo stile con cui
il bambino ha organizzato il comportamento di attaccamento in base allo
stile di accudimento del caregiver .
I bambini che sviluppano un attaccamento sicuro fanno uso dell'oggetto dell'
attaccamento come di una base sicura dalla quale partire per dedicarsi con
serenità all'esplorazione e al gioco. Durante la Strange Situation
(Ainsworth) piangono, all'allontanarsi della madre, e la cercano attivamente
chiamandola. Quando la madre ritorna mostrano apertamente la loro gioia,
ricercando il contatto con lei, per poi ritornare a giocare. Sono contenti
di essere in compagnia della madre ma riescono anche a stare da soli. Tale
pattern di comportamento, nello studio originale di Baltimora si è
manifestato in circa i due terzi dei bambini. Le madri, osservate durante l'
interazione con il bambino a casa, dimostravano di essere sensibili ai
segnali ed alle comunicazioni dei loro bambini. Così come i bambini, che
sapevano di poter contare sulla madre e di potervi avere facile accesso,
potevano dedicarsi all'esplorazione di un ambiente nuovo finché la madre era
presente ed, alla sua scomparsa, riuscivano, dopo qualche tempo, a
rassicurarsi, certi del suo ritorno, ed il comportamento esplorativo
riprendeva la prevalenza rispetto ai bisogni d'attaccamento.
Tale descrizione, a nostro avviso, può avvicinarsi a quella che per Sameroff
ed Emde è una relazione regolata appropriatamente:
"[.] una relazione regolata in modo appropriato è definita dalle sue
proprietà dinamiche piuttosto che da un particolare insieme di comportamenti
[.]; le descrizioni dinamiche evidenziano la sincronia, la reciprocità, il
coinvolgimento e la modulazione [.]. Quando un bambino non è coinvolto, un
genitore può aumentare in modo adeguato il livello di interazione, tuttavia
quando un bambino è iperstimolato o ipersensibile, la regolazione
appropriata da parte del genitore può implicare un decremento dell'
interazione. Le relazioni possono inoltre essere valutate dal punto di vista
della loro tonalità affettiva. E' necessario valutare la gamma, la
modulazione e la sincronia degli affetti condivisi. Deve essere valutata l'
adeguatezza della regolazione affettiva. Nella misura in cui uno o entrambi
i partecipanti alla relazione non riescono a trovare felicità o gioia nell'
interazione, si evidenzia un problema relazionale." (Sameroff, Emde, 1991)
Nel pattern insicuro resistente, invece, il bambino durante la Strange
Situation resiste al conforto offerto dalla madre al momento della riunione
e continua a protestare, pur trovandosi in prossimità della figura di
attaccamento. Nel pattern insicuro evitante, invece, il bambino non protesta
al momento della separazione ed inoltre evita attivamente il contatto con la
madre, al momento della riunione. Come dicevamo, questi tre pattern sono
correlati alla qualità della relazione che si è instaurata, già dal primo
anno di vita, tra il bambino ed il caregiver. Il tipo B descrive risposte
affidabili e valide e soprattutto comprensibili dal bambino alle richieste
di accudimento e protezione avanzate dal bambino stesso. Il pattern A
descrive invece una organizzazione della strategia di adattamento di un
bambino in risposta ad un caregiver stabilmente indisponibile a rispondere
alle richieste di attaccamento, il cui punto finale è una tendenza del
piccolo ad una organizzazione emotivamente autosufficente come modalità per
poter preservare il legame di attaccamento. Il tipo C descrive, invece, una
organizzazione del bambino con un caregiver le cui risposte sono
imprevedibili ed incostanti nell'oscillazione continua tra avvicinamento e
disattenzione.
Questi tre stili di attaccamento descrivono una capacità di organizzazione e
previsione del proprio comportamento e di quello del caregiver, mantenendo
una coerenza all'interno del sistema rappresentazione-comportamento.
In gran parte dei bambini provenienti da famiglie ad alto rischio
psicopatologico si nota, invece, la presenza del pattern disorganizzato di
attaccamento, pattern che è presente comunque in una percentuale nei bambini
provenienti da famiglie a basso rischio (Main e Morgan; 1996 ). Il
comportamento di questi bambini non è così finalizzato e ripetitivo come
quello dei gruppi A, B, C e la sua specificità sembra consistere proprio
nella presenza contemporanea di comportamenti contraddittori, spesso
incompleti, apparentemente afinalistici. Durante la Strange Situation, ad
esempio, i bambini, al ritorno della madre, iniziano ad avvicinarsi a lei
per riabbracciarla (come i B ed i C ), ma poi improvvisamente cambiano
direzione e la evitano (come gli A), oppure si bloccano, mettendosi
successivamente a fare altro. Altre volte possono cercarla, per poi evitarla
con lo sguardo. I meccanismi difensivi precoci di questo gruppo, sono stati
così descritti da Fonagy:
"[.] è stata notata inoltre fin dai 13 mesi una inversione dell'
aggressività, che consiste nel tentativo da parte del bambino di ferire se
stesso invece della madre [.]; le forme di tale inversione difensiva vanno
dal tirarsi i capelli, al battere violentemente la testa, al colpirsi, e
possono arrivare al disprezzo del pericolo e a un evidente aumento della
soglia del dolore. Abbiamo osservato modelli di questo tipo solo nei bambini
"D". S. Fraiberg [.] notò fin dal terzo mese una periodica "immobilizzazione
completa della motilità e della articolazione" e chiamò questo comportamento
difensivo "congelamento" [freezing]. Una bambina, che stava seduta
aspettando apparentemente in modo tranquillo mentre la madre era assente
dalla stanza, durante il secondo episodio di separazione, al ritorno della
madre semplicemente si piegò e cadde. La madre si avvicinò senza guardarla e
senza cercare di rialzarla o di stabilire un qualche contatto corporeo."
(Fonagy et al.1992)
Per cercare di cogliere il senso di queste manifestazioni che tradiscono un
profondo disturbo della capacità di organizzare coerentemente un
comportamento di attaccamento, occorre osservare la figura di attaccamento,
in questo caso più frequentemente la madre. Essa non è disponibile e in
sintonia come le madri dei bambini "sicuri", né è imprevedibile e
ipercontrollante come quelle dei bambini "insicuri", ciò che la caratterizza
è l'essere dominata da qualcosa di irrisolto dentro di sé. Gli studi volti
ad identificare le costanti unificanti il comportamento del genitore hanno
trovato una forte correlazione con l'esistenza di lutti o altri traumi non
elaborati e irrisolti nella vita del genitore verso il quale l'attaccamento
risulta disorganizzato (un bambino può presentare un comportamento
disorganizzato con l'uno ma non con l'altro genitore). I genitori del gruppo
D sottoposti alla Adult Attachment Interview apparivano impegnati in
problemi relativi alla perdita di un genitore o in questioni personali molto
gravi. In un certo numero di casi (Main, Hesse, 1990) le madri erano state
colpite da un lutto grave e non risolto nell'anno precedente o successivo la
nascita del bambino. In altri casi avevano subito delle gravi violenze
fisiche o psicologiche durante l'infanzia da parte dei genitori. In tutti i
casi le madri erano prigioniere di problemi personali molto gravi, che le
portava ad essere concentrate verso il proprio interno restando distratte al
contatto con il bambino. L'espressione triste o spaventata della madre
veniva così a costituirsi come una minaccia per il figlio, che si trovava a
dover affrontare una situazione paradossale nella quale chi dovrebbe essere
oggetto di rassicurazione diventava egli stesso oggetto di minaccia. Mary
Main spiega così la genesi della situazione di paradosso in cui si verrebbe
a trovare il bambino
[.] una figura di attaccamento che suscita paura pone al bambino un
paradosso che non può risolvere a livello comportamentale, in quanto
dovrebbe fuggire dalla figura di attaccamento perché fonte di pericolo, e
contemporaneamente avvicinarla come rifugio sicuro" (Main, 1991).
Per l'autrice il trauma non risolto o il lutto il cui ricordo tende ad
affiorare alla coscienza in modo frammentario ed imprevedibile crea nel
genitore che in quel momento sta accudendo il bambino una espressione di
paura ed il bambino sarà spaventato dalla paura letta sul volto del
genitore, ancor più a motivo del fatto che il piccolo non riesce a
rintracciarne una causa.
"Questa situazione per il bambino è particolarmente opprimente poiché ciò
che impaurisce il genitore non è identificabile. L'allarme nel bambino è
ulteriormente accresciuto dal fatto che il genitore, mentre rivela la
presenza di un pericolo, mostra contemporaneamente il desiderio di evitare
la vicinanza o persino la presenza stessa del bambino."(Main, Hesse, 1990)
La stessa situazione minacciosa si verificherà se il genitore mostrerà
improvvisamente comportamenti violenti nei confronti del bambino, come
frequentemente accade in genitori che a loro volta sono stati traumatizzati
o sono spaventati (Bowlby, !988). In ogni caso il bambino si troverà di
fronte ad un blocco irrisolvibile che tenderà a creare rappresentazioni di
sè e di sè con l'altro prive di una loro unitarietà e coerenza
rappresentativa.
Nei termini di una descrizione delle relazioni secondo il modello di
regolazione di Sameroff ed Emde, l'attaccamento D sembrerebbe corrispondere
ad una "regolazione inappropriata":
"La regolazione inappropriata è un modello di regolazione deviante, che non
si può classificare come un eccesso o una carenza di regolazione. I tempi di
risposta possono non essere in sincronia con i segnali elicitanti. Oppure il
bambino può essere oggetto di controlli inappropriati per la sua età o per
il suo stadio evolutivo. La regolazione inappropriata produce interazioni
negative ed esiti disforici." (Sameroff, Emde; 1991)

Attaccamento D e modelli patogenetici del paziente Borderline
Come abbiamo già notato prima, uno dei grandi meriti della teoria dell'
attaccamento è quello di aver concepito lo sviluppo mentale in funzione
delle differenziazioni subite dal Sé attraverso la costante dialettica tra
modelli operativi interni del bambino e modelli operativi interni della
figura d'attaccamento, una concezione questa che è stata corroborata da
numerosi studi e che ha molto contribuito ad avvicinare tra loro il pensiero
psicoanalitico ed alcuni aspetti della psicologia cognitiva. Come risultato
di questo processo, il bambino interiorizza dei modelli d'interazione
diadici o IWM (Modelli Operativi Interni), che, secondo la ricerca attuale,
si pensa possano, seppur modificatisi nel susseguirsi delle esperienze
successive, essere un fattore di fondamentale importanza nello stile di
relazione dell'adulto ed anzi venire trasmessi di generazione in
generazione.
Questa specifica impostazione rende vicina la teoria dell'attaccamento, pur
con le doverose differenze, a quelle teorie psicoanalitiche caratterizzate
da un'ottica relazionale che con diversi accenti hanno cercato di descrivere
un modello di sviluppo della mente umana nel quale i derivati consci ed
inconsci delle relazioni con l'altro venivano ad assumere un ruolo
strutturante. Ricordiamo a questo proposito gli enunciati teorici di autori
differenti nelle loro posizioni come J. Sandler quando parla di
rappresentazioni del Sé continuamente modulate dall'interscambio tra
fantasie e difese con il contesto relazionale, o di T. Ogden quando si
riferisce a relazioni oggettuali intrapsichiche in continua interazione
dinamica con le esperienze interpersonali correnti, tralasciando poi quegli
autori che hanno aderito completamente al paradigma relazionale. Questo
orientamento, che al momento attuale riveste un ruolo fondamentale nel mondo
psicoanalitico, sancisce la distanza che ormai ci separa dalla concezione
freudiana dove l'oggetto era semplicemente la cosa mediante la quale la
pulsione raggiungeva il suo scopo. Nella situazione diadica invece l'oggetto
è il co-specifico nel quale il Sé ricerca il sostegno ed i mezzi necessari
allo sviluppo, uno sviluppo non più collegato alle vicissitudini della
soddisfazione pulsionale ma alla qualità affettiva e cognitiva delle
relazioni oggettuali originarie. Tutto ciò significa anche dotarsi di una
teoria evolutiva che, come detto, dà maggior rilievo alla interazione reale,
comprendendo in essa lo studio di entrambi i poli della diade, e che
rivaluta perciò il concetto di trauma nelle sue potenzialità patogenetiche,
oltre a concepire il cambiamento terapeutico non più come il semplice
disvelamento alla coscienza di ciò che è inconscio, ma anche come il
prodotto della sapiente modulazione della comunicazione emotiva e degli
scambi regolativi socioaffettivi. In questo senso, il concetto di inconscio
dinamico non potrà più essere visto come deposito di contenuti rimossi
primitivi che verranno investiti dalle pulsioni, ma come una organizzazione
complessa, nella quale interagiscono tutte le modalità del funzionamento
mentale, da quelle di auto ed eteroregolazione affettiva, di costruzione di
dati mnemonici, di funzioni cognitive, che verranno organizzati dal bambino
già nelle prime settimane di vita per estrapolare modelli, categorie,
orientamenti, che lo renderanno capace di catturare criteri e regolarità
presenti nel mondo esterno così come in quello interno.
In quest'ottica ci è sembrato utile affiancare alle diverse ipotesi
patogenetiche del BPD una teoria che a nostro parere riveste un forte valore
euristico per la comprensione del disturbo, ed un interessante stimolo al
confronto tra diversi modelli terapeutici.
Ci riferiamo all'ipotesi citata all'inizio del lavoro (Liotti, 1998) in cui
le costanti psicopatologiche del BPD vengono interpretate alla luce di un
processo mentale ed interpersonale unitario che origina nel contesto delle
relazioni di attaccamento, il pattern Disorganizzato-Disorientato. Tale
ipotesi cerca di considerare come l'attaccamento D possa venire a
costituirsi come un importante fattore di rischio nella genesi del BPD.
Prendiamo ora in considerazione come vengono affrontati all'interno di
questa ipotesi i tre aspetti caratteristici del BPD che vengono identificati
nei vari modelli patogenetici.
1) La molteplicità delle rappresentazioni del Sé e del Sé con l'altro
Il lavoro della Main e di Liotti tende a mettere in evidenza come nella
formazione dei modelli operativi dell'attaccamento D venga perduta prima di
tutto la coerenza e l'unità rappresentativa degli IWM. Ciò comporta la
possibilità di immaginare la presenza di molteplici e contrastanti contenuti
rappresentazionali inscritti nella memoria inconscia. In particolare Liotti
ipotizza una polarità dei possibili significati costruiti all'interno di una
relazione di tipo D nella quale il bambino tende a rappresentare sé stesso e
l'altro alternativamente come "salvatore", "persecutore" e "vittima" in
relazione alle possibili esperienze affettive che possono essere inferite in
una relazione tra un adulto spaventato-spaventante che accudisce ed il
bambino.
Tale inferenza si basa su una serie di studi sulla rappresentazione di sé
nei bambini ed adolescenti in età scolare che mostrano un pattern di
attaccamento disorganizzato nell'infanzia (Main, Morgan, 1996).
Queste rappresentazioni multiple e contraddittorie potrebbero essere
paragonate agli effetti dello splitting secondo Kernberg, pur nella
diversità notevole dei modelli esplicativi di base utilizzati dai due
autori. Ma soprattutto sono in accordo con le posizioni di Stolorow,
Brandchaft, ed Atwood, quando propongono che le percezioni frammentarie e
incostanti dei pazienti borderline non sono il risultato di un'attività
difensiva primaria, ma originano da un grave arresto dello sviluppo che li
rende incapaci di sintetizzare delle esperienze affettive discordanti di sé
e dell'altro. E' comunque evidente che pur nella diversità dei modelli di
base i diversi autori pongono l'accento sulla presenza di rappresentazioni
molteplici, contraddittorie e non integrate nel paziente borderline.
2)Modulazione delle emozioni e disturbi nello sviluppo metacognitivo
Un ulteriore elemento di grande interesse nella ricerca sull'attaccamento D
riguarda la correlazione tra stili di attaccamento e sviluppo delle funzioni
metacognitive. In questo senso molti lavori (Main, 1991, 1995, Main & Hesse,
1990, Main & Morgan, 1996) hanno messo in evidenza la relazione tra stile D
e deficit delle capacità metacognitive: di quelle funzioni cioè deputate al
monitoraggio delle operazioni mentali del pensiero e dell'affettività nel
corso del loro funzionamento che ci rende capaci di poterne controllare il
decorso.
Anche Fonagy e coll. (1995), hanno posto l'accento sulla compromissione
negli stili di attaccamento insicuro, e perciò anche nell'attaccamento di
tipo D, della capacità del Sè di riflettere sugli stati mentali - pensieri,
emozioni, ricordi - come entità soggettive e discrete, facenti parte del
mondo soggettivo dell'individuo.
Liotti evidenzia inoltre come
"certamente la sicurezza dell'attaccamento nel primo anno di vita è
correlata alla maggiore capacità di superare, fra i tre e i cinque anni, i
"compiti di falsa credenza" che dimostrano l'avvenuta costruzione, da parte
dei bambini, di una teoria della mente (Meins, 1997). Dunque, i bambini con
attaccamento sicuro, mostrano rispetto ai bambini con attaccamento insicuro
e disorganizzato, una facilitazione delle funzioni metacognitive implicate
nella distinzione fra apparenza e realtà (su questa distinzione si basano i
compiti di falsa credenza). [.] Adolescenti che certamente erano stati
disorganizzati nell'attaccamento precoce (ad un anno di età) venivano
considerati dagli insegnanti, in un recente studio, più portati ad
"assentarsi mentalmente", cioè ad entrare in uno stato di attenzione e di
coscienza simile ad una trance spontanea (Carlson,1997): anche tale
propensione a stati dissociativi della coscienza è indicativa di ridotto o
disfunzionale uso delle capacità metacognitive" (Liotti, in corso di
pubblicazione).
La capacità di riflettere sugli stati mentali propri ed altrui (la teoria
della mente) assieme alla possibilità di monitorare il decorso e lo
svolgimento dei propri processi mentali (la metacognizione) sono sicuramente
parte di quel sistema mentale di regolazione dell'esperienza emotiva che
molti autori ritengono disfunzionale nel paziente borderline. In questo
senso tali difficoltà costituiscono il "nucleo centrale " della patologia
borderline secondo la Linehan, ma è piuttosto evidente come si accordino
anche con la impostazione di fondo del lavoro di Adler secondo il quale una
grave distorsione della relazione d'oggetto-Sé primaria priva il bambino
della possibilità di interiorizzare e sviluppare una funzione di
autoconforto, indispensabile per poter affrontare e tollerare esperienze
separative e di stress emotivo.
3) La reattività ad esperienze traumatiche
Un altro dei punti che caratterizzano il disturbo borderline, secondo i vari
Autori, è la particolare reattività ad esperienze di separazione, abbandono,
perdita ed in generale alle esperienze traumatiche. Seguendo la teoria dell'
attaccamento di Bowlby si prevede che le risposte meno disfunzionali a
questi eventi siano correlate ad una precedente esperienza di attaccamento
sicuro. Ultimamente, l'accento sulla dimensione di sicurezza come fattore
"protettivo" rispetto ad esperienze "stressanti" si è spostato sulla
dimensione della organizzazione-disorganizzazione come fattore determinante
nella possibilità di prevedere, in funzione dell'attaccamento, risposte
negative ad eventi separativi o traumatici. Ciò è ancora più significativo
in quanto l'esperienza del dolore fisico o psichico rende l'individuo più
vulnerabile e funge da potente stimolo attivatore del bisogno di protezione,
accudimento e conforto, in poche parole del bisogno di attaccamento. Dunque
l'essere esposto ad esperienze di questo tipo fungerà da stimolo nel
suscitare quelle attese di risposta al proprio bisogno di attaccamento che,
nella dimensione disorganizzata, convoglieranno aspettative che amplificano
lo stato di vulnerabilità nel quale l'individuo si trova. L'essere esposti
ad una esperienza dissociativa proprio nel momento in cui sarebbe necessaria
un'esperienza che faciliti l'integrazione del sé aumenta la potenzialità
destrutturante del trauma per la psiche dell'individuo.
Tutto ciò ci aiuta inoltre a considerare come la maggior frequenza di stili
di attaccamento D presenti in quelle famiglie dove è più alta la possibilità
di esperienze traumatiche (abusi, maltrattamenti, ecc.) rivesta una
particolare importanza nell'interconnessione di questi due fattori di
rischio nella genesi del disturbo borderline.

Una possibile ipotesi del disturbo di base del BPD
Le questioni finora trattate suggeriscono la possibilità di avanzare l'
ipotesi che il modello dell'attaccamento disorganizzato possa essere
considerato come un importante fattore di rischio nella genesi del disturbo
borderline.
Seguendo ancora l'ipotesi di Liotti possiamo considerare come i principali
elementi caratterizzanti del BDP possano essere letti in modo unitario all'
interno di questa chiave.
In precedenza abbiamo esaminato come dai modelli eziopatogenetici
considerati emergano tre fattori che possiamo definire come basilari del
disturbo:
la molteplice e contraddittoria rappresentazione del Sé e dell'altro;
la carente funzione di modulazione delle emozioni dolorose;
l'abnorme risposta affettiva agli eventi separativi e traumatici.
Il modello della disorganizzazione dell'attaccamento tenta di costruire una
visione unificante di tale processo, specificando la peculiare dinamica
interpersonale che potrebbe costituire la condizione di base del disturbo
stesso.
Ricapitolando la precedente descrizione delle conseguenze possibili dello
stile di attaccamento disorganizzato potremmo affermare quanto segue.
Il bambino con attaccamento D tende ad esperire rappresentazioni
disorganizzate e contraddittorie di Sé e dell'altro ogni qualvolta si
attivino in lui quelle esperienze emotive che corrispondono all'attivazione
del sistema dell'attaccamento (sentimenti di vulnerabilità, separazioni,
esperienze traumatiche).
Da tale attivazione, che si produce sulla base di una risposta innata e
primaria dell'essere umano, discendono quelle rappresentazioni intensamente
dolorose e spaventanti della relazione con colui dal quale ci si aspetta
cura e conforto.
Ciò espone al rischio di annichilenti esperienze dissociative connesse all'
impossibilità di integrazione nella coscienza di rappresentazioni simultanee
affettivamente incompatibili tra loro.
La ripetuta esperienza di queste relazioni può indurre l'individuo a
sviluppare modalità protettive l'integrità del Sé attraverso l'inibizione
difensiva dei bisogni d'attaccamento.
Ciò comporterà il tentativo di raggiungere stati di distacco emotivo e l'
attivazione vicariante di altre modalità relazionali, mediante da altri
sistemi motivazionali, che avranno lo scopo di proteggere il Sé dalla
minaccia della propria vulnerabilità, stimolata primariamente dai bisogni d'
attaccamento. In questo senso, dunque, i comportamenti sessuali promiscui, l
'uso di droghe, i disturbi dell'alimentazione, i comportamenti rischiosi per
la propria incolumità potranno essere letti come tentativi di far fronte a
quella sensazione di vuoto interno, di mancanza inestinguibile, di imminente
collasso psichico che gioca tanta parte nella sintomatologia del paziente
borderline.
Anche le frequenti esplosioni di rabbia potranno essere viste come
largamente reattive, espressioni della propria debolezza e del panico di
fronte all'angoscia di annichilimento, piuttosto che causa primaria di
conflitti e difficoltà strutturali. Anche se, soprattutto in terapia, è
proprio a causa della rabbia per le inevitabili rotture della sintonia, che
il paziente si avvierà ad una ulteriore perdita funzionale del sé in quanto
essa interferisce con la capacità di richiamare alla memoria esperienze
positive di sé e dell'analista.
In questo quadro "La deficitaria strutturazione della capacità metacognitiva
di riflessione sui propri stati mentali e sulla propria condotta impedisce
al paziente di poter effettuare una riflessione critica su se stesso che
sola, in assenza di esperienze relazionali correttive dell'attaccamento
disorganizzato, potrebbero avviare diversi tipi di condotte interpersonali
ed esplorare diverse modalità di gestione delle emozioni dolorose" (Liotti,
in corso di pubblicazione)

Considerazioni conclusive
L'ipotesi prospettata in questo lavoro tende a proporre uno spunto di
riflessione sul trattamento del paziente borderline riconsiderando l'
importanza che nella genesi di questo disturbo potrebbe avere lo stile di
attaccamento disorganizzato. Naturalmente, come in tutti i disturbi
psichiatrici, è difficile isolare un unico fattore di rischio, anzi è
verosimile che diversi fattori di rischio concorrano allo sviluppo del
disturbo stesso. Quello che ci è parso interessante in questa ipotesi è la
possibilità di ricomprendere in un modello unitario alcuni dei punti
identificati da autori di diversa formazione come caratterizzanti il
disturbo borderline. Peraltro è assolutamente necessario, quando si parla di
fattori di rischio, considerare il ruolo dei fattori protettivi che, nel
corso dello sviluppo, potrebbero modificare l'influenza delle precedenti
esperienze patogene. Nel caso della teoria dell'attaccamento, per esempio,
il ruolo che successive esperienze di attaccamento sicuro possono giocare
nel modificare le passate esperienze; è anche evidente la ricaduta che tali
considerazioni sul ruolo dei fattori protettivi hanno sulla ricerca dei
fattori terapeutici nel trattamento.
In conclusione vorremmo sperare che questa riflessione apporti un piccolo
contributo in quel difficile compito al quale siamo chiamati quando
cerchiamo di occuparci dei nostri pazienti nella ricerca quotidiana di
cogliere, nel mondo della partecipazione umana, una relazione interpersonale
con loro.


...bene...io dovró rileggermelo almeno altre 10 volte prima di riuscire a
capire almeno una decina di righe, ma voi penso che farete sicuramente
meglio di me. :))

barby25LadyHawK :))


Vincenzo Del Piano

unread,
Jun 16, 2001, 2:23:13 AM6/16/01
to

"PRIV" <NOSSP...@inwind.it> ha scritto nel messaggio
news:EohW6.1119$XN1....@news2.tin.it...


Lusingato delle tue aspettative da me, PRIV ... ma mi sopravvaluti ...
Non me la sento di "postare per primo" su un argomento che non conosco bene;
tu hai citato l'attaccamento più volte (mi pare): perchè non cominci tu? Non
è una "provocazione": parlo sul serio.

... anche perchè hai ragione a dire che sarebbe una base interessante ...

Saluti Vincenzo


PRIV

unread,
Jun 16, 2001, 8:25:58 AM6/16/01
to

"Vincenzo Del Piano" <vincen...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:lXCW6.3656$Cq5.1...@news.infostrada.it...

> Lusingato delle tue aspettative da me, PRIV ... ma mi sopravvaluti ...
> Non me la sento di "postare per primo" su un argomento che non conosco
bene;
> tu hai citato l'attaccamento più volte (mi pare): perchè non cominci tu?
Non
> è una "provocazione": parlo sul serio.

Beh, non era l'occasione di una "spiegazione", ero solo veramente stupito
del fatto che una "scuola" così importante non avesse rappresentanti in
questo ng, a parte forse me che però non sono proprio un attaccamentista, lo
uso nel modo "sui generis" dei costruttivisti. Altri?

Cmq brevemente due note sull'importanza della teoria:
1. Quella di John Bowlby (che nasce psicoanalista e poi finisce radiato come
"eretico" dalla società psicoanalitica britannica) è secondo me la più
grossa frattura dalla psicoanalisi (fino ad allora le diatribe più
importanti, tipo freud-jung, avevano portato solo a creazione di nuove
scuole psicoanalitiche o para-analitiche
2. Fondamentalmente credo che sia accettata + o - da tutti, tranne che dagli
psicoanalisti più ortodossi. La teoria dell'attaccamento è forse oggi la
teoria più trans-approccio, cioè viene riconosciuta ed utilizzata da molti
psicoanalisti di vario genere (il più noto è Fonagy), (ovviamente) dagli
evoluzionisti, dalla maggior parte dei cognitivisti (il più noto è Liotti),
credo anche dai sistemici.
3. Vittorio Guidano la usa come una delle poche basi fondamentali (oltre al
costruttivismo radicale ed al cognitivismo) del suo ragionamento (sorry,
motivazione mia autoreferenziale)
4. Personalmente credo che il nome di John Bowlby, sebbene infinitamente
meno conosciuto di quello di Freud, abbia la stessa importanza nella storia
della psicologia. Se Freud (per quanto da me sempre criticato) ha avuto il
merito di fondare e portare avanti con vigore uno studio pienamente
"psicologico" della psiche e della psicopatologia (con l'accento sull'età
evolutiva ed i rapporti di cura materna), con Bowlby (per chi lo apprezza)
forse comincia la psicologia "moderna".

Un aneddoto sagace raccontato da Liotti (grande attaccamentista italiano) ad
un convegno (?) riguardava il periodo in cui Bowlby (giovane e poco
consciuto) e Winnicott (al massimo del suo splendore) erano entrati in
contatto e Winnicott una volta sembra aver perso l'aplomb e aver dichiarato
qualcosa tipo "non so perchè, ma quando il dr. Bowlby cita il mio lavoro, lo
fa sempre con molta precisione ed interesse, eppure io quando leggo il suo
non posso non provare un certo senso di disgusto"... su questa cosa Liotti
fa una crassa risata e dice qualcosa tipo "bell'argomento intellettuale".
Ovviamente il problema è che Winnicott ed altri stavano riconoscendo la
minaccia mortale rappresentata dalle teorie eretiche di Bowlby.

Non stupisce che l'abbiano sbattuto fuori come eretico (Liotti scherzando
diceva che è l'unica cosa su cui gli psicoanalisti siano mai stati
d'accordo). In una biblioteca recentemente, sfogliando qua e là senza meta,
ho trovato proprio un testo psicoanalitico (degli anni '60 credo) nella cui
prefazione si accennava al problema "Bowlby" e alla necessità di escluderlo
dagli psicoanalisti, perchè le sue teorie si erano allontanate in modo
irrecuperabile dall'ortodossia. E pensare che invece Bowlby si è considerato
psicoanalista fino alla morte.

Chiudo qui, spero di aver argomentato perchè secondo me la teoria
dell'attaccamento è una pietra miliare fondamentale per la psicologia,
sicuramente nella top ten.

Per chi non ne sapesse nulla, cito solo brevemente che è una teoria che ha
studiato le modalità con cui i bambini (ma anche gli adulti) si attaccano
alla madre o al care-giver, ovvero come chiedono aiuto e conforto nei
momenti di pericolo o bisogno. Questi studi assumono una importanza enorme
perchè sembra che questa motivazione sia la più importante e fondante nei
primi mesi di vita, che sono proprio quelli nei quali si forma la
personalità (modello operativo interno) e si costruiscono le radici della
psicopatologia. Gli attaccamentisti riconducono quindi quasi tutta la
psicologia allo studio delle prime modalità relazionali tra madre e bambino
(e in questo sta ovviamente il debito a Freud), secondo una teoria ben
sviluppata e con enorme mole di ricerca sperimentale a supporto.

Solo qualche accenno tecnico:

1. sono state individuate 4 modalità ("stili") fondamentali di attaccamento:
quella più sana, detta "attaccamento B, sicuro", due modalità che potremmo
definire nevrotiche, ovvero "attaccamento A, evitante" e "attaccamento C,
resistente" ed infine una modalità più grave detta "attaccamento D,
disorganizzato".
Iper-banalizzando si può dire che la radice dei disturbi depressivi sarebbe
l'attaccamento A, dei disturbi fobici sarebbe l'attaccamento C e dei
disturbi di personalità o psicotici l'attaccamento D.

2. esiste molta ricerca sperimentale, soprattutto mediante i due strumenti
(test?) più noti per gli attaccamentisti: la "strange situation" nei bambini
piccoli e la "adult attachment interview" negli adulti, metodi mediante i
quali si può studiare il pattern di attaccamento di un soggetto.

3. la teoria dell'attaccamento è una vera e propria teoria delle motivazioni
interpersonali (che è poi stata estesa al riconoscimento di altre modalità
motivazionali) che si pone come opposta in tutto alla teoria duale freudiana
delle pulsioni (libido-mortido). Se non avete mai letto Bowlby o qualche suo
seguace, vi suggeirei di farlo sopraattutto per questo motivo, perchè egli
ha stravolto la visione ingenua e psicoanalitica riguardo al rapporto tra
motivazione emozione e comportamento (ma qui mi sono già dilungato troppo e
ve lo risparmio)


Elrond

unread,
Jun 16, 2001, 10:27:25 AM6/16/01
to
On Sat, 16 Jun 2001 12:25:58 GMT, "PRIV" <NOSSP...@inwind.it> wrote:

>Beh, non era l'occasione di una "spiegazione", ero solo veramente stupito

>del fatto che una "scuola" cosě importante non avesse rappresentanti in
>questo ng, a parte forse me che perň non sono proprio un attaccamentista, lo


>uso nel modo "sui generis" dei costruttivisti. Altri?

Io non sono niente, nel senso che sono uno studente, pero' devo dire che
all'UniTO la teoria dell'attaccamento mi sembra largamente considerata,
in vari esami.
--
ciao,
Elrond

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