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essssssere o non esssssere? sono sempre senza soldi!

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Davide

unread,
Sep 20, 2002, 9:17:34 AM9/20/02
to
Leggendo alcuni interventi apparsi su questo gruppo nelle scorse settimane
si può trarre l'impressione che a partire da una constatazione che pare
im-mediata, come "l'essere è e non può non essere", uno che sia abbastanza
abile con le parole possa arrivare a dimostrare quello che gli pare
ammantandolo del requisito della *necessità*.

Ora, io mi rendo conto che le tirate severiniane, heideggariane eccetera su
questa faccenda hanno un fascino sbalorditivo, e che pertanto un tentativo
di banalizzare la faccenda possa apparire sicuramente noioso e prosaico.
Tuttavia resto dell'idea che se non si cerca - magari pallosamente - di
chiarire la faccenda, ognuno continui il proprio "monologo a più voci" (che
è ciò che accade quando si parla con chi la pensa esattamente come te
rendendosi al contempo incomprensibili a tutti gli altri).

Bene, proviamo ad andare avanti.

La frase "l'essere è" dal punto di vista sintattico è fatta come "il
camminare stanca": un infinito sostantivato che regge un verbo alla terza
persona.

Ebbene, siccome qui mi si vuole mandare ai lavori forzati filosofici per la
mia ignoranza, io molto umilmente mi sono andato a prendere la cara vecchia
grammatica del Fornaciari per andare a vedere come e quando si usa questo
benedetto infinito sostantivato. Dice:

"L'infinito come sostantivo ha senso neutro, cioè indica l'azione in un modo
astratto e indeterminato, ma differisce dal vero sostantivo verbale
corrispondente, inquantoché conserva la forza di azione. In questa guisa
differiscono fra loro il sentire, il sentimento; l'ardere, l'ardore;
l'incominciare, l'incominciamento; l'aspirare, l'aspirazione; l'aspettare,
l'aspettazione; il lamentare, il lamento; l'avvicinarsi, l'avvicinamento; il
variare, la variazione; il muovere, il movimento; il battere, il battito e
simili, dove si vede che *l'infinito esprime cosa di sua natura momentanea
ed in atto*, mentre il sostantivo corrispondente ritrae invece cosa continua
ed abituale; l'infinito esprime la cosa in azione, il nome la cosa come
ferma e stabile. Tu proverai siccome sa di sale Lo pane altrui, e com'è duro
calle Lo scendere e'l salir per l'altrui scale. Dante."

Se ho letto bene "il camminare" non è altro che "l'atto di camminare".
Quindi la mia frase "il camminare stanca" equivale alla seguente:

"l'atto di camminare stanca".

Possiamo anche aggiungere il soggetto al sostantivo. Anche in questo caso
posso farmi aiutare dal Fornaciari:

"§ 7. Costruzione del soggetto dell'infinito sostantivato. Il soggetto
dell'infinito sostantivato si costruisce colla preposizione *di*. Il cantar
novo e il pianger degli augelli (gli uccelli cantano e piangono).
Petrarca. - Poco dopo il levar del sole (il sole si leva). - Allo spuntar
del giorno (il giorno spunta). Manzoni. - Non fu di minor momento il variare
della religione. Machiavelli. - Il portar diritto della persona, il movere
risoluto delle membra mostravano in lei una natura valida e rubizza. (Qui
portare e movere hanno senso intransitivo). Grossi."

Allora dalla nostra proposizione segue anche:

"il camminare di qualcuno stanca".

Stanca chi? Ovviamente, in questo caso, quel certo qualcuno, ovvero:

"il camminare di qualcuno stanca quel qualcuno"

che equivale anche alla seguente:

"l'atto di camminare da parte di qualcuno lo stanca".

Ed ecco che possiamo riscrivere la nostra frase iniziale un po' vaga (cioè
"il camminare stanca"), in forme più consuete:

"chi cammina si stanca"

"se qualcuno cammina si stanca"

eccetera.

Intanto va notato che l'uso dell'infinito sostantivato contiene non poche
ambiguità che si risolvono solo nel contesto. Ad esempio nel nostro caso era
chiaro che l'atto di camminare stanca chi cammina. Ma consideriamo ad
esempio quest'altra proposizione:

"il comandare logora".

Logora chi? Chi comanda o chi viene comandato? Verrebbe da sostituirla con

"chi comanda si logora"

come abbiamo fatto con il camminare, ma sappiamo bene che c'è chi non è d'
accordo. Ad esempio il senatore a vita Andreotti sarebbe più propenso a dire
che il comandare logora coloro che sono comandati.

Torniamo ora al nostro "l'essere è". La struttura è la stessa, il caso è lo
stesso. Ma qui, oltre a quelle già illustrate, ci sono ulteriori difficoltà.
Innanzi tutto in quasi tutte le lingue indoeuropee (*) il verbo essere ha
sia una funzione predicativa che una funzione "esistenziale".

Poiché io sono ignorante, lo lascio dire al caro Abbagnano (spero che non
debba andare ai lavori forzati filosofici pure lui):

"ESSERE. [...] E' opportuno preliminarmente distinguere i due usi
fondamentali del termine e cioè: 1° l'uso *predicativo* per il quale si dice
«Socrate è uomo» o «la rosa è rossa»; 2° l'uso *esistenziale* per il quale
si dice «c'è Socrate» o «c'è una rosa». [...] Platone sottolinea, nel
*Parmenide*, la differenza tra l'ipotesi «l'uno è uno» e l'ipotesi «l'uno è»
[...]"

Come si vede anche dagli esempi di Abbagnano (e pure di Platone) la funzione
predicativa la svolge quando è copula di un predicato nominale. In tutti gli
altri casi va inteso in senso esistenziale.

Infatti se io dico "Cosimo è" i casi sono due: o ho intenzione di usare quel
"è" in senso predicativo, e allora la frase va considerata incompleta (può
darsi che voglia dire che "Cosimo è simpatico"), o ho intenzione di mettere
un bel punto fermo dopo quel "è", nel qual caso quel "è" va inteso nel senso
di "esiste" (e quindi voglio dire che "Cosimo esiste.")

Nella nostra proposizione "l'essere è" lo stesso verbo appare due volte,
quindi in entrambi i casi occorre chiarire se si tratta della forma
predicativa o di quella esistenziale.

Abbiamo quattro casi:

1)

Se sono entrambe forme predicative, allora la frase è incompiuta ed assume
un significato solo quando viene completata dai predicati nominali (e dal
soggetto). Ad esempio posso dire che

"l'essere cadente della foglia è bello"

ovvero:

"l'atto della foglia di cadere è bello"

o anche

"una foglia che cade è bella"

Attenzione, lo ripeto: in questo caso (cioè quello in cui entrambe le
coniugazioni del verbo essere sono predicative) la preposizione "l'essere è"
è priva di senso perché è incompiuta. E' come se dicessi "il colore dell'
erba è" volendo dare a quell'"è" un significato puramente predicativo. La
mia proposizione risulterebbe semplicemente priva di senso.

2)

Se sono entrambe esistenziali allora la frase è del tutto equivalente alla
seguente:

"l'esistere esiste".

Possiamo anche aggiungere un soggetto:

"l'esistere di qualcosa esiste"

ovvero

"l'atto di esistere di qualcosa esiste"

che è come dire

"qualcosa esiste".

Bella scoperta! :-)

3)

Se la prima ricorrenza del verbo è intesa in senso predicativo e la seconda
in senso esistenziale, allora la frase assume un senso solo quando viene
completata da un predicato nominale per "l'essere" (altrimenti, anche in
questo caso, è *priva di senso*).

Ad esempio posso dire che

"l'essere cadente della foglia esiste"

che, come ormai sappiamo, equivale alla seguente proposizione:

"l'atto di cadere della foglia esiste"

ovvero

"'la foglia che cade' esiste"

dove le virgolette semplici servono ad indicare che in questo caso non si
intende attribuire l'esistenza alla foglia (né ovviamente negarla,
semplicemente non si dice nulla dell'esistenza della foglia) ma all'atto di
cadere della foglia, cioè al fenomeno "la foglia (che) cade".

Qui bisognerebbe senz'altro sospendere un dubbio sul fatto che la foglia
esista nello stesso modo in cui esiste l'atto di cadere della foglia. Ma ho
deciso di "attenermi al testo" quindi non entrerò (per ora) in questa
discussione.

4)

Se la prima ricorrenza del verbo è intesa in senso esistenziale e la seconda
in senso predicativo, allora la frase assume un senso solo quando viene
completata da un predicato nominale per "è" (altrimenti, lo ripeto fino allo
sfinimento, è *priva di senso*).

Ad esempio posso dire che

"l'esistere è bello"

ovvero:

"l'atto di esistere è bello"

o anche, aggiungendo un soggetto,

"l'atto di esistere della foglia è bello"

e cioè:

"è bello che la foglia esista".

Ricapitoliamo. Siamo partiti da una struttura puramente sintattica (cioè non
semantica, e quindi *priva di significato*), che è "l'essere è" ed abbiamo
ottenuto delle proposizioni semantiche stabilendo in tutti i modi possibili
quali ricorrenze del verbo essere dovessero avere valore predicativo o
esistenziale. E abbiamo ottenuto le seguenti proposizioni:

1) "una foglia che cade è bella"

2) "qualcosa esiste"

3) "'la foglia che cade' esiste"

4) "è bello che la foglia esista"

Nessuna delle quattro precedenti proposizioni ci dice nulla sul *divenire*
della foglia. Ad esempio, dire che "'la foglia che cade' esiste" non ci dice
nulla sull'esistenza della foglia (cioè sulle sue modalità di essere), e se
anche ce lo dicesse non escludere che la foglia che non cade continui ad
esistere.

Ora, è ovvio che nell'ambito di *una stessa* concatenazione deduttiva dovrò
scegliere un senso da dare a quella struttura sintattica (sintattica, non
semantica!) di partenza ed *attenermi a quello*. Se inizio una deduzione
logica usando un significato predicativo di "è" e completo *la stessa*
deduzione logica usando un significato esistenziale dello stesso verbo
allora posso arrivare a dimostrare qualunque cosa, come ad esempio l'
impossibilità di divenire.

Certo, nessuno che ami il PDNC farebbe mai una cosa simile, ma c'è chi non
ama abbastanza il PDNC da farlo!

Prima di concludere vorrei osservare che a volte queste disquisizioni
cavillose sulle singole parole possono sembrare superflue. Ma il pericolo di
perdere "il contatto con la realtà" può annidarsi ovunque. Prendiamo ad
esempio i famosi paradossi di Zenone secondo i quali il moto violerebbe il
PDNC. Sembra che essi non facciano una piega. Tuttavia ad un certo punto
compare un "e così via" che definisce il ripetersi all'infinito di un certo
ragionamento/procedimento. Ci sono voluti una ventina di secoli per imparare
ad analizzare in modo logico rigoroso questi "e così via" (**) (quindi d'ora
in poi quando vedete i punti di sospensione state all'erta! ;-)). Ed è solo
da un paio di secoli che si è compreso che la somma di un numero "infinito"
di quantità tutte maggiori di zero può essere una quantità finita! Certo,
sembra im-mediato convincersi del contrario, ma solo fino a quando non ci si
prenda la briga di chiedersi cosa si intende per "infinito".

E se in un "e così via" si può annidare il "trucco" per mettere il moto in
conflitto con il PDNC figuratevi cosa si può fare mescolando i predicati con
l'esistenza!

Dopodiché sappiamo tutti che se uno ha interesse a dire che il divenire è
irrazionale non c'è niente che possa convincerlo del contrario o che possa
farlo desistere dallo scrivere 600 pagine di ragionamenti densissimi (di
fumo?) in risposta a chi si mette (umilmente?) a calcolare la somma delle
serie di Zenone.

E comunque sia chiaro che se anche mi si dimostrasse che il divenire è
irrazionale non è che questo mi spingerebbe ad accettare di buon grado chi
pretende di venire a casa mia a dirmi cosa è *necessario* che io pensi e
faccia. Anzi, sarebbe uno di quei casi in cui la mia "morale debole"
mostrerebbe di non essere forse così debole come appare.

Saluti,

D.

(*) Che delle lingue indoeuropee ci sia poco "da fidarsi" lo può insinuare
il fatto che 'sti famosi "indoeuropei" molto probabilmente erano delle
popolazioni stanziate anticamente nell'attuale steppa russa le quali per
prime riuscirono ad addomesticare il cavallo.

Dobbiamo quindi immaginarceli come popolazioni precedute da una cavalleria
armata che sono scese a sud occupando paesi in cui la gente se ne stava
tranquilla a coltivare i campi e a trombare (d'estate in riva al fiume e d'
inverno davanti al camino).

Il cavallo in questo senso è stato il primo strumento "imperialista" della
storia.

Il luogo in cui il modello sociale indoeuropeo è rimasto più vicino a quello
originale è probabilmente l'attuale India (lo dimostra fra l'altro il fatto
che il sanscrito è la lingua più vicina a quella "originale"), da cui
possiamo comprendere che gli indoeuropei al loro arrivo tendevano ad
assoggettare le popolazioni residenti senza mescolarsi ad esse (caste), e
imponendo una ripartizione sociale in cui la struttura economica portante
era costituita da tre gruppi: gli schiavi (solitamente le popolazioni
originarie), l'aristocrazia (quella che aveva il controllo della
"cavalleria") ed il clero (costituito da sacerdoti/filosofi che avevano il
compito di "benedire" l'aristocrazia).

La codifica del linguaggio da allora è sempre stata nelle mani di quei
sacerdoti/filosofi che hanno sempre svolto il ruolo di "puntello teorico"
della "cavalleria".

Quindi non mi fido molto di 'ste lingue. E più sono vicine all'originale e
meno mi fido. Tutte 'ste declinazioni... 'sti modi infiniti... brrrr

Se vuoi essere sicuro di poter fregare uno usa il sanscrito. Sennò ripiega
sul greco e sul latino. Al limite usa il tedesco.

E d'altra parte non è che poi la struttura originaria del modello
indoeuropeo sia poi tanto celata dalle parole. Ad esempio il nostro nuovo
Dio Quattrino in quasi tutte le lingue indoeuropee mostra la sua origine
"capitalistiche". In latino ad esempio si chiama "pecunia", che ha la stessa
radice indoeuropea di "pecus", cioè le pecore, gli armenti.

Anche il nostro caro PDNC "puzza" un po' cavalleria armata (e di "pecore"),
per cui se viene utile bene, sennò in nome di esso e di presunte *necessità*
non permetto nemmeno che si metta la catena al collo del cane che abita con
me (sì, sono cinofilo, cinefilo e pure fazioso! :-)).

(**) Ne segue (lo dico per quegli "illuminati" che sanno distinguere fra
linguaggio filosofico e pre-filosofico) che l'obiezione "ricorsiva" di
Bontadini pecca più o meno della stessa ingenuità dei paradossi di Zenone. E
pure la risposta a quell'obiezione è nelle stesse acque.

Marco V.

unread,
Sep 20, 2002, 4:43:08 PM9/20/02
to
On Fri, 20 Sep 2002 13:17:34 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:


>E comunque sia chiaro che se anche mi si dimostrasse che il divenire è
>irrazionale non è che questo mi spingerebbe ad accettare di buon grado chi
>pretende di venire a casa mia a dirmi cosa è *necessario* che io pensi e
>faccia. Anzi, sarebbe uno di quei casi in cui la mia "morale debole"
>mostrerebbe di non essere forse così debole come appare.

Vedi Davide, qui sta l'essenza della tua posizione nei confronti della
filosofia *originaria*. Tutto quello che hai argomentato non ha nessun
valore logico (non ci vorrebbe nulla a demolire la questione del
predicativo/esistenziale) se non in quanto relazionato a queste che
sembrerebbero ironie etc. Non lo sono affatto. In questo senso non fai
altro che ripetere meccanicamente la forma ingenua in cui si esprime
oggi il rifiuto della verità - forma ingenua: la verità implica i
campi di concentramento etc.etc.etc. Oppure, per chi ha più cultura:
il pdnc è "razzista", meglio starsene al calduccio della "cultura del
dubbio" chè chi non dubita è "sospetto". Ora, se hai in mente una
negazione pragmaticistica della verità - del tipo: la verità non
esiste perchè se esistesse, la "libertà" non potrebbe esistere - dillo
chiaramente. Ma se mescoli forme ingenue del rifiuto della verità - le
medesime che puoi trovare oramai sulla bocca di tutti, dal salumiere
al manager allo scienziato - ad argomentazioni di ordine logico, non
ne viene fuori un granchè.

Deciditi. Perchè se l'essenza della tua critica è: la *filosofia
originaria* è "razzista", puoi ben fare a meno di argomentare. Al più
ti omaggerò di un libro scritto dal grande pensatore Jacopo Fo sui
"crimini commessi dall'imperialismo, dall'uomo bianco, dalla Chiesa,
dallo Stato, da Dio, dagli israeliani, dagli americani etc.etc.etc.".
Sai, non c'è piu posto nella mia libreria e mi dispiacerebbe di dover
buttare via Hegel...

Ti saluto,

Marco



Cosimo

unread,
Sep 20, 2002, 4:48:28 PM9/20/02
to
Davide wrote:

[...]


> "ESSERE. [...] E' opportuno preliminarmente distinguere i due usi
> fondamentali del termine e cioè: 1° l'uso *predicativo* per il quale
> si dice «Socrate è uomo» o «la rosa è rossa»; 2° l'uso *esistenziale*
> per il quale si dice «c'è Socrate» o «c'è una rosa». [...] Platone
> sottolinea, nel *Parmenide*, la differenza tra l'ipotesi «l'uno è
> uno» e l'ipotesi «l'uno è» [...]"
> Come si vede anche dagli esempi di Abbagnano (e pure di Platone) la
> funzione predicativa la svolge quando è copula di un predicato
> nominale. In tutti gli altri casi va inteso in senso esistenziale.
> Infatti se io dico "Cosimo è" i casi sono due: o ho intenzione di
> usare quel "è" in senso predicativo, e allora la frase va considerata
> incompleta (può darsi che voglia dire che "Cosimo è simpatico"), o ho
> intenzione di mettere un bel punto fermo dopo quel "è", nel qual caso
> quel "è" va inteso nel senso di "esiste" (e quindi voglio dire che
> "Cosimo esiste.")
> Nella nostra proposizione "l'essere è" lo stesso verbo appare due
> volte, quindi in entrambi i casi occorre chiarire se si tratta della
> forma predicativa o di quella esistenziale.

Distinguere è analizzare, non separare realiter. La riprova è che non è
possibile una struttura apofantica nella quale le due funzioni del verbo
essere non siano insieme, in una fondamentale unità.

La prop. "la mela è rossa" ti dice che esiste un soggetto (1), che
esiste una determinazione qualitativa (il colore rosso) e che esiste la
loro sintesi. La funzione predicativa *include* quella esistenziale (del
soggetto logico e del predicato), è non c'è proposizione che non sia una
predicazione, e dunque è vero anche che la funzione esistenziale
*include* quella predicativa. Infatti, se dico "la mela è", sto
*predicando* l'esistenza della mela, mentre se dico "la mela" non sto
predicando nulla di nulla, in nessun senso. Cose note e arcinote sin
dall'organon aristotelico. Anche se dico "esiste il cerchio quadrato"
sto predicando l'esistenza del soggetto: è una proposizione legittima,
anche se falsa; e difatti posso dire il contrario "non esiste il cerchio
quadrato", ma la struttura sintattica di entrambe le proposizioni (e di
tutte, fondamentalmente) è "A è B", o "S è P" (il soggetto è il
predicato). Ciò che solleva una aporia reale (e non prefilosofica, come
nel caso della grammatica -e segnatamente del tuo discorso grammatico).

Posso quindi invitarti ad un esperimento ideale, e cioè a
scrivere/pensare una proposizione nella quale ci sia *soltanto* l'uso
predicativo, o soltanto l'uso esistenziale del verbo essere (il
verbo -diceva comunque Aristotele- è un nome che *in più* ha un
significato temporale)?
Non dovresti pensare di rispondere a me, o non dovresti badare al
circostanziale contrasto dialettico con l'interlocutore.
Conduci l' "esperimento" il più disinteressatamente possibile.

Questo mi pare sufficiente. Il resto, scusa ma non lo commento.
Intelligenti pauca. Vorrei solo aggiungere che Severino non
è un negatore del divenire, e il suo argomentare non è assimilabile né
per forma né per contenuti a quanto detto da Zenone eleate. Severino,
anzi, è l'unico che abbia chiarito la logica autentica del divenire.
Divenire *non* come integrazione (e distruzione) d'essere, non come
processo in cui ne va di ciò che è, non come creazione e annichilimento,
ma unicamente come svelatezza progressiva (e infinita) degli essenti
(eterni).
La follia, nella quale grossomodo siamo tutti, è pensare di poter
produrre l'essente, nel senso di c r e a r l o; la follia è pensare che
schioccando le dita, quel tipico suono l'ho tratto dal nulla (come un
Dio, non come un ***) e che nuovamente al nulla esso sia destinato.

Ciao,
Cosimo.


(1) Non importa se viene ulteriormente determinato come fenomenico o no,
né importa a quale categoria *morfologico-grammaticale* e non
sintattica, come pensi tu, appartenga; "il è un articolo", proposizione
nella quale *la funzione logica* del soggetto è svolta da quella parte
del discorso che si chiama "articolo".


Davide

unread,
Sep 20, 2002, 5:29:53 PM9/20/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:wQLi9.34397$Hc7.4...@twister1.libero.it...

> La follia, nella quale grossomodo siamo tutti, è pensare di poter
> produrre l'essente, nel senso di c r e a r l o; la follia è pensare che
> schioccando le dita, quel tipico suono l'ho tratto dal nulla (come un
> Dio, non come un ***) e che nuovamente al nulla esso sia destinato.

Ti stralcio un paio di battute da una intervista di Severino:
"DOMANDA: Lei ha fatto cenno all'inizio ad una analogia che legherebbe
Parmenide e Einstein. E' noto che Einstein riteneva vi fosse una rigorosa
dipendenza causale tra tutti i fenomeni, determinismo che amava illustrare
con la frase: "Dio non gioca a dadi con l'universo". E' questo il filo
concettuale che parte da Parmenide e giunge fino ad Einstein?

"Per quanto riguarda Einstein l'analogia con Parmenide veniva fuori in
questi termini: per la teoria della relatività tutti gli eventi del mondo
sono come già registrati nella "bobina", una bobina che contiene tutti gli
eventi del mondo.

"E' certamente una concezione deterministica, ma se tutti gli eventi stanno
come fotogrammi in una bobina, allora non c'è un passato, un futuro e un
presente, si tratta solo di proiettare la bobina. Questa è l'analogia che
conduce il discorso di Einstein, che esclude dunque un non-ancor-essere e un
non-più-essere, perché nella bobina tutti i fotogrammi sono
contemporaneamente. Questa è l'analogia tra il discorso di Einstein e il
discorso di Parmenide.

Finita la citazione.
Ora, il punto è che non c'è nessuna "bobina".
Mentre le tre dimensioni spaziali sono "connesse" il futuro è
*deterministico* ma non *prevedibile*, e quindi è "aperto".
Non è filosofia. Sono risultati di fisica che Eistein ancora non conosceva,
perché i primi casi in cui si è concepita questa differenza risalgono ai
primi anni sessanta.
Questa è una di quei punti che io chiamo "differenze qualitative" è tu
potresti definire, che so, "differenze pseudo-qualitative tratte da
condiderazioni quantitative".
Tuttavia anche dentro il tuo "sistema" ci deve essere qualcosa che "libera"
il futuro dalla "bobina", perché altrimenti non riesco proprio a capire come
fai a conciliare il tuo discorso sul "dispiegamento" (della bobina) con la
(fantomatica?) "apertura verso il futuro" che a più voci continuate ad
attribuire alla filosofia di Gentile.
Se il futuro è già tutto "imbobinato" basta aspettare che si "sbobini", che
vi preoccupate a fare della politica, degli stati e degli individui? Il
libero arbitrio è solo una illusione, e quindi non siete responsabili di
nulla.

Ciao,
D.

Davide

unread,
Sep 20, 2002, 5:55:59 PM9/20/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d8b8832...@news.kataweb.it...

> Vedi Davide, qui sta l'essenza della tua posizione nei confronti della
> filosofia *originaria*. Tutto quello che hai argomentato non ha nessun
> valore logico (non ci vorrebbe nulla a demolire la questione del
> predicativo/esistenziale)

Per favore, fallo.
Non lo dico con ironia.
Non mi sembra di essere uno che si tira indietro.
Se sono talmente ignorante da essere fermo ad una situazione "prefilosofica"
puoi chiarirmi la cosa.
Lo so anche io che la grammatica non è il logos.
Tuttavia a me le tue considerazioni sull'oggetto che prima è in P1 e poi è
in P2 eccetera mi sembrano "giochi gramaticali" (pre-filosofici).
Ma non è questo il punto.
Prova - se ti va - a chiarirmi la questione predicativo/esistenziale e poi
proviamo a rifare assieme il ragionamento del P1/P2.
Quando vuoi e quando hai tempo.

> Deciditi. Perchè se l'essenza della tua critica è: la *filosofia
> originaria* è "razzista", puoi ben fare a meno di argomentare.

Sì, è vero, c'è anche questa componente nel mio discorso.
Ed è una cazzata.

Poi, oltre alla "cazzata", c'è anche un altro discorso di natura etica che
mi tiene "da una certa parte". Ma devo ammettere che ce l'ho in testa in
forma piuttosto confusa e quindi non è nemmeno il caso che provi a dirlo.

Resta il fatto che, qualunque sia l'etica della filosofia *originaria*, se
per caso implicasse, che so, la *necessità* di appoggiare la politica del
PNF, prima che io "molli" dovrai essere moooolto paziente. Forse troppo,
immagino avrai altri scopi nella vita :-)

Saluti,
D.


Davide

unread,
Sep 20, 2002, 6:13:55 PM9/20/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:wQLi9.34397$Hc7.4...@twister1.libero.it...

> Questo mi pare sufficiente. Il resto, scusa ma non lo commento.
> Intelligenti pauca.

Traduzione: se dici le stronzate non pretendere che ti risponda :-)

> Vorrei solo aggiungere che Severino non
> è un negatore del divenire,

Scusa, ma tutta quella faccenda del P1 e del P2 non serviva a negare il
divenire?
Se anziché dire che "l'oggetto prima è in P1 e poi è in P2" scrivo:
"l'oggetto è in P1" è
e poi
"l'oggetto è in P2" è = "l'oggetto è in P1" non è
e quindi faccio vedere che così ho "nientificato" l'ente "l'oggetto è in P1"
(orrore/errore!)
non sto forse negando il divenire?

O forse vuoi dire che *è* sempre nella "bobina"?

A me sembra un giochino grammaticale e rispondo con la grammatica.

Se non è una questione grammaticale dovrebbe essere esprimibile in termini
analitici con i quantificatori logici, ma appena uno mette mano alla
filosofia analitica voi subito fischiate il fallo (fischiate persino il
fallo se vi toccano - udite - la "prova" ontologica di Anselmo!).

Non c'è scampo. Usate la grammatica in attacco e la filosofia in difesa.

Hai mai provato a chiederti perché a parte Eco (risate) non ce n'è uno di
questi che venga tradotto all'estero? E' un complotto della scienza?

> e il suo argomentare non è assimilabile né
> per forma né per contenuti a quanto detto da Zenone eleate. Severino,
> anzi, è l'unico che abbia chiarito la logica autentica del divenire.

Se la logica del divenire è la "bobina" allora ti ci vorrà una bella
pazienza anche a te per togliermi dall'errore.

> Divenire *non* come integrazione (e distruzione) d'essere, non come
> processo in cui ne va di ciò che è, non come creazione e annichilimento,
> ma unicamente come svelatezza progressiva (e infinita) degli essenti
> (eterni).

Uh, mi sa che è proprio la bobina... :-)

Saluti,
D.


Adriano Virgili

unread,
Sep 21, 2002, 9:41:45 AM9/21/02
to

Davide <davide...@tin.it> wrote in message
OdFi9.118980$ub2.2...@news1.tin.it...

Caro Davide,

ho apprezzato il tuo intervento. Per ciò che concerne le "disquisizioni
cavillose sulle singole parole", ti informo, se già non lo sai, che gran
parte della filosofia di stampo "analitico" concerne esclusivamente questo e
che da molti dei cultori di tale "orientamento" filosofico tali
disquisizioni sono considerate come tutt'altro che superflue, ma proprio
come l'unico "modo" di filosofare possibile.
Vale qui la pena di citare l'opinione di uno dei maggiori filosofi
"analitici", J. L. Austin, secondo cui "gli errori in filosofia sorgono
notoriamente dal pensare che ciò che vale di parole 'ordinarie' come 'rosso'
o 'ringhia' debba valere anche per parole straordinarie, come 'buono' o
'esiste'."

Per ciò che concerne la proposizione "l'essere è", seguendo le indicazioni
di Wittgenstein, questa dovrebbe semplicemente essere considerata come
priva di senso, poiché non esprime alcun "fatto". Che cosa succede,
infatti, nel mondo se "l'essere è" è una proposizione vera e che cosa
succede, invece, se è falsa? Personalmente non so proprio immaginarlo.
Ciò comunque non significa, a mio avviso, che non si possa parlare "attorno"
all'essere, vale a dire che non si possa fare un discorso "significante"
attorno all'ontologia, ma semplicemente che una proposizione come "l'essere
è" non appartiene ad un tale discorso, poiché è priva di seno, a meno che
non venga considerata quale proposizione "ellittica", e perciò integrata in
modo tale (anche se non so proprio in che modo, data l'ambiguità del termine
"essere") che sia possibile conferirle un qualche senso (ma, in questo caso,
"è" perderebbe il proprio senso esistenziale, riducendosi a copula), oppure
come parte di un "discorso poetico" o "gioco linguistico" e quindi "intrisa"
di significato nell'ambito di tale discorso o gioco (ma, in questo caso,
sarebbe necessario avere sott'occhio il discorso/gioco nella sua interezza).

Un saluto.

--------------------------------------------------------------------------
Adriano Virgili
Accademia dei Dubbiosi
http://www.dubbiosi.34sp.com
"MEDITAZIONI SUL SENSO DELLA VITA"
http://www.dubbiosi.34sp.com/sensovita.htm
--------------------------------------------------------------------------


Davide

unread,
Sep 21, 2002, 1:24:20 PM9/21/02
to

"Adriano Virgili" <adr...@tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:ami7lr$7oh$2...@lacerta.tiscalinet.it...

>
> Davide <davide...@tin.it> wrote in message
> OdFi9.118980$ub2.2...@news1.tin.it...
>
> Caro Davide,
>
> ho apprezzato il tuo intervento.

Ti ringrazio. Ma devo anche ammettere che le critiche che mi hanno rivolto
Cosimo e Marco non riesco a scrollarmele del tutto di dosso. Preferisco
cercare di seguire vie un po' diverse da quelle della filosofia analitica
perché imparo più dai miei grandi errori che da quelli piccoli di altri. Ad
esempio mi rendo conto che non si può discutere di filosofia tirando fuori
le grammatiche, tuttavia se uno ha l'impressione che ci siano dei problemi
"pre-filosofici" (grammaticali?) può anche tentare un approccio di questo
tipo, se non altro per rendersi conto una volta per tutte che su quella
strada non c'è nulla da trovare.

La filosofia analitica pone una "cesura" drastica: tutte le proposizioni
costruite così e così sono prive di senso e non vale nemmeno la pena
discuterne. Io devo confessare che sono "analitico" con gli interlocutori
che non mi interessano. In questo caso potrei dire che non c'è nessun x tale
che bla bla bla, e quindi buttare Severino nel bidone della roba priva di
significato. Ma in questo contesto, cioè nell'ambito di una consersazione
con persone che non accettano a priori la "cesura" analitica, questo
equivarrebbe a "chiudere le comunicazioni". Siccome sono qui principalmente
per stare in compagnia, in secondo luogo per imparare qualche cosa, e solo
in terzo luogo per il gusto di avere ragione, preferisco tenere aperte le
"relazioni diplomatiche" :-)

Il risultato è che sono costretto a inventarmi "nuovi approcci" (un ibrido
di materiale analitico e retorico - e altro?) come il mio intervento che tu
hai gentilmente apprezzato. Ovviamente, trattandosi di "esperimenti
improvvisati" e privi di un retroterra culturale consolidato, vado a
prendere delle botte. Ma ho l'età per sopportare la possibilità di dire
cretinate.

> Per ciò che concerne la proposizione "l'essere è", seguendo le indicazioni
> di Wittgenstein, questa dovrebbe semplicemente essere considerata come
> priva di senso, poiché non esprime alcun "fatto".

Eggià. Ma se il tuo interlocutore ti dice che è reale ciò che è razionale
(perché qui io sono in queste condizioni) allora su questi famosi "fatti" ci
si può stare su un bel po' a discutere. Tu considera che qua ancora non ci
siamo messi d'accordo sulla questione dell'"esse in re" (tant'è che la prova
ontologica di Anselmo al momento è ancora all'ordine del giorno).

A meno che non si crei un gruppo di "analitici" che con un "colpo di stato"
si impossessa del gruppo (potrò permettermi di dire una cosa così senza
scatenare le paranoie di qualcuno? chissà!) qui di Austin e di Dummett e
degli altri non ne vedrai nemmeno l'ombra. Ogni tanto compare Frege, ma solo
per dagli del cretino.

> [...] ma semplicemente che una proposizione come


> "l'essere è" non appartiene ad un tale discorso, poiché
> è priva di seno,

Ah! Questa di non avere seno ai miei occhi è la maggiore mancanza possibile!
;-)

(Scusa, sto solo cercando di alleggerire la conversazione, e poi i
frequentatori di questo gruppo sanno che ho delle forti fissazioni orali
sicché certe parole, anche ottenute per lapsus keyboardii, hanno per me un
forte potere evocativo :-) A parte 'sta cretinata - di cui mi scuso ma
purtroppo non so trattenermi - credo di aver capito il tuo discorso ed in
gran parte lo condivido. Se ti serve una mano a diffonderlo considerami
"arruolato"! :-))

> a meno che
> non venga considerata quale proposizione "ellittica", e perciò integrata
in
> modo tale (anche se non so proprio in che modo, data l'ambiguità del
termine
> "essere") che sia possibile conferirle un qualche senso (ma, in questo
caso,
> "è" perderebbe il proprio senso esistenziale, riducendosi a copula),

E qui Cosimo ti dice che i due significati non si possono disgiungere.

> oppure
> come parte di un "discorso poetico" o "gioco linguistico" e quindi
"intrisa"
> di significato nell'ambito di tale discorso o gioco (ma, in questo caso,
> sarebbe necessario avere sott'occhio il discorso/gioco nella sua
interezza).

E qui cosimo ti dice che il "discorso" (logos) non è un gioco, ma la realtà.

> Un saluto.


> Adriano Virgili
> Accademia dei Dubbiosi

Saluti a te,
Davide
Accademia dei Meditabondi :-)


Cosimo

unread,
Sep 21, 2002, 3:37:21 PM9/21/02
to
Adriano Virgili wrote:

[...]
> Che cosa succede, infatti, nel mondo se "l'essere č" č una
> proposizione vera e che cosa succede, invece, se č falsa?

Succede che in quest'ultimo caso nel mondo (che, guarda caso, *č*) ci
sarŕ un cieco in piů, ovvio :-)

> Personalmente non so proprio immaginarlo. Ciň comunque non significa,


> a mio avviso, che non si possa parlare "attorno" all'essere, vale a
> dire che non si possa fare un discorso "significante" attorno
> all'ontologia, ma semplicemente che una proposizione come "l'essere

> č" non appartiene ad un tale discorso, poiché č priva di seno,

Ah beh, se č priva di seno inizia a interessarmi moolto meno :-)

Nel Tractatus -che mi sono portato a letto, assieme alle "Categorie" e
al "Periehermeneia" di Aristotele- a proposito del senso, ci sono alcune
esplicite proposizioni:

< 6.41 Il senso del mondo deve essere fuori di esso. Nel mondo tutto č
com'č, e tutto avviene come avviene; non v'č i n esso alcun
valore -né, se vi fosse, avrebbe un valore.
Se un valore che abbia valore v'č, esso dev'essere fuori da ogni
avvenire ed essere-cosě. Infatti ogni avvenire ed essere-cosě č
accidentale.
Ciň che li rende non-accidentali non puň essere n e l mondo, ché
altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.
Dev'essere fuori dal mondo.>

< 6.42 Né quindi vi possono essere proposizioni dell'etica.
Le proposizioni non possono esprimenre nulla di ciň che č piů alto.>

Ma Wittgenstein č onesto, con se stesso e con gli altri, fino in fondo;
non si mette le fette di salame (ungherese, direbbe Loris :-) sugli
occhi:

< 6.54 Le mie proposizioni illuminano cosě: Colui che mi comprende,
infine le riconosce insensate, se č asceso per esse -su esse -oltre
esse. (Egli deve, per cosě dire, gettar via la scala dopo essere asceso
su essa.)
Egli deve trascendere queste proposizioni; č allora che egli vede
rettamente il mondo >

Al circolo di Vienna non ci capirono nulla...


Saluti,
Cosimo (Accademia di chi non mena il can per l'aia :-)


Davide

unread,
Sep 21, 2002, 4:20:36 PM9/21/02
to

"Davide" <dpio...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:lrMi9.49146$Hc7.4...@twister1.libero.it...

> Tuttavia anche dentro il tuo "sistema" ci deve essere qualcosa che
"libera"
> il futuro dalla "bobina", perché altrimenti non riesco proprio a capire
come
> fai a conciliare il tuo discorso sul "dispiegamento" (della bobina) con la
> (fantomatica?) "apertura verso il futuro" che a più voci continuate ad
> attribuire alla filosofia di Gentile.
> Se il futuro è già tutto "imbobinato" basta aspettare che si "sbobini",
che
> vi preoccupate a fare della politica, degli stati e degli individui? Il
> libero arbitrio è solo una illusione, e quindi non siete responsabili di
> nulla.

Guarda, non voglio essere asfissiante, ma tieni presente che *questa*,
contrariamente a buona parte di tutto il resto (che sono le solite stonzate
che ci diciamo per conciliarci il sonno), è una domanda *vera*. Cioè chiedo
per sapere (ok, a parte quel "fantomatica" che è polemico e che sono
disposto a togliere).

Visto che io mi sono fatto mettere in croce per una settimana sui quanti (e
che in genere non mi tiro indietro, anche a costo di prenderle), se tu su
una cosa *così* (ché se non mi spieghi questa non ci capisco niente!) ti
limiti a fare il solito sorrisino reticente da Cardinale/Monnalisa e non mi
butti giù neanche uno straccio di risposta ci rimango piuttosto male.

Tanto immagino che non ti sarà difficile farlo. Lo saprai pure *perché* ti
dai da fare nella tua vita per ottenere delle cose che *sono* (già) nella
"bobina".

Saluti insistenti,
D.


Sinuhe l'Egiziano

unread,
Sep 21, 2002, 4:22:27 PM9/21/02
to
"Cosimo" <cosim...@libero.it> wrote in message
news:RT3j9.70579$Hc7.5...@twister1.libero.it...
> Adriano Virgili wrote:

> > è" non appartiene ad un tale discorso, poiché è priva di seno,
>
> Ah beh, se è priva di seno inizia a interessarmi moolto meno :-)

MegaROTFL!! :-)

> Saluti,
> Cosimo (Accademia di chi non mena il can per l'aia :-)

Saluti cinofili

Sinuhe


Cosimo

unread,
Sep 21, 2002, 5:26:42 PM9/21/02
to
Davide wrote:

> "Davide" <dpio...@libero.it> ha scritto nel messaggio
> news:lrMi9.49146$Hc7.4...@twister1.libero.it...
>
> > Tuttavia anche dentro il tuo "sistema" ci deve essere qualcosa che
> > "libera" il futuro dalla "bobina", perché altrimenti non riesco
> > proprio a capire come fai a conciliare il tuo discorso sul
> > "dispiegamento" (della bobina) con la (fantomatica?) "apertura
> > verso il futuro" che a più voci continuate ad attribuire alla
> > filosofia di Gentile. Se il futuro è già tutto "imbobinato" basta
> > aspettare che si "sbobini", che vi preoccupate a fare della
> > politica, degli stati e degli individui? Il libero arbitrio è solo
> > una illusione, e quindi non siete responsabili di nulla.
>
> Guarda, non voglio essere asfissiante, ma tieni presente che *questa*,
> contrariamente a buona parte di tutto il resto (che sono le solite
> stonzate che ci diciamo per conciliarci il sonno), è una domanda
> *vera*. Cioè chiedo per sapere (ok, a parte quel "fantomatica" che è
> polemico e che sono disposto a togliere).

Ma il NG non lo leggevi in questi giorni? L'accenno a Bontadini mi aveva
fatto pensare invece che tu lo leggessi.
Allora, se n'è parlato in vari threads, fra me, Marco, Daedalus e
Sinuhè, e altri, proprio recentemente:

- "[Cit.] Severino" (aperto da Daedalus):
- "[Cit.] Barzaghi" (aperto da me);
- "Marco e interessati (Severino-trascendenza etc.)" (aperto da Sinuhè);
- "Pdnc, PdI e Nulla [per Sinuhe e interessati]" (aperto da Daedalus).

L'intervista da cui hai stralciato quel brano, non solo la conoscevo
integralmente, ma tempo fa ne proposi il link a Livio -che è molto
einsteiniano (non è una parolaccia).
Si tratta un vecchio thread anche quello, di cui non so indicarti il
subject. Puoi far tutto con google. E altri ancora ce ne sono, più
remoti, fra Marco e Loris, fra me e Loris, e Maurizio.

> Visto che io mi sono fatto mettere in croce per una settimana sui
> quanti (e che in genere non mi tiro indietro, anche a costo di
> prenderle), se tu su una cosa *così* (ché se non mi spieghi questa
> non ci capisco niente!) ti limiti a fare il solito sorrisino
> reticente da Cardinale/Monnalisa e non mi butti giù neanche uno
> straccio di risposta ci rimango piuttosto male.

Oltre a ciò che potrai leggere, se vuoi, devo dirti che in questo caso
la reticenza mia si basa sulla semplice constatazione della mancanza di
una comprensione di base, minima, sulla quale poter almeno capire la
natura del discorso e delle obiezioni possibili ad esso.
Se mi fai l'obiezione (risentita mille volte qui) sul Severino che nega
il divenire, non posso che constatare quella basilare incomprensione, e
non sono capace, e non ho voglia per pura pigrizia, di comprimere
l'informazione che occupa migliaia di pagine in decine di testi
severiniani, in poche formule atte a persuaderti. L'ultimo testo di
Severino ci ha messo 20 anni e più per scriverlo, e affronta proprio i
temi affini al "libero arbitrio", al "male" e al "dolore". Lo sto ancora
leggendo ben bene, e insieme rileggendo gli altri suoi testi. Non è una
cosa facile, anche oggettivamente, quello che mi chiedi.
Quindi, da parte mia non c'è nessunissima sottostima della tua
intelligenza o cultura o roba simile; con taluni, piuttosto, io taglio
corto o nemmeno rispondo più, se non per burla. C'è però una differenza
profonda di sensibilità e atteggiamenti.
Non sto qui per convincere nessuno, ma al più per incontrare pochissimi
amici, e fornire qualche hints qua e là, qualche pulce nell'orecchio
(ciò che vale, passivamente, anche per me; non crederai, spero, che
stando qui da un annetto o più -neanche io mi tiro indietro- abbia
ripetuto come un disco rotto le stessissime cose senza che gli altri non
mi abbiano detto e dato molto. Peccato che siano pochissimi, numerabili
sulle dita di una mano monca...).


> Tanto immagino che non ti sarà difficile farlo. Lo saprai pure
> *perché* ti dai da fare nella tua vita per ottenere delle cose che
> *sono* (già) nella "bobina".

Quella bobina è azzeccata come metafora, ma il discorso severiniano non
sfocia in una forma di fatalismo. E del resto, tutte le precedenti forme
di fatalismo condividono quella fede fondamentale che assegna un
carattere nichilistico al divenire (come integrazione d'essere, e non
come progressiva manifestazione d'essere).

Nemmeno la filosofia severiniana sa dire nulla circa il contenuto
materiale/empirico/iposintattico di quel che accadrà. Il film non è già
visto, e gli spettacoli futuri sono aperti. Anche "aspettare" che la
pellicola si sbobini sarebbe un "fare" inteso come la capacità di un
centro di forza, di potenza (l'uomo) di disporre dell'ente a suo piacere
e volontà (visto che oscilla fra essere e nulla). Anche incrociare le
braccia, lui dice, sarebbe "volontà di potenza".
Non solo, ma tale speculazione piuttosto che rimuovere ogni
contraddizione, in effetti arriva al punto da d i r l a con tutta la
pulizia logica desiderabile -al di là di queste metafore cinefile.
La contraddizione che sussiste fra significato formale del Tutto, e
assenza di tale totalità nel minuto dettaglio materiale/empirico, e nel
destino, nella necessità, di tale assenza (non c'è capolinea). Questa è
*l'unica* contraddizione (tutte le altre sono negazioni del pdnc che ,
come tali, sono autonegazioni), ed è *grossomodo* come la esemplificai a
Enzo parlando di Hegel: mettiti dinanzi ad uno specchio e di' "io sono
quello", puntando l'indice sulla tua immagine. Questa affermazione è
vera, ma è anche falsa.

Ciao,
Cosimo.


Cosimo

unread,
Sep 21, 2002, 5:39:04 PM9/21/02
to
Sinuhe l'Egiziano wrote:


> > Ah beh, se č priva di seno inizia a interessarmi moolto meno :-)
> MegaROTFL!! :-)

Visto che č cosě grande, fammelo per scrupolo condividere in parte con
Daviduccio, che aveva fatto la stessa battuta -anche prima. Sennň passo
per fasc... cioč rubabattute e disonesto nel piů profondo del mio nero
cuoricino ;-))


Un caro saluto (non sinusoidale: "noi tireremo diritto..." :-)
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 21, 2002, 6:12:27 PM9/21/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:mu5j9.70921$Hc7.5...@twister1.libero.it...

> Davide wrote:
>
> Ma il NG non lo leggevi in questi giorni? L'accenno a Bontadini mi aveva
> fatto pensare invece che tu lo leggessi.

No, scusa. O meglio sì, ma "buttando l'occhio".

Vedi, prima di conoscere "voi" leggevo (?) tutto ciò che viene comunemente
definito "filosofia continentale" in modo disordinato e frammetario.
Non abbastanza a fondo da avere una "struttura minima" che mi consentisse,
quando leggevo qualcosa di "nuovo", di "collocarla" nel punto giusto di
questa struttura, di farla "mia", di sapere quale risposta fosse a quale
domanda.

Fino a quando non si raggiunge questa "struttura minima" di informazioni e
connessioni non si riesce nemmeno a ricordare ciò che si è letto (molto
frustrante tornare a sentirsi in "prima elementare"!) Ed è - per lo più - la
situazione in cui mi trovo ancor oggi.

Se mi parli di un teorema di matematica, so chi l'ha usato quando perché per
rispondere a chi... è tutto "connesso" nella mia testa con tutto il resto
del mio mondo interiore. Invece Bontadini, Severino, Hegel, eccetera, no.

Ora, io mi sono trovato in altre circostanze ad essere "al posto tuo" (cioè
a parlare con persone prive della "struttura minima necessaria") e spesso ho
"gettato la spugna". Quindi mi scuso se ti ho "costretto" (con una sorta di
ricatto morale) a fare questa faticaccia.

Però ne avevo proprio bisogno. "Sento" che continuo ad essere lontano dalla
"struttura minima", ma è successa una di quelle cose che mi ripagano 'ste
faticacce: quegli interventi tuoi e degli altri li avevo solo "visti", senza
"collocarli". Adesso so collocarli in una "sotto-struttura minima" (dove il
sotto- sta ad indicare che è ancora fatta di metafore, come quella della
"bobina").

E' incredibile, ogni volta, rendersi conto di non essere in grado di capire
alcuna cosa se non si sa di quale *problema* quella cosa sia una *risposta*.
Probabilmente se mi facessero vedere un'auto e non mi dicessero che
"risolve" il problema dei trasporti potrei continuare a guardarla per anni
senza "capire" né "ricordare" cosa ho visto. Invece se so che il suo scopo è
quello di muoversi, allora appena vedo le ruote capisco al volo che servono
ad eliminare gli attriti, e appena vedo il volante capisco al volo che serve
per cambiare direzione, eccetera.

Certo, si può provare a fare tutto "da soli" (cioè comprendere sia il
"problema" che la "risposta" osservando solo la "risposta"). Forse ci potrei
riuscire con un'automobile, ma con millenni di tradizione filosofica non ce
la faccio a "sbrogliare la matassa" da solo. Mi serve qualche "imbeccata".
Non ci arrivo. Non so se è solo una questione di tempo o di "potenza di
calcolo" del mio... "elaboratore neuronico" :-)

Insomma: g r a z i e :-)

Ciao,
D.

P.S. Ah, dimenticavo: adesso che credo di aver capito mi sono gasato e
ovviamente non sono d'accordo per niente con le vostre
risposte-che-non-ho-capito al problema-che-non-ho-capito. Quindi aspettati
pure da parte mia un sacco di obiezioni-che-non-capirò! ;-)


Sinuhe l'Egiziano

unread,
Sep 21, 2002, 6:13:32 PM9/21/02
to
"Cosimo" <cosim...@libero.it> wrote in message
news:YF5j9.27599$Av4.5...@twister2.libero.it...

> Visto che č cosě grande, fammelo per scrupolo condividere in parte con
> Daviduccio, che aveva fatto la stessa battuta -anche prima. Sennň
passo
> per fasc... cioč rubabattute e disonesto nel piů profondo del mio nero
> cuoricino ;-))

Vabbé, diamo a Davide quel che č di Davide... anche se d'altra parte del
seno di poi... :-)

> Un caro saluto (non sinusoidale: "noi tireremo diritto..." :-)
> Cosimo.

Shhh, che ti legge Livio e riparte con l'elica... sembra un Mercury 25
cavalli :-)

Ciao carissimo

Sinuhe


Davide

unread,
Sep 21, 2002, 6:41:09 PM9/21/02
to

"Davide" <dpio...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:f96j9.27715$Av4.5...@twister2.libero.it...
>
> ... in modo disordinato e frammetario.
> ... "struttura minima" ...
> ... risposta ... domanda.
> ... "sotto-struttura minima" ...

Traduzione:

li avevo letti ma non ci avevo avevo capito un cazzo! :-)


Davide

unread,
Sep 21, 2002, 7:54:00 PM9/21/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:mu5j9.70921$Hc7.5...@twister1.libero.it...

> Anche "aspettare" che la
> pellicola si sbobini sarebbe un "fare" inteso come la capacità di un
> centro di forza, di potenza (l'uomo) di disporre dell'ente a suo piacere
> e volontà (visto che oscilla fra essere e nulla). Anche incrociare le
> braccia, lui dice, sarebbe "volontà di potenza".

Ma allora, se l'unica forma di "libertà" (dalla volontà di potenza e/o dalla
contraddizione) è *fare* la volontà di ***, come fai a riconoscerla? (la
volontà di ***)

Come fa Marco a *sapere* che "giving war a chance" è "accettare la volontà
di ***" (e quindi non è volontà di potenza) e invece organizzare degli
interventi economico-sociali è "volontà di potenza/contraddizione"?

Come fa Gentile a sapere che lo stato fascista (o, che so, Napoleone - se
vuoi parlare di Hegel) è il "dispiegarsi" dello Spirito e invece tutto il
resto è solo "volontà di potenza", "non-libertà", "contraddizione", ecc.?

Te lo dico in un'altra forma: come fai a trasformare ciò che tu *sai*
dell'essere in un *criterio* per orientare le tue scelte particolari?

Torno alla domanda iniziale: come fai a *riconoscere* ciò che *** ha scelto
per te?

Saluti,
D.


Davide

unread,
Sep 22, 2002, 5:38:18 AM9/22/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:YF5j9.27599$Av4.5...@twister2.libero.it...

> Un caro saluto (non sinusoidale: "noi tireremo diritto..." :-)
> Cosimo.

Ti sei dimenticato di aggiungere che avresti potuto fare di questo gruppo
sordo e grigio un bivacco per i tuoi manipoli, ma non hai - *almeno per
ora* - voluto :-)


Cosimo

unread,
Sep 22, 2002, 8:25:38 AM9/22/02
to
Davide wrote:

> Ma allora, se l'unica forma di "libertа" (dalla volontа di potenza
> e/o dalla contraddizione) и *fare* la volontа di ***, come fai a
> riconoscerla? (la volontа di ***)
> Come fa Marco a *sapere* che "giving war a chance" и "accettare la
> volontа di ***" (e quindi non и volontа di potenza) e invece
> organizzare degli interventi economico-sociali и "volontа di


> potenza/contraddizione"?
> Come fa Gentile a sapere che lo stato fascista (o, che so, Napoleone -

> se vuoi parlare di Hegel) и il "dispiegarsi" dello Spirito e invece
> tutto il resto и solo "volontа di potenza", "non-libertа",
> "contraddizione", ecc.?
> Te lo dico in un'altra forma: come fai a trasformare ciт che tu *sai*


> dell'essere in un *criterio* per orientare le tue scelte particolari?

> Torno alla domanda iniziale: come fai a *riconoscere* ciт che *** ha
> scelto per te?


Nel momento in cui so di non essere una volontа "altra" che (gli) si
oppone, una volontа che in se stessa и impossibile; nel momento in cui
io non rifiuto ciт che и (qualunque cosa sia: ma il dolore,
essenzialmente). Dunque, non и che si debba riconoscere un volere
*diverso* dal mio, quanto piuttosto riconoscere che la veritа del mio
volere fa svanire ogni opposizione delle volontа, sia fra gli uomini,
sia fra gli uomini e il Dio miticamente raffigurato (e in ciт la falsitа
essenziale delle guerre e in genere di ogni manifestazione d'odio).
Allora, l'unico "agire" incontraddittorio ed eticamente rilevante и ciт
che non si contrappone a niente, che non pone opposizioni fra niente; e
l'opposizione massima и quella che in termini classici, per capirci,
sarebbe quella fra bene e male, ipostatizzati come volontа contrapposte.
Le religioni hanno ragione e hanno torto. Hanno ragione in quanto
individuano, nel loro modo, l'armonia fra le volontа -cioи la
sostanziale unitа del volere; e quando prescrivono i loro comandamenti,
come il "non uccidere" e la fondamentale regola aurea del "non fare agli
altri quanto non vorresti fosse fatto a te", in una parola, quando
comandano l'amore ("ama e fa' quello che ti pare", dirа S. Agostino). MA
hanno torto proprio in quanto il comandamento dell'amore и quanto di piщ
contraddittorio ed assurdo possa concepirsi, perchй non si puт
*comandare* quel che и essenzialmente libero, spontaneo.
Come non si puт *educare* un figlio alla sua propria libertа,
comandandogli quel che deve fare e quel che non deve fare (non si puт,
del resto, nemmeno rinunciare ad "insegnargli" proprio la libertа).
Le religioni hanno torto in quanto sono sistemi di organizzazione della
"salvezza": se ci si attiene alla loro precettistica, se ci si attiene
al culto, se si "fanno" certi atti etc, allora si ottiene la
"liberazione" dal dolore e dal male; ma cosм si ripropone quella
fondamentale alienazione del volere che lo concepisce come "volontа di
potenza", essenzialmente in grado di *ottenere*, compiendo certi gesti,
la salvezza e la liberazione dal dolore. Anche qui, si intende rifiutare
il dolore, cioи si intende di poter fare sia ciт che и impossibile, sia
cio che и -e che *pertanto* и- immorale: disvolere l'essente,
non volere il giа-voluto, badare al proprio esclusivo ego
(e l'altruismo и l'altra faccia dell'egoismo).
Le scienze e la tecnica (e le filosofie, e le anti-religioni) sono la
stessa cosa; non si sostituiscono alle religioni cosм intese, in quanto
sono anche essi sistemi che cercano la liberazione dal dolore e dai vari
"mali" che affliggono l'uomo.
Ogni "criterio" che distingua fra volontа buona (di solito, la mia e del
dio-che-и-con-me) e volontа cattiva (di solito, quella degli altri) si
muove nell'alveo del manicheismo, ovvero della perfezione della
contraddizione, della follia massima.

Questa naturalmente и soltanto una labilissima traccia, non una vera e
propria risposta completa alle domande che m'hai fatto; ed и la mia
attuale interpretazione del pensiero severiniano, il quale di per sи и
ateo; ma per me и ateo in modo tale da risultare piщ "religioso" di
parecchie "zone" delle religioni propriamente dette.


Ciao,
Cosimo.


Cosimo

unread,
Sep 22, 2002, 8:25:48 AM9/22/02
to
Davide wrote:

> > Un caro saluto (non sinusoidale: "noi tireremo diritto..." :-)
> > Cosimo.

> Ti sei dimenticato di aggiungere che avresti potuto fare di questo
> gruppo sordo e grigio un bivacco per i tuoi manipoli, ma non hai -
> *almeno per ora* - voluto :-)

Allora me ne ricorderò nel mio discorso di insediamento, perché ancora
non sono insediato.

"Lascio ai melanconici zelatori del supercostituzionalismo il compito di
dissertare più o meno lamentosamente su ciò. Io affermo che la
rivoluzione ha i suoi diritti. [...] Mi sono rifiutato di stravincere, e
potevo stravincere."

Oh, ci sta bene pure come signature :-))


A chi il saluto? A noi! ... Cioè, a te :-)
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 22, 2002, 8:37:33 AM9/22/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:wQLi9.34397$Hc7.4...@twister1.libero.it...

> Davide wrote:
>
> [...]
> > "ESSERE. [...] E' opportuno preliminarmente distinguere i due usi
> > fondamentali del termine e cioè: 1° l'uso *predicativo* per il quale
> > si dice «Socrate è uomo» o «la rosa è rossa»; 2° l'uso *esistenziale*
> > per il quale si dice «c'è Socrate» o «c'è una rosa». [...] Platone
> > sottolinea, nel *Parmenide*, la differenza tra l'ipotesi «l'uno è
> > uno» e l'ipotesi «l'uno è» [...]"

> > Nella nostra proposizione "l'essere è" lo stesso verbo appare due

Bene. Proviamo a partire di qui.
Tu dici che se dico "la mela è rossa" allora ciò implica (e presuppone)
anche il fatto che "la mela è".

Vorrei innanzi tutto chiederti una cosa: ci sarebbero dei problemi, in linea
di principio (e quindi - come dici tu - di fatto, in realtà :-) se ti
chiedessi di sostituire il verbo "essere." (cioè essere seguito da un punto
fermo) con il verbo "esistere"? Non so se la domanda che ti ho appena posto
è puramente "grammaticale" o ha delle componenti "filosofiche"
(analitiche?). Ti chiedo solo se sei disposto a lasciarmelo fare.

In questo senso il tuo discorso diventa il seguente: quando dico "la mela è
rossa" allora ciò implica (e presuppone) che "la mela esiste".

Per inciso, quel "implica e presuppone" (allo stesso tempo - ovvero il "se e
solo se") mi sembra possa in qualche modo essere assimilato alla tua
seguente affermazione: "non è possibile una struttura apofantica nella quale


le due funzioni del verbo essere non siano insieme, in una fondamentale
unità."

Torniamo ora al caro Abbagnano, il quale ci dice quanto segue:

"ESISTENZA. [...] In generale una qualsiasi delimitazione o definizione
dell'essere; cioè un modo d'essere comunque delimitato e definito."

Mi fermo un attimo per lanciare una "provocazione ingenua".
Se "esistere" equivale ad "essere in un qualche modo delimitato e definito",
quando tu - per invitarmi a non separare i due significati del verbo
essere - sostieni che:
"la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela esiste"
mi stai dicendo che
"la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela è in un qualche modo
delimitato e definito".

Ebbene, io potrei dirti che "il modo d'essere delimitato e definito" della
mela è quello di "essere rossa", sicché tutto il discorso lo posso
ricondurre al seguente:
"la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela è rossa" :-)

E' chiaro allora che su quel "delimitato e definito" ci sono parecchie cose
da dire. In particolare, quel "delimitato e definito" va "delimitato e
definito", poiché altrimenti io mi sento autorizzato ad affermare che
"essere rosso" è un "modo 'delimitato e definito' di essere".

Ce la chiarisce 'sta faccenda Abbagnano?
Vediamo come prosegue:

"Questo che è il significato più generale [NdDavide: tu ed io abbiamo già
avuto modo di chiarire nel corso di altre discussioni che quella fornita da
Abbagnano alla prima riga del termine ESISTENZA - da me riportata poco più
su - non è esplicitamente il *significato* dell'esistenza, ma è una
*definizione* di essa, e come tale fornisce un "significato" per un certo
soggetto solo se il soggetto ha chiaro il significato di "modo d'essere
comunque delimitato e definito", e - per di più - condivide tale
"significato" con gli interlocutori; ma d'altra parte ho mostrato poc'anzi
che un approccio "letterale" a quei termini riduce la tua osservazione ad
una tautologia] può essere anche assunto come uno dei significati
particolari del termine del quale si possono pertanto enunzire tre
significati: 1° un modo d'essere determinato e determinabile; 2° il modo
d'essere reale o di fatto; 3° il modo d'essere proprio dell'uomo.
"1° Come modo d'essere determinato o definito in certa guisa il termine è
assunto abitualmente nel linguaggio comune e nei linguaggi delle singole
scienze. Si parla infatti dell'esistenza di enti matematici e c'è, in
matematica, un «teorema d'esistenza». Analogamente si parla di un'esistenza
«logica» o «concettuale o anche di una esistenza «fantastica»; al modo in
cui gli Scolastici parlavano dell'esistenza «nell'intelletto» o di quella
«nella realtà»; o di «esistenza in sé» (quella della sostanza) o di
esistenza «in altro» (quella delle qualità o accidenti della sostanza) [...]
Così nel campo della matematica per «esistenza» si assume spesso, da Hilbert
in poi, l'assenza di contraddizione.
"2° Il significato per cui l'esistenza è l'esistenza *di fatto*, vale a dire
ciò che in realtà è o sussiste, è il più frequente nella storia della
filosofia. Aristotele usava la parola in questo senso quando diceva: «La
scienza dà la ragion d'essere sia di una cosa sia della sua privazione per
quanto in modo diverso; la ragion d'essere è di entrambe queste cose ma
specialmente di ciò che esiste» [...] Allo stesso modo la parola viene usata
da San Tommaso che se ne serve per definire la sussistenza (subsistentia)
propria della sostanza in quanto «esiste non in altro ma in se stessa»
[...]; o per definire «ciò che esistente per sé» vale a dire ciò che è reale
senza essere qualità o accidente di altro reale [...]
"3° Il significato specifico del termine è quello che lo restringe ad
indicare il modo d'essere dell'uomo nel mondo.

Calma e gesso. Avevo detto che quel "delimitato e definito" andava
"delimitato e definito". Ma in realtà Abbagnano si limita ad elencarci tre
casi di "essere in modo delimitato e definito", e cioè:
1) essere non contraddittorio
2) essere di fatto
3) essere dell'uomo

Ora, si era partiti dal voler definire le caratteristiche che un "modo
d'essere" deve possedere per poter essere essere considerato "esistenza" e
si è finiti per elencare tutti i modi d'essere che la storia della filosofia
ha voluto considerare "esistenza", senza nemeno dire perché proprio quelli,
che cosa abbiano in comune e perché non altri (come il mio "essere rosso").
E' come se a chi ci chiede quali siano le caratteristiche che ci consentano
di riconoscere un mammifero noi rispondiamo inviando un elenco di mammiferi!

Vedi bene che non ci siamo.

Ma c'è di più. La tua equazione "reale = razionale" mi sembra equivalga ad
affermare che "esiste ciò che è razionale (e non esiste ciò che è
irrazionale)". Ma questo non equivale forse a quell'esistere inteso come
"assenza di contraddizioni" di cui si parla al punto 1° di Abbagnano?

E allora com'è che le discipline che coltivo io (matematica) Abbagnano le
colloca al punto 1° e quelle che coltivi tu (l'essere dell'uomo) le colloca
al punto 3°?

A me l'unica definizione che mi viene in mente di "esistere" che esclude la
vaghezza del "essere in un modo delimitato e definito" è quella di dire che:

"esistere" è "esser-ci".

Esser-ci nell'insieme dei numeri (esistenza di una soluzione, matematica,
caso 1°), esser-ci nella realtà (caso 2°), esser-ci nel mondo (caso 3°).

Insomma, esistere vorrebbe dire "c'è".

In questo caso quando tu dici che
"la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela esiste"
questo equivale ad affermare che
"la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela c'è"
ed io non potrò più dire che "la mela è rossa" è un "modo di essere", sicché
in questo caso non potrò più ridurre la tua osservazione ad una tautologia.

*Ma* il motivo per cui in questo modo ti "salvi" è che il "modo di essere"
della esistenza l'ho connotato con un "avverbio di luogo", sicché ho trovato
una "soluzione *grammaticale*" (ho escluso per via grammaticale tutto ciò
che non può essere un "luogo"), e tu mi insegni che questa è una soluzione
pre-filosofica.

Anche perché parlare di "luogo" è - chiaramente - una metafora, ne più ne
meno della mia "bobina". A meno che non si possa estendere in modo rigoroso
la nozione di "luogo" in senso filosofico. Se ciò fosse possibile il
discorso potrebbe in parte essere sviluppato in modo (apparentemente)
coerente:

esistere = esser-ci = essere in un qualche "luogo"

dopodiché questo "luogo" può essere un insieme (esiste la soluzione = *c'è*
un elemento di un certo insieme tale che...), la realtà (la foglia c'è nella
realtà) o il pensiero/intelletto (l'unicorno c'è nell'intelletto, come le
proposizioni). E tu, nel tuo sistema, potresti dire che il "luogo" che
chiamiamo "realtà" non è altro il "pensiero", proponendo così di unificare
il mio secondo esempio con gli altri due!?

Proviamo ad andare avanti (consapevoli che ci stiamo lasciando alle spalle
un bel po' di grane).

Consideriamo la frase "la foglia prima è in P1 e poi è in P2".
La prima parte della proposizione equivale a dire
"la foglia è in P1" è vera
ma tu, come mi hai insegnato, mi aggiungi subito che essa implica anche
"la foglia è in P1" esiste.

Ora, se pongo esistere = modo di essere tout court allora scelgo come "modo
di essere" il fatto di "essere vera", sicché la tua identità di significato
predicativo ed esistenziale si risolve nella tautologia:
"la foglia è in P1" e "la foglia è in P1".

Se invece pongo "esistere = esser-ci" (ma ho già detto che fino a qui questo
è solo un espediente grammaticale, e quindi pre-filosofico) allora devo
ammettere che:
"la foglia è in P1" implica e presuppone che "la foglia c'è".

Questo sembra "recuperare" in pieno ciò che mi hai insegnato sulla identità
di significato predicativo e esistenziale. Tuttavia dobbiamo osservare che
il "luogo" in cui "c'è" la "proposizione" non è lo stesso "luogo" in cui
"c'è" la foglia. Sono due "bobine" diverse.

Le proposizioni stanno nel pensiero, ma la foglia, l'oggetto foglia, non sta
nel pensiero. E' solo l'immagine della foglia che sta nel pensiero, assieme
alle proposizioni sulla foglia. In tutto senzo considerare - come ho
sottolineato a più riprese - che sono riuscito ad arrivare fino a qui solo
con un espediente "grammaticale".

Ricapitolando:

partendo da
"x è in P1"
ovvero che
"x è in P1" è vera (significato predicativo)

accolgo la considerazione generica tua e di Marco in merito al fatto che ciò
implica e presuppone che
"x è in P1" è (significato esistenziale)
e sostituisco quest'ultima con
"x è in P1" esiste
ovvero - seguendo Abbanano -
"x è in P1" è in un qualche modo delimitato e definito

A questo punto:
1) se quel "delimitato è definito" è arbitrario allora io scelgo il modo
d'essere "vera" e riconduco il tutto ad una tautologia
2) se quel "delimitato è definito" è un esser-ci allora io:
2.1) osservo che questo è un espediente *grammaticale* (indoeuropeo e
fascista! :-))
2.2) osservo che il "luogo" in cui è la proposione "x è in P1" non è lo
stesso "luogo" in cui è la foglia e pertanto:
2.2.1) voler "nientificare" la proposizione non è la stessa cosa di voler
"nientificare" la foglia
2.2.2.) il fatto di negare tale proposizione - cioè dire che è falsa - non
implica che la si voglia nientificare, può continuare ad esser-ci
(nell'intelletto) solo che anziché stare fra quelle che descrivono dei fatti
(e cioè, vere) se ne starà fra quelle che non descrivono dei fatti (e cioè
false), lasciando la povera fogliolina "libera" di fare quello che le pare
:-)

Come vedi ho bisogno di qualche altra "dritta" :-)

Fine della parte "filosofica".
Passiamo a noi:

> Non dovresti pensare di rispondere a me, o non dovresti badare al
> circostanziale contrasto dialettico con l'interlocutore.
> Conduci l' "esperimento" il più disinteressatamente possibile.

Solo un appunto di carattere personale.

Apprezzo che tu mi inviti ad "uscire dalla foga agonistica" per dare più
respiro al mio pensiero. E credo che questo sia (in generale) un saggio
consiglio. Però trovo che parte delle tue reticenze - oltre ad essere dovute
al comprensibilissimo fatto che spiegare trent'anni di riflessioni ad uno
che parte mille miglia lontano da te sia una faticaccia immane che non ti
posso chiedere - a volte denotino la convinzione che io ti stia "aspettando
al varco". Un po' vero, ma solo per quello riguarda la componente "ludica"
dei nostri scambi di idee. Se devo scegliere fra capire e vincere di solito
scelgo la prima. Se poi mi si offre l'opportunità di strapazzarti un po' può
essere anche divertente. Ma una cosa non esclude l'altra. Certo, mi rendo
conto che questa mia (eccessiva?) suscettibilità in merito a (presunte?)
insinuazioni sulla mia "onesta intellettuale" può apparire un "nervo
scoperto", ma il fatto è che di gente con la "bava alla bocca" qui ce n'è
diversa, ed io ci tengo a "tenere le distanze" :-)

Grazie di nuovo.
Alla prox,
D.


20QfwfQ02

unread,
Sep 22, 2002, 9:02:50 AM9/22/02
to

"Davide" ha scritto:
>
> "Cosimo" ha scritto:

>
> > Anche "aspettare" che la
> > pellicola si sbobini sarebbe un "fare" inteso come la capacità di un
> > centro di forza, di potenza (l'uomo) di disporre dell'ente a suo piacere
> > e volontà (visto che oscilla fra essere e nulla). Anche incrociare le
> > braccia, lui dice, sarebbe "volontà di potenza".
>
> Ma allora, se l'unica forma di "libertà" (dalla volontà di potenza e/o
> dalla contraddizione) è *fare* la volontà di ***, come fai a riconoscerla?
> (la volontà di ***)

Tutta questa storia fa riferimento a un tempo oggettivo. Adesso ho poco
tempo (appunto :-)), ma se si ragiona sul concetto di "presente" non è
necessario alcuno srotolarsi di alcunché, e la libertà risulta condizionata
sostanzialmente solo dalla memoria *nel presente*, non da un preordinamento
capillare.
E' un punto di vista cartesiano che in generale non piace perché lascia
"troppa" libertà all'uomo (per esempio anche di autodistruggersi, che poi è
un fatto) e toglie a *** il ruolo di motore immoto per dargli quello di
creatore del *presente*, affidato agli enti per la costruzione del loro
futuro.
*** dunque, come Creatore del presente (perciò, nel tempo, eterno, ma in
senso eternamente dinamico, non statico), non come uno che lo ha fatto una
volta per tutte e che poi "srotola" (o detto in qualche altro modo più
elegante).
In questo senso neppure le leggi della natura è necessario che siano
scritte, ma solo il loro principio informatore, il Logos nel senso più
astratto (a-morfo, onnipotenziale) che si possa immaginare. Del resto
proprio la ricerca nel micro, la cosiddetta indeterminazione che se ne
ricava, dice che le leggi hanno una forma "vaga", indefinita, descrivibile
solo statisticamente, come accade in ogni sistema che è in fieri e non è
bell'e fatto e finito. Che ha cioè un cono di potenzialità di sviluppo. (E
tu non pensare subito al gelato! :-))
>
[...]


>
> Torno alla domanda iniziale: come fai a *riconoscere* ciò che ***
> ha scelto per te?

*** ti ha messo a disposizione una logica che trovi in tutte le cose e in te
stesso in quanto appartenente alla realtà: ti ha dato un criterio di fondo.
E inoltre un "presente" su cui applicarlo. Ciò che può far decidere
rettamente è dunque connesso alla conoscenza, alla presa d'atto di tale
logica di fondo. Nessuno ha scelto qualcosa a priori per te, ma ti ha messo
intorno una molteplicità di cartelli stradali (il presente, in cui è attivo
il passato sotto forma di memoria, in particolare filogenetica). La
traiettoria la scegli tu, sbagliando tanto quanto non conosci la lingua di
quei cartelli. Ma neanche le strade sono prefabbricate: le costruisci tu con
le tue decisioni, prese sulla base del presente (inclusivo della memoria,
che è appunto presente) e del bon sens. Possono poi portare a ulteriori
costruzioni (ossia essere fertili) oppure a distruzione (ossia essere
sterili) in funzione di quanto e come tieni presente o perdi di vista il
criterio di fondo, il Logos che si manifesta in ogni cosa.

Mo' vi saluto
QfwfQ


Davide

unread,
Sep 22, 2002, 9:08:28 AM9/22/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:6Fij9.73031$Hc7.5...@twister1.libero.it...

> Ogni "criterio" che distingua fra volontà buona (di solito, la mia e del
> dio-che-è-con-me) e volontà cattiva (di solito, quella degli altri) si


> muove nell'alveo del manicheismo, ovvero della perfezione della
> contraddizione, della follia massima.

Cazzarola, ma non me lo potevi dire due mesi fa!??? :-)

Non mi sembra allora che ci sia tutta questa contraddizione insanabile fra
quello che "in linea di principio" (e quindi - dici tu, di fatto, in realtà
:-)) è il tuo diritto di "imporre il tuo sistemone" ed il mio diritto di non
accettarlo, poiché il tuo sistemone è un sistemone che *intrinsecamente* non
prevede l'auto-imposizione. Sicché un ipotetico conflitto è, a sua volta,
auto-contraddittorio.

Insomma, dal momento che "di fatto, in realtà" non hai intenzione di fare di
ques'aula sorda e grigia un bivacco per i tuoi manipoli (né - il che mi
tranquillizza di più - di "cannoneggiare" i musulmani o gli ebrei - ma in
realtà non ne avevo dubbi per ragioni - orrore - "intuitive" ;-)), non si
verificherà *mai* "di fatto" la contraddizione fra la *necessità* del tuo
sistema e la *libertà* del mio.

Non so come fai tu a dire questa cosa. Il risultato è che si potrebbe andare
d'accordo "nei fatti" pur partendo da posizioni moooooolto distanti. Se a te
questo sembra poco perché è troppo "empirico"... :-)

> Questa naturalmente è soltanto una labilissima traccia, non una vera e
> propria risposta completa alle domande che m'hai fatto; ed è la mia
> attuale interpretazione del pensiero severiniano, il quale di per sè è
> ateo; ma per me è ateo in modo tale da risultare più "religioso" di


> parecchie "zone" delle religioni propriamente dette.

Sì (cioè, sì che è una traccia), perché continuo a non capire come faresti a
trovare una posizione "coerente" rispetto alla non trascurabile obiezione di
Marco. Marco dice (mi pare): su tutti adottiamo "morali deboli" allora anche
quell'unica morale che decide di porsi - magari anche illogicamente - come
morale "forte" può spazzare via tutte le altre.

Ora, la mia morale non è così "debole" come pensa lui, perché
"illogicamente" (lo dico solo con un 50% di ironia) esce dalla empasse
ponendosi come morale "tollerante con i tolleranti", "razionale con i
razionali", eccetera. E quindi - e qui è l'elemento "illogico" - è una
morale "illiberale con gli illiberali in difesa della libertà", "irrazionale
con gli irrazionali in difesa della razionalità", eccetera.

Ho anche una "visione del mondo" che mi consente di risolvere in parte
questa contraddizione, ma devo ammettere con ho mai avuto il tempo / forze /
capacità / motivazioni per trasformare questa visione del mondo in un
sistema filosofico. Questa mia visione del mondo - da punto di vista
filosofico - ruota attorno alla nozione di "intentio" di Brentano, della
fenomenologia di Husserl, e della nozione di "empatia" (nella sua accezzione
meno sdolcinata - spero :-))

Invece da questo punto di vista la tua posizione mi sembra più problematica.
Perché è una posizione che, per mantenersi "razionale", lascia che la
"forza" sia gestita dall'irrazionale. Nel mio "sistemino" questo è desiderio
di martirio, di salire sulla croce, e quindi di mostrare agli altri di
essere meglio di loro anche a costo dell'estremo sacrificio, e quindi di
ricatto morale, e quindi di una precisa e specifica "intentio" nei confronti
degli "altri" (intentio in cui è ravvisabile una precisa e specifica volontà
*tua* - di potenza?). Ma qui mi rendo conto anche io che la distanza che ci
separa è probabilmente incolmabile.

Ri-grazie per la pazienza :-)
D.


Davide

unread,
Sep 22, 2002, 9:15:21 AM9/22/02
to

"20QfwfQ02" <mauri...@fastwebnet.it> ha scritto nel messaggio
news:1cjj9.2226$xE4....@tornado.fastwebnet.it...

>Nessuno ha scelto qualcosa a priori per te, ma ti ha messo
> intorno una molteplicità di cartelli stradali (il presente, in cui è
attivo
> il passato sotto forma di memoria, in particolare filogenetica).

E quando negli stessi cartelli stradali tu ci leggi di fondere i cannoni ed
un altro di puntarli?

Come fai a *sapere* che tu ci stai leggendo la Volontà di *** e non sei un
semplice coglioncello pacifista e sdolcinato alla Jacopo Fo i cui libri
occupano inutilmente gli scaffali di Marco densi di "filosofia originaria"?

> Mo' vi saluto

Eh! Oggi che è il tuo compleanno riposati!
(Effettivamente devo ammettere che così laconico e conciliante non ti avevo
mai visto... ti sei misurato la febbre? :-))

> QfwfQ

Ciao, ri-auguri
D.


Marco V.

unread,
Sep 22, 2002, 9:45:04 AM9/22/02
to
On Fri, 20 Sep 2002 21:55:59 GMT, "Davide" <dpio...@libero.it> wrote:

Condenso in questo post una serie di tue (di Davide) considerazioni
alle quali ritengo sia opportuno dare una risposta.


>> Vedi Davide, qui sta l'essenza della tua posizione nei confronti della
>> filosofia *originaria*. Tutto quello che hai argomentato non ha nessun
>> valore logico (non ci vorrebbe nulla a demolire la questione del
>> predicativo/esistenziale)

>Per favore, fallo.

Sostanzialmente lo ha fatto Cosimo nel suo intervento in questo
thread. Il significato originario dell'essere è dato dalla *unità
concreta* (che è ciò cui Cosimo si è riferito mettendo in luce la
reciproca inclusione tra la funzione predicativo-copulativa e quella
esistenziale) del significato predicativo-copulativo e del significato
esistenziale. Ciò significa che anche "significato
predicativo-copulativo" in quanto ente è tale che il suo essere è
unità concreta del significato predicativo-copulativo e del
significato esistenziale; idem per "significato esistenziale". Fuori
da questa unità sintetica vi è l'astratto che è dato dall'analisi che
non riconosce di essere analisi di una sintesi. In questo caso
l'astratto è non riconoscere che ogni discorso sull'essere e sul suo
significato implica che l'essere sia *già* ed originariamente
manifesto nel suo originario significato.
Affermare l'esistenza di due significati dell'*essere* e negarne la
unità concreta, è autocontraddittorio. Come già ti ho detto, non viene
affatto meno la "specie d'essere" propria dell'unicorno. Anche ciò
sarebbe contraddittorio perchè nel significato di unicorno c'è appunto
quello di non esistere nella "realtà". Ma l'*è* dell'unicorno è il
*medesimo* dell'*è* di questo (pessimo) monitor che ho di fronte.




>> Deciditi. Perchè se l'essenza della tua critica è: la *filosofia
>> originaria* è "razzista", puoi ben fare a meno di argomentare.
>
>Sì, è vero, c'è anche questa componente nel mio discorso.
>Ed è una cazzata.
>
>Poi, oltre alla "cazzata", c'è anche un altro discorso di natura etica che
>mi tiene "da una certa parte". Ma devo ammettere che ce l'ho in testa in
>forma piuttosto confusa e quindi non è nemmeno il caso che provi a dirlo.
>
>Resta il fatto che, qualunque sia l'etica della filosofia *originaria*, se
>per caso implicasse, che so, la *necessità* di appoggiare la politica del
>PNF, prima che io "molli" dovrai essere moooolto paziente. Forse troppo,
>immagino avrai altri scopi nella vita :-)

PNF=Principio del NON Finimento?!
Scherzi a parte a me sembra che dovremmo tutti riflettere di più sulla
implicazione inversa: quella che dal rifiuto della violenza (ma poi
*tutta* la violenza?) conduce al rifiuto della verità. La riflessione
sulla violenza è il nucleo centrale della filosofia contemporanea - ed
i suoi effetti oramai si avvertono anche nelle parole dei furbi
islamici (che sperano di intenerire i laici facendo riferimenti al
"pluralismo" ). Ne parlerò brevissimamente anche dopo.

>Cosimo, te lo dico nel modo meno paranoico che posso:
>c'è anche la firma di G e n t i l e.
>Sta lì, insieme a tutte le altre.

Questo mi rattrista un pò. Ma potrai sempre cambiare idea per dare a
Gentile quel che è di Gentile e togliergli quello che gli ha aggiunto
il non-filosofico. Ne riparliamo quando (e se) vorrai. Sotto
aggiungerò qualcosa.

>Hai mai provato a chiederti perché a parte Eco (risate) non ce n'è uno di
>questi che venga tradotto all'estero? E' un complotto della scienza?

La traduzione di un autore all'estero non è operazione estranea alla
ideologia. Ora, l'ignoranza di Gentile in cui la cultura europea è
immersa è un buon esempio. Certo il *fatto* incontrovertibile della
scelta politica politica operata da Gentile ha la sua influenza. Ma
c'è la *causa* di quella scelta. E le ragioni ideologiche servono
purtroppo proprio a ciò - a impedire che la causa della scelta
politica possa gettare luce sulla scelta. La causa della scelta
politica nel caso di Gentile è *totalmente* filosofica - Loris mi
dirà: tanto peggio!. Magari è vero. Ma la filosoficità di questa
scelta potrebbe per lo meno impedire il rifiuto ideologico. Se
togliamo Gentile alla filosofia italiana, resta poca roba e spesso di
scarso valore. Roba che verrà presto dimenticata - travolta dalla
ondata scientifica
Che io mi debba affaticare gli occhi su Husserl quando nella *mia*
lingua è stato detto molto meglio di Husserl circa la relazione tra
filosofia e scienza, lo considero assurdo.

Il caso di Severino - che in ogni caso è tradotto diffusamente
all'estero, almeno credo - è ancora più emblematico. Severino "paga"
semplicemente l'implicazione che la sua filosofia ha sul concetto di
violenza. Severino ci mostra l'*identità* sussistente tra - facciamo
un esempio scabroso - il Reich hitleriano e la UE laica e pacifista.
La filosofia di Severino *non* ha quel sotterraneo fluire verso la
"tolleranza", il "pluralismo" etc. (tutte cose a cui formalmente non
imi oppongo affatto nella prassi, per carità di Dio!). *Insomma*:
Severino afferma che la demolizione della verità metafisica effettuata
dalla filosofia contemporanea non è affatto la demolizione della
essenza della violenza. Severino *non* afferma che "tolleranza",
"democrazia" et similia siano il vertice dello sviluppo culturale
occidentale. Ciò fa letteralmente imbufalire mandrie di intellettuali
e filosofi cresciuti nei pascoli postheideggeriani, ermeneutici,
pragmatistici etc.etc.

>Se poi mi dici che il tuo ragionamento è "la" Logica allora fai
>come Marco quando alla tua osservazione secondo cui il pensiero di x è
>sempre criticabile per ogni x, ti risponde che è vero, ma che "il" Pensiero,
>quello non è criticabile.

No!. Io dicevo *appunto* che è assurdo dire che il *mio* - dell'io
empirico - ragionamento (dicevo: il pensiero di x) sia *la* Logica. E,
caro Davide, il filosofo che più di tutti ha parlato di critica e
critricabilità nel senso di critica come *destino* del pensiero (il
pensiero come *trascendentale* "risolvere il problema"), indovina chi
è?

Aver esposto il *fondamento* della critica in quanto tale, è in
definitiva ciò che non va giù alla cultura che vuole ignorare Gentile.
Severino in un certo senso ha portato a compimento la critica
gentiliana sviluppando le travolgenti conseguenze implicite nel
rifiuto della verità caratteristico della nostra epoca. Insomma la mia
opinione è che gran parte della cultura contemporanea è oggi impegnata
nel proiettare i concetti "postmoderni" di cui oggi si fa un gran
parlare ("tolleranza" etc.) laddove *oggi* c'è il vuoto che vuoto è e
vuoto è destinato a rimanere. Un tempo lo abitava l'Assoluto...

Ti saluto,

Marco

Cosimo

unread,
Sep 22, 2002, 10:59:27 AM9/22/02
to
Davide wrote:

> > Ogni "criterio" che distingua fra volontà buona (di solito, la mia
> > e del dio-che-è-con-me) e volontà cattiva (di solito, quella degli
> > altri) si muove nell'alveo del manicheismo, ovvero della perfezione
> > della contraddizione, della follia massima.

> Cazzarola, ma non me lo potevi dire due mesi fa!??? :-)

Cazzarola, non mi rovinare il week-end! Cos'è, una marcatura a uomo? :-)
Non l'ho detto (così chiaro) due mesi fa perché non avevi fatta (così
chiara) quella domanda.

Oggi è domenica, e fra un po' esco. Qui rispondo come posso, e all'altro
tuo intervento ci voglio dedicare invece più tempo, sicché attendi una
risposta per i prossimi giorni.

> Non mi sembra allora che ci sia tutta questa contraddizione
> insanabile fra quello che "in linea di principio" (e quindi - dici
> tu, di fatto, in realtà :-)) è il tuo diritto di "imporre il tuo
> sistemone" ed il mio diritto di non accettarlo, poiché il tuo
> sistemone è un sistemone che *intrinsecamente* non prevede l'auto-
> imposizione. Sicché un ipotetico conflitto è, a sua volta, auto-
> contraddittorio.

Sì, fondamentalmente è così. E in nuce, velatamente, avevo anche già
fatta un'obiezione simile a Marco nel thread sulla meccanica
quantistica; dicendogli che cannoneggiare la MQ, o le pretese
scientistiche della scienza, suppone necessariamente un volere
impositivo che non può darsi aproblematicamente nello stesso discorso
severiniano. Anzi, Severino ripete a più riprese che la stessa sua
teoresi, lo stesso suo linguaggio, è frutto di una volontà interpretante
(e dunque prevaricante).
La sostanza è: opporsi alla tecnica con la stessa tecnica (appunto,
organizzando un discorso filosofico come mezzo e strumento primario di
tale opposizione, e in seguito verificandone le possibilità
socio-politiche) sfocia nella contraddizione. Il problema si apre
massimamente se si riflette che anche non-opporsi alla tecnica sarebbe
una *decisione*, e come tale affetta da quell'alienazione del volere che
sto cercando di chiarirti.


> Insomma, dal momento che "di fatto, in realtà" non hai intenzione di
> fare di ques'aula sorda e grigia un bivacco per i tuoi manipoli (né -
> il che mi tranquillizza di più - di "cannoneggiare" i musulmani o gli
> ebrei - ma in realtà non ne avevo dubbi per ragioni - orrore -
> "intuitive" ;-)), non si verificherà *mai* "di fatto" la
> contraddizione fra la *necessità* del tuo sistema e la *libertà* del
> mio.

La necessità *autentica* è proprio in quel *mai*. Ci siamo? Abbiamo
fatto un passo avanti?
Mentre tu rifiuti o rifiutavi *ogni* necessità, in nome della libertà.
Ma non c'è che una sola necessità, che è quella delle libertà (plurali),
quali individuazioni/situazioni della originaria libertà di ciò che è;
dell'essere come orizzonte e totalità di ogni essente.


> Non so come fai tu a dire questa cosa. Il risultato è che si potrebbe
> andare d'accordo "nei fatti" pur partendo da posizioni moooooolto
> distanti. Se a te questo sembra poco perché è troppo "empirico"... :-)

Al di fuori del "sistemone", il senso della fattualità e dell'empiricità
è contraddittorio.
"Libertà" e "necessita" sono determinazioni non elaborate e non
problematizzate nella loro possibile verità; rimangono ad un livello,
appunto, intuitivo.

Se vuoi impazzire, dedica un po' di tempo a pensare la libertà :-)


> > Questa naturalmente è soltanto una labilissima traccia, non una
> > vera e propria risposta completa alle domande che m'hai fatto; ed è
> > la mia attuale interpretazione del pensiero severiniano, il quale
> > di per sè è ateo; ma per me è ateo in modo tale da risultare più
> > "religioso" di parecchie "zone" delle religioni propriamente dette.

> Sì (cioè, sì che è una traccia), perché continuo a non capire come
> faresti a trovare una posizione "coerente" rispetto alla non
> trascurabile obiezione di Marco. Marco dice (mi pare): su tutti
> adottiamo "morali deboli" allora anche quell'unica morale che decide
> di porsi - magari anche illogicamente - come morale "forte" può
> spazzare via tutte le altre.

No, perché la "morale forte" che può spazzare via tutte le altre, è in
realtà debole in quanto scende in campo proprio per spazzar via,
necessariamente, tutte le altre. E nulla le assicura che in un futuro
prossimo o remoto qualcuna di quelle torni a prendersi la sua rivincita.
La morale che è morale, non ha bisogno di essere né forte né debole, in
quanto non ha essenzialmente avversari.


> Ora, la mia morale non è così "debole" come pensa lui, perché
> "illogicamente" (lo dico solo con un 50% di ironia) esce dalla empasse
> ponendosi come morale "tollerante con i tolleranti", "razionale con i
> razionali", eccetera. E quindi - e qui è l'elemento "illogico" - è una
> morale "illiberale con gli illiberali in difesa della libertà",
> "irrazionale con gli irrazionali in difesa della razionalità",
> eccetera.

E' più complicato.
E' pur sempre una morale che dice dei sì e dei no, combatte -non importa
in quali modi e con quali armi- con(tro) le altre (che ai suoi occhi
appaiono morali cattive, imperfette, immorali).
Pragmaticamente è valida, ma appunto perciò non sa escludere che nella
prassi si affermino altre morali per pura potenza e/o volontà di
potenza.


> Ho anche una "visione del mondo" che mi consente di risolvere in parte
> questa contraddizione, ma devo ammettere con ho mai avuto il tempo /
> forze / capacità / motivazioni per trasformare questa visione del
> mondo in un sistema filosofico. Questa mia visione del mondo - da
> punto di vista filosofico - ruota attorno alla nozione di "intentio"
> di Brentano, della fenomenologia di Husserl, e della nozione di
> "empatia" (nella sua accezzione meno sdolcinata - spero :-))


Può darsi che l'empatia alla quale ti riferisci nomini dal lato della
comprensibilità empirica, o in un discorso piano, quella stessa unità
fondamentale del volere di cui ti parlavo.
Mentre circa la fenomenologia husserliana, dovrei dire che essa è -per
le sue stesse premesse- incapace di scorgere la verità dell'altro come
*altro-io*, altra coscienza. Un maggior risultato rispetto a questo
problema lo ottengono, per esempio, le ontologie di Heidegger e Sartre,
le quali pongono la relazione "io-altri" non più sul piano della
conoscenza, ma dell'essere. Se si permane cioè in un discorso
fondamentalmente gnoseologico, ben presto ci si accorge
dell'impossibilità di uno sfociare diverso dal solipsismo o da qualcosa
che gli somiglia molto (a meno che non si tagli il nodo per mezzo di una
decisione pragmatica, come poi fanno tutti i solipsisti -negando in tal
modo il loro solipsismo). Ma le cose migliorano se dalla gnoseologia si
approfondisce la cosa nell'ontologia; e, per esempio, qui ci sarebbe da
chiederci la ragione per la quale Heidegger non parla più di "uomo", ma
di "essere-nel-mondo", di esser-ci che è contemporaneamente
(co-originariamente, con-esser-ci).
Vuol fare l'originale, vuol fare il mistagogo? O non è forse, il suo, il
tentativo (almeno) di lasciarsi alle spalle, forte della fenomenologia,
tutti i falsi problemi che concernono l'idealismo e il realismo, la
coscienza dell'io, e l'impossibilità che la coscienza altrui sia
immediatamente presente nella mia?


> Invece da questo punto di vista la tua posizione mi sembra più
> problematica. Perché è una posizione che, per mantenersi "razionale",
> lascia che la "forza" sia gestita dall'irrazionale. Nel mio
> "sistemino" questo è desiderio di martirio, di salire sulla croce, e
> quindi di mostrare agli altri di essere meglio di loro anche a costo
> dell'estremo sacrificio, e quindi di ricatto morale, e quindi di una
> precisa e specifica "intentio" nei confronti degli "altri" (intentio
> in cui è ravvisabile una precisa e specifica volontà *tua* - di
> potenza?). Ma qui mi rendo conto anche io che la distanza che ci
> separa è probabilmente incolmabile.

Quello che dici sulla mia posizione potrebbe essere l'errore specifico
di un etica che non intende, in maniera radicale, dire di no a niente e
a nessuno (perché non c'è niente e nessuno che realmente sia opposto e
contrapposto). Non lo nego, ma osservo che l'unica ragione che lo
riconosce e lo cataloga come errore è il "sistemone". E' questo che
rimuove l'individuo dal suo isolamento, e dunque da tutte le forme
possibili del suo manifestarsi, dal suo essenziale "egoismo", compreso
dunque il martirio e i ricatti morali.
Se Severino è di difficile assimilazione, potrei allora far
riferimento -pur avvertendo delle notevoli differenze- a quanto detto
dal Nietzsche sulle morali razionali e decadenti dell'Occidente, da
Socrate in poi. Al "sì" che è in cima al discorso nicciano, e che
conclude pure il viaggio romanzesco di quel nuovo e antichissimo
"oltreuomo" che è Ulisse, nell' "Ulysses" di Joyce.


> Ri-grazie per la pazienza :-)
> D.


Fammi uscire questo pomeriggio, parla con qualcun'altro, sfotti
qualcun'altro: non posso fare o' filosofo 24 ore su 24! :-)
Vado a prendermi anch'io il mio gelatone, panna, cioccolato e
anfetamina.

E poi ti risponderò con calma sulle mele rosse.


Ciao,
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 22, 2002, 11:25:56 AM9/22/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d8dc888...@news.kataweb.it...

> >Per favore, fallo.
>
> Sostanzialmente lo ha fatto Cosimo nel suo intervento in questo

> thread. Il significato originario dell'essere и dato dalla *unitа
> concreta* (che и ciт cui Cosimo si и riferito mettendo in luce la


> reciproca inclusione tra la funzione predicativo-copulativa e quella
> esistenziale) del significato predicativo-copulativo e del significato
> esistenziale.

Sм, l'ho letto e avete ragione. O meglio, sento ancora un po' di "odore" di
"giochetto con le parole", ma ho capito che la mia argomentazione non va. Ho
anche provato a "riorganizzare" un'altra risposta, che ho "attaccato" alla
risposta di Cosimo a cui tu fai riferimento.

Anche qui devo dirti quello che ho giа detto a Cosimo. Ogni tanto incontro
qualcuno che fa il l'idraulico e si diletta di libri divulgativi sulla
scienza nel fine settimana e mi viene a raccontare la sua ultima pensata su
una possibile "interpretazione" della MQ.

Io di solito sto buono e cerco anche di rispondere, ma il fatto di essere
mortale mi costringe a scegliere se lasciargli occupare tutto il mio tempo
(purtroppo finito) o essere un po' supponente e tentare di liquidarlo. La
mia "risposta" a Cosimo и probabilmente del tipo "idraulico" (и che mi sono
intestardito a non accettare i fumi della filosofia idealista senza fare i
"tagli" della filosofia analitica - diciamo che sto cercando una "terza
via"; il che magari per me puт essere proficuo, perт mi rendo conto puт far
perdere un sacco di tempo - e di pazienza - ai miei interlocutori). Anche in
questo caso quindi ti dico che se ti va di darci una occhiata bene. Sennт
non posso sicuramente prendermela.

> Scherzi a parte a me sembra che dovremmo tutti riflettere di piщ sulla


> implicazione inversa: quella che dal rifiuto della violenza (ma poi

> *tutta* la violenza?) conduce al rifiuto della veritа.

Guarda, mi sono appena fatto (approssimativo) interprete di questa tua
osservazione presso Cosimo. Sono interessato a sapere cosa mi risponde.

Io non ho una risposta filosofica da darti (ho un insieme di tasselli che
non so se potrт mettere assieme). Perт devo dirti una cosa che mi rendo
conto essere offensiva: continuo a percepire nel tuo approccio un desiderio
di "tagliare corto" e "passare ai fatti" che mi ricorda certi discorsi che
io e Cosimo in questi giorni ci siamo un po' divertiti a citare e parodiare.
Questo и un appunto: personale, pieno di pregiudizi, poco educato nei tuoi
confronti, eccetera. Non sono disposto a farti nessuna "guerra preventiva"
per fermare le tue-da-me-presunte-intenzioni (perchй per ora и tutta roba
che и nella mia testa); mi limito a trovarti un po' "rigido".

> i suoi effetti oramai si avvertono anche nelle parole dei furbi
> islamici (che sperano di intenerire i laici facendo riferimenti al
> "pluralismo" ).

Marco!!! Ma non esistono "Gli Islamici". Ci sono: 1) degli islamici
(pochissimi) che nuotano nell'oro e tengono la popolazione nella miseria e
nell'ignoranza insegnando loro che "и colpa del satana occidentale"; 2)
degli islamici (molti) poveri e ignoranti talmente disperati e pieni di
rabbia che sono disposti a farsi saltare pur di sfogare questa loro rabbia
contro quelli che altri gli hanno indicato come "nemici"; 3) degli islamici
(non pochi, ma purtroppo non abbastanza) eredi di una cultura millenaria che
и anche uno dei pilastri della *nostra* cultura; 4) eccetera.

Te lo ripeto in modo decisamente antipatico: sei ferito da qualche cosa (che
non sono gli islamici) e hai bisogno di ferire. Non и cosм grave perchй
probabilmente ciт и dovuto al fatto che sei molto giovane (non so quanti
anni hai - sei hai passato i quaranta la cosa и un po' piщ preoccupante), e
sei stato poche volte all'ospedale, e forse non hai un cane nй un gatto.
Questo non ha niente a che vedere con la tua intelligenza e la tua cultura
(che apprezzo, perchй anche io quando pensa che non ne valga la pena taglio
corto). E se a te questo sembra melodramma sbrodoloso da pacifista senza
palle non so che farci: и anche questo dovuto all'etа ;-)

> >Hai mai provato a chiederti perchй a parte Eco (risate) non ce n'и uno di


> >questi che venga tradotto all'estero? E' un complotto della scienza?
>

> La traduzione di un autore all'estero non и operazione estranea alla
> ideologia.

Sм, certo, ma fra scelte ideologiche e "complotto" (perchй tu Marco tendi un
po' a vedere "complotti") c'и una certa differenza.

> Certo il *fatto* incontrovertibile della
> scelta politica politica operata da Gentile ha la sua influenza. Ma

> c'и la *causa* di quella scelta.
> [...] La causa della scelta
> politica nel caso di Gentile и *totalmente* filosofica - Loris mi
> dirа: tanto peggio!

E non solo Loris, ma anche Davide ed un sacco di altri "pacifisti
coglioncelli senza coglioni".

> Magari и vero.

E anche Marco! ;-)

> Ma la filosoficitа di questa


> scelta potrebbe per lo meno impedire il rifiuto ideologico.

Sм. Anzi, no. Ci devo pensare :-)

> Se
> togliamo Gentile alla filosofia italiana, resta poca roba e spesso di

> scarso valore. Roba che verrа presto dimenticata - travolta dalla
> ondata scientifica.

Eddai con sta ondata scientifica. Come quando mi dici che tanto lo sai che
io fra me e me penso: "parlate parlate che un giorno dovrete *implorare* la
scienza di essere tollerante". A me! Tu che sei sempre lм con i cannoni e i
cannoneggiamenti.

> Che io mi debba affaticare gli occhi su Husserl quando nella *mia*

> lingua и stato detto molto meglio di Husserl circa la relazione tra


> filosofia e scienza, lo considero assurdo.

Non so se sono equivalenti. Ad esempio in ciт che ho "sbocconcellato" qua e
lа di idealismo non ho trovato niente di simile alla nozione di "intentio"
come и stata formulata da Brentano e dagli scolastici (e che и presente
anche nel lavoro di Husserl). Giа Agostino d'Ippona aveva chiaro che
l'intentio puт non essere nota al soggetto. Questo fatto di avere *sempre*
una intentio anche quando non la *sappiamo* и cruciale per il mio approccio
al mondo (visto che i giochetti metapsicologici di Freud sull'inconscio mi
puzzano troppo da ingegneria della mente).

> Il caso di Severino - che in ogni caso и tradotto diffusamente
> all'estero, almeno credo - и ancora piщ emblematico. Severino "paga"


> semplicemente l'implicazione che la sua filosofia ha sul concetto di

> violenza. Severino ci mostra l'*identitа* sussistente tra - facciamo


> un esempio scabroso - il Reich hitleriano e la UE laica e pacifista.

Perchй entrambe nientificano l'ente?
Marco!!! Ti ripeto la faccenda melodrammatica, non filosofica e sbrodolona
dell'ospedale, del cane e del gatto.
Ma che bisogno hai di fare degli esempi cosм?

> La filosofia di Severino *non* ha quel sotterraneo fluire verso la
> "tolleranza", il "pluralismo" etc. (tutte cose a cui formalmente non

> imi oppongo affatto nella prassi, per caritа di Dio!).

Ma se mi hai fatto una testa cosм sulla identitа di prassi e teoria!
Insomma, se vuoi dire che le robe alla Jacopo Fo sono "senza palle" (e pure
insensate) dillo pure, ma poi bisogna che trovi una "pars costruens"
alternativa, sennт a me restano i miei dubbi sulla tua "intentio" (che puт
anche non esserti nota fino in fondo - Agostino d'Ippona).

> >Se poi mi dici che il tuo ragionamento и "la" Logica allora fai
> >come Marco quando alla tua osservazione secondo cui il pensiero di x и
> >sempre criticabile per ogni x, ti risponde che и vero, ma che "il"
Pensiero,
> >quello non и criticabile.
>
> No!. Io dicevo *appunto* che и assurdo dire che il *mio* - dell'io


> empirico - ragionamento (dicevo: il pensiero di x) sia *la* Logica. E,

> caro Davide, il filosofo che piщ di tutti ha parlato di critica e
> critricabilitа nel senso di critica come *destino* del pensiero (il


> pensiero come *trascendentale* "risolvere il problema"), indovina chi

> и?

A 'sto punto me lo posso immaginare... :-)

> Ti saluto,
> Marco

Saluti anche a te, e grazie.
D.


Adriano Virgili

unread,
Sep 22, 2002, 12:28:23 PM9/22/02
to

Davide <dpio...@libero.it> wrote in message
8X1j9.70048$Hc7.5...@twister1.libero.it...

> Ti ringrazio.

Prego.

>
> A meno che non si crei un gruppo di "analitici" che con un "colpo di
stato"
> si impossessa del gruppo

Iddio ce ne scampi!!!!
Personalmente non sono un fautore della prospettiva analitica, vale a dire
che per come la vedo io la filosofia non può semplicemente limitarsi ad
"analizzare" il linguaggio o la realtà, anzi, sono forse uno dei più grandi
fautori di una filosofia che sappia far propria l'intelligenza
sintetico-intuitiva. L'analisi da sola non ci porta a nulla, questa è però
uno strumento indispensabile al fine di "chiarire" i concetti che
utilizziamo, i quali però, per dirci qualcosa, devono essere poi
"interpretati" nel loro contesto, in relazione al loro contesto. Per
spiegarmi meglio, io vedo il "reale" come una sorta di testo "poetico".
Ecco, ti è mai capitato di leggere una poesia e non capirci nulla e
successivamente, dopo aver dato un'occhiata alle note esplicative,
rileggerla e comprenderla? Credo la che "filosofia" sia il tentativo che
l'uomo compie per "leggere" il mondo. L'analisi filosofica ha la funzione
delle note esplicative, vale a dire analizzare "frammenti" della realtà
concettuale in modo da chiarirne il significato e permetterci poi di
"capire" o "capire" meglio un discorso filosofico. Così come l'analisi di un
testo poetico, magari un testo "ermetico", può aiutarci a capire che questo
è veramente "poesia" e non semplicemente un'accozzaglia di parole gettate lì
a caso, l'analisi di un discorso filosofico può "illuminarci" sulla sua
sensatezza o meno. Rimane però fermo che, se l'analisi ci "spiega" la
funzione, il significato, l'uso corretto, ecc. dei termini di un discorso,
spetta alla visione "intuitiva" dell'insieme del suddetto discorso farcelo
"comprendere".

> > è priva di seno,
>
> Ah! Questa di non avere seno ai miei occhi è la maggiore mancanza
possibile!
> ;-)

Non so perché, ma qualche errore di battitura mi scappa sempre. Che sia un
lapsus freudiano? :o)

>Se ti serve una mano a diffonderlo considerami
> "arruolato"! :-))

Se il mio discorso è valido, troverà la sua strada, altrimenti finirà nel
cestino come tanti prima di lui. Comunque, sono contento che ci si intenda.

> E qui Cosimo ti dice che i due significati non si possono disgiungere.

In base a quale "principio"? Ma forse è meglio che lo chieda a lui. :o)

>
> E qui cosimo ti dice che il "discorso" (logos) non è un gioco, ma la
realtà.

Ed io potrei rispondergli che la realtà è un gioco, anche se non so quanto
divertente.

Un saluto.

--------------------------------------------------------------------------


Adriano Virgili
Accademia dei Dubbiosi

Adriano Virgili

unread,
Sep 22, 2002, 1:03:26 PM9/22/02
to
Cosimo <cosim...@libero.it> wrote in message:

> Nel Tractatus -che mi sono portato a letto,

Ma anche il Tractatus è privo di seno, per quanto ne so io... :o)

> < 6.41 Il senso del mondo deve essere fuori di esso. Nel mondo tutto è
> com'è, e tutto avviene come avviene; non v'è i n esso alcun


> valore -né, se vi fosse, avrebbe un valore.

> Se un valore che abbia valore v'è, esso dev'essere fuori da ogni
> avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è
> accidentale.
> Ciò che li rende non-accidentali non può essere n e l mondo, ché


> altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.
> Dev'essere fuori dal mondo.>
>
> < 6.42 Né quindi vi possono essere proposizioni dell'etica.

> Le proposizioni non possono esprimenre nulla di ciò che è più alto.>

Questi passi "mostrano" bene il "fine" che Wittgenstein attribuiva al
Tractatus (opera di cui, per inciso, sto curando una sorta di introduzione
alla lettura che ho intenzione di pubblicare al più preso sul mio sito). All
'editore von Ficker, Wittgenstein dichiarò che il senso del Tractatus è
prettamente "etico". Ciò non vuol dire che questo abbia lo scopo di
delineare un "sistema" di etica, ma, al contrario il suo intento è proprio
quello di liberare la valutazione ed il comportamento da qualsivoglia
giustificazione "razionale". Qui si vuole mostrare l'invalicabilità del
solco esistente, secondo l'autore, tra conoscenza ed etica, dove "etica"
deve essere intesa come il guardare in faccia la problematicità dell'
esistenza rinunciando ad ogni mediazione di tipo intellettuale. Tutto ciò
viene perseguito attraverso il raggiungimento dei limiti intrinseci del
linguaggio e quindi della scienza, di modo da permettere la contemplazione
di quell'ineffabile, di quell'indicibile che è l'etico.

> < 6.54 Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende,
> infine le riconosce insensate, se è asceso per esse -su esse -oltre
> esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo essere asceso
> su essa.)
> Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede
> rettamente il mondo >

Come sopra.
Il problema è appunto che, secondo Wittgenstein, non è possibile dire nulla
di "logicamente" sensato sui problemi d'ordine etico e metafisico. Questo
non significa, ovviamente, che tali problemi non esistano, ma semplicemnte
che appartengono all'ineffabile, all'indicibile. Non è un caso se proprio
Wittgenstein dopo aver letto Heidegger, a differenza del suo
pseudo-discepolo Carnap (il quale bocciò l'opera del grande filosofo come
un'ammucchiata di pseudoproposizioni), ebbe a dichiarare a Wismann: "Posso
immaginarmi molto bene quel che Heidegger intende con 'essere' e 'angoscia'.
L'uomo ha l'impulso ad avventurarsi contro i limiti del linguaggio. Pensate
allo stupore per il fatto che qualcosa esista." Proprio questo "stupore" ci
"precipita" nella dimensione dell'indicibile: come dire lo "stupore"? Questo
non significa che non si possa dire "dello" stupore, "mostrarlo" alla
"sensibilità" altrui, perché questo, per così dire, sgorghi nella loro
anima.

Per ciò che concerne l'essere che è, io volevo semplicemente dire che una
tale espressione non ha un senso "logico", ed ho aggiunto che "volendo"
potrebbe essere recuperata al senso come parte di un "discorso poetico" o


"gioco linguistico" e quindi "intrisa"

di significato nell'ambito di tale discorso o gioco. Personalmente
preferisco evitarla, poiché l'impegno per "significarla" è un onere inutile,
quando, invece, può semplicemente essere evitata e sostituita con altre
espressioni "immediatamente" meno ambigue.


Un saluto.


P.S.

Non è un caso che le mie modeste "Meditazioni sul senso della vita", pur
nella loro estrema informalità, rechino come epigrafe proprio una citazione
tratta dal Tractatus, una citazione della parte "etica" dello stesso.

Cosimo

unread,
Sep 22, 2002, 2:21:49 PM9/22/02
to
Adriano Virgili wrote:


> > Nel Tractatus -che mi sono portato a letto,
> Ma anche il Tractatus è privo di seno, per quanto ne so io... :o)

Giusto, ma il lato positivo della cosa, e decisivo, è che è privo anche
di determinati e pericolosi attributi :-)

> [...]


> Questi passi "mostrano" bene il "fine" che Wittgenstein attribuiva al
> Tractatus (opera di cui, per inciso, sto curando una sorta di
> introduzione alla lettura che ho intenzione di pubblicare al più
> preso sul mio sito). All 'editore von Ficker,

Ottimo nome per un editore di pubblicazioni da portarsi a letto! :-))

> Wittgenstein dichiarò
> che il senso del Tractatus è prettamente "etico". Ciò non vuol dire
> che questo abbia lo scopo di delineare un "sistema" di etica, ma, al
> contrario il suo intento è proprio quello di liberare la valutazione
> ed il comportamento da qualsivoglia giustificazione "razionale".

D'accordo, d'accordissimo sul senso del Tractatus così come ne dici qua.
Fin qua.
Ma poi...

[...]


> Per ciò che concerne l'essere che è, io volevo semplicemente dire che
> una tale espressione non ha un senso "logico", ed ho aggiunto che
> "volendo" potrebbe essere recuperata al senso come parte di un
> "discorso poetico" o "gioco linguistico" e quindi "intrisa"
> di significato nell'ambito di tale discorso o gioco. Personalmente
> preferisco evitarla, poiché l'impegno per "significarla" è un onere
> inutile, quando, invece, può semplicemente essere evitata e
> sostituita con altre espressioni "immediatamente" meno ambigue.


Qui invece non concordo per nulla, e non concorda nemmeno Wittgenstein,
il quale ci tiene a ribadire che "la logica è a priori" (almeno nel
Tractatus, prima della sua "svolta" pragmatista).
Non c'è nulla di meno ambiguo del pdnc (l'affermazione di Parmenide),
che è la sorgente di ogni senso. Se provi a dare un significato alle
parole che intenderebbero negarlo (e una forma di tale negazione sarebbe
renderlo contingente come "espressione" poetica o "gioco linguistico")
vedrai che non puoi fare a meno di stabilire *stabilmente* il
significato di tali parole, di af-fermarne l'identità; dunque la
negazione del pdnc, è sostanzialmente autonegazione.
Se "D" è il discorso che nega l'identità con sè dell'essere (ovvero di
ogni essente), il significato di "D" o è qualcosa, è una regione
determinata dell'essere, o è nulla. Se è nulla, fa niente :-), ma nel
primo caso ti pare che possa negare l'esser sè dell'essente senza
autonegarsi, e dunque senza riconfermare il pdnc?
E' questo è l'unico modo in cui il pdnc si "dimostra", ovvero attraverso
l'elenchos, perché esso è l'immediato, il per sè noto (non per-altro,
non mediante altro). Il pdnc non si dimostra per mezzo di un "principio"
(più alto, più originario) in quanto è già esso il principio di ogni
dimostrare.

Ambiti di significati diversi, giochi linguistici diversi, in tanto sono
tali in quanto hanno un tratto fondamentale comune; Wittgenstein fa
l'esempio della somiglianza di lineamenti fra persone di una stessa
famiglia. Chiedo come sia possibile scorgere quella somiglianza senza
riferirla ad un tratto comune, o come in genere sia possibile concepire
la differenza fra A, B, C, D, etc etc, senza scorgere sia *l'unità in sè
di ogni differente*, sia l'unità *a cui fanno capo i differenti* -ché
altrimenti sarebbero assolutamente differenti, ma, a parte in questo
caso l'assurdo di avere una molteplicità di assoluti, ugualmente avremmo
l'identità di tali differenti sia come differenti sia come quei tali
differenti.
Allora, se il pdnc, o l'affermazione di Parmenide, non ha un senso
logico, pregherei che si rispondesse a tali domande, o che si
risolvessero tali problemi.


> P.S.
> Non è un caso che le mie modeste "Meditazioni sul senso della vita",
> pur nella loro estrema informalità, rechino come epigrafe proprio una
> citazione tratta dal Tractatus, una citazione della parte "etica"
> dello stesso.


Benissimo. Speriamo che quella citazione abbia, mantenga, almeno alluda
ad uno stesso stabile significato. Altrimenti, quella citazione potrebbe
significare "jkghighigi", oppure indifferentemente
"il gran piano del silenzio verde", oppure "Parigi val bene una messa",
oppure "porca Eva!".

E bada che non sto facendo della facile ironia, c'è anche dell'ironia,
ma non è solo ironia.


Ciao,
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 22, 2002, 2:49:45 PM9/22/02
to

"Adriano Virgili" <adr...@tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:amkt5o$iok$2...@lacerta.tiscalinet.it...

> Cosimo <cosim...@libero.it> wrote in message:
>
> > Nel Tractatus -che mi sono portato a letto,
>

> Ma anche il Tractatus č privo di seno, per quanto ne so io... :o)

Ah!!!! Questa č bella!!!
Sěsěsěsěsě!!! Questa č proprio bellina :-))))

Sinuhe l'Egiziano

unread,
Sep 22, 2002, 2:56:02 PM9/22/02
to
"Davide" <dpio...@libero.it> wrote in message
news:dhoj9.74947$Hc7.6...@twister1.libero.it...

> Ah!!!! Questa č bella!!!
> Sěsěsěsěsě!!! Questa č proprio bellina :-))))

Di alto livello anche quella sull'editore.... :-)

Salutoni

Sinuhe


20QfwfQ02

unread,
Sep 22, 2002, 6:38:32 PM9/22/02
to

"Davide" ha scritto:
>
> "20QfwfQ02" ha scritto:

>
> >Nessuno ha scelto qualcosa a priori per te, ma ti ha messo
> > intorno una molteplicità di cartelli stradali (il presente, in cui
> > è attivo il passato sotto forma di memoria, in particolare
> > filogenetica).
>
> E quando negli stessi cartelli stradali tu ci leggi di fondere i cannoni
> ed un altro di puntarli?

Perché? Tu non ti prendi nessuna responsabilità? Su tutti i cartelli ci sono
scritte più di due varianti, ma sotto, dopo che hai riempito con le crocette
gli spazi appositi, ci devi mettere la firma tu. Anche la facoltà di pensare
ti è stata data, ma dentro non c'era il codice stradale. Tu potevi
mettercelo e non mettercelo. Quello che ti viene dato è un bagaglio di
potenzialità, non un listato di scelte. Dopo averti dato un ventaglio di
opportunità, il Padreterno ti mette la penna in mano e si ritira sullo
sfondo. Se hai compilato male il modulo, cioè hai fatto scelte
contraddittorie, incoerenti, non hai fatto la Sua volontà. Quelle coerenti
potevano essere chissà quante. Il fatto è che non si torna indietro. Un po'
uno sbaglia sempre, ma in quel caso ha altre opportunità (quindi le cazzate
non devono essere troppo grosse).


>
> Come fai a *sapere* che tu ci stai leggendo la Volontà di *** e non sei un
> semplice coglioncello pacifista e sdolcinato alla Jacopo Fo i cui libri
> occupano inutilmente gli scaffali di Marco densi di "filosofia
> originaria"?

Sugli scaffali di Marco, a quanto sento, c'è di tutto, ma se deve decidere
di sfoltirlo penso che ci tenga Aristotele e non Jacopo Fo (e neppure suo
padre). Una scelta sua, non di *** né di Jacopo Fo.


>
> > Mo' vi saluto
>
> Eh! Oggi che è il tuo compleanno riposati!
> (Effettivamente devo ammettere che così laconico e conciliante non ti
> avevo mai visto... ti sei misurato la febbre? :-))

I pizzoccheri reali (oggettivi ed eccellenti) gentilmente offertimi da Forex
l'altra sera insieme alla sua simpatia, e la torta virtuale alla panna
offertami su ias hanno placato la mia fame genetliaca e filosofica di
affetto. Per ora.

Guarda però che, se rivedi con calma quello che ho scritto, il tono è forse
conciliante e postprandiale, ma ho riproposto il paradosso del "presente",
che è un buco nero della metafisica. Il passato esiste solo nella memoria,
il futuro non c'è ancora, e infine il "presente" è temporalmente inesteso,
cioè atemporale (eterno da un certo punto di vista). Dunque il daffare di
*** non sarebbe quello di srotolare "nel tempo" una pellicola stampata una
volta per tutte, ma di fare il suo mestiere di Creatore, creando *ogni*
presente. In tale presente noi (noi intesi come mondo) facciamo le nostre
scelte progettando un futuro. E quello ci sarà dato, perlomeno tanto quanto
non negante il criterio di fondo, la logica dell'essere. Il che non solo ci
dà un'enorme responsabilità (questa volta in particolare a noi come umani),
ma apre allo spazio del possibile ciò che in un'ottica del continuo
temporale (e di un'assolutezza delle leggi della natura) è impensabile.

D'altra parte l'idea dello srotolamento è contraddittoria, perché lo
"srotolare" è un mutamento mentre la realtà sarebbe immutabile. Un tempo
avevo analogamente pensato, dando in ipotesi credito a una geometria
quadridimensionale del reale, a un traguardo di osservazione che scorre
sulla geodetica spaziotemporale del cosmo. Ma c'è la stessa contraddizione,
perché anche quello spostamento è mutamento. E sarebbe proprio *** a mutare
mentre il cosmo sarebbe immutabile. Allora ho cominciato a pensare che più
verosimilmente il mutamento - del quale non abbiamo ragione di dubitare se
non negando la realtà stessa del nostro pensare (anche quando diciamo
"apparire" stiamo dicendo che ciò che ora appare non è più quello che
appariva un picosecondo prima) - e la Creazione siano la stessa cosa, e che
la dinamica dell'esistenza sia la manifestazione necessaria del carattere
creatore di ***. Con ciò la libertà di *** non è in dubbio, ma neppure
quella degli esseri, pur nei limiti della forma che *si* sono dati con le
*loro* scelte.
Paradossalmente quindi, il paradosso del "presente", con le sue conseguenze,
sembra far decadere ogni altro paradosso, in particolare quello di un dio
che crea qualcosa che supera il suo potere (es. un gelato così grosso che
neppure quel dio può mangiarlo, nemmeno aiutato da Davide). Un paradosso
molto caro all'aneddotica atea, rimasta - sembra -, nelle sue
rappresentazioni, a un dio apprenti sorcier.
>
> Ciao, ri-auguri

Ri-grazie.
QfwfQ

Davide

unread,
Sep 22, 2002, 7:16:39 PM9/22/02
to

"20QfwfQ02" <mauri...@fastwebnet.it> ha scritto nel messaggio
news:XYrj9.2669$xE4....@tornado.fastwebnet.it...

> Allora ho cominciato a pensare che più

> verosimilmente il mutamento [...] e la Creazione siano la stessa cosa,


> e che la dinamica dell'esistenza sia la manifestazione necessaria del
> carattere creatore di ***.

Mh... interessante... sta a vedere che i Queffe che nel giorno del loro
compleanno diventano dei fini filosofi... peccato che ormai è già passata
mezzanotte e per riaverti a questi livelli mi toccherà aspettare un altro
anno! :-))))

Davide

unread,
Sep 22, 2002, 9:37:44 PM9/22/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:1Tnj9.31090$Av4.6...@twister2.libero.it...

> Se "D" è il discorso che nega l'identità con sè dell'essere (ovvero di
> ogni essente), il significato di "D" o è qualcosa, è una regione
> determinata dell'essere, o è nulla. Se è nulla, fa niente :-), ma nel
> primo caso ti pare che possa negare l'esser sè dell'essente senza
> autonegarsi, e dunque senza riconfermare il pdnc?

Ferma qua. Ché ogni tanto mi si sbloccano un paio di neuroni (ops! scusa,
volevo dire di anim-oni).

Innanzi tutto sono d'accordo con Adriano che "l'essere è" non è il massimo
della chiarezza semantica. Anzi, a me ancora non è chiaro. E se c'è un sacco
di gente che come me non ce l'ha ancora chiaro vorrà dire: 1) che 'sta gente
è cecata, ma anche 2) che chi lo usa bisogna che faccia qualche sforzo ogni
tanto per "sincronizzare la semantica" (come si fa quando si dice: io qui
intendo questo, ci siamo? oppure con degli esempi di casi particolari,
eccetera).

Detto ciò, se prendo in considerazione la tua frase "l'identità con sè
dell'essere (ovvero di ogni essente)" sembra quasi che quando dico "l'essere
è", stia semplicemente dicendo che, per ogni possibile x (di cui si possa
predicare qualcosa), "x è x".

E ci torni poco dopo, dove dici che "ti pare che possa negare l'esser sè
dell'essente senza autonegarsi [...]?" Qui infatti si trae l'impressione che
la frase "l'essere non può non essere" equivalga ad affermare che per ogni
possibile x (di cui si possa predicare qualcosa), "x non può essere non-x".

Insomma, a leggere il "dettato" di ciò che scrivi, sembra quasi di poter
ricavare quanto segue:

1) "ente" = qualunque x di cui si possa predicare qualcosa (poiché, come mi
hai mostrato altrove, se di qualcosa si può predicare allora quella cosa è)
2) "l'essere è" = "per ogni x di cui si può predicare qualcosa, x = x è
vera"
3) "l'essere non può non essere" = "per ogni x di cui si può predicare
qualcosa, x <> x è falsa"

Se è così, allora:
* innanzi tutto la 3) si ricava dalla 2), per cui è "ridondante" nella
esposizione dei principi fondamentali della filosofia "originaria",
* in secondo luogo se cerco di negare la 2) ottengo una proposizione D(x)
che è "implicitamente" falsa, ovvero è falsa per ogni x, e questo sembra
essere la forma "umana" di tutte le vostre tirate sul PDNC e
l'"autonegazione" della negazione del PDNC.

In sostanza, tutta la filosofia "originaria" starebbe nella 2), e potremmo
concentrarci su di essa.

Ora, se le cose stessero così, io potrei considerarmi "appagato", poiché in
*questa* forma tutta la faccenda parmenidea per me è "accettabile" (nel
senso che sono in grado di parlarne). D'altra parte mi sembra strano che la
cosa sia "tutta qua", perché quando per una settimana e più ho continuato a
ripetere "non so cosa sia l'ornitorico ma, qualunque cosa sia, so che
*l'ornitorinco è l'ornitorinco* e *non può essere* altro-da-sé, sicché non
può essere - fra l'altro - un'anatra con la pelliccia né un castoro col
becco" sembrava che dicessi chissà quale stranezza.

Ci deve essere quindi qualche "quid" che mi sfugge nel tentativo di
"catturare" Parmenide con le mie care x.

Fammi sapere, pleeeease :-)
D.


Marco V.

unread,
Sep 23, 2002, 7:49:00 AM9/23/02
to
On Sun, 22 Sep 2002 15:25:56 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:


>Sì, l'ho letto e avete ragione. O meglio, sento ancora un po' di "odore" di


>"giochetto con le parole", ma ho capito che la mia argomentazione non va. Ho
>anche provato a "riorganizzare" un'altra risposta, che ho "attaccato" alla
>risposta di Cosimo a cui tu fai riferimento.

La leggerò con più attenzione quella tua risposta. Magari se ne
riparlerà. Dici comunque:


>Le proposizioni stanno nel pensiero, ma la foglia, l'oggetto foglia, non sta
>nel pensiero

E' qui che viene alla luce la questione da dibattere - lascio
*volentieri* posto a Cosimo!. Ma poi, se ti convinciamo anche qui, va
a finire che del fisico Davide non resta più niente o quasi...

>Anche qui devo dirti quello che ho già detto a Cosimo. Ogni tanto incontro


>qualcuno che fa il l'idraulico e si diletta di libri divulgativi sulla
>scienza nel fine settimana e mi viene a raccontare la sua ultima pensata su
>una possibile "interpretazione" della MQ.

>Io di solito sto buono e cerco anche di rispondere, ma il fatto di essere
>mortale mi costringe a scegliere se lasciargli occupare tutto il mio tempo
>(purtroppo finito) o essere un po' supponente e tentare di liquidarlo. La

>mia "risposta" a Cosimo è probabilmente del tipo "idraulico" (è che mi sono


>intestardito a non accettare i fumi della filosofia idealista senza fare i
>"tagli" della filosofia analitica - diciamo che sto cercando una "terza

>via"; il che magari per me può essere proficuo, però mi rendo conto può far


>perdere un sacco di tempo - e di pazienza - ai miei interlocutori). Anche in

>questo caso quindi ti dico che se ti va di darci una occhiata bene. Sennò
>non posso sicuramente prendermela.

Ti dirò che - *visto che* tu stesso hai ripetutamente affermato di
aver imparato qualcosa qui (da chi non importa) - prima o poi dovrai
essere *tu* a farci imparare qualcosa. Per esempio, di fisica...o
anche di filosofia...Questo dal punto di vista "dottrinale". In ogni
caso si impara *sempre* non essendo la vita altro che un conoscere. Al
più si imparano sciocchezze - preferibilmente come tali.

>Io non ho una risposta filosofica da darti (ho un insieme di tasselli che

>non so se potrò mettere assieme). Però devo dirti una cosa che mi rendo


>conto essere offensiva: continuo a percepire nel tuo approccio un desiderio
>di "tagliare corto" e "passare ai fatti" che mi ricorda certi discorsi che
>io e Cosimo in questi giorni ci siamo un po' divertiti a citare e parodiare.

>Questo è un appunto: personale, pieno di pregiudizi, poco educato nei tuoi


>confronti, eccetera. Non sono disposto a farti nessuna "guerra preventiva"

>per fermare le tue-da-me-presunte-intenzioni (perché per ora è tutta roba
>che è nella mia testa); mi limito a trovarti un po' "rigido".

Vediamo un pò...mi è già capitato una volta di dovermi diffondere su
questo punto, e la colpa è chiaramente mia. Innanzitutto ti dirò che -
e te l'avevo già detto - io non metto mai da parte il fatto che qui a
confrontarsi sono discorsi. (La risposta alla tua domanda esige forse
che invece lo metta da parte, e sia!). L'unica intenzione che potrei
avere è di *confrontare* il mio discorso con altri - se fosse dipeso
da me, la moderazione non la si sarebbe proposta *mai*, non voglio che
manchino discorsi con cui confontarsi, ma un pizzico di "censura"
sarebbe necessario etc.etc.etc. . E sì, confrontarsi anche su temi
come la vittoria di Be., il militarismo di Israele, l'immigrazione e
le varie posizioni ideologiche nei suoi confronti, il nostro futuro
etc. etc. Nel senso che mi rifiuto di confinare il mio umilissimo
discorso sul versante della logica e della teoresi filosofica - chè
farlo sarebbe astrattezza ed in ultima analisi vigliaccheria. Questo
perchè farlo significherebbe non preoccuparsi di quel futuro che
trascende la mia persona empirica - futuro di cui un amico di ICF mi
ha recentemente detto (e lo condivido assolutamente) stargli a volte
più a cuore del futuro che lo riguarda individualmente. Che "ci si
debba guardare dalle persone che si preoccupano del futuro altrui", è
una imbecillagine da decerebrati piuttosto che da "scoglionati
pacifisti"...(che poi tanto "scoglionati" non sono...)
Dunque ecco una prima causa della apparente "rigidità" del mio
discorso: non sono individualista. Ed *infatti* non appartengo a
nessuna "parrocchia" (e dunque non potrei esere uno di quelli
"arraggiati" per la sconfitta della propria ideologia) se non alla
parrocchia italo-occidentale. Mi pare che oggi i discorsi che chiedono
di essere ascoltati non ci parlino più di "spezzare le reni"(=
ritrovarcele spezzate noi) a questo e quest'altro, no? Benissimo così.
Ciò non toglie che i discorsi oggi vigenti io li voglia "punzecchiare"
a dovere per vedere se *meritano* di essere ascoltati - e cioè, se
sono *veramente* ascoltati, o se altro è il discorso che è ascoltato.
*Se* il discorso che stiamo ascoltando noi tutti è essenzialmente un
altro, allora buona parte della cultura contemporanea è vernice di
qualità scadente...
Un'altra possibile causa della "rigidezza" che rilevi nel mio
discorso: non faccio uso di ":-)" ed annessi. Non per "purismo". Non
ne vedo l'utilità...forse perchè sono un tipo dal sorriso facilissimo
(altro che Jorge).
Un'altra possibile causa dei tuoi "sospetti": parlo spesso di *noi* in
opposizione all'altro da *noi*. Ma se solo ci hai capito qualcosa
della differenza trascendentale/empirico, i tuoi sopsetti dovrebbero
evaporare...

Da un'altra parte hai scritto che:

>Come fa Marco a *sapere* che "giving war a chance" è "accettare la volontà
>di ***" (e quindi non è volontà di potenza) e invece organizzare degli
>interventi economico-sociali è "volontà di potenza/contraddizione"?

Ma "giving war a chance" - lo dicevo a proposito della situazione
israelo-palestinese ed in genere lo ripeto laddove mi confronto con
posizioni di rifiuto aprioristico (ma non credo fosse il tuo caso)
della guerra - altro non è se non *volontà di potenza*! Cosa mai
potrebbe essere? Eternità del'essere?!. Non credo che ci sia bisogna
di ricordarlo. Ma appunto *visto che* il "mondo" è il mondo della
volontà di potenza - visto che in questo mondo si passa dall'essere al
niente in un battibaleno -, la mia posizione consiste nel riflettere
su quell'insieme di regole di potenze in cui consiste la volontà di un
popolo. E ancora, nel riflettere su come la totalità dei discorsi che
chiedono di essere ascoltati esprimendo in varie forme il rifuto della
violenza, si pongono in relazione a quelle regole. Regole che a me
paiono essere regole del nostro futuro in quanto nostro. E cioé:
regole di concretezza. Regole dell'essere noi *noi*.



>Marco!!! Ma non esistono "Gli Islamici". Ci sono: 1) degli islamici
>(pochissimi) che nuotano nell'oro e tengono la popolazione nella miseria e

>nell'ignoranza insegnando loro che "è colpa del satana occidentale"; 2)


>degli islamici (molti) poveri e ignoranti talmente disperati e pieni di
>rabbia che sono disposti a farsi saltare pur di sfogare questa loro rabbia
>contro quelli che altri gli hanno indicato come "nemici"; 3) degli islamici
>(non pochi, ma purtroppo non abbastanza) eredi di una cultura millenaria che

>è anche uno dei pilastri della *nostra* cultura; 4) eccetera.

Non vedo perchè dovrei rinunciare a capire che mediante il riferimento
ai valori costituzionali, le organizzazione islamiche conseguono
*potenza*. Compreso questo, dormo sonni tranquilli, provo la
necessaria pietà, non ho alcun ingenuo ed innocente e
divertente-da-leggere rancore fallaciano verso l'Islam e so che
l'immigrazione continuerà. Ci rifletto però senza fare salti di gioia
ed immaginare scenari fantastici, avendo anche compreso che una
Costituzione o una Carta dei Diritti immaginate come un idolo
intoccabile sottratto al divenire storico, sono carta straccia; o
meglio, carta da stracciare; o meglio ancora, carta *già* stracciata
nell'atto stesso in cui la si è riempita di inchiostro.
Che "Gli Islamici" non esistano, è una applicazione del pluralismo che
in ogni caso non può impedire di riconoscere qualcosa di identico in
bin Laden e nel marocchino sotto casa, così come c'è qualcosa di
identico in Torquemada e Ratzinger. Il punto 3) è un monstrum logico
laddove vorrebbe porsi come fondamento di un *qualsiasi* atteggiamento
nei confronti del fenomeno immigratorio. E' una falsità laddove vale
come giudizio sulla civiltà occidentale - forse proprio perchè in tale
gudizio si esprime la civiltà occidentale stessa. Ma ne parleremo
un'altra volta. Chiaramente avrai capito che sono un "nemico giurato"
di ogni idea di "mescolanza tra civiltà", "contaminazione tra culture"
*nel senso* che affermo che sono contenuti concretamente inesistenti,
astrazioni, mediocri cerebralismi etc. etc. Non sono organicista,
Spengler o non Spengler.



>Te lo ripeto in modo decisamente antipatico: sei ferito da qualche cosa (che

>non sono gli islamici) e hai bisogno di ferire. Non è così grave perché
>probabilmente ciò è dovuto al fatto che sei molto giovane (non so quanti
>anni hai - sei hai passato i quaranta la cosa è un po' più preoccupante), e
>sei stato poche volte all'ospedale, e forse non hai un cane né un gatto.


>Questo non ha niente a che vedere con la tua intelligenza e la tua cultura

>(che apprezzo, perché anche io quando pensa che non ne valga la pena taglio


>corto). E se a te questo sembra melodramma sbrodoloso da pacifista senza

>palle non so che farci: è anche questo dovuto all'età ;-)

Sommando i gatti che ho avuto, credo seriamente di sfiorare la
cinquantina. Per un pò mi si dirà ancora giovane. All'ospedale ci sono
finito finora tre volte a causa di cadute motociclistiche. E se me ne
capita un'altra, guai a te!! 7/1993,
11/1994,10/2001: ci vedi qualche regolarità? Sono comprimibili? E non
mi risponderai mica che te ne servono altri di questi dati?!

Dici "ferire". Se fossi qui per ferire, sarei frequentatore di altri
NG - magari di storia, se ho ben capito che idea di me ti sei fatto...
"Stuzzicare", quello magari sì. Mi sembra che è il medesimo che tu fai
con Hegel e compagnia, no? Io "stuzzico" quando e se è il caso la
non-violenza ed annessi. E' o non è un discorso udibile ovunque?
Insomma Davide, perchè l'"aborto" sì e la "guerra" e la "caccia alla
volpe" e la "polenta con gli uccellini" no io non rinuncio a
chiedermelo ed a chiederlo. E se uso un linguaggio "rigido", è perchè
oggi è rigido il muro che va abbattuto per poter parlare di certe
cose.


>Sì, certo, ma fra scelte ideologiche e "complotto" (perché tu Marco tendi un
>po' a vedere "complotti") c'è una certa differenza.

No. Di "complotti" io non voglio nemmeno sentirne parlare.




>Eddai con sta ondata scientifica. Come quando mi dici che tanto lo sai che
>io fra me e me penso: "parlate parlate che un giorno dovrete *implorare* la

>scienza di essere tollerante". A me! Tu che sei sempre lì con i cannoni e i
>cannoneggiamenti.

Quella frase la sottoscrivo mille volte. Riassume ciò che io penso
della relazione tra scienza-tecnologia e la maggior parte della
filosofia contemporanea. E poi dai, ciascuno ha la sua bella batteria
di can(n)oni!.


>Non so se sono equivalenti. Ad esempio in ciò che ho "sbocconcellato" qua e
>là di idealismo non ho trovato niente di simile alla nozione di "intentio"
>come è stata formulata da Brentano e dagli scolastici (e che è presente
>anche nel lavoro di Husserl). Già Agostino d'Ippona aveva chiaro che
>l'intentio può non essere nota al soggetto. Questo fatto di avere *sempre*
>una intentio anche quando non la *sappiamo* è cruciale per il mio approccio


>al mondo (visto che i giochetti metapsicologici di Freud sull'inconscio mi
>puzzano troppo da ingegneria della mente).

Concordo sulla parentesi. Ma l'idealismo sul "sapere" e "sapere di
sapere" la sa lunga.

>> Il caso di Severino - che in ogni caso è tradotto diffusamente
>> all'estero, almeno credo - è ancora più emblematico. Severino "paga"


>> semplicemente l'implicazione che la sua filosofia ha sul concetto di

>> violenza. Severino ci mostra l'*identità* sussistente tra - facciamo


>> un esempio scabroso - il Reich hitleriano e la UE laica e pacifista.
>

>Perché entrambe nientificano l'ente?


>Marco!!! Ti ripeto la faccenda melodrammatica, non filosofica e sbrodolona
>dell'ospedale, del cane e del gatto.

>Ma che bisogno hai di fare degli esempi così?

Lasciamo stare il *perchè* - chè lo dovremo discutere a lungo (non
crederai mica che io mi fidi acriticamente di S.?). Vediamo di dire
qualcosa sul *che*. E ritorniamo al tema della violenza, no?
(Apprendo con piacere che la "ministra" tedesca che aveva
creativamente paragonato il presidente texano al tedesco di adozione
Hitler, si è dimessa.)



>> La filosofia di Severino *non* ha quel sotterraneo fluire verso la
>> "tolleranza", il "pluralismo" etc. (tutte cose a cui formalmente non

>> imi oppongo affatto nella prassi, per carità di Dio!).
>
>Ma se mi hai fatto una testa così sulla identità di prassi e teoria!


>Insomma, se vuoi dire che le robe alla Jacopo Fo sono "senza palle" (e pure
>insensate) dillo pure, ma poi bisogna che trovi una "pars costruens"

>alternativa, sennò a me restano i miei dubbi sulla tua "intentio" (che può


>anche non esserti nota fino in fondo - Agostino d'Ippona).

Dicevo "formalmente"...Che "tolleranza" ed annessi siano formalmente
un valore, è fuori di ogni dubbio. Si tratta appunto di vedere
teoreticamente da dove la prassi viene fuori.
Certo. Puoi pensare che Severino mi stia simpatico perchè non eleva
inni alla "tolleranza". D'altra parte io posso pensare che a te *non*
sta simpatico perchè quegli inni *non* li eleva. Ma sono cose che
evidentemente non hanno nessuna importanza. Il discorso poi lo si
vaglia criticamente, logicamente e non psicologisticamente.

La pars costruens te la mostro così. C'è l'immigrazione (che tanto è
quello il punto inevitabile di convergenza del discorso sulla
violenza, no?). C'è la convinzione che i morti che ci sta "donando" il
mare siano morti per scampare alla miseria, alla guerra, alla fame,
insomma al *dolore*. C'è anche la convinzione che innumerevoli altri
essere umani siano sottoposti nei medesimi paesi alle medesime
condizioni. C'è la convinzione che occorre accogliere quelli che
attraversano il mare per venire da noi e non bisogna sparare cannonate
sulle loro carrette. Giustamente Livio una volta dicevo che questo lo
si potrebbe fare - si avrebbe la potenza militare per farlo -, *ma*
non lo si fa. E questo *ma* ha un valore *etico*. Però neppure accade
che si organizzino trasferimenti delle popolazioni sofferenti la fame,
la miseria, la guerra, qui da noi nel ricco Occidente. Accade che li
si lascia invece nelle medesime condizioni dalle quali provengono
quelli che si accolgono nè si sta progettando un loro trasferimento;
cioè, accade che li si lascia perire. Perchè la nostra "solidarietà"
non è tale da imporci di sottrarli tutti a quelle condizioni? Il
fondamento del suo non essere tale, è *eticamente* la pars costruens
del mio discorso che vuole mostrare la concretezza dell'essere un
valore il *nostro* valore.

Da un lato sono contento di essermi dovuto dilungare in questi
chiarimenti (spero che siano tali) - perchè ciò dimostra che sulla
violenza la sensibilità ed i pregiudizi sono alle stelle; con questo
non mi "discolpo". Questo è perchè si commette l'errore di proiettare
certi "valori" inerenti il rifiuto della violenza - che vanno
benissimo come regole di funzionamento della nostra società e del
nostro apparato di potenza - nel cielo delle stelle fisse. Dall'altro
ciò mi rattrista sul versante filosofico perchè sono convinto che non
è impossibile che un giorno la filosofia si riduca a "dover
*implorare* la scienza di essere tollerante". Che è - tanto per fare
un nuovo esempio - come implorare un "pacifista" di essere
antiamericano.

Ti saluto,

Marco

Cosimo

unread,
Sep 23, 2002, 9:05:41 AM9/23/02
to
Davide wrote:

> > Se "D" è il discorso che nega l'identità con sè dell'essere (ovvero
> > di ogni essente), il significato di "D" o è qualcosa, è una regione
> > determinata dell'essere, o è nulla. Se è nulla, fa niente :-), ma
> > nel primo caso ti pare che possa negare l'esser sè dell'essente
> > senza autonegarsi, e dunque senza riconfermare il pdnc?

> Ferma qua. Ché ogni tanto mi si sbloccano un paio di neuroni (ops!
> scusa, volevo dire di anim-oni).

Per il noto principio secondo cui un numero sufficientemente elevato di
qualsiasi cosa produce una mutazione qualitativa: 5 gocce d'acqua sono 5
gocce d'acqua, ma NSE (numero-suff-elevato) ti fa un mare :-)

> Innanzi tutto sono d'accordo con Adriano che "l'essere è" non è il
> massimo della chiarezza semantica. Anzi, a me ancora non è chiaro.

L'affermazione completa, è "l'essere è e non può non essere". Stabilisce
una opposizione, e la stabilisce nella sua ampiezza massima, che
possiamo anche chiamare, con un termine tecnico della filosofia,
"trascendentale" (= valido per ogni).
Essere = la totalità di ogni determinazione, di ogni "ciò-che-è", di
ogni essente.
L'affermazione stabilisce insieme, senza posporlo in una ulteriorità
logica, che ogni essente *sia* necessariamente (e sia quel'essente, e
non un altro), differenziandosi infinitamente dal suo opposto, che è il
ni-ente in relazione alla determinazione, o il nulla, in relazione
all'intero delle determinazioni essenti, all'essere.
Che l'essere sia e non possa non essere, significa che ogni "ciò-che-è"
è come tale necessario, innegabile, incontrovertibile, *non* si
identifica al suo opposto, al "ciò-che-non-è" come ni-ente.

Quella affermazione non è il massimo della chiarezza semantica perché
non fa parte di una scala di gradazioni di chiarezze e oscurità
semantiche, essendo piuttosto *ciò per cui* qualcosa può essere
semanticamente più o meno chiaro.

E' "semanticamente chiaro" affermare "la mela è rossa" se e solo se non
è controverso che la mela sia la mela (e quella mela), che il colore
rosso sia il colore rosso (e quel colore rosso), che la sintesi fra
quella mela e quel colore rosso sia la sintesi fra quella mela e quel
colore rosso (e quella sintesi).


> E
> se c'è un sacco di gente che come me non ce l'ha ancora chiaro vorrà
> dire: 1) che 'sta gente è cecata,

Il monitor che stai attualmente osservando (e questi segnetti neri che
stai osservando e interpretando come linguaggio), ti è presente sì o no?
Lo vedi sì o no?
Ora, presenza = attualità = esistenza = intuizione = immediatezza.
Giusto? Se questa presenza è "x", vorresti affermare che "x è non-x"? E
*quando* potresti affermare ciò?

Chi contesta il pdnc, e l'incontrovertibilità dell'essere, non solo è
cieco, ma è completamente folle; identifica la presenza con l'assenza,
l'esistenza con l'inesistenza, l'essente con l'assente.

> ma anche
> 2) che chi lo usa bisogna
> che faccia qualche sforzo ogni tanto per "sincronizzare la semantica"
> (come si fa quando si dice: io qui intendo questo, ci siamo? oppure
> con degli esempi di casi particolari, eccetera).

La stessa richiesta di sincronizzare la semantica ("dimmi qualcosa di
chiaro, che io possa capire, con degli esempi particolari") chiede che
venga *presentato* un complesso di significati. E chiede che venga
*presentato* non un complesso di significati tali che "S siano non-S".
La domanda -e ogni domandare- presuppone in realtà, sebbene in forma
oscura nella capoccia di chi la pone, la necessità che il suo
significato sia quello e non un altro. Anche la domanda intende se
stessa come incontrovertibile, non ponendosi come "D è non-D".

Ecco perché Aristotele rispondeva preliminarmente: "per qualunque cosa
tu mi voglia obiettare, dai un significato alle tue parole".


> Detto ciò, se prendo in considerazione la tua frase "l'identità con sè
> dell'essere (ovvero di ogni essente)" sembra quasi che quando dico
> "l'essere è", stia semplicemente dicendo che, per ogni possibile x
> (di cui si possa predicare qualcosa), "x è x".

Yessss!
Ma non è esatto porre quella restrizione nella parentesi, perché non c'è
un possibile "x" di cui non si possa predicare qualcosa, a cominciare
necessariamente dalla sua esistenza; ovvero, ciò di cui non si può
predicare qualcosa è ni-ente. Nulla. Ovvero ancora il *contenuto* della
contraddizione "x è non-x".


> E ci torni poco dopo, dove dici che "ti pare che possa negare
> l'esser sè dell'essente senza autonegarsi [...]?" Qui infatti si trae
> l'impressione che la frase "l'essere non può non essere" equivalga ad
> affermare che per ogni possibile x (di cui si possa predicare
> qualcosa), "x non può essere non-x".
>
> Insomma, a leggere il "dettato" di ciò che scrivi, sembra quasi di
> poter ricavare quanto segue:
>
> 1) "ente" = qualunque x di cui si possa predicare qualcosa (poiché,
> come mi hai mostrato altrove, se di qualcosa si può predicare allora
> quella cosa è)
> 2) "l'essere è" = "per ogni x di cui si può predicare
> qualcosa, x = x è vera"

Qui si può dire che l'esser vero di "x" può assumersi come tale nel
senso dell'esser svelato come essente, nel suo apparire attuale (svelato
cioè, nel senso heideggeriano di verità, come a-letheia).
Preferirei però, per non confondere troppi discorsi, intendere il vero e
il falso come ciò -come tu stesso hai scritto altrove- che pertiene alle
proposizioni.


> 3) "l'essere non può non essere" = "per ogni x di cui si può predicare
> qualcosa, x <> x è falsa"

Sì, con l'obiezione appena detta.

> Se è così, allora:
> * innanzi tutto la 3) si ricava dalla 2), per cui è "ridondante" nella
> esposizione dei principi fondamentali della filosofia "originaria",

In primo luogo la filosofia originaria è quella che ha per contenuto
l'originario, ma tale originario non è di per sè una affermazione nel
senso di una raffigurazione, una esposizione di uno stato-di-cose.
In questo senso il pdnc *non* afferma nulla, ha contenuto semantico zero
(è a-specifico come sovente afferma Maurizio), ma è ciò per cui (e ciò
entro cui) ogni affermare e ogni negare è possibile, è l'origine del
senso di ogni dire e contraddire.
In secondo luogo, ogni analisi è ridondante per definizione, in quanto
dal punto di vista logico non aggiunge nulla all'informazione che
costituisce il "che" di quanto viene analizzato. La priorità logica è
della sintesi, e l'analisi si limita ad esporla da ogni lato, ma è ovvio
che non vi aggiunge nulla. Dunque, non vi sottrae nemmeno nulla che
renderebbe mediata e meno originaria quella sintesi.


> * in secondo luogo se cerco di negare la 2) ottengo una proposizione
> D(x) che è "implicitamente" falsa, ovvero è falsa per ogni x, e
> questo sembra essere la forma "umana" di tutte le vostre tirate sul
> PDNC e l'"autonegazione" della negazione del PDNC.

Che dire? Meglio tardi che mai! :-)
Ma vedrai che ci sarà ancora bisogno delle nostre tirate sul pdnc,
perché le modalità della sua negazione sono tantissime e praticamente
incontrollabili. E la maggiore è l' "evidenza" del divenire, inteso come
l'attestazione (sperimentale ma anche logica) che "A" diventi "B".
Un altro comunissimo modo per negare il pdnc consiste nell'intenderlo
come un principio logico e basta, una regola del pensare corretto, e non
anche il carattere stesso -ontologico- di ogni essente.
Ed è quanto fai tu stesso, contestando l'equazione della razionalità del
reale, e della realtà del razionale. Se il reale non è razionale, come
potrai dir-lo? E se il razionale non è reale, come potrà essere?


> In sostanza, tutta la filosofia "originaria" starebbe nella 2), e
> potremmo concentrarci su di essa.
>
> Ora, se le cose stessero così, io potrei considerarmi "appagato",
> poiché in *questa* forma tutta la faccenda parmenidea per me è
> "accettabile" (nel senso che sono in grado di parlarne). D'altra
> parte mi sembra strano che la cosa sia "tutta qua", perché quando per
> una settimana e più ho continuato a ripetere "non so cosa sia
> l'ornitorico ma, qualunque cosa sia, so che *l'ornitorinco è
> l'ornitorinco* e *non può essere* altro-da-sé, sicché non può essere -

> fra l'altro - un'anatra con la pelliccia né un castoro col becco"
> sembrava che dicessi chissà quale stranezza.

Non dirlo a me, io non ti obiettai altro che un dettaglio logico
abbastanza periferico rispetto al tuo discorso, che per il resto
m'andava, e mi va, bene.

> Ci deve essere quindi qualche "quid" che mi sfugge nel tentativo di
> "catturare" Parmenide con le mie care x.

E' una questione di sensibilità e di orecchio, e di abitudine; e il
simbolismo logico stesso non va confuso con la logica, per la quale
basta il linguaggio naturale.


Ciao,
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 23, 2002, 9:31:46 AM9/23/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d8ef942...@news.kataweb.it...

> La leggerò con più attenzione quella tua risposta. Magari se ne
> riparlerà. Dici comunque:
> >Le proposizioni stanno nel pensiero, ma la foglia, l'oggetto foglia, non
sta
> >nel pensiero
> E' qui che viene alla luce la questione da dibattere - lascio
> *volentieri* posto a Cosimo!. Ma poi, se ti convinciamo anche qui, va
> a finire che del fisico Davide non resta più niente o quasi...

Eh, adesso che me la fai vedere così mi rendo conto di essere finito fra i
denti aguzzi di Hegel. Sono il solito ingenuo.
Anche perché - come ho già detto più volte anche qui e spiegato a più
riprese altrove ai fisici - la cosa-in-sé kantiana fa acqua da tutte le
parti.

Ora, non voglio "barare": l'ho scritto e ne accetto le conseguenze. Tuttavia
vorrei anche sottolineare che per il mio discorso non è strettamente
necessario che la foglia non stia nel pensiero. Mi bastarebbe poter dire -
in qualche modo che spero un novello Kant possa chiarire - che quello che
chiamiamo "foglia" sia qualcosa di diverso dall'unicorno e dalle
proposizioni sulla foglia e sull'unicorno.

Insomma, non ho bisogno della cosa-in-sé (comunque il fatto che l'abbia
usata la dice lunga sulla mia formazione), mi basterebbe poter dire che la
"struttura ontologica" dell'oggetto foglia in qualche modo debba essere
"diversa" da quella dell'oggetto "proposizione sulla foglia".

Che poi, lo ripeto, ci sia un mondo-reale-altro-dal-soggetto in cui "c'è" la
foglia non è poi così importante. Potrebbero essere anche due piani
ontologici diversi dell'intelletto (qualora volessimo affermare che entrambi
sono solo ed esclusivamente nell'intelletto).

> Ti dirò che - *visto che* tu stesso hai ripetutamente affermato di
> aver imparato qualcosa qui (da chi non importa) - prima o poi dovrai
> essere *tu* a farci imparare qualcosa. Per esempio, di fisica...

Mi sembra di non avere mai negato la tesi tua e di Cosimo secondo cui la
fisica non ha nulla da insegnare alla filosofia e, al più, può "stimolarla"
a mettere a punto nuovi strumenti filosofici.

A voler essere rigorosi, anche la matematica non ha nulla da imparare dalla
fisica. Il fatto che la matematica sia stata così profondamente mutata dalla
fisica non è per le implicazioni logiche *necessarie* che la fisica ha sulla
matematica, ma perché i matematici hanno sempre dedicato molte energie a:
1) mettere a punto gli strumenti teorici che i fisici chiedevano loro;
2) dare "fondamento logico" a strumenti matematici che i fisici già usavano
in modo "intuitivo" (magari dopo esserli "inventati" ed averli definiti in
modo approssimativo).

Da questo punto di vista la filosofia potrebbe stare alle "teorie fisiche"
come la matematica sta agli "strumenti fisici".

La differenza però è che mentre i fisici accolgono di buon grado le
puntualizzazioni della matematica, non sono disposti a fare altrettanto con
quelle della filosofia.

La ragione precisa, essendo in parte anche psicologica, non riesco a
verbalizzarla. Tuttavia ne puoi trovare un esempio concreto
nell'atteggiamento da me assunto nel thread sulla MQ: per una settimana non
ho fatto altro - su tutti i fronti - che cercare di "ritirare" la fisica in
un (illusorio?) territorio in cui la componente sintattica fosse abbastanza
predominante su quella semantica da consentirmi di "tenermi a debita
distanza dal discorso epistemico/ontologico".

Non avevo un "discorso già pronto" (tant'è che ho "aggiustato il tiro" a più
riprese): sapevo solo, "a naso", quale "sole" seguire (tu dirai: non sole,
ma tenebra), ed il risultato è stato il solito (che tu stesso hai
evidenziato): alla larga dall'"episteme".

Certo, alcune forme di filosofia vengono accolte entusiasticamente dalla
scienza. Ma - ad esempio - il motivo per cui la scienza accetta di buon
grado ampie componenti della "filosofia analitica", è che in essa prevale
appunto un approccio "sintattico" al linguaggio.

Invece nei discorsi severiniani centrati attorno all'essenza dell'essere c'è
una forte densità semantica rispetto alla componente sintattica.

Secondo la "sensibilità" degli scienziati quella "densità semantica" lì, se
non supportata da un impianto sintattico adeguato, è "pericolosa".

Ora, io mi rendo conto che dicendoti queste cose offro il fianco a tue
eventuali critiche di questo genere:
1) la scienza vuole "tutta sintassi e niente semantica" perché la sintassi è
"vuota", e nientifica l'ente; usare "essere" come copula e basta è non voler
vedere che il mondo è, eccetera;
2) la scienza vuole "tutta sintassi e niente semantica" perché la sintassi è
più "facile": alla fine si ottengono una serie di regolette che può
applicare anche una macchina, lo scienziato vuole ridursi a pura sintassi
per non vedere il suo essere uomo;
3) eccetera, eccetera.

Eppure, Marco, io "tengo duro" lo stesso, perché coltivo l'illusione
delirante di non essere così stupido come pensi tu, e resto convinto che
l'avversione che la mia "sensibilità" mi fa provare per Platone, Hegel e
Severino non sia dovuta (solo) alla mia "cecità". Certo, in questi giorni ho
mostrato a più riprese che la mia avversione è rivolta verso discorsi di cui
ignoro praticamente *tutto*. E mi rendo conto che la mia posizione è
indifendibile in qualunque "tribunale filosofico": cosa altro può spingere
ad avere avversione per ciò che non conosci se non il pregiudizio?

Eppure nella vita capita anche questo: che ti rendio conto di essere in una
poszione "indifendibile" e senti che "ci sarebbe altro da dire", e ti limiti
a sperare che arrivi qualcuno che sappia trovare le parole per dirlo, oppure
ripieghi sulla consapevolezza che forse non può essere detto.

Vorrei solo invitarti a riflettere su un discorso vecchio, stantio, banale e
non filosofico, ma che è sempre lì: se la filosofia dell'essere è la "luce",
perché molte persone che si sono lasciate illuminare da questa luce ce le
ritroviamo lungo tutto il corso della storia più o meno coinvolte in "fatti
di sangue"? Perché lo "stupidissimo" Russell appare del tutto "immune" da
certe "scelte" in cui si è andato a impantanare l'"intelligentisismo"
Heidegger?

Perché il comunismo, pur sembrando una teoria così bella, non ha fatto altro
che morti? Perché il nazionalismo (che purtroppo mi ricorda la tua
"parrocchia italo-occidentale") idem?

Saluti indifesi,
D.


Davide

unread,
Sep 23, 2002, 10:04:40 AM9/23/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d8ef942...@news.kataweb.it...

> Che "ci si
> debba guardare dalle persone che si preoccupano del futuro altrui", è
> una imbecillagine da decerebrati piuttosto che da "scoglionati
> pacifisti"...(che poi tanto "scoglionati" non sono...)

Allora un po' decerebrato lo sono anche io. Spero che non siano stati
danneggiati i centri del piacere e che il danno sia tutto a carico dei lobi
frontali :-)

> non appartengo a nessuna "parrocchia" [...]


> "arraggiati" per la sconfitta della propria ideologia) se non alla
> parrocchia italo-occidentale.

> >Marco!!! Ma non esistono "Gli Islamici". Ci sono: 1) degli islamici


> >(pochissimi) che nuotano nell'oro e tengono la popolazione nella miseria
e
> >nell'ignoranza insegnando loro che "è colpa del satana occidentale"; 2)
> >degli islamici (molti) poveri e ignoranti talmente disperati e pieni di
> >rabbia che sono disposti a farsi saltare pur di sfogare questa loro
rabbia
> >contro quelli che altri gli hanno indicato come "nemici"; 3) degli
islamici
> >(non pochi, ma purtroppo non abbastanza) eredi di una cultura millenaria
che
> >è anche uno dei pilastri della *nostra* cultura; 4) eccetera.
>
> Non vedo perchè dovrei rinunciare a capire che mediante il riferimento
> ai valori costituzionali, le organizzazione islamiche conseguono
> *potenza*.

Freud direbbe che il tuo lapsus al singolare denota la convinzione che ci
sia una sorta di super-cupola dell'Islam che progetta piani contro la
Cristianità :-)

> Che "Gli Islamici" non esistano, è una applicazione del pluralismo che
> in ogni caso non può impedire di riconoscere qualcosa di identico in
> bin Laden e nel marocchino sotto casa, così come c'è qualcosa di
> identico in Torquemada e Ratzinger.

Puoi dirmi che cos'è questo "qualcosa"?

> Il punto 3) è un monstrum logico
> laddove vorrebbe porsi come fondamento di un *qualsiasi* atteggiamento
> nei confronti del fenomeno immigratorio. E' una falsità laddove vale
> come giudizio sulla civiltà occidentale - forse proprio perchè in tale
> gudizio si esprime la civiltà occidentale stessa.

Potresti dirmi - possibilmente in modo filosoficamente rigoroso - come fai a
distinguere uno che appartiene alla "parrocchia italo-occidentale" da tutti
gli altri?

> Ma ne parleremo
> un'altra volta. Chiaramente avrai capito che sono un "nemico giurato"
> di ogni idea di "mescolanza tra civiltà", "contaminazione tra culture"
> *nel senso* che affermo che sono contenuti concretamente inesistenti,
> astrazioni, mediocri cerebralismi etc. etc.

Sono d'accordo con te. Infatti siccome non ho mai trovato nessuno che sia
stato in grado di definirmi biologicamente il concetto di "razza" e
filosoficamente il concetto di "civiltà" (in modo abbastanza rigoroso da
poter stabilire di volta in volta in modo definitivo se un certo organismo
appartiene o no ad una certa razza e se un certo uomo appartiene o no ad una
certa civiltà), continuo a pensare che la "razza" e le "civiltà" siano
parole che connotano e denotano non gli organismi e gli individui, ma i
sentimenti di chi le usa. Quindi per me i discorsi sulle "civiltà
multi-etniche" sono privi di senso perché il mondo è un'unica civiltà
"multi-etnica".

Però sono aperto: resto in attesa di queste definizioni.

> Sommando i gatti che ho avuto, credo seriamente di sfiorare la
> cinquantina. Per un pò mi si dirà ancora giovane. All'ospedale ci sono
> finito finora tre volte a causa di cadute motociclistiche. E se me ne
> capita un'altra, guai a te!!

Basta che ti dai una toccatina alle palle e neutralizzi i miei strali ;-)

> Insomma Davide, perchè l'"aborto" sì e la "guerra" e la "caccia alla
> volpe" e la "polenta con gli uccellini" no io non rinuncio a
> chiedermelo ed a chiederlo. E se uso un linguaggio "rigido", è perchè
> oggi è rigido il muro che va abbattuto per poter parlare di certe
> cose.

Ve', qui sono perfettamente d'accordo con te.
Forse dovremmo festeggiare l'evento :-)

> La pars costruens te la mostro così. C'è l'immigrazione (che tanto è
> quello il punto inevitabile di convergenza del discorso sulla
> violenza, no?).

E' perché te c'hai quella fissa lì.
Io per me parlerei solo di tette e delle violenze psicologiche che le
portatrici delle medesime impongono ai non-portatori.

> C'è la convinzione che i morti che ci sta "donando" il
> mare siano morti per scampare alla miseria, alla guerra, alla fame,
> insomma al *dolore*.

Io resto convinto che il fatto che tu e Cosimo continuate a insinuare che i
miei discorsi sono puro "melodramma" e "sceneggiata napoletana" sia ingiusto
nei miei confronti. Ma non voglio fare l'avvocato difensore della mia
intelligenza, quindi continuo a subire.

> Perchè la nostra "solidarietà"
> non è tale da imporci di sottrarli tutti a quelle condizioni? Il
> fondamento del suo non essere tale, è *eticamente* la pars costruens
> del mio discorso che vuole mostrare la concretezza dell'essere un
> valore il *nostro* valore.

Tu qui metti semplicemente in luce il fatto che fin qui la "solidarietà
internazionale" è una grande ipocrisia.
Non ne viene che siccome chi comanda è ipocrita allora tutti i bei
discorsetti sulla civiltà "multi-etnica" siano stronzate.

> Dall'altro
> ciò mi rattrista sul versante filosofico perchè sono convinto che non
> è impossibile che un giorno la filosofia si riduca a "dover
> *implorare* la scienza di essere tollerante". Che è - tanto per fare
> un nuovo esempio - come implorare un "pacifista" di essere
> antiamericano.

Fatti una birretta, esci in moto, accarezza il gatto e vedrai che non avrai
più gli incubi notturni sui fisici che comandano il mondo e tu che li devi
implorare.

Stammi bene,
D.


Cosimo

unread,
Sep 23, 2002, 1:18:25 PM9/23/02
to
Davide wrote:

> > Posso quindi invitarti ad un esperimento ideale, e cioè a
> > scrivere/pensare una proposizione nella quale ci sia *soltanto*
> > l'uso predicativo, o soltanto l'uso esistenziale del verbo essere
> > (il verbo -diceva comunque Aristotele- è un nome che *in più* ha un
> > significato temporale)?

> Bene. Proviamo a partire di qui.
> Tu dici che se dico "la mela è rossa" allora ciò implica (e
> presuppone) anche il fatto che "la mela è".
> Vorrei innanzi tutto chiederti una cosa: ci sarebbero dei problemi,
> in linea di principio (e quindi - come dici tu - di fatto, in realtà
> :-) se ti chiedessi di sostituire il verbo "essere." (cioè essere
> seguito da un punto fermo) con il verbo "esistere"?

Nessun problema fin qui.

> Non so se la
> domanda che ti ho appena posto è puramente "grammaticale" o ha delle
> componenti "filosofiche" (analitiche?). Ti chiedo solo se sei
> disposto a lasciarmelo fare.
> In questo senso il tuo discorso diventa il seguente: quando dico "la
> mela è rossa" allora ciò implica (e presuppone) che "la mela esiste".
>
> Per inciso, quel "implica e presuppone" (allo stesso tempo - ovvero
> il "se e solo se") mi sembra possa in qualche modo essere assimilato
> alla tua seguente affermazione: "non è possibile una struttura
> apofantica nella quale le due funzioni del verbo essere non siano
> insieme, in una fondamentale unità."

Sì.


> Torniamo ora al caro Abbagnano, il quale ci dice quanto segue:
>
> "ESISTENZA. [...] In generale una qualsiasi delimitazione o
> definizione dell'essere; cioè un modo d'essere comunque delimitato e
> definito."
>
> Mi fermo un attimo per lanciare una "provocazione ingenua".
> Se "esistere" equivale ad "essere in un qualche modo delimitato e
> definito", quando tu - per invitarmi a non separare i due significati
> del verbo essere - sostieni che:
> "la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela esiste"
> mi stai dicendo che
> "la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela è in un qualche
> modo delimitato e definito".


No, ti dicevo solo che è impossibile *separare* il significato
esistenziale dell'essere da quello predicativo, ma nulla affermavo circa
la modalità d'esistenza, che è indifferente. Lì Abbagnano espone un
excursus storico su come l'"esistenza" è stata concepita nella storia
della filosofia, e non una teoria sull'esistere.

La prop. "la mela è rossa" ha senso se implica l'unita realiter delle
due funzioni del verbo essere, tanto per un realista classico (un
Aristotele, un Tommaso) quanto per un idealista (un Hegel).

Quella è una proposizione legittima sia che tu la formuli mentre sogni
una mela rossa, sia che tu la formuli da sveglio.


> Ebbene, io potrei dirti che "il modo d'essere delimitato e definito"
> della mela è quello di "essere rossa", sicché tutto il discorso lo
> posso ricondurre al seguente:
> "la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela è rossa" :-)


No, il predicato ("esser rossa") da solo non delimita affatto
l'esistenza nel senso della localizzazione (nel pensiero o nella realtà)
del soggetto. Che era il senso della distinzione di Abbagnano.
P ---> P sia che la mela rossa mi sia *presente* in sogno, sia che mi
sia *presente* nella veglia; sia che mi sia *presente* "nel" pensiero,
sia che sia *presente* prima nella realtà e poi in immagine "nel"
pensiero.


> E' chiaro allora che su quel "delimitato e definito" ci sono
> parecchie cose da dire. In particolare, quel "delimitato e definito"
> va "delimitato e definito", poiché altrimenti io mi sento autorizzato
> ad affermare che "essere rosso" è un "modo 'delimitato e definito' di
> essere".

Certo, ogni determinazione, come appunto il colore rosso, è una
determinazione-che-è; e quindi in questo senso è una
limitazione-concrezione dell'astratta esistenza -ma meglio sarebbe dire
che ogni essente è una sintesi fra la determinazione e l'essere. Però
*altro* intendeva mostrare il lemma di Abbagnano.

> Ce la chiarisce 'sta faccenda Abbagnano?
> Vediamo come prosegue:
>
> "Questo che è il significato più generale [NdDavide: tu ed io abbiamo
> già avuto modo di chiarire nel corso di altre discussioni che quella
> fornita da Abbagnano alla prima riga del termine ESISTENZA - da me
> riportata poco più su - non è esplicitamente il *significato*
> dell'esistenza, ma è una *definizione* di essa, e come tale fornisce
> un "significato" per un certo soggetto solo se il soggetto ha chiaro
> il significato di "modo d'essere comunque delimitato e definito", e -
> per di più - condivide tale "significato" con gli interlocutori; ma
> d'altra parte ho mostrato poc'anzi che un approccio "letterale" a
> quei termini riduce la tua osservazione ad una tautologia]

Il significato di "esistenza" è presenza, e non è possibile limitarla in
quanto tale; non è possibile che qualcosa sia un po' presente e un po'
assente. Altro è dire il *come* e il *cosa* di quella presenza.
Se è presente una mela rossa, è presente simpliciter, senza difetti;
mentre *ciò che* è presente vien detto nella predicazione.
Credo quindi che tu stia confondendo le due "limitazioni", quella del
predicato, il quale determina qualcosa circa il soggetto, e quella della
intera sintesi soggetto-predicato, la cui integrale presenza (della mela
e del suo esser rossa) non soggiace *come presenza* ad alcuna
limitazione di esistenza.


Il fatto è che Abbagnano non sta rispondendo a questa tua domanda, che
chiede l'essenza dell'esistenza, ma appunto esponendo come nella storia
tale essenza sia stata di volta in volta concepita da alcune filosofie,
principalmente raggruppabili in tre diversi gruppi.
Del resto chiedere "qual è il modo d'essere dell'essere", "come deve
esistere l'esistenza", è circolare, una petizione di principio.


> Vedi bene che non ci siamo.

Eh no... :-)


> Ma c'è di più. La tua equazione "reale = razionale" mi sembra
> equivalga ad affermare che "esiste ciò che è razionale (e non esiste
> ciò che è irrazionale)". Ma questo non equivale forse a
> quell'esistere inteso come "assenza di contraddizioni" di cui si
> parla al punto 1° di Abbagnano?

Sì.


> E allora com'è che le discipline che coltivo io (matematica)
> Abbagnano le colloca al punto 1° e quelle che coltivi tu (l'essere
> dell'uomo) le colloca al punto 3°?

Non è che il punto 3° possa fare a meno di un discorso
incontraddittorio, ma l'esistenzialismo e l'ontologia (ricordiamoci
comunque che Abbagnano era esistenzialista -io no) hanno un altro filo
conduttore, un altro tema; solo che non si occupano dell'esistenza
*esclusivamente* come possibilità logica (degli enti di ragione, numeri,
enti geometrici, etc).
E l'equazione della razionalità del reale non riguarda solo le
discipline che coltivo io.
Non capisco quale sia il problema nell'elencare gli orientamenti diversi
delle varie scuole filosofiche circa l'esistenza. Né la pertinenza di
questo discorso nei riguardi della possibilita che una proposizione
possa esibire esclusivamente o l'uso esistenziale o l'uso predicativo
dell'essere. Per me è una divagazione, del tutto superflua.


> A me l'unica definizione che mi viene in mente di "esistere" che
> esclude la vaghezza del "essere in un modo delimitato e definito" è
> quella di dire che:
> "esistere" è "esser-ci".
> Esser-ci nell'insieme dei numeri (esistenza di una soluzione,
> matematica, caso 1°), esser-ci nella realtà (caso 2°), esser-ci nel
> mondo (caso 3°).
> Insomma, esistere vorrebbe dire "c'è".

Dunque mi vieni incontro? Esistere vuol dire "c'è", "eccolo", "è
presente", "attuale".


> In questo caso quando tu dici che
> "la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela esiste"
> questo equivale ad affermare che
> "la mela è rossa" implica e presuppone che "la mela c'è"
> ed io non potrò più dire che "la mela è rossa" è un "modo di essere",
> sicché in questo caso non potrò più ridurre la tua osservazione ad
> una tautologia.
>
> *Ma* il motivo per cui in questo modo ti "salvi" è che il "modo di
> essere" della esistenza l'ho connotato con un "avverbio di luogo",
> sicché ho trovato una "soluzione *grammaticale*" (ho escluso per via
> grammaticale tutto ciò che non può essere un "luogo"), e tu mi
> insegni che questa è una soluzione pre-filosofica.

Non mi vieni più incontro :-(
E' al tempo piuttosto che al luogo, che bisogna badare: esist-ente,
participio presente, essente, attuale.
Ma non è che il participio sia il fondamento dell'esistente, e
l'esistente che nella grammatica viene espresso (nominato) con il
participio presente: participio, ovvero che partecipa della funzione
nominale e verbale.

> Anche perché parlare di "luogo" è - chiaramente - una metafora, ne
> più ne meno della mia "bobina". A meno che non si possa estendere in
> modo rigoroso la nozione di "luogo" in senso filosofico. Se ciò fosse
> possibile il discorso potrebbe in parte essere sviluppato in modo
> (apparentemente) coerente:
> esistere = esser-ci = essere in un qualche "luogo"
> dopodiché questo "luogo" può essere un insieme (esiste la soluzione =
> *c'è* un elemento di un certo insieme tale che...), la realtà (la
> foglia c'è nella realtà) o il pensiero/intelletto (l'unicorno c'è
> nell'intelletto, come le proposizioni). E tu, nel tuo sistema,
> potresti dire che il "luogo" che chiamiamo "realtà" non è altro il
> "pensiero", proponendo così di unificare il mio secondo esempio con
> gli altri due!?


Più o meno... Ma qui stai riproponendo il problema della dislocazione di
ciò che esiste (reale o coscienziale), del tutto superfluo, impertinente
rispetto alla nostra proposizione di base "la mela è rossa", e alla
possibilità che essa faccia a meno di uno dei due usi dell'essere, aut
esistenziale, aut predicativo.


> Proviamo ad andare avanti (consapevoli che ci stiamo lasciando alle
> spalle un bel po' di grane).
> Consideriamo la frase "la foglia prima è in P1 e poi è in P2".
> La prima parte della proposizione equivale a dire
> "la foglia è in P1" è vera
> ma tu, come mi hai insegnato, mi aggiungi subito che essa implica
> anche "la foglia è in P1" esiste.
> Ora, se pongo esistere = modo di essere tout court allora scelgo come
> "modo di essere" il fatto di "essere vera", sicché la tua identità di
> significato predicativo ed esistenziale si risolve nella tautologia:
> "la foglia è in P1" e "la foglia è in P1".
> Se invece pongo "esistere = esser-ci" (ma ho già detto che fino a qui
> questo è solo un espediente grammaticale, e quindi pre-filosofico)
> allora devo ammettere che:
> "la foglia è in P1" implica e presuppone che "la foglia c'è".
> Questo sembra "recuperare" in pieno ciò che mi hai insegnato sulla
> identità di significato predicativo e esistenziale. Tuttavia dobbiamo
> osservare che il "luogo" in cui "c'è" la "proposizione" non è lo
> stesso "luogo" in cui "c'è" la foglia. Sono due "bobine" diverse.
>
> Le proposizioni stanno nel pensiero, ma la foglia, l'oggetto foglia,
> non sta nel pensiero. E' solo l'immagine della foglia che sta nel

> pensiero, assieme alle proposizioni sulla foglia. In tutto senza


> considerare - come ho sottolineato a più riprese - che sono riuscito
> ad arrivare fino a qui solo con un espediente "grammaticale".


Riesci a pensare dove sia l'oggetto foglia, mentre dici che "non sta"
nel pensiero?
Riesci a pensare un luogo (che da metaforico presto si insinua come
letteralmente spaziale) che racchiuda il pensiero, e che fuori da esso
lasci essere gli oggetti? E se riesci a pensare questo, non ti pare di
essere in un terzo luogo, che vede dall'esterno sia il luogo del
pensiero sia il luogo degli oggetti? Non dico di più.


> Ricapitolando:
>
> partendo da
> "x è in P1"
> ovvero che
> "x è in P1" è vera (significato predicativo)
> accolgo la considerazione generica tua e di Marco in merito al fatto
> che ciò implica e presuppone che
> "x è in P1" è (significato esistenziale)
> e sostituisco quest'ultima con
> "x è in P1" esiste
> ovvero - seguendo Abbanano -
> "x è in P1" è in un qualche modo delimitato e definito

Se P è la prop. "x è in P1", tu stai predicando ora *di* P sia il
significato predicativo, sia quello esistenziale, sia la loro unità, e
la delimitazione di essa come tu la vedi da Abbagnano. Ma queste 4 cose
propriamente *non* si predicano *di* P, ma si manifestano già,
nell'analisi, *in* P; altrimenti P diventa il soggetto di un'altra
proposizione (della quale, come tale, non sappiamo come unire i due usi
dell'essere).

Cioè, sia Q = significato predicativo;
sia R = significato esistenziale;
sia Q-R = unità dei due significati,
sia Q-R-D = quell'unità delimitata secondo come tu la intendi
da Abbagnano.

Allora, tu dici: 1. "P è Q"
2. "P è R"
(3. "P è Q = P è R")
4. "P è Q-R"
5. "P è Q-R-D"

Queste proposizioni, potrei chiedere, predicano *di* P un significato
predicativo, esistenziale, le due cose insieme e delimitate
abbagnanamente? Ma esse, a loro volta, come si mettono nei confronti di
ciò di cui vogliono predicare del soggetto ("P")? Predicheremo allora,
di queste proposizioni, altre proposizioni, nelle quali i predicati
saranno "Q1", "R1", "Q-R1" e "Q-R-D1" del soggetto "P1".
Ora, queste altre predicazioni avranno risolto il nostro problema?
Avremo bisogno di predicare ancora di esse gli usi predicativi,
esistenziale, la loro unità e la delimitazione di tale unità? E quando
ci fermeremo? Mai. Perché in questo modo inneschiamo un progresso
all'infinito che sostanzialmente nega quella sintesi dei due usi del
verbo essere che è già nella prima proposizione, e non va cercata fuori
di essa.

Insomma, se così non fosse, una proposizione come la nostra "la mela è
rossa" ci direbbe (predicherebbe) che c'è una tale mela che è rossa, ma
in realtà questa mela non c'è: "la mela-non-mela è rossa; e del resto
come può un predicato (=dire qualcosa di qualcosa) inerire e dire
qualcosa di ciò che non è?

> A questo punto:
> 1) se quel "delimitato è definito" è arbitrario allora io scelgo il
> modo d'essere "vera" e riconduco il tutto ad una tautologia
> 2) se quel "delimitato è definito" è un esser-ci allora io:
> 2.1) osservo che questo è un espediente *grammaticale* (indoeuropeo e
> fascista! :-))
> 2.2) osservo che il "luogo" in cui è la proposione "x è in P1" non è
> lo stesso "luogo" in cui è la foglia e pertanto:
> 2.2.1) voler "nientificare" la proposizione non è la stessa cosa di
> voler "nientificare" la foglia
> 2.2.2.) il fatto di negare tale proposizione - cioè dire che è falsa -
> non implica che la si voglia nientificare, può continuare ad esser-ci
> (nell'intelletto) solo che anziché stare fra quelle che descrivono
> dei fatti (e cioè, vere) se ne starà fra quelle che non descrivono
> dei fatti (e cioè false), lasciando la povera fogliolina "libera" di
> fare quello che le pare :-)

> Come vedi ho bisogno di qualche altra "dritta" :-)

A questo punto scusa ma io vedo di non saper più sgarbugliare la cosa!
:-)


> Fine della parte "filosofica".
> Passiamo a noi:
>
> > Non dovresti pensare di rispondere a me, o non dovresti badare al
> > circostanziale contrasto dialettico con l'interlocutore.
> > Conduci l' "esperimento" il più disinteressatamente possibile.
>
> Solo un appunto di carattere personale.
>
> Apprezzo che tu mi inviti ad "uscire dalla foga agonistica" per dare
> più respiro al mio pensiero. E credo che questo sia (in generale) un
> saggio consiglio. Però trovo che parte delle tue reticenze - oltre ad
> essere dovute al comprensibilissimo fatto che spiegare trent'anni di
> riflessioni ad uno che parte mille miglia lontano da te sia una
> faticaccia immane che non ti posso chiedere - a volte denotino la
> convinzione che io ti stia "aspettando al varco". Un po' vero, ma
> solo per quello riguarda la componente "ludica" dei nostri scambi di
> idee. Se devo scegliere fra capire e vincere di solito scelgo la
> prima. Se poi mi si offre l'opportunità di strapazzarti un po' può
> essere anche divertente. Ma una cosa non esclude l'altra. Certo, mi
> rendo conto che questa mia (eccessiva?) suscettibilità in merito a
> (presunte?) insinuazioni sulla mia "onesta intellettuale" può
> apparire un "nervo scoperto", ma il fatto è che di gente con la "bava
> alla bocca" qui ce n'è diversa, ed io ci tengo a "tenere le distanze"
> :-)


Bene, capisco il tuo discorso, e ne propongo a mia volta un altro,
propongo il gioco: facciamo a capirci? Sennò non sono letteralmente
capace di scrivere qualsiasi cosa, una frasetta qualsiasi, senza
omettere nessunissimo passaggio logico nel momento in cui volessi
giustificarla, per quanto viceversa sia capacissimo di fare delle
domandine critiche a qualunque tua frasetta per quanto solida possa a
prima vista sembrare :-)


Ciao,
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 23, 2002, 2:09:00 PM9/23/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:B1Ij9.475$e31....@twister2.libero.it...

> [stracut]


>
> > Come vedi ho bisogno di qualche altra "dritta" :-)
>
> A questo punto scusa ma io vedo di non saper più sgarbugliare la cosa!
> :-)

Sì, ma ho capito da tutto quello che mi hai detto prima che ho mescolato
cose talmente eterogenee da rendere impossibile una risposta sensata alle
mie ultime domande.

Te faccio solo un'altra domanda (e poi per un po' *provo* a lasciarti in
pace): per caso ti viene in mente qualche libro che potrebbe chiarirmi
queste cose e che parta da un livello abbastanza basso/umano/introduttivo?
(Non vale rispondere: Platone e Hegel! :-))

> > Solo un appunto di carattere personale.
>

> Bene, capisco il tuo discorso, e ne propongo a mia volta un altro,
> propongo il gioco: facciamo a capirci?

Ok :-)))

Ciao, supergrazie
D.


Marco V.

unread,
Sep 23, 2002, 5:14:08 PM9/23/02
to
On Mon, 23 Sep 2002 13:31:46 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:


>"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
>news:3d8ef942...@news.kataweb.it...


>Ora, non voglio "barare": l'ho scritto e ne accetto le conseguenze. Tuttavia
>vorrei anche sottolineare che per il mio discorso non è strettamente
>necessario che la foglia non stia nel pensiero. Mi bastarebbe poter dire -
>in qualche modo che spero un novello Kant possa chiarire - che quello che
>chiamiamo "foglia" sia qualcosa di diverso dall'unicorno e dalle
>proposizioni sulla foglia e sull'unicorno.

Ora, che "unicorno" non sia qualcosa di diverso da "foglia" è
autocontraddittorio. "Schiaffaci" dentro il significato di "unicorno"
di non esistere "in re", e tutto si mette a posto. L'unicorno ha nel
proprio significato di non esistere "in re". Ma l'unicorno è pensato.
Così pure il monitor che ho qui davanti è pensato. Idem la
proposizione,. Su tutto ciò non ha potenza il fatto che io posso
esperire la ross-ità della mela "in silenzio", "intuendola",
"cogliendola con i sensi", oppure posso asserire "la mela è rossa". E
questo è perchè è autocontraddittorio immaginare una dimensione che
trascenda il pensiero.
La filosofia è il discorso che ha sviluppato nei millenni questa
comprensione del signifcato essenziale del pensiero. Ma anch'essa si
sviluppa *nel* pensiero intrascendibile.




>> Ti dirò che - *visto che* tu stesso hai ripetutamente affermato di
>> aver imparato qualcosa qui (da chi non importa) - prima o poi dovrai
>> essere *tu* a farci imparare qualcosa. Per esempio, di fisica...
>
>Mi sembra di non avere mai negato la tesi tua e di Cosimo secondo cui la
>fisica non ha nulla da insegnare alla filosofia e, al più, può "stimolarla"
>a mettere a punto nuovi strumenti filosofici.

La fisica non ha nulla di +essenziale* da insegnare alla filosofia. Ma
la fisica può indurre la filosofia a riflettere.



>A voler essere rigorosi, anche la matematica non ha nulla da imparare dalla
>fisica. Il fatto che la matematica sia stata così profondamente mutata dalla
>fisica non è per le implicazioni logiche *necessarie* che la fisica ha sulla
>matematica, ma perché i matematici hanno sempre dedicato molte energie a:
>1) mettere a punto gli strumenti teorici che i fisici chiedevano loro;
>2) dare "fondamento logico" a strumenti matematici che i fisici già usavano
>in modo "intuitivo" (magari dopo esserli "inventati" ed averli definiti in
>modo approssimativo).

Perfettamente d'accordo sui punti 1) e 2). Il rigore formale è proprio
della matematica - lo si respira già solo andandosi a sfogliare un
libro di matematica in uso alla facoltà di fisica piuttosto che uno in
uso alla facoltà di matematica.
Esempio: gli spazi di Hilbert.



>Da questo punto di vista la filosofia potrebbe stare alle "teorie fisiche"
>come la matematica sta agli "strumenti fisici".
>
>La differenza però è che mentre i fisici accolgono di buon grado le
>puntualizzazioni della matematica, non sono disposti a fare altrettanto con
>quelle della filosofia.

Molteplice possono esere le ragioni. Ed è un argomento che in passato
mi ha interessato molto. Innanzitutto la filofia in quanto discorso
sull'essere è tale che anche gli enti fisici ricadono nella sua rete.
E' un caso che Parmenide accanto alla via dell'"essere è e non può non
essere" e "l'essere non è e non può essere" afferma l'esistenza di una
doxa (che alcuni filosofi hanno inteso - io dico a torto - come la
terza via parmenidea) che altro non è che la fisica in quanto discorso
sulla physis?
Poi, come ti dicevo nel thread sulla MQ, laddove hai imparato a
detestarmi cordialmente, la fisica ha in certe sue compagini ancora la
pretesa di porre lessenzialmente l'ente come ente fisico, cioè ente
spazio-temporale, cioè ente sottoposto alla leggi della fisica.




>Non avevo un "discorso già pronto" (tant'è che ho "aggiustato il tiro" a più
>riprese): sapevo solo, "a naso", quale "sole" seguire (tu dirai: non sole,
>ma tenebra), ed il risultato è stato il solito (che tu stesso hai
>evidenziato): alla larga dall'"episteme".

*Formalmente* sono d'accordo con te. Nel senso che quando uno nonsa
che pesci pigliare in filosofia , è facilissimo che si metta a
sbraitare contro l'episteme.


>Certo, alcune forme di filosofia vengono accolte entusiasticamente dalla
>scienza. Ma - ad esempio - il motivo per cui la scienza accetta di buon
>grado ampie componenti della "filosofia analitica", è che in essa prevale
>appunto un approccio "sintattico" al linguaggio.

Perfettamente d'accordo anche su quest'ultima frase. Anzi, spesso è
stato il contrario. O meglio: grandi filosofi alla Heidegger sono
morti convinti assolutanente che tutto il nepositivismo di un Carnap
etc. non fosse altro che un tentativo della filosofia di mettersi al
servizio del linguaggio della fisica moderna.


>
>Invece nei discorsi severiniani centrati attorno all'essenza dell'essere c'è
>una forte densità semantica rispetto alla componente sintattica.

C'è la posizione che il piano formale e quello concreto sono
concretamente uniti.



>Secondo la "sensibilità" degli scienziati quella "densità semantica" lì, se
>non supportata da un impianto sintattico adeguato, è "pericolosa".
>
>Ora, io mi rendo conto che dicendoti queste cose offro il fianco a tue
>eventuali critiche di questo genere:
>1) la scienza vuole "tutta sintassi e niente semantica" perché la sintassi è
>"vuota", e nientifica l'ente; usare "essere" come copula e basta è non voler
>vedere che il mondo è, eccetera;

Una affermazione originariamente heideggeriana - che poi Severino ha
ricondotto, come dicevo a Cosimo, verso i lidi della logica (non
troverai in un sol punto Heidegger parlare di "contraddizione" se non
in senso polemico ed antilogicistico).Che sì, in parte nel mio picolo
condivido. Nel senso che *anche* la fisica e la scienza in genere
hanno davanti a loro manifesto l'essere. Chè altrimenti non porrebbero
e non indagnerebbero alcunchè


>2) la scienza vuole "tutta sintassi e niente semantica" perché la sintassi è
>più "facile": alla fine si ottengono una serie di regolette che può
>applicare anche una macchina, lo scienziato vuole ridursi a pura sintassi
>per non vedere il suo essere uomo;
>3) eccetera, eccetera.
>
>Eppure, Marco, io "tengo duro" lo stesso, perché coltivo l'illusione
>delirante di non essere così stupido come pensi tu

Correzione. Come tu continui imperterrito a pensare che io pensi.

> e resto convinto che
>l'avversione che la mia "sensibilità" mi fa provare per Platone, Hegel e
>Severino non sia dovuta (solo) alla mia "cecità". Certo, in questi giorni ho
>mostrato a più riprese che la mia avversione è rivolta verso discorsi di cui
>ignoro praticamente *tutto*. E mi rendo conto che la mia posizione è
>indifendibile in qualunque "tribunale filosofico": cosa altro può spingere
>ad avere avversione per ciò che non conosci se non il pregiudizio?

>
>Eppure nella vita capita anche questo: che ti rendio conto di essere in una
>poszione "indifendibile" e senti che "ci sarebbe altro da dire", e ti limiti
>a sperare che arrivi qualcuno che sappia trovare le parole per dirlo, oppure
>ripieghi sulla consapevolezza che forse non può essere detto.

Io ho la mia teoria sulla ragione di questa avvversione che ovviamente
non riguarda solo te. Te l'ho già esposta più di una volta. Il cielo
delle stelle fisse oggi è disabitato. Non vi brillano i famosi
"valori" di cui si parla oggi. Dicendo ciò non ho intenzione di
riaprire i campi di concentramento ma solo di farti partecipe di un
mio ragionamento che - mi permetti questa immodestia? - ho ritrovato
in Severino. E' perchè tu vedi questi "valori" brillare nel cielo
delle stelle fisse, che vedi la storia come loro negazione o
affermazione. Sotto mi spiegherò meglio. Permettimi di aggiungere che
se ieri poteva essere Dante a immaginare un processo all totalità
della storia sul fondamento della verità cristiana, oggi fare qualcosa
di analogo sul fondamento di quei "valori" conduce nei paraggi
di...Jacopo Fo (forse lo stiamo citando un pò troppo).


>
>Vorrei solo invitarti a riflettere su un discorso vecchio, stantio, banale e
>non filosofico, ma che è sempre lì: se la filosofia dell'essere è la "luce",
>perché molte persone che si sono lasciate illuminare da questa luce ce le
>ritroviamo lungo tutto il corso della storia più o meno coinvolte in "fatti
>di sangue"? Perché lo "stupidissimo" Russell appare del tutto "immune" da
>certe "scelte" in cui si è andato a impantanare l'"intelligentisismo"
>Heidegger?
>
>Perché il comunismo, pur sembrando una teoria così bella, non ha fatto altro
>che morti? Perché il nazionalismo (che purtroppo mi ricorda la tua
>"parrocchia italo-occidentale") idem?

Insomma Davide, non è il "numero di morti" che fa affermare o negare
alcunchè. L'episteme non è rifiutata perchè essa ha condotto agli
stermini del novecento. Ma viceversa le ideologie totalitarie - ed io
non nego che la struttura essenziale di esse possa designarsi con il
nome di episteme, ma lo accetto solo se a farlo è un filosofo ossia
uno che sa veramente di cosa parla, e non un Jacopo Fo (aridagli)
qualsiasi o qualche ateo che calcola di sostituire meccanicamente la
scienza alla filosofia o alla religione - sono rifiutate perchè esse
appunto implicano l'episteme. E' rifutata la violenza epistemica e non
la violenza simpliciter. O anche: il rifuto della episteme e la sua
determinazione come violenza e dolore inflitto è il medesimo, ma non
nel senso di cui sopra. Altrimenti - e questa volta non tagliare -- mi
dovresti spiegare come la metti con i morti implicati dall'apparato
tecnologico, dall'aborto etc.etc.

Circa il "nazionalismo" sbagli *veramente* di grosso. Per me "Italia"
è il nostro modo di essere occidentali. Ho più volte scritto
discorrendo con Loris, Maurizio e mrX- e credo che non sia una idea da
disprezzare - che l'orizzonte nazionalistico (e soprattutto
razzistico) è quello tale che, se fosse l'orizzonte della nostra
concreta esistenza, sarebbe tale da essere l'orizzonte della nosrra
*disruzione*. Ed io non ho "intenzione" di vederci distrutti...

Convinto che nemmeno questo (ed è lultima volta) ti basti per fugare i
tuoi dubbi ,

Ti saluto,

Marco

Davide

unread,
Sep 24, 2002, 6:12:33 AM9/24/02
to

"Davide" <davide...@tin.it> ha scritto nel messaggio
news:0NIj9.132341$ub2.2...@news1.tin.it...

> Te faccio solo un'altra domanda (e poi per un po' *provo* a lasciarti in
> pace):

E invece, no :-)
Scusa, ma per me *questo* è troppo importante.

E poi non mi va di fare con te il giochino del "gliela do vinta, tanto..."
(anche se magari tu preferiresti essere lasciato in pace :-))

Il fatto è che improvvisamente mi è venuto il sospetto che potremmo avere lo
stesso "scopo" e - venendo da tradizioni culturali molto diverse - non
esserne consapevoli.

Ora, il *mio* scopo è "liberare" la foglia. E' dire: non c'è nulla che la
foglia debba *necessariamente* fare. E quindi non c'è nulla che io possa
dire di *necessario* sulla foglia. Posso solo sedermi sul prato e godermi il
"film" della foglia che cade. Film che, peraltro, nessun regista ha già
girato. L'unico, al limite, che potrebbe avere il film "nel cassetto" è ***.
Ma non è nemmeno detto.

Poi, guardandomi il film, posso "scopire con meraviglia", che tutte le
foglie del mondo, cadendo, "disegnano" una sorta di figura matematica che -
meraviglia! - sta in relazione con la figura matematica che disegnano i
fiocchi di neve che cadono, o l'acqua della cascata, o il moto dei pianeti.

Qusta "meraviglia", questo "stupore", derivano proprio dal fatto che, pur
non essendo *necessario* che la foglia cada in un certo modo piuttosto che
in un altro, lo fa. L'ha sempre fatto, ma non è detto che continui a farlo:
è "libera".

E attenzione: questo dire che "l'ha sempre fatto ma non è detto che continui
a farlo", non è la solita formuletta popperiana dei fisici "furbetti" che la
recitano per mettere buoni i filosofi e fra sé e sé dicono: ma sì, tanto io
lo so che poi continuerà a farlo. No. E' una consapevolezza molto più
profonda, che ha delle implicazioni profonde anche per la stessa fisica, e
per gli stessi risultati della fisica.

Questo che chiamo il "mio" scopo (quello di "liberare" la foglia) non è una
cosa del tutto personale.

Quando ti dico che la fisica moderna ha "distrutto" la "bobina" di Einstein
ti sto (in modo molto approssimativo ed estremamente marginale) parlando
proprio di questo.

Ma c'è molto di più. Sarebbe un fiume in piena parlarne.

Anzi, forse dovrei parlare di "fiume sotterraneo", perché esso a continuato
a scorrere dentro buona parte della storia della "filosofia naturale" del
tutto invisibile ai "tecnici", ai "tecnologi", agli "ingegneri", ai fisici
che dicono "leggi" e "obbedisce" pensando davvero di poter imporre delle
*necessità* al mondo. Certo, parlo anche io di "leggi" (mettendoci di fianco
le risate fra parentesi) e ne parla anche Feynman (dopodiché ti scrive un
*intero libro* sulla legge fisica per dire: guardate che quando io dico
"legge" la cosa va presa con le pinze(tte)).

Ma questo fiume sotterraneo è ancora più grande e antico di così.

Senti cosa scriveva C.F. Gauss al suo amico Schumacher (probabilmente il
bisnonno della creatura di Montezemolo :-)) il 1° novembre 1844:

Osserverete la stessa cosa (l'incompetenza matematica) nei filosofi
contemporanei Schelling, Hegel, Nees von Essembeck, e nei loro seguaci; non
vi fanno rizzare i capelli sulla testa con le loro definizioni? Leggete
nella storia della filosofia antica quelle che i grandi uomini di
quell'epoca, Platone ed altri (escludo Aristotele) davano come spiegazioni.
Ed anche con lo stesso Kant spesso le cose non vanno molto meglio; secondo
me, la sua distinzione fra proposizioni analitiche e sintetiche è una di
quelle cose che cadono nella banalità o sono false.

Perché Gauss era così indignato? Forse perché voleva mettere le "catene" al
mondo? Imporre delle "leggi"? No, proprio il contrario. Senti cosa aveva
scritto qualche anno prima (il 28 aprile 1817) a Olbers:

Mi persuado sempre di più che la *necessità* della nostra geometria *non*
possa essere dimostrata, non, per lo meno, dall'intelletto umano o per
l'intelletto umano [...]

Gauss decise di "non uscire allo scoperto". Tutto ciò restò nelle sue
lettere. Va detto però che Gauss lasciò tutti gli strumenti necessari per
"liberare" la geometria dalla *necessità*. Il frutto del suo lavoro è lì,
pronto per essere raccolto. Ma, come sai, non c'è maggior sordo di chi non
vuol sentire, per cui ancora oggi vedo gli ingegneri (e, più in generale, i
tecnici) che usano gli strumenti geometrici messi a punto da Gauss senza
"trarne le conseguenze" dal punto di vista filosofico.

Ma secondo te perché Fedro (da alcuni accenni che ho colto qua e là mi
sembra di aver capito che tu hai letto Pirsig) nel cercare la Qualità si
imbatte proprio in Poincaré?

Poincaré, fra le altre cose, dimostrò matematicamente che c'è una
possibilità *imprevedibile e indeterminabile* che anche un oggetto che fino
ad oggi, per miliardi di anni, è stato su un'orbita ellittica regolare,
domani non ci stia più. Non era un semplice discorso alla Popper del tipo
"può sempre accadere il contrario a falsificare la mia teoria (ma tanto lo
so che non accade)". No, era proprio un porre l'imprevedibile e
l'indeterminabile *dentro* la teoria. E non una teoria nuova e strana. Nono,
proprio dentro Sua Maestà la teoria della gravitazione universale di Newton.

Per certi versi Poincaré sta a Newton come Gödel sta a Russell. E' come se
Poincaré e Gödel dicessero a Newton e Russell: "Lei signore dice di aver
sistemato la cosa con questa sua bellissima teoria? Bene, e allora io uso
questa sua bellissima teoria per dimostrale che la cosa non è così semplice
come crede lei!"

Lo ripeto: io voglio "liberare" la foglia, sia dalla "tua" necessità che
dalle "mie" leggi (ricorda cosa ti ho detto: possiamo solo sederci sul prato
e stare a guardare). E non è che lo voglio fare perché mi va così, ma per
rispetto di coloro che per secoli hanno lavorato per questo, ed anche - ma
forse soprattutto - per liberare la "filosofia naturale" dalla tecnologia.

E ti chiedo (domanda a cui puoi rispondere con un sì o con un no): in questo
Severino è mio "amico" o mio "nemico"?

Saluti,
D.

Marco V.

unread,
Sep 24, 2002, 9:57:04 AM9/24/02
to
On Mon, 23 Sep 2002 14:04:40 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:


>"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
>news:3d8ef942...@news.kataweb.it...

Caro Davide, ti dirò che ho una certa difficoltà a risponderti. Sia
per una ragione tecnica - questo thread mi si è frammentato in vari
pezzi e quasi non mi ci raccapezzo più. Poi perchè ho la netta
impressione che tu o ignori la mia posizione su certi argomenti (ed è
un pò strano, visto che il NG lo stai frequentando più assiduamente di
me) oppure ignori di non ignorarla per attribuirmi concetti che non
sono i miei. E poi anche perchè non ho ben capito se sei o non sei
interessato al discorso - laddove esso ha implicazioni per così dire
"poltiche" ed "etiche. In ogni caso procedo.



>> Che "ci si
>> debba guardare dalle persone che si preoccupano del futuro altrui", è
>> una imbecillagine da decerebrati piuttosto che da "scoglionati
>> pacifisti"...(che poi tanto "scoglionati" non sono...)
>
>Allora un po' decerebrato lo sono anche io. Spero che non siano stati
>danneggiati i centri del piacere e che il danno sia tutto a carico dei lobi
>frontali :-)

Io sono invece convinto che anche i lobi frontali funzionino
benissimo. E sono convinto che sia veramente ora di mettere da parte
questo tuo (finto) "complesso di inferiorita".



>Freud direbbe che il tuo lapsus al singolare denota la convinzione che ci
>sia una sorta di super-cupola dell'Islam che progetta piani contro la
>Cristianità :-)

Ecco qui una cosa che io ho *sempre* negato nel mio discorso. Non che
la ritenga immorale etc. Ho sempre messo al centro del mio discorso la
volontà dell'Occidente di *non* riconoscere lo "scontro di civiltà"
con buona pace di Baget Bozzo, Borghezio ed annessi - e ne ho dedotto
quello che è a mio avviso necessario dedurne (l'Occidente non
riconosce più di essere identificato alla Cristianità).
Contemporaneamente ho sempre detto che il "multiculturalismo" non è a
fondamento di alcunchè perchè è una posizione contraddittoria. Che è
un bene che le forze politiche che lo hanno affermato (il
multiculturalismo) siano state costrette a cambiare idea. E che la
posizione dello "scontro di civiltà" non è più immorale della
posizione multiculturalista. Sono posizione astratte entrambe. Con la
differenza che la seconda è particolarmente "fastidiosa" perchè
particolarmente organizzata e particolarmente in errore quando pensa
di affermare uno straccio di verità.

>> Che "Gli Islamici" non esistano, è una applicazione del pluralismo che
>> in ogni caso non può impedire di riconoscere qualcosa di identico in
>> bin Laden e nel marocchino sotto casa, così come c'è qualcosa di
>> identico in Torquemada e Ratzinger.
>
>Puoi dirmi che cos'è questo "qualcosa"?

L'Islam nel primo caso - il Cristianesimo cattolico nel secondo. E
comunque in questa volontà di diversificare l'Islam si esprime
potentemente il nihilismo *occidentale* antimetafisico.




>Potresti dirmi - possibilmente in modo filosoficamente rigoroso - come fai a
>distinguere uno che appartiene alla "parrocchia italo-occidentale" da tutti
>gli altri?

Dicendo che è contraddittorio negare la distinzione. Perchè nel
concreto non ti potrà mai capitare di poter prescindere dalla tua
appartenza a quel qualcosa cui riconosci che l'"altro" non appartiene.
La distinzione si afferma nell'atto steso in cui riconosci l'alterità.
E l'alterità la riconosci perchè altrimenti non potresti riconoscere
una cosa come "immigrazione". Nè potresti distinguere la immigrazione
degli italiani in Germania dalla immigrazione degli africani, asiatici
etc. in Italia. Perciò siccome ogni posizione circa il fenomeno
dell'immigrazione presuppone il riconoscimento della immigrazione,
ogni tentativo di estinguere con il discorso le differenze di cui
sopra si risolve logicamente in una serie di capocciate contro il
muro.
Dunque rigorosamente deve dirsi: la differenza è in atto. E la sua
attualità sta a fondamento del nostro discorso. La connotazione di
quella differenza, il giudizio che di essa si dà, è un altro paio di
maniche. Spessissimo, ideologico.


>Sono d'accordo con te. Infatti siccome non ho mai trovato nessuno che sia
>stato in grado di definirmi biologicamente il concetto di "razza" e
>filosoficamente il concetto di "civiltà" (in modo abbastanza rigoroso da
>poter stabilire di volta in volta in modo definitivo se un certo organismo
>appartiene o no ad una certa razza e se un certo uomo appartiene o no ad una
>certa civiltà), continuo a pensare che la "razza" e le "civiltà" siano
>parole che connotano e denotano non gli organismi e gli individui, ma i
>sentimenti di chi le usa. Quindi per me i discorsi sulle "civiltà
>multi-etniche" sono privi di senso perché il mondo è un'unica civiltà
>"multi-etnica".

Circa la "razza", è un errore a mio avviso porre a fondamento della
sua liquidazione concettuale i risultati scientifici circa il DNA etc.
E' un errore che io personalmente(=discorsivamente) combatto perchè
constato come alcune progettazioni ideologiche del nostro futuro
vorrebbero fondarsi su quei risultati. Il loro grado di moralità è
dunque il *medesimo* - e qui so benissimo quello che sto affermando -
di quello del progetto nazista. Immaginare che la posizione dei
governi sul fenomeno immigratorio (perchè è inutile che si finge di
deviare - è sempre qui che si va a parare e lo sai benissimo) possa
essere anche solo minimamente influenzata dai risultati della genomica
o della antropologia evolutiva (ipotesi monocentrica piuttosto che
policentrica) è una *mostruosità* morale che va denunciata senza il
minimo indugio. E' - come avemmo modo di discuterne io e Maurizio e
Torrette - nè più nè meno *razzismo*. Come è essenzialmente "razzismo"
ogni esaltazione del "meticciato" e della "contaminazione razziale".
Mi sembra innegabile.
Ti dirò allora che la mia posizione circa la "razza" - di cui ti ho
già detto qualcosa nel precedente post - è: il *riconoscimento*
razziale esiste ed è contraddittorio negarlo. Dunque in questo senso
la "razza" esiste - il suo significato è appunto quel riconoscimento.
L'"antirazzismo" presuppone già solo semanticamente il "razzismo" e
dunque è semanticamente incapace di distruggere il riconoscimento
razziale. Progettare il futuro sul fondamento dell'"antirazzismo" è
impossibile. Lo scopo di un popolo non è di essere "antirazzista".

La tua ultima affermazione viene ad essere contraddittoria laddove
essa presuppone il riconoscimento di un pluralità di ethnos -
pluralità che poi vorrebbe negare. Ma il problema Davide non è qui. Il
problema è quale legittimità ha una affermazione come la tua di porsi
a fondamento dela progettazione del futuro - perchè è *là* che
vorrebbe arrivare (non in qaunto tua, chiaramente). Io dico nessuna. E
ti ho già detto che il "razzismo" è l'orizzonte logico nel quale ci
staremmo distruggendo. E lo è anche l'orizzonte dell'"antirazzismo" in
quanto costitutivamente incapace di sbarazzarsi dell'orizzonte di cui
sopra. Risultato: la *nostra* salvezza si situa altrove perchè altrove
è ciò che deve essere salvato. Traduzione (mi conformo volentieri al
tuo uso): l'immigrazione ce l'abbiamo non per fare l'"antirazzismo" o
il "multiculturalismo", ma per far funzionare l'apparato economico
europeo. E chiaramente a volerlo far funzionare siamo noi che abbiamo
rifiutato il "razzismo" - noi con il nostro sistema di valori. Dunque
*noi* non possiamo farlo funzionare ad esempio schiavizzando i "negri"
come "proponeva" giorni fa quel troll (chi sarà mai?!) di nome
Falchetto Woodstock. Ma restiamo *noi* euro-occidentali a volerlo far
funzionare.



>Basta che ti dai una toccatina alle palle e neutralizzi i miei strali ;-)

Già fatto. Ho toccato anche il tavolo che è di legno!



>> Insomma Davide, perchè l'"aborto" sì e la "guerra" e la "caccia alla
>> volpe" e la "polenta con gli uccellini" no io non rinuncio a
>> chiedermelo ed a chiederlo. E se uso un linguaggio "rigido", è perchè
>> oggi è rigido il muro che va abbattuto per poter parlare di certe
>> cose.
>
>Ve', qui sono perfettamente d'accordo con te.
>Forse dovremmo festeggiare l'evento :-)

Lo vedi che se solo metti da parte certi tuoi infondati sospetti
qualcosa di buono esce fuori? Ed ecco allora un buon motivo per
guardare con meditante "sospetto" i "pacifisti", no?



>> La pars costruens te la mostro così. C'è l'immigrazione (che tanto è
>> quello il punto inevitabile di convergenza del discorso sulla
>> violenza, no?).
>
>E' perché te c'hai quella fissa lì.
>Io per me parlerei solo di tette e delle violenze psicologiche che le
>portatrici delle medesime impongono ai non-portatori.

Non è una fissa. E' che non sono individualista. Ma poi in fondo non
lo è *nessuno*.

(Certo non sono le tette (anch'io c'ho questa fissa, sai?) a risolvere
questo genere di problemi. Altrimenti festeggerei come un grande
evento la possibilità di... vedere in Italia i corpi femminili di
tutte le razze del mondo - in primis le...confesso la mia debolezza...
ucraine...Ma se i problemi si risolvono così, allora iscriviamoci
tutti al "Partito dell'amore" e non se ne parla più...Dicevi tempo fa
della Marini, no?)



>> C'è la convinzione che i morti che ci sta "donando" il
>> mare siano morti per scampare alla miseria, alla guerra, alla fame,
>> insomma al *dolore*.
>
>Io resto convinto che il fatto che tu e Cosimo continuate a insinuare che i
>miei discorsi sono puro "melodramma" e "sceneggiata napoletana" sia ingiusto
>nei miei confronti. Ma non voglio fare l'avvocato difensore della mia
>intelligenza, quindi continuo a subire.

Continuando a sospettare chissà quale piano per un colpo di Stato che
riporti i filosofi al governo (il sogno di Platone!) magari facendo
tramontare il nihilismo imponendo lo studio in tutte le scuole di "La
struttura originaria", e avendo incominciato dalla moderazione di
questo NG. Che dici Cosimo, riuscirebbe una cosa del genere? Tu
prepara il discorso, che alle forze armate ci penso io - ho un amico
ufficiale in marina...



>> Perchè la nostra "solidarietà"
>> non è tale da imporci di sottrarli tutti a quelle condizioni? Il
>> fondamento del suo non essere tale, è *eticamente* la pars costruens
>> del mio discorso che vuole mostrare la concretezza dell'essere un
>> valore il *nostro* valore.
>
>Tu qui metti semplicemente in luce il fatto che fin qui la "solidarietà
>internazionale" è una grande ipocrisia.
>Non ne viene che siccome chi comanda è ipocrita allora tutti i bei
>discorsetti sulla civiltà "multi-etnica" siano stronzate.

Anche qui equivochi - ma è colpa mia. Io non dico affatto che la
"solidarietà internazionale" sia di per sè una ipocrisia. Volevo
invece mettere in luce che non esiste una solidarietà che stia sospesa
nel cielo delle stelle fisse - che santiddio se da quel cielo abbiamo
cacciato via l'idea dell'Ens che ci prometteva la vita eterna dopo la
morte, non mi dirai che oggi il suo posto lo occupa o lo *potrà*
occupare la "solidarietà internazionale" et similia?! La solidarietà è
un *nostro* valore - che chiaramente presuppone il riconoscimento
dell'"altro". Che esso sia *nostro*, non è affatto il suo limite. Che
noi si aiuti chi non partecipando di questo noi (chè se non si
riconosce in primis *questa* non partecipazione, addio al concetto di
solidarietà!) attraversa il mare a non morire ma si lasci poi morire
gli altri che se ne stanno nelle loro terre, non è nè una ipocrisia nè
un limirte della solidarità, ma è l'essenza del fatto che la
solidarietà è un *nostro* valore. E' la concretezza della solidarietà.
Se mi permetti un "affondo" filosofico o pseudo-tale, questo non è
machiavellismo o real-politik o roba simile, ma molto di più.



>> Dall'altro
>> ciò mi rattrista sul versante filosofico perchè sono convinto che non
>> è impossibile che un giorno la filosofia si riduca a "dover
>> *implorare* la scienza di essere tollerante". Che è - tanto per fare
>> un nuovo esempio - come implorare un "pacifista" di essere
>> antiamericano.
>
>Fatti una birretta, esci in moto, accarezza il gatto e vedrai che non avrai
>più gli incubi notturni sui fisici che comandano il mondo e tu che li devi
>implorare.

Mai detta roba simile.
Hai "tradotto" male. "Opacità del riferimento", per dirlo a la Quine?

Saluti,

Marco

Cosimo

unread,
Sep 24, 2002, 10:54:17 AM9/24/02
to
Davide wrote:

> E invece, no :-)
> Scusa, ma per me *questo* è troppo importante.

Sentiamo sentiamo ...

> E poi non mi va di fare con te il giochino del "gliela do vinta,
> tanto..."
> (anche se magari tu preferiresti essere lasciato in pace :-))

Qui aprirei anch'io una parente.
Sì, preferirei essere lasciato in pace, ma non (solo) da te; preferirei
trovare più tempo per lasciar sedimentare quel che via via mi si
presenta (al pensiero, alle intuizioni, al sentire generale). Devo,
insomma, campare, e non lasciarmi "distrarre" dalle
conversazioni -virtuali e anche non virtuali- nonostante il profitto che
posso trarre da esse, sebbene sia raro.
(Questo vuol dire anche che se e quando questo forum verrà moderato, se
io sarò fra i moderatori, ho ormai intenzione di parteciparvi il meno
possibile).
Chiusa la parente.

> Il fatto è che improvvisamente mi è venuto il sospetto che potremmo
> avere lo stesso "scopo" e - venendo da tradizioni culturali molto
> diverse - non esserne consapevoli.

"Umanista di estrazione teologica", direbbe forse Livio per me. E tu, un
fisico alla Ettore Majorana, mi sembri. Sbaglio? :-)


> Ora, il *mio* scopo è "liberare" la foglia. E' dire: non c'è nulla
> che la foglia debba *necessariamente* fare. E quindi non c'è nulla
> che io possa dire di *necessario* sulla foglia. Posso solo sedermi
> sul prato e godermi il "film" della foglia che cade. Film che,
> peraltro, nessun regista ha già girato. L'unico, al limite, che
> potrebbe avere il film "nel cassetto" è ***. Ma non è nemmeno detto.


Sì, liberare la foglia da una necessità che non sia già la sua, il che
vale a dire: lasciare che la foglia sia se stessa, esattamente com'è,
libera, e senza che io le dica quando deve cadere e dove deve cadere e
in quale punto esatto deve cadere (deve... deve... deve). Insomma, io
non *progetto* il cadere di nessuno foglia. Si inizia a pensare che la
foglia-che-sta-sul-ramo, cadendo, diventi la
foglia-ai-piedi-dell'-albero, si inizia a pensare la realtà di questo
processo, di questo divenire, ci si persuade pian piano di poter
*guidare* tali processi, e si finisce con gli OGM, le clonazioni e tutte
le forme attuali di *violenza* e di schifezze.

Un mio caro zio a Torino chiede vino e sigarette, è uscito dal coma solo
perché i medici hanno provato a fare questo e quest'altro; inutilmente,
perché non avendo quasi più fegato e polmoni è stato risvegliato solo
affinché vedesse la gabbia nella quale ormai si trova. La tecnocrazia
non è molto diversa dalla teocrazia e dai totalitarismi politici, uniti
essenzialmente nella violenza dello stabilire e gestire la traiettoria
della foglia che cade e il cosiddetto *diritto* alla vita (altrui). I
"liberali" (tutti, ormai), i "pacifisti" a senso unico, quelli che
*collaborano* oggettivamente con chi lancia gli aereoplani sulle TT,
quelli che ululano nelle danze della pioggia da noi organizzate dai
sinistri figuri alla Bertinotti, e tutte le consimili anime belle
potrebbero fare uno sforzo per liberarsi da questa fondamentale e
insopportabile ipocrisia; e questo vuol dire che potrebbero mettersi a
riflettere sul serio, invece di continuare a fare la pipì sul "pensiero
forte" e sulle filosofie che non rinunciano alla *critica*, quella vera,
e che dà loro fastidio.
Potrebbero insomma lasciare che un moribondo abbia il suo vino e le sue
sigarette, e che muoia in pace.


> Poi, guardandomi il film, posso "scopire con meraviglia", che tutte le
> foglie del mondo, cadendo, "disegnano" una sorta di figura matematica
> che - meraviglia! - sta in relazione con la figura matematica che
> disegnano i fiocchi di neve che cadono, o l'acqua della cascata, o il
> moto dei pianeti.
> Qusta "meraviglia", questo "stupore", derivano proprio dal fatto che,
> pur non essendo *necessario* che la foglia cada in un certo modo
> piuttosto che in un altro, lo fa. L'ha sempre fatto, ma non è detto
> che continui a farlo: è "libera".
> E attenzione: questo dire che "l'ha sempre fatto ma non è detto che
> continui a farlo", non è la solita formuletta popperiana dei fisici
> "furbetti" che la recitano per mettere buoni i filosofi e fra sé e sé
> dicono: ma sì, tanto io lo so che poi continuerà a farlo. No. E' una
> consapevolezza molto più profonda, che ha delle implicazioni profonde
> anche per la stessa fisica, e per gli stessi risultati della fisica.
> Questo che chiamo il "mio" scopo (quello di "liberare" la foglia) non
> è una cosa del tutto personale.
> Quando ti dico che la fisica moderna ha "distrutto" la "bobina" di
> Einstein ti sto (in modo molto approssimativo ed estremamente
> marginale) parlando proprio di questo.


Sì, ma non è facile credere che questi siano approdi della fisica o
delle discipline scientifiche in genere; al contrario, la fisica si è
originariamente costituita sul progetto (chiaramente espresso da Lord
Verulamio) di dominio sulla natura, e per mezzo di ciò di controllo e
costruzione della "felicità" umana -*non* del normale confort materiale.
E' la solita utopia sanguinaria, il solito vitello d'oro, il solito
Moloch, sebbene la propaganda faccia di tutto per nasconderlo: portare
in terra il paradiso, con mezzi artificiali.
Non prendiamoci in giro, Davide. Alla scienza non gli importa nulla
della libertà degli essenti, che essa traduce piuttosto come
"contingenza", o persino come "caos" o "indeterminazione", ovvero come
ciò che mostra estrema disponibilità al suo Volere.
Le implicazioni profonde di cui parli non lascerebbero la fisica così
com'è, né si tratterebbe di un altro "mutamento di paradigma".


> Ma c'è molto di più. Sarebbe un fiume in piena parlarne.
> Anzi, forse dovrei parlare di "fiume sotterraneo", perché esso a
> continuato a scorrere dentro buona parte della storia della
> "filosofia naturale" del tutto invisibile ai "tecnici", ai
> "tecnologi", agli "ingegneri", ai fisici che dicono "leggi" e
> "obbedisce" pensando davvero di poter imporre delle *necessità* al
> mondo. Certo, parlo anche io di "leggi" (mettendoci di fianco le
> risate fra parentesi) e ne parla anche Feynman (dopodiché ti scrive
> un *intero libro* sulla legge fisica per dire: guardate che quando io
> dico "legge" la cosa va presa con le pinze(tte)).


Ecco, sarebbe desiderabile che quelle pinzette e quelle risatine fra
parentesi non venissero mai dimenticate. Vedi, ad esempio, le idiozie
che il Dentista ripropone qui puntulmente sulla falsità del "miracolo di
S. Gennaro" (ignorando la natura *politica*, da ultimo, del problema), e
le altrettali scemenze di certo ateismo "razionalista" o raziocinante,
mentre io non so spiegarmi per quale "legge" si produca la solubilità di
qualche granellino di sale in mezzo bicchiere d'acqua, e l'acqua diventi
salata, o per quale "legge" accada la caduta dei gravi o di quella
stessa foglia.
Nessuno me lo sa spiegare. Si tratterà di virtus o qualità occulte? Come
distinguere un miracolo (la violazione di una legge di natura) dalla
legge di natura? Come distinguere una superstizione dall'altra?


Beh, non voglio dire (ripetere) niente sul significato che avrebbe quel
"trarne le conseguenze" per tecnici e ingegneri, o per chi non fa
ricerca teorica pura ma si muove per lo più nell'ambito dell'
"applicativo". Ma le critiche di Gauss (che grossomodo vengono ripetute
da Russell) alle concezione della matematica in Hegel o in Kant, o negli
antichi, le trovo francamente molto ingenue. Che poi la *necessità* non
possa essere dimostrata, in geometria o in logica, e men che meno per
quel che attiene al mondo cosiddetto "fisico", non è che il carattere
stesso di tale *necessità*. Se essa deve essere solo l'oggetto di una
dimostrazione, questa dimostrazione ovviamente non potrà essere
necessaria. Ma dire che la *necessità* non ha un perché, non significa
affatto che essa sia del tutto o in parte gratuita, o che in qualche
modo non sia poi così incontrovertibilmente necessaria.
La precisione di pensiero di un matematico o di un logico non
dovrebbe lasciarsi andare a simili affermazioni, a meno che
non le si prenda per espressioni di gusti e antipatie personali.
Siamo insomma ancora nel caso dell'incontrovertibile logico e
ontologico, e della sua immediatezza di cui si cerca un "princìpio"...
Non solo si dubita dell'indubitabile, ma si dubita di dubitare, in
indefinitum.


> Ma secondo te perché Fedro (da alcuni accenni che ho colto qua e là mi
> sembra di aver capito che tu hai letto Pirsig) nel cercare la Qualità
> si imbatte proprio in Poincaré?

No, non ho letto Pirsig, e nemmeno Poincaré, se non qualche breve brano,
con fatica, da un suo testo in originale che scaricai da qualche parte
dal web, e che non mi ritrovo più a seguito di una drammatica
formattazione...


> Poincaré, fra le altre cose, dimostrò matematicamente che c'è una
> possibilità *imprevedibile e indeterminabile* che anche un oggetto
> che fino ad oggi, per miliardi di anni, è stato su un'orbita
> ellittica regolare, domani non ci stia più.


Sta bene. Hume d'altra parte dimostrò la possibilità oggettiva che
qualunque evento possa "seguire" da qualunque altro evento (o serie di
eventi) fin lì osservato, fatta salva la possibilità logica, ossia
l'incontraddittorietà puramente concettuale: è possibile che l'acqua del
mare diventi gialla, ma è impossibile che diventi asciutta. La variabile
"tempo", in questo ragionamento, la quantità di anni in cui
quell'oggetto ha seguito regolarmente quell'orbita, è del tutto
ininfluente.

Permettimi qui di fare le pulci, con tutto il rispetto, al linguaggio di
Poincaré, in quanto qualificare come "imprevedibile e indeterminabile"
una *possibilità* è pleonastico, nel senso strettamente logico.


> Non era un semplice
> discorso alla Popper del tipo "può sempre accadere il contrario a
> falsificare la mia teoria (ma tanto lo so che non accade)". No, era
> proprio un porre l'imprevedibile e l'indeterminabile *dentro* la
> teoria. E non una teoria nuova e strana. Nono, proprio dentro Sua
> Maestà la teoria della gravitazione universale di Newton.
>
> Per certi versi Poincaré sta a Newton come Gödel sta a Russell. E'
> come se Poincaré e Gödel dicessero a Newton e Russell: "Lei signore
> dice di aver sistemato la cosa con questa sua bellissima teoria?
> Bene, e allora io uso questa sua bellissima teoria per dimostrale che
> la cosa non è così semplice come crede lei!"

Sì, i risultati di Gödel vengono infatti interpretati correttamente non
come un'implosione assoluta di ogni teoresi e di ogni conoscenza, un
approdo del tutto scettico, ma piuttosto come la *dimostrazione* della
strutturale *apertura* di queste a quanto di nuovo può sempre, ed anzi
"deve", accadere e presentarsi.


> Lo ripeto: io voglio "liberare" la foglia, sia dalla "tua" necessità
> che dalle "mie" leggi (ricorda cosa ti ho detto: possiamo solo
> sederci sul prato e stare a guardare). E non è che lo voglio fare
> perché mi va così, ma per rispetto di coloro che per secoli hanno
> lavorato per questo, ed anche - ma forse soprattutto - per liberare
> la "filosofia naturale" dalla tecnologia.
>
> E ti chiedo (domanda a cui puoi rispondere con un sì o con un no): in
> questo Severino è mio "amico" o mio "nemico"?

Penso di sì. Tutto il lavoro severiniano porta innanzi, per esempio, lo
stesso programma dummettiano in cerca di una teoria sistematica del
significato (la sua "struttura originaria"), criticando gli eccessi
astratti della dialettica hegeliana, criticando la critica di Gentile
sulla dialettica hegeliana, e quindi muovendosi su di un percorso che
ricerca le radici non culturali o politiche o altrimenti contingenti
della violenza; non cioè fondandosi su astrazioni intellettualistiche,
ma sulla logica pura; un po' come Gödel rompe il giocattolo russelliano
usando quella sua stessa bellissima teoria; e individuando tali radici
in quell'evidenza suprema dell'Occidente quale sarebbe il divenire
inteso come *integrazione* d'essere, processo di creazione e distruzione
degli essenti gestibile dall'uomo (nella tecnica).
Ma il cerchio non si chiude nella sua concretezza e nella sua
perfezione, se è questo ciò a cui tieni cura; il presente è destinato ad
accogliere infinitamente nuovi spettacoli, inaspettati. Sono inaspettati
e futuri nel loro contenuto, ma attendendoli, sono già presenti nel loro
significato astratto.

Ma su quella libertà della foglia bisogna intenderci: se parli di
*contingenza*, di ciò per cui essa, oscillando fra essere e nulla, si
rende disponibile alla manipolazione e alle decisioni, non è così. Se
parli davvero di "libertà", allora disponiti a non "ribellarti" a tale
libertà, di quella foglia e degli infiniti altri essenti destinati a
presentarsi, disponendoti in tal modo, non sei meno "libero" di
quelli -anzi: tanto quanto.

(Soprattutto, non si può avere per *scopo* quello di liberare la
foglia; è assurdo, o è già libera, oppure sei tu che ne produci la sua
libertà, cioè la sua libertà è l'esito di una *tua* azione).

Una "via regia" poi per verificare da te queste cose non so indicartela,
un libro particolare. Sorry, "liberati" da solo :-)


Ciao,
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 24, 2002, 11:50:34 AM9/24/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:t0%j9.5024$e31.1...@twister2.libero.it...

> Sì, preferirei essere lasciato in pace,

;-)

> (Questo vuol dire anche che se e quando questo forum verrà moderato, se
> io sarò fra i moderatori, ho ormai intenzione di parteciparvi il meno
> possibile).

:-(

> Una "via regia" poi per verificare da te queste cose non so indicartela,
> un libro particolare. Sorry, "liberati" da solo :-)

!!!!!!!!! :-)))))

Marco V.

unread,
Sep 24, 2002, 11:56:57 AM9/24/02
to
On Tue, 24 Sep 2002 10:12:33 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:


>Ora, il *mio* scopo è "liberare" la foglia. E' dire: non c'è nulla che la
>foglia debba *necessariamente* fare. E quindi non c'è nulla che io possa
>dire di *necessario* sulla foglia. Posso solo sedermi sul prato e godermi il
>"film" della foglia che cade. Film che, peraltro, nessun regista ha già
>girato. L'unico, al limite, che potrebbe avere il film "nel cassetto" è ***.
>Ma non è nemmeno detto.
>
>Poi, guardandomi il film, posso "scopire con meraviglia", che tutte le
>foglie del mondo, cadendo, "disegnano" una sorta di figura matematica che -
>meraviglia! - sta in relazione con la figura matematica che disegnano i
>fiocchi di neve che cadono, o l'acqua della cascata, o il moto dei pianeti.
>
>Qusta "meraviglia", questo "stupore", derivano proprio dal fatto che, pur
>non essendo *necessario* che la foglia cada in un certo modo piuttosto che
>in un altro, lo fa. L'ha sempre fatto, ma non è detto che continui a farlo:
>è "libera".

>Lo ripeto: io voglio "liberare" la foglia, sia dalla "tua" necessità che


>dalle "mie" leggi (ricorda cosa ti ho detto: possiamo solo sederci sul prato
>e stare a guardare). E non è che lo voglio fare perché mi va così, ma per
>rispetto di coloro che per secoli hanno lavorato per questo, ed anche - ma
>forse soprattutto - per liberare la "filosofia naturale" dalla tecnologia.
>
>E ti chiedo (domanda a cui puoi rispondere con un sì o con un no): in questo
>Severino è mio "amico" o mio "nemico"?

Dici all'inizio:


>E quindi non c'è nulla che io possa
>dire di *necessario* sulla foglia. Posso solo sedermi sul prato e godermi il
>"film" della foglia che cade. Film che, peraltro, nessun regista ha già
>girato.

Ambizioni contemplative, eh? Della foglia *è detto* che cade così come
cade e non potrebbe cadere altrimenti. Perciò nessuna "scrittura" del
soggetto percipiente sopra il "testo" rappresnetato dal cadere della
foglia...

Rispondo non avendo (ancora) letto la (eventuale) risposta di Cosimo.
La assoluta libertà coincide con la assoluta necessità. Hegel: "la
verità della necessità è la libertà". .
Credo che il tuo programma filosofico contenga una sua problematicità.
Il sistema di "leggi fisiche" (=F) a cui il cadere della foglia
sarebbe "sottoposto", "obbedirebbe" etc. è una *interpretazione*.
*Già* questo di per sè libera teoreticamente la foglia. Riconoscere
che F è una interpretazione è riconoscere che la foglia è libera nel
suo cadere - che cioè l'ente "cadere della foglia" non ha nella sua
essenza la conformazione ad F. Ma non solo. E' una interpretazione
anche il fatto che la foglia si sia comportata *così come* F prevedeva
che si comportasse.

Il discorso di Severino è il discorso in cui il ragionamento di cui
sopra riceve la sua fondazione teoretica ed il suo senso radicale (la
conformazione della foglia ad F *non esiste* - esiste la *volontà* che
la foglia nel suo cadere sia conformato ad F, ma questa volontà vuole
l'impossibile). Da questo punto di vista, Severino è il tuo miglior
amico - il miglior amico che potresti incontrare sulla via che deve
portarti fuori dalla fisica come scienza "necessaria", o magari, fai
attenzione! (lo dico per esperienza personale...), fuori dalla fisica
tout court. Ma Severino è il tuo miglior amico *proprio* perchè è
anche il tuo peggior nemico. Ed è questo tuo peggior nemico - il
peggiore che potresti incontrare - perchè nel suo discorso è fondata
la necessità di ogni accadimento in quanto tale. La foglia cade così
come è necessario che cada. E questa necessità significa che una
possibilità per *questa* foglia di cadere diversamente da come è
caduta, non esiste simpliciter: nel *significato* di questa foglia c'è
di cadere così come cade. E non esiste nel significato più rigoroso -
è niente: è (auto-)contraddittorio che sia.
Libertà ed essere così, vengono dunque a coincidere. E Severino si
presenta come il tuo peggior nemico sul fondamento del fatto che è il
tuo miglior amico.

Circa Poincare, conosci la sistemazione fisica della imprevedibilità
data da Prigogine? Va nella tua direzione?

Piuttosto Severino lo si è cercato di far "legare" ad Einstein, con
scarsi risultati...

Mi scuso per l'interferenza,

Saluti,

Marco



Cosimo

unread,
Sep 24, 2002, 12:01:21 PM9/24/02
to
Marco V. wrote:

[...]


> Continuando a sospettare chissà quale piano per un colpo di Stato che
> riporti i filosofi al governo (il sogno di Platone!) magari facendo
> tramontare il nihilismo imponendo lo studio in tutte le scuole di "La
> struttura originaria", e avendo incominciato dalla moderazione di
> questo NG. Che dici Cosimo, riuscirebbe una cosa del genere? Tu
> prepara il discorso, che alle forze armate ci penso io - ho un amico
> ufficiale in marina...


Uhmm, di quante navi da guerra possiamo disporre? E la fanteria? La
cavalleria indoeuropea?
Io pure mobiliterò tutti i miei amici che hanno fatto i tre anni di
militare a Cuneo, e nel frattempo penserò a riscrivere il nuovo manif...
cioè la nuova Costituzione Severiniana Italiana, Una e Indivisibile.
Penso che il progetto potrebbe riuscire, dovrei soltanto convincere
Ratzinger a stabilire un'alleanza tattica con Noi. Apporteremo anche dei
cambiamenti fondamentali e incontrovertibili al codice penale,
introducendo una nuova specie di reato, Reati contro la Logica dello
Stato: primo capoverso: "Il cittadino che sia trovato in flagranza di
contraddizione logica, è punibile con una pena da tre a sei anni di
carcere duro, etc etc..."


Ciao :-)
Cosimo.


Davide

unread,
Sep 24, 2002, 12:42:14 PM9/24/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d906eb8...@news.kataweb.it...

> Caro Davide, ti dirò che ho una certa difficoltà a risponderti.

> ...


> Ecco qui una cosa che io ho *sempre* negato nel mio discorso.

Sì, mi rendo conto che abbiamo "sensibilità" molto diverse e che a volte mi
lascio ingannare dal tuo "stile", che mi distiglie dai "contenuti".

> >Puoi dirmi che cos'è questo "qualcosa"?
>
> L'Islam nel primo caso - il Cristianesimo cattolico nel secondo.

Quindi i popoli di tradizione ortodossa non appartengono alla stessa civiltà
a cui appartiene la "famiglia italo-occidentale"?

> E comunque in questa volontà di diversificare l'Islam
> si esprime potentemente il nihilismo *occidentale*
> antimetafisico.

Scusa, qui non capisco. "Diversificare" l'Islam vuol dire "distinguere da
caso a caso" all'interno dei popoli islamici? E' questo che per te è una
espressione del nihilismo *occidentale*? E gli asterischi vogliono forse
indicare che mentre l'occidente lo fa - distinguere da caso a caso - gli
islamici non lo fanno e "tirano dritto"?

> >Potresti dirmi - possibilmente in modo filosoficamente rigoroso - come
fai a
> >distinguere uno che appartiene alla "parrocchia italo-occidentale" da
tutti
> >gli altri?
>
> Dicendo che è contraddittorio negare la distinzione.

Se anche fosse vero, come dici tu, che negare l'esistenza di una distinzione
conduce ad una contraddizione (la famosa "dimostrazione per assurdo"),
dovremmo dedurne che tale distinzione *esiste in linea di principio*.

Ora, io non sto dicendo che *non esiste*, in linea di principio, la
distinzione. Sto dicendo che se anche tale distinzione esistesse, fino a
quando essa non si traduce in un criterio *concreto*, *pragmatico*, per
stabilire se una certa persona *è* o *non è* un membro di una certa civiltà
noi quella distinzione non la potremmo utilizzare per operare delle scelte
*concrete*.

Visto che mi ricordi continuamente che "il discorso è *lì* che va a parare",
ti ricordo che per per andare a parare *lì* alla fine dovrem(m)o produrre
delle leggi che stabiliscono chi/come/dove/quando uno *possa* stare "dentro"
o *debba* stare "fuori".

Se ti rileggi la mia domanda, vedrai che ti chiedevo di "formulare" un
criterio *concreto* di distinzione.

Se tu mi chiedi la soluzione di una certa equazione ed io ti dimostro
semplicemente che *esiste* una soluzione di quella equazione non sto
rispondendo alla tua domanda.

> >Sono d'accordo con te. Infatti siccome non ho mai trovato nessuno che sia
> >stato in grado di definirmi biologicamente il concetto di "razza" e
> >filosoficamente il concetto di "civiltà" (in modo abbastanza rigoroso da
> >poter stabilire di volta in volta in modo definitivo se un certo
organismo
> >appartiene o no ad una certa razza e se un certo uomo appartiene o no ad
una
> >certa civiltà),

Vedi: io chiedo che vengano avanzate delle "proposte di discriminazione".

O, se vogliamo metterla in un altro modo: la filosofia è solo in grado di
dimostrare che *in linea di principio* esistono forme di convivenza di un
certo tipo (democratico, totalitario, inclusivo, esclusivo, ecc.) oppure è
anche in grado di elaborare delle proposte *concrete* e *pragmatiche*?

Perché se anche la filosofia dimostrasse che in linea di principio è
possibile vivere in una società democratica e razionale e poi dichiarasse
che trovare il modo specifico di farlo non è nelle sue
possiiblità/intenzioni/compiti, allora la società civile potrebbe imboccare
strade che, pur motivate alla razionalità, si rivelano irrazionali.

Allo stesso modo esiste un tipo di matematica che si pone come obbiettivo
quello di dimostrare l'esistenza di soluzioni di un problema aventi (le
soluzioni) certi requisiti. Ma ci sono anche altri settori della matematica
per i quali si può parlare di "soluzione" solo quando sia definito un
algoritmo che consente di *trovare* quella soluzione.

D'altra parte sapere che *esiste* un modo per alimentare 20 miliardi di
esseri umani, senza sapere *quale* esso sia, potrebbe portarmi a perseguire
una "certa" politica demografica per ritrovarmi poi in un mare di guai.

> Ti dirò allora che la mia posizione circa la "razza" - di cui ti ho
> già detto qualcosa nel precedente post - è: il *riconoscimento*
> razziale esiste ed è contraddittorio negarlo.

Potrei lasciarmi andare ad una provocazione rispondendoti che il
*riconoscimento* im-mediato dei razzisti esiste ed è contraddittorio negarlo
perché altrimenti non avrebbe senso parlare di razzismo.

Ma anche qui mi tengo sulla mia posizione: sottoponimi un criterio
*concreto*, non limitarti a dirmi che tale criterio *esiste*. Se poi mi dici
che compito della filosofia è solo quello di dimostrare che tale criterio
esiste ed è razionale, allora io ti dico che ciò non può avere una influenza
concreta sulle scelte politiche, poiché nessuno ci garantisce che i politici
siano in grado di scegliere proprio quel particolare criterio razionale di
cui i filosofi ritengono di poter dimostrare l'esistenza.

> >> Insomma Davide, perchè l'"aborto" sì e la "guerra" e la "caccia alla
> >> volpe" e la "polenta con gli uccellini" no io non rinuncio a
> >> chiedermelo ed a chiederlo. E se uso un linguaggio "rigido", è perchè
> >> oggi è rigido il muro che va abbattuto per poter parlare di certe
> >> cose.
> >
> >Ve', qui sono perfettamente d'accordo con te.
> >Forse dovremmo festeggiare l'evento :-)
>
> Lo vedi che se solo metti da parte certi tuoi infondati sospetti
> qualcosa di buono esce fuori? Ed ecco allora un buon motivo per
> guardare con meditante "sospetto" i "pacifisti", no?

Tu hai detto: aborto, guerra, caccia alla volpe e polenta con gli uccellini.
Qundi - stando alla tua proposta - se vogliamo guardare con sospetto gli
abortisti e gli animalisti bisogna che guardiamo con sospetto anche i
cacciatori ed i militari.

> (Certo non sono le tette (anch'io c'ho questa fissa, sai?) a risolvere
> questo genere di problemi. Altrimenti festeggerei come un grande
> evento la possibilità di... vedere in Italia i corpi femminili di
> tutte le razze del mondo - in primis le...confesso la mia debolezza...
> ucraine...

Ollallà! Quel deficiente di Freud direbbe che hai un debole per le donne
provenienti da società economicamente più deboli perché le altre ti
inibiscono. Il che lo porterebbe a farti domande per verificare il tuo
bisogno di "simboli fallici di sostegno" (moto, figure maschili autoritarie
di riferimento, ecc.) Insomma, arriverebbe a fare delle insinuazioni volte a
mostrarti la differenza fra "avere le palle" ed "essere cazzuto". Ma Freud
era un noto coglione ebreo.

> Ma se i problemi si risolvono così, allora iscriviamoci
> tutti al "Partito dell'amore" e non se ne parla più...Dicevi tempo fa
> della Marini, no?)

Ah! E' un budino. Anzi, una budina!
(Fatti coraggio: a me Freud per queste mie fissazioni e per il mio
esibizionismo mi ha già massacrato col rullo compressore :-))

> Continuando a sospettare chissà quale piano per un colpo di Stato che
> riporti i filosofi al governo (il sogno di Platone!) magari facendo
> tramontare il nihilismo imponendo lo studio in tutte le scuole di "La
> struttura originaria", e avendo incominciato dalla moderazione di
> questo NG. Che dici Cosimo, riuscirebbe una cosa del genere? Tu
> prepara il discorso, che alle forze armate ci penso io - ho un amico
> ufficiale in marina...

Il discorso l'abbiamo già preparato! Ci siamo ispirati ai "cazzuti" :-)

> che santiddio se da quel cielo abbiamo
> cacciato via l'idea dell'Ens che ci prometteva la vita eterna dopo la
> morte, non mi dirai che oggi il suo posto lo occupa o lo *potrà*
> occupare la "solidarietà internazionale" et similia?!

\mode Freud on
Certo che no. L'Ens è una figura maschile autoritaria di riferimento. Invece
la "solidarietà internazionale" è una figura tipicamente femminile: ricorda
la tetta materna
\mode Freud off

Saluti cazzuti,
D.


Davide

unread,
Sep 24, 2002, 12:56:48 PM9/24/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d90836...@news.kataweb.it...

> >Lo ripeto: io voglio "liberare" la foglia, sia dalla "tua" necessità che
> >dalle "mie" leggi (ricorda cosa ti ho detto: possiamo solo sederci sul
prato
> >e stare a guardare). E non è che lo voglio fare perché mi va così, ma per
> >rispetto di coloro che per secoli hanno lavorato per questo, ed anche -
ma
> >forse soprattutto - per liberare la "filosofia naturale" dalla
tecnologia.
> >
> >E ti chiedo (domanda a cui puoi rispondere con un sì o con un no): in
questo
> >Severino è mio "amico" o mio "nemico"?

> Rispondo non avendo (ancora) letto la (eventuale) risposta di Cosimo.


> La assoluta libertà coincide con la assoluta necessità. Hegel: "la
> verità della necessità è la libertà". .

Quindi mi stai dicendo:

ci sto a dissolvere le "tue" leggi (ma non è che lo faccio io: si dissolvono
da sole), ma non posso dissolvere la "mia" necessità (non posso farlo: essa
è auto-evidente, si manifesta da sé, non è "mia", sono le leggi che in un
certo senso sono "tue" perché sono il frutto di una "tua" interpretazione).

Alla faccia del "disarmo bilaterale" ;-)


Marco V.

unread,
Sep 24, 2002, 4:48:27 PM9/24/02
to
On Tue, 24 Sep 2002 16:42:14 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:

>
>"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
>news:3d906eb8...@news.kataweb.it...

>Sì, mi rendo conto che abbiamo "sensibilità" molto diverse e che a volte mi
>lascio ingannare dal tuo "stile", che mi distiglie dai "contenuti".

Ecco una regola di convivenza - attenersi ai contenuti, senza per
questo dimenticare la forma.


>> >Puoi dirmi che cos'è questo "qualcosa"?
>>
>> L'Islam nel primo caso - il Cristianesimo cattolico nel secondo.
>
>Quindi i popoli di tradizione ortodossa non appartengono alla stessa civiltà
>a cui appartiene la "famiglia italo-occidentale"?

Non capisco l'opportunità di questa domanda. Certo che vi
appartengono. E' l'identificazione Occidente-Cristianità che oggi è
divenuta fortemente problematica - e non regge più se non considerando
erronea la condotta dei governi. Io dico che non regge più.
Magari Livio potrebbe preparare un bel diagramma booleano.



>> E comunque in questa volontà di diversificare l'Islam
>> si esprime potentemente il nihilismo *occidentale*
>> antimetafisico.
>
>Scusa, qui non capisco. "Diversificare" l'Islam vuol dire "distinguere da
>caso a caso" all'interno dei popoli islamici? E' questo che per te è una
>espressione del nihilismo *occidentale*? E gli asterischi vogliono forse
>indicare che mentre l'occidente lo fa - distinguere da caso a caso - gli
>islamici non lo fanno e "tirano dritto"?

Questa volontà di non voler riconoscere l'identico, ti sarai accorto
che è una tendenza tipica della nostra cultura, no? E non si tratta di
tendenze astratte nella testa di intellettuali non nihilisti - nè è
nella testa degli intellettuali che questa tendenza sia nella testa
degli intellettuali "nihilisti" - ma è qualcosa di concreto, ad
esempio presente nei discorsi politici. E' ciò che resta affermato in
questa tendenza, a stare a fondamento del nostro rifiuto di
considerare il fenomeno immigratorio come una "invasione" etc.etc.



>Ora, io non sto dicendo che *non esiste*, in linea di principio, la
>distinzione. Sto dicendo che se anche tale distinzione esistesse, fino a
>quando essa non si traduce in un criterio *concreto*, *pragmatico*, per
>stabilire se una certa persona *è* o *non è* un membro di una certa civiltà
>noi quella distinzione non la potremmo utilizzare per operare delle scelte
>*concrete*.

E io ti controbbatto che nessuna concreta persona sta davanti ai tuoi
occhi come se fosse in attesa di una tua decisione circa la sua
connotazione culturale. E che perciò stai immaginando una situazione
astratta. Innanzitutto l'altro lo riconosci come tale. Già questo è
sufficiente.



>Visto che mi ricordi continuamente che "il discorso è *lì* che va a parare",
>ti ricordo che per per andare a parare *lì* alla fine dovrem(m)o produrre
>delle leggi che stabiliscono chi/come/dove/quando uno *possa* stare "dentro"
>o *debba* stare "fuori".
>
>Se ti rileggi la mia domanda, vedrai che ti chiedevo di "formulare" un
>criterio *concreto* di distinzione.

Ma il criterio di distinzione si riferisce appunto a quella situazione
astratta di cui sopra. Noi avremo sempre più a che fare con l'altro.
Il quale è immediatamente riconosciuto come tale. Dunque avremo sempre
più a che fare con il ricnoscimento della alterità. Non è che ce ne
stiamo a domandarci: ma questi che vengono con le carrette del mare,
siamo noi o sono altri?Sono altri. Questo è *il* punto fermo. Sappiamo
anche che l'alterità degli "immigrati europei" è differente dalla
alterità degli "immigrati non-europei". E fammi finire il
concetto...Sapendo questo, questa alterità la possiamo connotare
razzialmente, culturalmente, sul piano religioso etc. Sappiamo che
maggiore è la quantità di alterità, maggiori sono i problemi di
convivenza. Sappiamo anche di non voler progettare l'immmigrazione sul
fondamento della connotazione razziale. *Di conseguenza* sappiamo
anche di non avere come *scopo* la realizzazione del meticciato
etnico-culturale, e nemmeno la realizzazione della "società
inclusiva". Sappiamo essenzialmente che ha da funzionare l'apparato
economico con il minor numero di problemi possibili. E se le esigenze
dell'apparato sono tali da spingere nella direzioni di ciò che
l'ideologia designa come "società inclusiva" in opposizione a "società
esclusiva", resta vero che lo *scopo* è l'apparato e *non* la "società
inclusiva". E ciò fa cambiare di significato tutto...E ciò rapidamente
sta convincendo anche i più testardi politici...




>Vedi: io chiedo che vengano avanzate delle "proposte di discriminazione".
>
>O, se vogliamo metterla in un altro modo: la filosofia è solo in grado di
>dimostrare che *in linea di principio* esistono forme di convivenza di un
>certo tipo (democratico, totalitario, inclusivo, esclusivo, ecc.) oppure è
>anche in grado di elaborare delle proposte *concrete* e *pragmatiche*?

Ottima domanda. La mia risposta è che la filosofia - il discorso
filosofico - ha il compito di affermare ciò che è saputo. Ora, essendo
saputo che l'alterità dipende semanticamente da noi, già affermare
questo è un colpo mortale contro certe astratte progettazioni
ideologiche che scambiano distruttivamente mezzi e scopo.
Progettazioni che cioè pongono l'immigrazione come *scopo* che *noi*
dovremmo realizzare. Ma ti dirò anche che molte di queste
progettazioni non esprimono poi altro, magari in forma ingenua ed
incoerente, che lo status filosofico del concetto di identità. Prendi
un Deleuze, un Morin...





>> Ti dirò allora che la mia posizione circa la "razza" - di cui ti ho
>> già detto qualcosa nel precedente post - è: il *riconoscimento*
>> razziale esiste ed è contraddittorio negarlo.

>Potrei lasciarmi andare ad una provocazione rispondendoti che il
>*riconoscimento* im-mediato dei razzisti esiste ed è contraddittorio negarlo
>perché altrimenti non avrebbe senso parlare di razzismo.

Potresti, e sbaglieresti se lo facessi nel senso in cui mi pare di
aver capito vorresti farlo. Equiparare l'affermazione della esistenza
del riconoscimento razziale ad una affermazione razzista, sarebbe un
erroraccio. Derivante al solito dall'aver proiettato la categoria
dell'"antirazzismo" nello spazio empireo etc.etc.etc.


>Ma anche qui mi tengo sulla mia posizione: sottoponimi un criterio
>*concreto*, non limitarti a dirmi che tale criterio *esiste*. Se poi mi dici
>che compito della filosofia è solo quello di dimostrare che tale criterio
>esiste ed è razionale, allora io ti dico che ciò non può avere una influenza
>concreta sulle scelte politiche, poiché nessuno ci garantisce che i politici
>siano in grado di scegliere proprio quel particolare criterio razionale di
>cui i filosofi ritengono di poter dimostrare l'esistenza.

Ah, ma la filosofia non sta più alla guida dei governi per quanto si
dice che Be. abbia tra i suoi consiglieri Baget Bozzo...proprio per
questo non ci sta. Ma qualcosa la voglio dire.
La parola d'ordine della filosofia è...lasciami finire il concetto:
concretezza.(per Cosimo: potresti iniziare così il discorso di
insediamento, che ne dici?"Da oggi in poi dichiariamo guerra alla
astrattezza!", "Astratti di tutta Italia (o di ICF, questo poi lo
deciderai tu), tremate!"). In questo caso concretezza è data dalla
determinazione della unione tra noi e le esigenze dell'apparato
economico. E cioè come ti dicevo sopra, dalla determinazione della
relazione mezzi-scopo. Quale scopo vogliamo realizzare mediante
l'immigrazione? Lo scopo è di dare un volto più "umano" alla società?O
forse lo scopo è il funzionamento del nostro apparato economico -
nostro di noi che siamo fatti così e così e che dunque non possiamo nè
schiavizzare ma nemmeno abbiamo come scopo di inglobare immigrati?
Ecco una domanda con cui io aprirei un bel corso di "filosofia
dell'immigrazione"! Porsi questa domanda vale già come il criterio
astratto che tu volevi determinare .





>Tu hai detto: aborto, guerra, caccia alla volpe e polenta con gli uccellini.
>Qundi - stando alla tua proposta - se vogliamo guardare con sospetto gli
>abortisti e gli animalisti bisogna che guardiamo con sospetto anche i
>cacciatori ed i militari.

Oh, ma certamente. Però io guardo con *maggiore* sospetto chi essendo
violento predica il rifiuto della violenza. E' (violenza)^n, n=2.
Traduzione: un calcio nel sedere se lo possono prendere...



>Ollallà! Quel deficiente di Freud direbbe che hai un debole per le donne
>provenienti da società economicamente più deboli perché le altre ti
>inibiscono. Il che lo porterebbe a farti domande per verificare il tuo
>bisogno di "simboli fallici di sostegno" (moto, figure maschili autoritarie
>di riferimento, ecc.) Insomma, arriverebbe a fare delle insinuazioni volte a
>mostrarti la differenza fra "avere le palle" ed "essere cazzuto". Ma Freud
>era un noto coglione ebreo.

Sai com'è, dalle me parti il biondo (che piace pure a te, no?) un
tempo era raro...ma non che il bruno mi faccia schifo....Al che il
"coglione ebreo" che si agita nella mente di Davide direbbe che opero
riconoscimento di un carattere razziale, al che mi ritroverei
formalmente imputato per "crimini contro l'umanità", al che ti dico
che sono scarsamente interessato a continuare il giochino, al che ti
dò la cordialissima buonanotte.
Che la Marini sia con te!

Marco

Davide

unread,
Sep 24, 2002, 8:17:47 PM9/24/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d90cf40...@news.kataweb.it...

Senti Marco, ti inviterei, come direbbe il nostro comune Amico, a "non
menare il can per l'aia" ed a "fare a capirci".

All'uopo ti riepilogo quelli che mi paiono i pinti salienti della nostra
conversazione.

1)

*Tu* dici che non si può lasciare la politica dell'immigrazione nelle mani
di chi fa dei discorsi vaghi, fumosi, ipocriti e melodrammatici, ma bisogna
affrontarla in modo *chiaro*, *razionale* e *concreto*.

2)

*Io* ti rispondo:
Bene! Fammi una proposta *concreta* di come, secondo te, stabilire
chi/come/quando possa/debba essere "accolto".

Mi sembra di essere stato chiaro:

> >Ora, io non sto dicendo che *non esiste*, in linea di principio, la
> >distinzione. Sto dicendo che se anche tale distinzione esistesse, fino a
> >quando essa non si traduce in un criterio *concreto*, *pragmatico*, per
> >stabilire se una certa persona *è* o *non è* un membro di una certa
civiltà
> >noi quella distinzione non la potremmo utilizzare per operare delle
scelte
> >*concrete*.
> >

> >Visto che mi ricordi continuamente che "il discorso è *lì* che va a
parare",
> >ti ricordo che per per andare a parare *lì* alla fine dovrem(m)o produrre
> >delle leggi che stabiliscono chi/come/dove/quando uno *possa* stare
"dentro"
> >o *debba* stare "fuori".

3)

A questo punto *tu*, anziché rispondermi definendo un criterio *concreto*,
mi rispondi dicendo che:

> E io ti controbbatto che nessuna concreta persona sta davanti ai tuoi
> occhi come se fosse in attesa di una tua decisione circa la sua
> connotazione culturale.

Quando a me sembra chiaro che proprio di *persone concrete* ti stavo
parlando! La domanda *finale* è: quando una certa persona si presenta
*concretamente* alla frontiera o sulla spiaggia, in base a quale criterio
*concreto* dobbiamo agire nei confronti di quella persona? Che *fare*? Gli
chiediamo se è cattolico/a? Gli chiediamo se è disposto/a a lavorare per noi
a 100 euro al mese? Lo mandiamo via a prescindere? Lo accogliamo a
prescidere? Ripeto: che *fare*?

E non solo, ma anziché fornirmi l'agognato criterio *concreto* (cioè, come
ti avevo detto, qualche principio che possa ispirare un eventuale
legislatore), tu mi dici che

> Innanzitutto l'altro lo riconosci come tale.
> Già questo è sufficiente.

Ora, in una delle aziende di cui sono responsabile ci lavora una ragazza
senegalese che è arrivata in Italia in modo abusivo e con la quale c'è
un'ottima intesa. La sento come simile-a-me e chi capiamo al volo. Mi
dispiace solo che quando restiamo a cena tutti assieme non possa apprezzare
il vino - che a me piace tanto - perché la sua religione glielo vieta.
Questo è l'*unico* punto su cui potrebbe sembrarmi un po' "strana".

Ci lavorano anche un sacco di altre persone, che più o meno mi stanno tutte
simpatiche. Ci lavora anche un cattolico devotissimo di Padre Pio che
vorrebbe "spezzare le reni" a tutti quelli che non "stanno in riga", e ci
lavora un integralista cattolico che non parla di "spezzare le reni", ma
guarda con sguardo inceneritore tutto ciò che è vivo, respira, gode. Questi
due qua io li percepisco come altro-da-me. In realtà, se devo dire la
verità, provo una sensazione "strana" (nel senso di "estraneità") tutte le
volte che incontro qualcuno che riesca a concepire un *** che "manda
all'inferno". Mi sembra che se un *** è fatto ad immagine e somiglianza di
qualcuno che pensa a "mandare all'inferno" ci facciano tutti e due una
brutta figura.

Poi potrei parlarti della parrucchiera senegalese sotto casa che sta tutto
il giorno a fare treccine alle sue amiche e che mi "addolciscono l'anima"
ogni volta che passo davanti. Certo, non hanno alcun rispetto del codice
stradale e mi lasciano tutte le macchine davanti al passo carrabile. Certi
giorni ho fretta, perdo un sacco di tempo (anche perché se rompo troppo le
palle mi prendono per il culo) e mi viene da pensare che "dovremmo aiutarli
a casa loro". Poi però penso alla signora di fronte che va tutte le mattine
in chiesa e che è consumata dall'odio e dall'invidia e vado dalla
parrucchiera a prendere le chiavi, le sposto la macchina, e le riporto le
chiavi contento che la ragazza esista.

Vedi bene che se facessimo una legge dove l'"altro" lo si "riconosce come
tale" ed io fossi quello che sta alla frontiera la domanda che porrei
sarebbe, che so, "esiste l'inferno? e se esiste, è vuoto?", oppure no, farei
altro, chiederei di raccontarmi una barzelletta - ché da come uno racconta
le barzellette io capisco se è "altro da me" (il devoto e l'integralista di
cui sopra non ne hanno mai raccontata una in anni e anni, e per di più non
le capiscono!)

Insomma, non mi sembra che la tua risposta sia né *concreta* né
*concretizzabile*.

Ma tu insisti:

> Ma il criterio di distinzione si riferisce appunto a quella situazione
> astratta di cui sopra. Noi avremo sempre più a che fare con l'altro.
> Il quale è immediatamente riconosciuto come tale. Dunque avremo sempre
> più a che fare con il ricnoscimento della alterità. Non è che ce ne
> stiamo a domandarci: ma questi che vengono con le carrette del mare,
> siamo noi o sono altri?Sono altri. Questo è *il* punto fermo.

Bene, allora per favore scrivimi una proposta di legge *concreta* in cui
compaia questo tuo *punto fermo*.

Anche perché questi tuoi "punti fermi" mi sembrano piuttosto "fluttuanti".

Quando ti ho chiesto quale sia il "tratto unificante" della tua cosiddetta
"famiglia italo-occidentale" mi hai risposto:

> >> L'Islam nel primo caso - il Cristianesimo cattolico nel secondo.

dal che si poteva trarre l'impressione che il requisito per essere parte
della "famiglia" fosse quello di essere cristiano *e* cattolico (il che fra
l'altro mi escluderebbe doppiamente, tu magari dirai che io non posso non
dirmi cristiano, e allora... vabbe', lasciamo stare, tanto non è questo il
punto).

Poiché mi è venuto questo dubbio (cioè che fosse necessario essere cristiano
*e* cattolico) ti ho chiesto chiarimenti:

> >Quindi i popoli di tradizione ortodossa non appartengono alla stessa
civiltà
> >a cui appartiene la "famiglia italo-occidentale"?

E come mi hai risposto?

> Non capisco l'opportunità di questa domanda. Certo che vi
> appartengono.

Ma allora perché avevi detto "Cristianesimo cattolico"??? Ti rendi conto che
se fai un "errorino" così nel redigere una eventuale legge mi lasci fuori
dalla porta qualche centinaio di milioni di "nostri familiari"?


4)

Dopo aver risposto picche a tutte le mie insistenti richieste di avanzare
proposte *concrete* mi dici:

> Ah, ma la filosofia non sta più alla guida dei governi per quanto si
> dice che Be. abbia tra i suoi consiglieri Baget Bozzo...proprio per
> questo non ci sta. Ma qualcosa la voglio dire.
> La parola d'ordine della filosofia è...lasciami finire il concetto:
> concretezza.(per Cosimo: potresti iniziare così il discorso di
> insediamento, che ne dici?"Da oggi in poi dichiariamo guerra alla
> astrattezza!", "Astratti di tutta Italia (o di ICF, questo poi lo
> deciderai tu), tremate!").

Dimmi tu: che devo fare? Mettermi a piangere? Pregarti in ginocchio?

At salùt (= ti saluto, nell'idioma della "famiglia romagnola")
D.


LG

unread,
Sep 24, 2002, 8:53:43 PM9/24/02
to
On Sun, 22 Sep 2002 12:37:33 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:

>Proviamo a partire di qui.


>Tu dici che se dico "la mela è rossa" allora ciò implica (e presuppone)

>anche il fatto che "la mela è".

Niente affatto. Dire che "la mela e" sia una proposizione compiuta
implica (e presuppone) - questa volta si' - una *teoria* dell'essere.
"la mela e'" e' una proposizione mancante del suo predicato. Significa
che sto per dire qualcosa, ma se, fermandomi li', dico che l'ho gia'
detto, propongo (sottobanco) all'interlocutore una delle solite
metafisiche. Una mela rossa non potra' mai dimostrare una metafisica,
e tanto meno - secondo me - si potra' ricavare una metafisica da una
descrizione predicativa.

"la mela e'" e "tu dici che" sono due esempi di proposizioni
incompiute. Siccome nel linguaggio cio' che viene detto viene detto
nel tempo necessario a leggerlo (o ascoltarlo) e' legittimo dire che
esistono proposizioni incomplete, che non denotano ancora nulla.

L'essere non puo' venir sostantivato e come tale predicato (tipo:
"l'essere e'"), perche' questo e' un altro modo di fondare una
metafisica su una proposizione inconsistente o incompleta. In
particolare il verbo essere non puo' essere sostituito al verbo
esistere. Una cosa che e' (con sottintesa qualche descrizione
predicativa che completa la presentazione della cosa) puo' esistere o
non esistere.

Dire poi che

>"essere rosso" è un "modo 'delimitato e definito' di essere"

ricade nell'osservazione precedente: se si accetta che "la mela e'"
abbia un significato compiuto, si finisce per vedere il "rosso" come
un modo dell' "essere", e si finisce per dire che
>ogni essente è una sintesi fra la determinazione e l'essere [Cosimo]..

Ciao. Non piegarti troppo all'autorita' (c'e' qualcuno che ha messo 20
anni a scrivere un libro, magari covando per tutto quel tempo su un
errore; c'e' gente che per tutta la vita ha messo in piedi sistemi
filosofici che i posteri hanno tranquillamente demolito).
LG

Davide

unread,
Sep 24, 2002, 10:01:36 PM9/24/02
to

"LG" <lugu...@tiscalinet.it> ha scritto nel messaggio
news:3d9105ea...@news.tiscalinet.it...

> On Sun, 22 Sep 2002 12:37:33 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
> wrote:
>
> >Proviamo a partire di qui.
> >Tu dici che se dico "la mela è rossa" allora ciò implica (e presuppone)
> >anche il fatto che "la mela è".
>
> Niente affatto. Dire che "la mela e" sia una proposizione compiuta
> implica (e presuppone) - questa volta si' - una *teoria* dell'essere.
> "la mela e'" e' una proposizione mancante del suo predicato.

LG, bisognerà che prima o poi io e te ci facciamo una bella litigata così
magari diventiamo amici.

Ma dico, potrò o no fare quella cosa semplicissima che si chiama "partire
dai presupposti dell'interlocutore" o anche semplicemente "mi metto nei tuoi
panni" o come cazzarola vuoi dire tu?

No dico, ti sembro uno che appena tira gli dicono di mettersi a carponi e
abbassare le mutande è già lì col culo spianato? Se è così cosa perdi tempo
a fare per recuperarmi? I coglioni non li recuperi :-)

> Significa
> che sto per dire qualcosa, ma se, fermandomi li', dico che l'ho gia'
> detto, propongo (sottobanco) all'interlocutore una delle solite
> metafisiche.

Tant'è che poco dopo ho proposto di sostituire l' "è-col-punto" con il
termine "esiste", proprio per poterne "parlare", "discutere", "capire",
"vedere dove si va a finire", "incazzarmi", "scazzarmi"...

Sei tu che hai paura di "ascoltare le parole del demonio", come se potesse
"trascinarti fra le fiamme dell'inferno". Perché altrimenti non appena uno
nomina la metafisica ti metti ad urlare "no, no, non mi avrete!" e non
ascolti??? Non hai abbastanza fiducia in te stesso da poterti concedere un
bel pasto antropofago al desco dei cannibali senza temere di non poter
tornare più a casa?

Non puoi limitarti a "guardare da lontano": se vuoi sapere come vive il lupo
devi *diventare* lupo.
Anche perché c'è sempre la possibilità che il lupo non sia il lupo.

> Una mela rossa non potra' mai dimostrare una metafisica,
> e tanto meno - secondo me - si potra' ricavare una metafisica da una
> descrizione predicativa.

Va bene. Stai qui con noi, argomenta questo che dici. Ma non dire "mai",
"non potrà", ecc. Te l'ho già detto: se ti siedi al tavolo della briscola
bisogna che giochi a briscola. Se fra te e te pensi che sia tutta una
fregatura o non giochi oppure giochi sapendo, che so, che l'uomo non è solo
logos, e che se anche sul versante del logos le cose non vanno come vuoi tu
non conta un cazzo. Tanto si decide per passione.

> "la mela e'" e "tu dici che" sono due esempi di proposizioni
> incompiute. Siccome nel linguaggio cio' che viene detto viene detto
> nel tempo necessario a leggerlo (o ascoltarlo) e' legittimo dire che
> esistono proposizioni incomplete, che non denotano ancora nulla.

Se tu vai a cena dai giapponesi ti togli le scarpe. E' inutile che stai li a
sbraitare che ci sono popoli che se le tengono. *Qui* te le devi togliere. E
poi, cazzarola, non vorrai mica pensare che Cosimo non sa che "tu dici che"
è una proposizione incompiuta. Te l'ho detto: o stai qui e giochi a
briscola, o ti tappi le orecchie per non sentire, o ti metti a fare il
troll.

> Una cosa che e' (con sottintesa qualche descrizione
> predicativa che completa la presentazione della cosa)
> puo' esistere o non esistere.

Non puoi dimostrare ciò che hai appena detto senza un qualche "presupposto
ontologico". Qui hai un interlocutore il cui presupposto ontologico è che le
cose esistono nel pensiero. E non è nemmeno una idea cretina, perché la
cosa-in-sé kantiana ha le sue belle rogne.

Dicci il tuo "presupposto ontologico" e decidiamo tutti assieme se vogliamo
smettere di giocare a briscola per giocare il tuo gioco. Ma se dopo un po'
il gioco da te proposto non "funziona" bisogna che ne prendi atto.

> Ciao. Non piegarti troppo all'autorita' (c'e' qualcuno che ha messo 20
> anni a scrivere un libro, magari covando per tutto quel tempo su un
> errore; c'e' gente che per tutta la vita ha messo in piedi sistemi
> filosofici che i posteri hanno tranquillamente demolito).

Eh, purtroppo per il mio carattere sono uno che tende a piegarsi
all'autorità. Appena vedo uno che "sa farsi valere" subito corro a
scodinzolare ai suoi piedi.
Abbi pazienza :-)

Ciao,
D.


Marco V.

unread,
Sep 25, 2002, 7:49:51 AM9/25/02
to
On Wed, 25 Sep 2002 00:17:47 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:

>
>"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
>news:3d90cf40...@news.kataweb.it...

Senti Davide, o ci sei o ci fai. Hai scritto:

>Quando ti ho chiesto quale sia il "tratto unificante" della tua cosiddetta
>"famiglia italo-occidentale" mi hai risposto:
>
>> >> L'Islam nel primo caso - il Cristianesimo cattolico nel secondo.

Vatti a rileggere il messaggio e vedrai se ho mai scitto una puttanata
del genere - infatti quello che quoti *non* l'ho scritto in risposta
alla domanda sul "tratto unificatore dela famiglia italo-occidentale".
Ho l'impressione che tu "ci faccia" - e francamente se questa
impressione dovessi riconfermarla, allora veramente non vale più la
pena parlare qui affaticandosi gli occhi... . Oppure è possibile che
la tua vista sia annebbiata da pregiudizi - o forse dalla "birretta",
o forse dalla "Marini" chissà?. O è semplicemente un equivoco.

Certo che le nebbie vanno e vengono, spero che adesso se ne siano
andate, che tu abbia rilevato il *tuo* colossale errore di
comprensione - mi faccio il segno della croce e fedele come sono nella
potenza e nel valore del discorso vado avanti nella risposta. (indosso
comodi mocassini e non stivali militari...)

E invece la risposta concreta te l'ho data caro Davide - eccome se te
lo data. Ti ho parlato di apparato economico, ti ho parlato che la
regolamentazione della immigrazione deve liquidare quell'equivoco
secondo il quale noi avremmo come scopo l'immigrazione, ti ho parlato
che la solidarietà non sta campata in aria ma sta laddove l'economia
deve funzionare (presso di noi), ti ho parlato che è assurdo
immaginare una situazione in cui i nostri valori ci mettano in
pericolo, ti ho parlato che dicendo "la razza non esiste" il
riconoscimento razziale rimane intatto, ti ho parlato che dicendo
"tutte le culture sono uguali" il riconosciumento della diversità
culturale resta immutato. Metti tutto questo nelle mani del
legislatore, e la legge esce fuori; e poco alla volta sta uscendo, nel
senso che poco alla volta "conservatori" e "progressisti" stanno
convergendo lasciandosi alle spalle gli estremismi (razzisti ed
antirazzisti, i quali pari sono). Il che tradotto in termini terra
terra significa: scordati che idilliache visioni *individualistiche*
dell'immigrazione possano avere la minima rilevanza per noi. Scordati
che la simpatia della tua parrucchiera senegalese o del marito
senegalese di mia cugina possano significare qualcosa di concreto per
uno Stato. Scordatelo non tanto perchè la situazione non è tutta rose
e fiori - ma soprattutto perchè l'immigrazione è un *processo*. E'
astratto immaginare che la simpatia dei senegalesi - o anche la
"bastardaggine" che si imputa a certi nordafricani - siano
concretizzabili in una legge. Lo può fantasticare qualche giornalista
nei suoi articolini sul "vento di destra (orrore!!) che spira in
Europa etc.etc.etfc.". Ma il futuro non sta negli articolini dei
giornalisti. Oppure - consentimelo - uno che pensa di risolvere
l'equazione astratta (magari alle derivate parziali) della
immigrazione risolvendola nel caso in cui l'"altro" si identifica alla
simpatica parrucchiera senegalese. Chè se io la risolvessi nel caso di
una immaginaria mia sorella (non ho sorelle) "violentata dagli
immigrati", il risultato avrebbe la *medesima* dignità del tuo perchè
si porrebbe sul *medesimo* piano logico del tuo, non credi?...
Ora, se volessimo conferire un significato concreto a ciò che in prima
analisi non è altro che quotidianità (la parrucchiera, l'ambiente di
lavoro, o anche la sorella violentata), dovremmo dire: ci sono
situazioni in cui il riconoscimento della alterità (che è immediato)
si depotenzia etc. Bene, quali sono queste situazioni? Sono le
situazioni indotte dal regolare funzionamento dell'apparato economico.
Anche questo è incontrovertibile - ed è presente nel tuo stesso
discorso. Ed è proprio quello a cui il mio discorso alludeva.

Perciò, il tuo discorso si limita a riconoscere che vi sono situazioni
in cui l'alterità non costituisce un problema. E dice: lo vedete, è
tutta colpa del cristianesimo, del cattolicesimo, del riconoscimento
razziale etc. Ma non mi dice *perchè* mai *noi* dovremmo mettere da
parte il nostro essere cristiani relegandolo in una dimensione privata
piuttosto che volerlo affermare a *maggior ragione* oggi etc. Io
invece penso di averlo detto. Dicendo che non è la "solidarietà" a
riuscire a liquidare l'identificazione Europa-cristianesimo. E dicendo
che ciò che invece vi sta sempre più riuscendo è *al contempo* ciò che
liquida concezioni astratte ed ideologiche della "solidarietà", della
"amicizia", della "tolleranza", dell'"umanitarismo",
dell'"accoglienza" etc. E che il contenuto concreto di una legge che
voglia regolamentare la immigrazione deve innanzitutto rispecchiare lo
*scopo* della immigrazione. Lo scopo di noi che siamo "solidali",
"amichevoli", "tolleranti", "umanitari" etc. Cioé: non solo il nostro
essere cristiani entra in contraddizione con il funzionamento della
macchina (con il nostro voler far funzionare la macchina nel modo
migliore possibile, per essere più precisi), ma *anche* la
"tolleranza" etc. Infatti le impronte digitali sono utili e vanno
benissimo.




>Ma allora perché avevi detto "Cristianesimo cattolico"??? Ti rendi conto che
>se fai un "errorino" così nel redigere una eventuale legge mi lasci fuori
>dalla porta qualche centinaio di milioni di "nostri familiari"?

Circa il tuo equivoco, ho giò chiarito sopra. Francamente non ho
capito come tu possa aver non compreso che quella identità io la
riferivo all'evolversi del Cristianesimo, e non all'Occidente, e
nemmeno al criterio di distinzione e selezione di chi deve entrare di
contro a chi deve restare fuori.

Pertanto mi sembra che io i "fondamenti" di una legge li abbia
"teorizzati" - ma in verità sono in atto. Non si tratta di inglobare
appartenenti alla famiglia umana (la sinistra), o cristiana (il Card.
Biffi) etc. - si tratta di gettare carburante nella macchina economica
senza per questo danneggiare ciò a cui la macchina economica è
comunque legata, e a ciò deve mirare la legge di cui sei "in cerca".
Chè una classe scolastica composta di venti stranieri e un italiano è
un danneggiamento, non un potenziamento - idem troppe moschee sparse
per l'Europa; idem far studiare l'arabo piuttosto che l'inglese; idem
una "loro" espansione demografica nel cuore dell'Europa tecnologica e
scientifica; idem un nostro impazzire appresso a conflitti
etnico-culturali etc.. Chiaramente la scelta del carburante di per sè
testimonia di non essere fondata sulla "discriminazione" etc.etc.etc.
Ma allo stesso tempo non è detto che certi tratti culturali (chiamali
anche ideologici, se vuoi) dell'Europa non rimangano vincolati al
funzionamento dell'apparato occidentale. Ma questo ultimo punto è
tutto un altro discorso - che finora che io sappia qui in ICf nessuno
ha ancora toccato nella sua profonda problematicità.

Proviamo a dare una svolta alla discussione. Noi esistiamo come
volontà politica avente a dispisizione un apparato di potenza etc.
Insomma un nostro Stato c'è ed è immediato che ci sia. Oggi questo
Stato riconosce che l'immigrazione - non la *statica* parrucchiera o
lo *statico* marito di mia cugina, ma il *dinamico* processo della
immigrazione - è in atto. Prova a dirmi *tu* cosa ha da fare questo
nostro Stato davantina quel *dinamismo*. Forniscimi *tu* una qualunque
risposta a questa domanda - purchè sia la *tua* risposta, fosse pure
meditata sulle pagine scritte da un "pacifista scoglionato" o da un
Courtial Des Pereires (e chi non ama Celine?!) dell'immigrazione.

Saluti,

Marco


20QfwfQ02

unread,
Sep 25, 2002, 8:00:36 AM9/25/02
to

"Davide" ha scritto:
>
> "20QfwfQ02" ha scritto:
>
> > Allora ho cominciato a pensare che più
> > verosimilmente il mutamento [...] e la Creazione siano la stessa cosa,
> > e che la dinamica dell'esistenza sia la manifestazione necessaria del
> > carattere creatore di ***.
>
> Mh... interessante... sta a vedere che i Queffe che nel giorno del loro
> compleanno diventano dei fini filosofi... peccato che ormai è già passata
> mezzanotte e per riaverti a questi livelli mi toccherà aspettare un altro
> anno! :-))))

Beh, basta dirne una all'anno di cose che non si prestano a troppi massacri
usenettiani, no?
Accontentiamoci, dài.
Poi c'era la luna piena, e, come sai, la luna è propizia ai queffe.

Ciao
QfwfQ

Davide

unread,
Sep 25, 2002, 8:48:21 AM9/25/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d91a207...@news.kataweb.it...

> >Quando a me sembra chiaro che proprio di *persone concrete* ti stavo

> >parlando! La domanda *finale* и: quando una certa persona si presenta


> >*concretamente* alla frontiera o sulla spiaggia, in base a quale criterio
> >*concreto* dobbiamo agire nei confronti di quella persona? Che *fare*?
Gli

> >chiediamo se и cattolico/a? Gli chiediamo se и disposto/a a lavorare per


noi
> >a 100 euro al mese? Lo mandiamo via a prescindere? Lo accogliamo a
> >prescidere? Ripeto: che *fare*?
>
> E invece la risposta concreta te l'ho data caro Davide - eccome se te
> lo data. Ti ho parlato di apparato economico, ti ho parlato che la
> regolamentazione della immigrazione deve liquidare quell'equivoco
> secondo il quale noi avremmo come scopo l'immigrazione, ti ho parlato

> che la solidarietа non sta campata in aria ma sta laddove l'economia


> deve funzionare (presso di noi),

Ah! Comincia ad apparire un criterio concreto. Anche se non privo di
ambiguitа. Qui mi sembra di capire che il fenomeno immigratorio andrebbe
subordinato ad esigenze economiche, tipo: chi viene da noi ci deve venire
per lavorare (come tutti "noi"), e se non c'и lavoro non ci puт venire
(regola, questa, che a "noi" non si applica). Va bene questa come traduzione
*concreta* di ciт che dici sopra?

> ti ho parlato che и assurdo


> immaginare una situazione in cui i nostri valori ci mettano in
> pericolo, ti ho parlato che dicendo "la razza non esiste" il
> riconoscimento razziale rimane intatto, ti ho parlato che dicendo

> "tutte le culture sono uguali" il riconosciumento della diversitа
> culturale resta immutato.

Bene, piщ su abbiamo espresso un "criterio economico" che conteneva la
variabile indefinita "noi". Ora, se questo "noi" va inteso come "cittadini
italiani" o "cittadini europei" o piщ in generale "cittadini di stati con
cui vigono certi accordi bilaterali" vedi bene che tutte queste
considerazioni sul riconoscimento razziale - per quanto possano essere
fondate - non sono rilevanti. Se invece quel "noi" deve avere dei risvolti
attinenti il "riconoscimento razziale" allora bisogna che lo chiarisci
fornendomi delle direttive *concrete*.

> Metti tutto questo nelle mani del
> legislatore, e la legge esce fuori; e poco alla volta sta uscendo, nel
> senso che poco alla volta "conservatori" e "progressisti" stanno
> convergendo lasciandosi alle spalle gli estremismi (razzisti ed
> antirazzisti, i quali pari sono).

Non so. Una legge che pone dei "tetti numerici" contiene dei notevoli
problemi sul piano etico e teorico. Poichй se tu mi scrivi un qualunque
testo filosofico di etica in base al quale certe persone hanno certi diritti
e poi ti ritrovi che - per motivi contingenti - quei diritti non li puoi
riconoscere a tutti quelli che ne avrebbero... diritto, ti poni
automaticamente in una posizione contraddittoria con la tua etica, e -
soprattutto - lasci a "qualcuno" il potere/diritto di operare delle
discriminazioni contrarie al tuo ipotetico testo di etica.

E' il problema che pone il tuo amico Cardinale: se c'и posto per tutti bene,
ma se non c'и posto per tutti sarа meglio che ci vengano dei cattolici. Al
che io potrei replicare che siccome non c'и posto per tutti i cattolici, и
meglio limitarci ai cattolici che sanno raccontare bene le barzellette.

Continuo a pensare che ci sono troppe "variabili" indeterminate.

> Il che tradotto in termini terra
> terra significa: scordati che idilliache visioni *individualistiche*
> dell'immigrazione possano avere la minima rilevanza per noi.

Ma io non dicevo questo. Dicevo che se tu mi fondi un criterio sul
"riconoscimento im-mediato dell'altro" io potrei essere propenso ad un
"riconoscimento imm-mediato" in cui la parrucchiera и "famiglia" ed il
devoto di Padre Pio и "altro".

Dico, ma te l'immagini una legge che parla di "riconoscimento im-mediato
dell'altro" o qualche concetto ad esso equivalente?

> Scordati
> che la simpatia della tua parrucchiera senegalese o del marito
> senegalese di mia cugina possano significare qualcosa di concreto per
> uno Stato.

Ma и proprio quello che voglio dire io!
Ti sto dicendo: se *tu* non mi fissi un criterio *oggettivo e concreto* di
discriminazione allora *io* posso sentirmi autorizzato ad adottare un
criterio del tutto "privato" basato, che so, sulla mia simpatia per i
senegalesi e/o la mia antipatia per i cattolici.

> Ora, se volessimo conferire un significato concreto a ciт che in prima
> analisi non и altro che quotidianitа (la parrucchiera, l'ambiente di


> lavoro, o anche la sorella violentata), dovremmo dire: ci sono

> situazioni in cui il riconoscimento della alteritа (che и immediato)
> si depotenzia etc.

No, il problema и "a monte". Se tu mi dici che il "riconoscimento
dell'altro" и im-mediato allora stai dicendo che per ogni persona и
intrinsecamente "chiaro" chi sia l'"altro". Ebbene, io posso decidere di
usare il "potere" che tu mi dai con questa formulazione per dirti che per me
и "im-mediato" percepire che i cattolici che non sanno racocntare le
barzellette sono altro-da-me. E la cosa che dovrebbe entrarti in testa и che
questa non и solo una iperbole provocatoria. Io ho *paura* dei cattolici che
non sanno raccontare le barzellette, molta meno dei magrebini.

E tu ti devi mettere in testa anche un'altra cosa. Non stai parlando con
un'anima bella ignara delle cose del mondo. Io d'estate mando avanti una
attivitа che sta sulla spiaggia di Riccione. In un paio di occasioni, per
difendere la mia attivitа, ho rischiato di prendermi una coltellata dagli
spacciatori magrebini che stazionano a notte fonda sulla spiaggia. Ebbene,
nonostante ciт, io continuo ad avere piщ paura dei cattolici che non sanno
raccontare le barzellette. Io non percepisco come "altro" i magrebini,
*so* - per contatto empatico - la loro rabbia, perchй io vengo dal buco del
culo del mondo, e ci sono passato nella disperazione. Ma che cosa ci sia
nella testa di un borghese cattolico che non sa raccontare le barzellette,
che va in chiesa tutte le mattine e poi odia, invidia e punisce io *non lo
so*, non riesco a stabilire nessun contatto empatico, lo percepisco come
altro-da-me.

Te lo ripeto: se tu fai della im-mediatezza un criterio *concreto* allora la
*mia* im-mediatezza vale quanto la *tua*.

> Pertanto mi sembra che io i "fondamenti" di una legge li abbia

> "teorizzati" - ma in veritа sono in atto. Non si tratta di inglobare


> appartenenti alla famiglia umana (la sinistra), o cristiana (il Card.
> Biffi) etc. - si tratta di gettare carburante nella macchina economica

> senza per questo danneggiare ciт a cui la macchina economica и
> comunque legata, e a ciт deve mirare la legge di cui sei "in cerca".

Ho giа detto sopra che *se* il criterio и puramente economico *allora* non
vedo che attinenza abbiano le tue divagazioni sul "riconoscimento".
Stiamo sul problema, per favore.

> Chи una classe scolastica composta di venti stranieri e un italiano и


> un danneggiamento, non un potenziamento - idem troppe moschee sparse
> per l'Europa; idem far studiare l'arabo piuttosto che l'inglese; idem
> una "loro" espansione demografica nel cuore dell'Europa tecnologica e
> scientifica; idem un nostro impazzire appresso a conflitti
> etnico-culturali etc..

Sм, certo, dove "loro" per me sono i cattolici che non sanno raccontare le
barzellette e "nostro" и di quelli che le sanno raccontare ed hanno il
cattivo gusto di mettere le "faccine" nei post :-)

> Chiaramente la scelta del carburante di per sи


> testimonia di non essere fondata sulla "discriminazione" etc.etc.etc.

> Ma allo stesso tempo non и detto che certi tratti culturali (chiamali


> anche ideologici, se vuoi) dell'Europa non rimangano vincolati al

> funzionamento dell'apparato occidentale. Ma questo ultimo punto и


> tutto un altro discorso - che finora che io sappia qui in ICf nessuno

> ha ancora toccato nella sua profonda problematicitа.

Toccalo, toccalo. Se vuoi convincermi che serve un criterio di
discriminazione bisognerа che me lo illustri. Se tu e Cosimo non siete
disposti a dare mezzo euro fino a quando non vi dimostriamo l'utilitа delle
ricerche sulle reti neuronali non potrai pretendere che io dia un voto ad
una coalizione politica che non mi dimostra che una certa proposta
*concreta* (che ancora non и stata presentata) sia quella piщ "razionale" ed
eticamente accettabile.

> Proviamo a dare una svolta alla discussione. Noi esistiamo come

> volontа politica avente a dispisizione un apparato di potenza etc.
> Insomma un nostro Stato c'и ed и immediato che ci sia.

Se per "noi" intendi le persone alle quali quella particolare istituzione
chiamata stato italiano riconosce lo status giuridico di "cittadini
italiani" ti dico che sм, и immediato il fatto che "noi" esistiamo. Se mi
dici che questa istituzione storicamente и il risultato di guerre di potere
basate sul bisogno dell'industria torinese di reclutare mano d'opera a buon
mercato, ti rispondo che sм, и immediato che questa istituzione esista e che
abbia il riconoscimento di altre istituzioni analoghe che si autodefiniscono
stati. Ma se mi dici che quel "noi" e quello "Stato" esistono come "volontа
politica" mi avvalgo del fatto che *io* non ho la tua stessa volontа
politica, per dirti che no, non и affatto immediato.

> Prova a dirmi *tu* cosa ha da fare questo
> nostro Stato davantina quel *dinamismo*. Forniscimi *tu* una qualunque

> risposta a questa domanda - purchи sia la *tua* risposta, fosse pure


> meditata sulle pagine scritte da un "pacifista scoglionato" o da un
> Courtial Des Pereires (e chi non ama Celine?!) dell'immigrazione.

Ma figurati. Sarebbe come se quando tu e Cosimo mi dite che non cacciate
mezzo euro per la ricerca fino a quando non vi produco delle ragioni valide
per spenderle io vi rispondessi che siete voi che dovete dimostrarmi che
esistono delle ragioni valide per non spenderli.

Sei tu che hai iniziato i discorsi sul "noi" e "loro", io ti chiedevo solo
di chiarire. Se mi dici che non ti va di chiarire perchй non hai voglia o
perchй sono troppo tonto e ti faccio perdere troppo tempo bene, amici come
prima. Ma non puoi chiedermi di confutare una argomentazione che a mio
avviso tu non hai affatto terminato di esporre.

Saluti,
D.


Davide

unread,
Sep 25, 2002, 10:55:50 AM9/25/02
to

"Cosimo" <cosim...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:t0%j9.5024$e31.1...@twister2.libero.it...

> "Umanista di estrazione teologica", direbbe forse Livio per me. E tu, un
> fisico alla Ettore Majorana, mi sembri. Sbaglio? :-)

Ne approfitto per ripescare qualche "ricordo" (che lascio qui anche ad uso e
consumo dei rari "viandanti", esentandoti da qualsiasi ipotetico obbligo
"morale" di... riscontro :-))

* L'incontro fra Fermi e Majorana (raccontato da Amaldi):

"Fermi lavorava allora al modello statistico che prese in seguito il nome di
modello Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche
in corso all'Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del
modello e mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori
sull'argomento e in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori
numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi [...] Il giorno dopo
nella tarda mattinata, si presentò di nuovo all'istituto [...] chiese [...]
di vedere la tabella [...]. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un
foglietto su cui era scritta una analoga tabella da lui calcolata a casa
nelle ultime ventiquattr'ore, trasformando l'equazione del secondo ordine
non lineare di Thomas-Fermi in una equazione di Ricatti che poi aveva
integrato numericamente [...]"


* La "crisi" (raccontata da Laura Fermi):

"Majorana aveva continuato a frequentare l'Istituto di Roma e a lavorarvi
saltuariamente, nel suo modo peculiare, finché nel 1933 era andato per
qualche mese in Germania. Al ritorno non riprese il suo posto nella vita
dell'Istituto; anzi, non volle più farsi vedere nemmeno dai vecchi
compagni."

* La sua analisi della "rivoluzione" nazista durante il suo soggiorno in
Germania (da una lettera alla madre):

"Lipsia, che era in maggioranza socialdemocratica, ha accettato la
rivoluzione senza sforzo. Cortei nazionalisti percorrono frequentemente le
vie centrali e periferiche, in silenzio, ma con aspetto sufficientemente
marziale. Rare le uniformi brune mentre campeggia ovunque la croce uncinata.
La persecuzione ebraica riempie di allegrezza la maggioranza ariana. Il
numero di coloro che troveranno posto nell'amministrazione pubblica e in
molte private, in seguito alla espulsione degli ebrei, è rilevantissimo; e
questo spiega la popolarità della lotta antisemita. A Berlino oltre il
cinquanta per cento dei procuratori erano israeliti. Di essi un terzo sono
stati eliminati; gli altri rimangono perché erano in carica nel '14 e hanno
fatto la guerra. Negli ambienti universitari l'epurazione sarà completa
entro il mese di ottobre. Il nazionalismo tedesco consiste in gran parte
nell'orgoglio di razza [...] In realtà non solo gli ebrei, ma anche i
comunisti e in genere gli avversari del regime vengono in gran numero
eliminati dalla vita sociale. Nel complesso l'opera del governo risponde a
una necessità storica: far posto alla nuova generazione che rischia di
essere soffocata dalla stasi economica."

L'ultima osservazione mi ricorda il milione di posti di lavoro :-)


Adriano Virgili

unread,
Sep 25, 2002, 12:20:05 PM9/25/02
to

Cosimo <cosim...@libero.it> wrote in message
1Tnj9.31090$Av4.6...@twister2.libero.it...
> Adriano Virgili wrote:
>

Attenzione, per Wittgenstein (ovviamente mi riferisco sempre al primo
Wittgenstein) una proposizione č sensata in quanto indica una "relazione"
tra oggetti logici. "Giovanni esiste", non indica alcuna relazione tra
oggetti logici, quindi č priva di senso. Che poi, per Wittgenstein I, la
logica sia data "immediatamente" č tutt'altra faccenda.

> Non c'č nulla di meno ambiguo del pdnc (l'affermazione di Parmenide),
> che č la sorgente di ogni senso. Se provi a dare un significato alle
> parole che intenderebbero negarlo (e una forma di tale negazione sarebbe
> renderlo contingente come "espressione" poetica o "gioco linguistico")
> vedrai che non puoi fare a meno di stabilire *stabilmente* il
> significato di tali parole, di af-fermarne l'identitą; dunque la
> negazione del pdnc, č sostanzialmente autonegazione.
> Se "D" č il discorso che nega l'identitą con sč dell'essere (ovvero di
> ogni essente), il significato di "D" o č qualcosa, č una regione
> determinata dell'essere, o č nulla. Se č nulla, fa niente :-), ma nel
> primo caso ti pare che possa negare l'esser sč dell'essente senza


> autonegarsi, e dunque senza riconfermare il pdnc?

> E' questo č l'unico modo in cui il pdnc si "dimostra", ovvero attraverso
> l'elenchos, perché esso č l'immediato, il per sč noto (non per-altro,
> non mediante altro). Il pdnc non si dimostra per mezzo di un "principio"
> (pił alto, pił originario) in quanto č gią esso il principio di ogni
> dimostrare.

Aristotele era perfettamente d'accordo con queste tue affermazioni, tant'č
vero che tratta l'argomento nei tuoi stessi termini nella parte finale del
libro IV della "Metafisica" (opera di cui, per inciso, ho appena pubblicato
una sintesi sul mio sito). Ma lo scopo del "Tractatus" č proprio "mostrare"
che non vi sono problemi "metafisici" e quindi anche negare senso alla
proposizione "L'essere č", la quale, torno a ripeterlo, non "raffigurando"
un bel nulla, non č una proposizione logicamente valida.
Del resto che "L'essere č" č un non-senso Wittgenstein lo dichiara
esplicitamente, ma ora non ricordo il passo specifico.
Quella della validitą ed indimostrabilitą del principio di non
contraddizione č poi un'altra storia. Per inciso, Wittgenstein I, parla di
"tautologie" e di "contraddizioni", e quindi fa un uso implicito del pdnc.
So, comunque, che ci sono assiomatizzazioni della logica dove il pdnc stesso
cade, per via di una particolare interpretazione del termine "non", anche se
pure queste logiche non classiche, in quanto formalizzate, non possono fare
a meno di una forma di "digitalizzazione" e quindi di una distinzione tra le
"differenti" variabili logiche.

> Ambiti di significati diversi, giochi linguistici diversi, in tanto sono
> tali in quanto hanno un tratto fondamentale comune; Wittgenstein fa
> l'esempio della somiglianza di lineamenti fra persone di una stessa
> famiglia.

L'espressione "somiglianza di famiglia" sta proprio ad indicare che i vari
giochi linguistici non condividono una medesima "essenza", ma semplicemente
si "assomigliano", poiché hanno dei tratti in comune, i quali perņ non sono
sempre gli stessi tratti, cosģ come i membri di una famiglia si "richiamano"
l'un l'altro per dei tratti che variano perņ nelle "diverse" somiglianze.
Non a caso il caro vecchio Ludwig parla di "concetti aperti".

>Chiedo come sia possibile scorgere quella somiglianza senza
> riferirla ad un tratto comune, o come in genere sia possibile concepire
> la differenza fra A, B, C, D, etc etc, senza scorgere sia *l'unitą in sč
> di ogni differente*, sia l'unitą *a cui fanno capo i differenti* -ché
> altrimenti sarebbero assolutamente differenti, ma, a parte in questo
> caso l'assurdo di avere una molteplicitą di assoluti, ugualmente avremmo
> l'identitą di tali differenti sia come differenti sia come quei tali
> differenti.

Qui ti rimando a Wittgenstein stesso (i passi li riprendo pari pari dalle
"Ricerche filosofiche"):

<<66. Considera, ad esempio, i processi che chiamiamo "giuochi".
Intendo giuochi da scacchiera, giuochi di carte, giuochi di palla, gare
sportive, e via discorrendo. Che cosa č comune a tutti questi giuochi?
- Non dire: "Deve esserci qualcosa di comune a tutti, altrimenti non
si chiamerebbero 'giuochi'" - ma guarda se ci sia qualcosa di comune
a tutti. - Infatti, se li osservi, non vedrai certamente qualche cosa che
sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele, e anzi ne vedrai
tutta una serie. Come ho detto: non pensare, ma osserva! - Osserva,
ad esempio, i giuochi da scacchiera, con le loro molteplici affinitą. Ora
passa ai giuochi di carte: qui trovi molte corrispondenze con quelli
della prima classe, ma molti tratti comuni sono scomparsi, altri ne so-
no subentrati. Se ora passiamo ai giuochi di palla, qualcosa di comune
si č conservato, ma molto č andato perduto. Sono tutti 'divertenti'.
Confronta il giuoco degli scacchi con quello della tria. Oppure c'č
dappertutto un perdere e un vincere, o una competizione fra i gioca-
tori? Pensa allora ai solitari. Nei giuochi con la palla c'č vincere e per-
dere; ma quando un bambino getta la palla contro un muro e la riac-
chiappa, questa caratteristica č sparita. Considera quale parte abbia-
no abilitą e fortuna. E quanto sia differente l'abilitą negli scacchi da
quella nel tennis. Pensa ora ai girotondi: qui c'č l'elemento del diver-
timento, ma quanti degli altri tratti caratteristici sono scomparsi! E
cosi possiamo passare in rassegna molti altri gruppi di giuochi. Veder
somiglianze emergere e sparire.
E il risultato di questo esame suona: Vediamo una rete complica-
sa di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda. So-
miglianze in grande e in piccolo.

67. Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con
l'espressione "somiglianze di famiglia"; infatti le varie somiglianze
che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e s'in-
crociano nello stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli
occhi, modo di camminare, temperamento, ecc. ecc. - E dirņ: i 'giuo-
chi' formano una famiglia.
E allo stesso modo formano una famiglia, ad esempio, i vari tipi
di numeri. Perché chiamiamo una certa cosa "numero"? Forse per-
ché ha una - diretta - parentela con qualcosa che finora si č chiamato
numero; e in questo modo, possiamo dire, acquisisce una parentela
indiretta con altre cose che chiamiamo anche cosi. Ed estendiamo il
nostro concetto di numero cosi come, nel tessere un filo, intrecciamo
fibra con fibra. E la robustezza del filo non č data dal fatto che una fi-
bra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre
l'una all'altra.
Se perņ qualcuno dicesse: "Dunque c'č qualcosa di comune a tut-
te queste formazioni, - vale a dire la disgiunzione di tutte queste
comunanze " - io risponderei: qui ti limiti a giocare con una parola.
Allo stesso modo si potrebbe dire: un qualcosa percorre tutto il filo,
- cioč l'ininterrotto sovrapporsi di queste fibre.>>


> Benissimo. Speriamo che quella citazione abbia, mantenga, almeno alluda
> ad uno stesso stabile significato. Altrimenti, quella citazione potrebbe
> significare "jkghighigi", oppure indifferentemente
> "il gran piano del silenzio verde", oppure "Parigi val bene una messa",
> oppure "porca Eva!".

Assolutamente no, porca Eva! :o)

Un saluto.

--------------------------------------------------------------------------
Adriano Virgili
Accademia dei Dubbiosi
http://www.dubbiosi.34sp.com
"MEDITAZIONI SUL SENSO DELLA VITA"
http://www.dubbiosi.34sp.com/sensovita.htm
--------------------------------------------------------------------------

Davide

unread,
Sep 25, 2002, 1:22:12 PM9/25/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d8b8832...@news.kataweb.it...

> Vedi Davide, qui sta l'essenza della tua posizione nei confronti della
> filosofia *originaria*. [...]
> Ora, se hai in mente una
> negazione pragmaticistica della verità - del tipo: la verità non
> esiste perchè se esistesse, la "libertà" non potrebbe esistere - dillo
> chiaramente.

In merito alle dichiarazioni di principio/intenti mi è venuta una curiosità
alla quale credo tu possa rispondere in modo piuttosto sintetico (lo dico
con la speranza di farti venire voglia di rispondermi).

La curiosità è questa.

Tu dici che ciò che è contraddittorio è niente, e Cosimo dice che ciò che è
razionale è reale (da cui ne viene - credo - che ciò che è irrazionale è
irreale).

Ora, supponiamo che io faccia un "discorso" del tutto
contraddittorio/irrazionale, un discorso "molto" contraddittorio/irrazionale
[dove quel "molto" è ovviamente improprio, poiché un discorso o è razionale
o è irrazionale, ma qui è un po' come la legge, che è uguale per tutti ma
per alcuni è un po' "più" uguale], tipo, che so (la sparo grossa) che si
debbano chiudere le chiese e aprire le moschee (scusa la provocazione, ma ho
bisogno di ipotizzare un caso *estremo* di contraddittorietà/irrazionalità)

Ora, poiché il mio discorso è contraddittorio/irrazionale esso dovrebbe
essere anche niente/irreale.

Ebbene, supponiamo ora che io ti dica: sì, va bene, accetto la vostra
"scomunica" secondo la quale il mio discorso è niente/irreale e, nonostante
la vostra "scomunica" io *agisco* ugualmente il mio discorso. E comincio a
darmi da fare per portarlo a compimento.

Qui si pone un primo problema teoretico: se la mia *azione* è ispirata (a
torto o a ragione) da un *discorso* che è niente/irreale, che dire della mia
*azione*?
E' anch'essa niente/irreale?

Se così fosse, non avrebbe senso che tu faccia *qualcosa* in merito a ciò
che è *niente* e/o *irreale*. Sicché, in un certo senso, dovresti "lasciarmi
fare".

Se invece la mia azione, pur essendo ispirata ad un discorso che è
niente/irreale, tu la giudichi un ente/reale, allora mi devi spiegare come
può un discorso che è niente/irreale produrre una azione che è un
ente/reale. Anche perché, se la mia azione è un ente/reale, deve essere
necessaria/razionale. E quindi, pur essendo dettata da un discorso che è
niente/irreale, sarebbe altrettanto necessaria/razionale di qualunque tua
possibile azione.

Saluti,
D.


Cosimo

unread,
Sep 25, 2002, 2:40:28 PM9/25/02
to
Adriano Virgili wrote:


> Attenzione, per Wittgenstein (ovviamente mi riferisco sempre al primo

> Wittgenstein) una proposizione è sensata in quanto indica una
> "relazione" tra oggetti logici.


No, una proposizione è sensata quando *può* raffigurare uno stato di
cose; è vera, se lo stato di cose che essa raffigura, sussiste, sennò è
falsa (prop. 4.2 del Tractatus).
La relazione fra gli oggetti logici di cui parli è la *struttura* che la
proposizione esibisce (aRb), raffigurando gli stati di cose sussistenti
o non sussistenti nella realtà.

> "Giovanni esiste", non indica alcuna

> relazione tra oggetti logici, quindi è priva di senso.

Yes, l'esistenza non è un oggetto logico, ma l'oggetto logico esiste.
E' l'uovo di colombo.
L'esistenza è indicibile, ma non gli esist-enti (nel complesso delle
loro relazioni).

Wittgenstein lo dice in 5.552: "L'"esperienza", che ci serve per la
comprensione della logica, è non l'esperienza che qualcosa è così e
così, ma l'esperienza che qualcosa *è*: Ma ciò n o n è un'esperienza.
La logica è p r i m a d'ogni esperienza -d'ogni esperienza che
qualcosa è c o s ì.
Essa è prima del Come, non del Che cosa"

E 5.5521: "E se così non fosse, come potremmo noi applicare la logica?
Si potrebbe dire: Se vi fosse una logica anche se non vi fosse un mondo,
come potrebbe mai esservi una logica, dato che un mondo v'è?

Inoltre, l'oggetto logico (i.e. Giovanni), esistendo, è tutt'altro che
irrelato con gli altri oggetti, e segnatamente con quegli oggetti nei
quali può venir raffigurato, ovvero le proposizioni.


> Che poi, per
> Wittgenstein I, la logica sia data "immediatamente" è tutt'altra
> faccenda.

E' il cuore della faccenda.


> > Non c'è nulla di meno ambiguo del pdnc (l'affermazione di
> > Parmenide), che è la sorgente di ogni senso. [...]


> Aristotele era perfettamente d'accordo con queste tue affermazioni,

> tant'è vero che tratta l'argomento nei tuoi stessi termini nella


> parte finale del libro IV della "Metafisica" (opera di cui, per
> inciso, ho appena pubblicato una sintesi sul mio sito).

Non sono mie affermazioni -non farmi più immodesto di quanto già non
sia :-) ma appunto ripetevo molto di quanto detto dal povero,
inascoltato -sebbene letto- Aristotele


> Ma lo scopo
> del "Tractatus" è proprio "mostrare" che non vi sono problemi


> "metafisici" e quindi anche negare senso alla proposizione "L'essere

> è", la quale, torno a ripeterlo, non "raffigurando" un bel nulla, non
> è una proposizione logicamente valida.

Al contrario, proprio perché non raffigura un bel nulla, quella
proposizione è la purezza di ogni validità logica. Dicevo anche a Davide
che il pdnc non dice nulla, è a-specifico, perché è piuttosto la
possibilità in cui ogni cosa può esser detta e contraddetta.
Analogamente dicasi per il "pensiero" o la "coscienza", che di per sè
non sono nulla, essendo piuttosto la perfetta trasparenza in cui tutto
può esser visto. Anche qui, Aristotele ci precede di molto, quando nel
"De anima", se non erro" afferma che "l'anima è in qualche modo tutte le
cose" (cito a memoria).


> Del resto che "L'essere è" è


> un non-senso Wittgenstein lo dichiara esplicitamente, ma ora non

> ricordo il passo specifico. Quella della validità ed indimostrabilità
> del principio di non contraddizione è poi un'altra storia. Per


> inciso, Wittgenstein I, parla di "tautologie" e di "contraddizioni",
> e quindi fa un uso implicito del pdnc. So, comunque, che ci sono
> assiomatizzazioni della logica dove il pdnc stesso cade, per via di
> una particolare interpretazione del termine "non", anche se pure
> queste logiche non classiche, in quanto formalizzate, non possono
> fare a meno di una forma di "digitalizzazione" e quindi di una
> distinzione tra le "differenti" variabili logiche.

Personalmente, se il pdnc "cade" per via di talune "interpretazioni" o
assiomi (= decisioni), non so che farmene di quel che vien "detto" in
quelle teorie e in quelle "logiche non classiche".
Cos'altro può venir detto se non, prima o poi, che "x è non-x"?


> > Ambiti di significati diversi, giochi linguistici diversi, in tanto
> > sono tali in quanto hanno un tratto fondamentale comune;
> > Wittgenstein fa l'esempio della somiglianza di lineamenti fra
> > persone di una stessa famiglia.
>
> L'espressione "somiglianza di famiglia" sta proprio ad indicare che i
> vari giochi linguistici non condividono una medesima "essenza", ma
> semplicemente si "assomigliano", poiché hanno dei tratti in comune, i

> quali però non sono sempre gli stessi tratti, così come i membri di


> una famiglia si "richiamano" l'un l'altro per dei tratti che variano

> però nelle "diverse" somiglianze. Non a caso il caro vecchio Ludwig


> parla di "concetti aperti".

Qui il caro vecchio Ludwig non mi risponde. Non risponde alle domande
che facevo, in questo modo:


> > Chiedo come sia possibile scorgere quella somiglianza senza
> > riferirla ad un tratto comune, o come in genere sia possibile
> > concepire la differenza fra A, B, C, D, etc etc, senza scorgere sia

> > *l'unità in sè di ogni differente*, sia l'unità *a cui fanno capo i


> > differenti* -ché altrimenti sarebbero assolutamente differenti, ma,

> > a parte in questo caso l'assurdo di avere una molteplicità di
> > assoluti, ugualmente avremmo l'identità di tali differenti sia come


> > differenti sia come quei tali differenti.

Questo domandavo.
E nei brani che citi, che conoscevo, continua a non rispondermi; anzi,
mi pare che complichi le cose, dicendomi che devo "osservare" e non
"pensare" (quale sarà la differenza? E sarà una differenza necessaria o
possibile, oppure pensata o osservata? E, insomma, c'è una ragione per
la quale -posta indubitabilmente quella differenza- io debba "osservare"
e non "pensare"?)

Lo dico in breve, caro Adriano. Un conto è teorizzare che l'analisi
prosegua in infinitum e in indefinitum (porre il Significato
*almeno* come esigenziale, e dunque attuale e presente in questo
senso, senso *formale*), un altro conto è negare la *sintesi*
come prius logico dell'analisi -e di ogni analisi.
Negando tale sintesi, anche nella sua
presenza esigenzial-formale, viene a cadere anche la legittimità
dell'analisi, e tutto il discorso wittgensteiniano sulle differenze,
sulla molteplicità, e sulle alterità dei giochi linguistici.


[...]


> > Benissimo. Speriamo che quella citazione abbia, mantenga, almeno
> > alluda ad uno stesso stabile significato. Altrimenti, quella
> > citazione potrebbe significare "jkghighigi", oppure
> > indifferentemente "il gran piano del silenzio verde", oppure
> > "Parigi val bene una messa", oppure "porca Eva!".

> Assolutamente no, porca Eva! :o)

Eh no! Qui dovresti rimanere coerente con il dubbio, e dire:
"probabilmente no, porca Eva!" :-))


Ciao,
Cosimo.


Marco V.

unread,
Sep 25, 2002, 5:03:18 PM9/25/02
to
On Wed, 25 Sep 2002 17:22:12 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:

>
>"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
>news:3d8b8832...@news.kataweb.it...
>
>> Vedi Davide, qui sta l'essenza della tua posizione nei confronti della
>> filosofia *originaria*. [...]
>> Ora, se hai in mente una
>> negazione pragmaticistica della verità - del tipo: la verità non
>> esiste perchè se esistesse, la "libertà" non potrebbe esistere - dillo
>> chiaramente.
>
>In merito alle dichiarazioni di principio/intenti mi è venuta una curiosità
>alla quale credo tu possa rispondere in modo piuttosto sintetico (lo dico
>con la speranza di farti venire voglia di rispondermi).
>
>La curiosità è questa.
>
>Tu dici che ciò che è contraddittorio è niente, e Cosimo dice che ciò che è
>razionale è reale (da cui ne viene - credo - che ciò che è irrazionale è
>irreale).

Cosimo-Hegel lo dice nel senso in cui razionale significa appunto "non
contraddittorio" - e cioè nel senso in cui il principio della
razionalità è il pdnc. Chè se è vero il contenuto della identità
razionale=reale=razionale (la devi completare così l'identità,
altrimenti da razionale=reale non sei autorizzato a derivare la
irrealltà dell'irrazionale, visto che "=" è il segno della inclusione
-il principo dice: *tutto* ciò etc.) allora negare quanto da me
affermato sopra è affermare una contradizuone.



>Ora, supponiamo che io faccia un "discorso" del tutto
>contraddittorio/irrazionale, un discorso "molto" contraddittorio/irrazionale
>[dove quel "molto" è ovviamente improprio, poiché un discorso o è razionale
>o è irrazionale, ma qui è un po' come la legge, che è uguale per tutti ma
>per alcuni è un po' "più" uguale], tipo, che so (la sparo grossa) che si
>debbano chiudere le chiese e aprire le moschee (scusa la provocazione, ma ho
>bisogno di ipotizzare un caso *estremo* di contraddittorietà/irrazionalità)

1. Primo problema.

Non è di per sè contraddittorio affermare che si debbano chiudere le
chiese e aprire le moschee. Fondiamola meglio la contraddizione che
hai in mente. Ponendola così: noi-che-siamo-cristiani dobbiamo
chiudere le chiese e aprire le moschee. Allora sì che è
contraddittotio il contenuto affermato. La affermazione è affermazione
della volontà che noi cui in quanto cristiani compete di voler
mantenere aperte le chiese, si abbia la volontà di chiudere le chiese.
La volontà che si esprime in questa tua affermazione è allora la
volontà che esige da un cristiano di non essere cristiano. (proprio
per questo ti parlavo della oramai problematica identificazione tra
Cristianità ed Occidente). Esige l'impossibile. Nel senso che lo stato
di cose che soddisfa questa esigenza è contraddittorio.
E qui cominciano i guai per il tuo discorso.


>Ora, poiché il mio discorso è contraddittorio/irrazionale esso dovrebbe
>essere anche niente/irreale.
>
>Ebbene, supponiamo ora che io ti dica: sì, va bene, accetto la vostra
>"scomunica" secondo la quale il mio discorso è niente/irreale e, nonostante
>la vostra "scomunica" io *agisco* ugualmente il mio discorso. E comincio a
>darmi da fare per portarlo a compimento.
>
>Qui si pone un primo problema teoretico: se la mia *azione* è ispirata (a
>torto o a ragione) da un *discorso* che è niente/irreale, che dire della mia
>*azione*?
>E' anch'essa niente/irreale?
>
>Se così fosse, non avrebbe senso che tu faccia *qualcosa* in merito a ciò
>che è *niente* e/o *irreale*. Sicché, in un certo senso, dovresti "lasciarmi
>fare".
>
>Se invece la mia azione, pur essendo ispirata ad un discorso che è
>niente/irreale, tu la giudichi un ente/reale, allora mi devi spiegare come
>può un discorso che è niente/irreale produrre una azione che è un
>ente/reale. Anche perché, se la mia azione è un ente/reale, deve essere
>necessaria/razionale. E quindi, pur essendo dettata da un discorso che è
>niente/irreale, sarebbe altrettanto necessaria/razionale di qualunque tua
>possibile azione.

2.Secondo problema
Guai che non spetta a me risolvere. Non voglio emettere la facile
lezioncina sulla differenza incontrovertibile tra contraddizione e
contenuto contraddittorio - tra contraddirsi e contraddittorietà.
Comunque sappi che in questa confusione ci sono caduti fior di
filosofi - Popper, Kelsen, il nostro compianto Colletti e chissà
quanti altri...

(ma se il discorso l'hai fatto e l'azione l'hai compiuta, come diavolo
puoi pensare che siano niente?)

3.Terzo problema che tende a confondersi con il secondo ma ne è
distinto.

Lo stato di cose che hai immaginato è contraddittorio solo nella forma
che gli ho dato io. Siccome un cristiano in quanto cristiano non può
chiudere le chiese, e se lo stato di cose che la tua azione vuole
produrre è che noi cristiani chiudiamo le chiese *in quanto*
cristiani, allora Ratzinger e Sodano farebbero carte false perchè il
tuo fosse l'approccio dei laici nei confronti della religione
cristiana!!!

Saluti,

Marco

Davide

unread,
Sep 25, 2002, 7:06:52 PM9/25/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d922479...@news.kataweb.it...

> 2.Secondo problema
> Guai che non spetta a me risolvere. Non voglio emettere la facile
> lezioncina sulla differenza incontrovertibile tra contraddizione e
> contenuto contraddittorio - tra contraddirsi e contraddittorietà.
> Comunque sappi che in questa confusione ci sono caduti fior di
> filosofi - Popper, Kelsen, il nostro compianto Colletti e chissà
> quanti altri...

Sì, il cuore della risposta alla mia domanda è qui.

> (ma se il discorso l'hai fatto e l'azione l'hai compiuta, come diavolo
> puoi pensare che siano niente?)

Se il mondo *è*, come puoi affermare che una qualunque cosa che è (l'uomo,
la tecnologia, o che altro), e che come tale partecipa all'essere, possa
"nientificarlo"?
Come può Severino parlare di "nientificazione" quando ciò che è non può
diventare niente e ciò che non è è niente?
La ni-enti-fic-azione è "l'azione che fa diventare non-ente". Come possiamo
far diventare non-ente ciò che è e che non può non essere?

Saluti,
D.


LG

unread,
Sep 25, 2002, 7:58:07 PM9/25/02
to
On Wed, 25 Sep 2002 02:01:36 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:

Ti premetto che mi hai istigato ad una risposta lunga.
In bacheca la metto, per chi vorra' leggerla.
Vedi te se leggerla fino in fondo.
Le citazioni (->) sono di M.Ferraris.

>"LG" <lugu...@tiscalinet.it> ha scritto nel messaggio
>news:3d9105ea...@news.tiscalinet.it...
>> On Sun, 22 Sep 2002 12:37:33 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
>> wrote:
>>
>> >Proviamo a partire di qui.
>> >Tu dici che se dico "la mela è rossa" allora ciò implica (e presuppone)
>> >anche il fatto che "la mela è".
>>
>> Niente affatto. Dire che "la mela e" sia una proposizione compiuta
>> implica (e presuppone) - questa volta si' - una *teoria* dell'essere.
>> "la mela e'" e' una proposizione mancante del suo predicato.

>LG, bisognerà che prima o poi io e te ci facciamo una bella litigata così
>magari diventiamo amici.

Non ne vedo il nesso. Mi trovo davanti ad un lungo thread su un
argomento di cui mi sono sempre occupato; non posso stare a leggere
ogni intrvento (se no starei tutto il giorno al computer - dato che
non frequento solo ICF e ho pure della posta privata e anche altro da
fare), vedo "Davide" con cui avevo gia' parlato, e allora mi dico
"Vediamo un po' che dice stavolta", apro il post e vi leggo
un'affermazione che mi viene voglia di commentare, e quindi -
legittimamente - la commento. Dov'e' la colpa? Dov'e' il "nemico"?

In prima battuta il mio obiettivo e' l'argomento, non chi lo porta;
pertanto avrai magari anche ragione a dire che partivi "dai
presupposti dell'interlocutore", ma io sono a mia volta partito solo
da quello che ho letto. E' cosi' grave?



>Tant'è che poco dopo ho proposto di sostituire l' "è-col-punto" con il
>termine "esiste", proprio per poterne "parlare", "discutere", "capire",
>"vedere dove si va a finire", "incazzarmi", "scazzarmi"...

E sia pure. Ma la questione essere-esistere e' vecchia. Gia' Kant
->"aveva definitivamente confutato quella riduzione a predicato
dell'"essere" nel significato esistenziale che da Aristotele era
arrivata fino a Liebeniz" (di cui si era servito anche Anselmo per la
"prova ontologica" dell'esistenza di Dio), La contestazione di Kant
->"si basa proprio sul rifiuto che l'esistenza possa mai essere intesa
come un predicato, al pari di quelli che effettivamente attribuiscono
determinate proprieta' ad un soggetto". Una cosa pensata ha la
possibilita' di esistere, una cosa reale e' testimoniata dai sensi.
->"La logica contemporanea ha adottato pienamente questa concezione, e
l'ha formalizzata trattando il verbo essere nel senso di esistere NON
quale predicato bensi' quale operatore che vincola la proposizione
dall'esterno. Alla problematica classica si ricollega invece Hegel, ma
assai criticamente".

>Sei tu che hai paura di "ascoltare le parole del demonio", come se potesse
>"trascinarti fra le fiamme dell'inferno". Perché altrimenti non appena uno
>nomina la metafisica ti metti ad urlare "no, no, non mi avrete!" e non
>ascolti???

Non grido "non mi avrete" ma grido "basta, e' roba vecchia e
costrittiva", perche' continuate a prenderla in considerazione? Lo
chiedo a te (ti rimando i tre punti interrogativi): perche' continui a
prenderla in considerazione??? Perche' devi modificare il tuo rapporto
col mondo allenandoti a problematizzarlo in senso metafisico? Dimmelo
un po' te, cosa ti da in piu', visto che li' non sta la strada della
Verita' (uso ovviamente parole maiuscole da metafisici) ma quella
dell'errore, ed una volta che uno si e' mentalmente impostato a questa
visione se la puo' tirare dietro anche tutta una vita, come (suppongo)
Cosimo?

Dal Sofista di Platone: ->"E' chiaro infatti che voi da tempo siete
familiari con cio' che intendete quando usate l'espressione *essente";
anche noi credemmo un giorno di comprenderlo senz'altro, ma oggi siamo
caduti in perplessita'". "Cassirer trae la conclusione che la nozione
di essere appartenga alla preistoria della filosofia [...] Coerente
con questa condanna, sebbene maggiormente virulento, e'
l'atteggiamento dell'empirismo logico... che vede nell'essere un
concetto arcaico a cui non puo' corrispondere una descrizione
linguistica adeguata [..] Di Gadamer infine la celebre sentenza
"l'essere che puo' venir compreso e' il linguaggio" [...] Sia in
Cassirer sia in Heidegger e' venuto meno il richiamo pre-kantiano
all'essere come fondamento, e l'ontologia si risolve o in una
filosofia della cultura o in una ontologia negativa [...]".



>Non puoi limitarti a "guardare da lontano": se vuoi sapere come vive il lupo
>devi *diventare* lupo.

Ma poi, a tuo piacimento, credi di poter tornare agnello, in perfetta
reversibilita'? No, mi sembra che sia una esemplificazione ben poco
esemplare (intanto perche' il "lupo" non e' tanto nella concezione
quanto in quello che ne deriva - e in quest'ottica, in un altro post
ho dato esempi a Marco V del perche' detesto la metafisica).



>Va bene. Stai qui con noi, argomenta questo che dici. Ma non dire "mai",
>"non potrà", ecc.

Certo che lo dico, perche' sono *convinto* dell'indimostrabilita'
terminale di tesi epistemiche, ne' piu' ne' meno delle *convinzioni*
di chi crede altrimenti (per sue molteplici ragioni, una delle quali
quella di credere che sia possibile una deduzione assolutamente
incontrovertibile e di credere d'averla trovata e presentata).



>Te l'ho già detto: se ti siedi al tavolo della briscola
>bisogna che giochi a briscola. Se fra te e te pensi che sia tutta una
>fregatura o non giochi oppure giochi sapendo, che so, che l'uomo non è solo
>logos, e che se anche sul versante del logos le cose non vanno come vuoi tu
>non conta un cazzo. Tanto si decide per passione.

Nient'affatto. Vada per la passione, ma io sto usando il logos, la
ragione (magari con contorno di passione, se proprio vuoi). Strano che
non ti appaia cosi'. Contesto dal di dentro, prima ancora che
bypassare per scelta pragmatica. Sono convinto che tutte le asserzioni
d'assoluto che si danno come dimostrate siano invece del tutto
arbitrarie, che reggano - appunto - solo grazie a regole del gioco di
parte (presupposti impliciti dati per scontati).

>Se tu vai a cena dai giapponesi ti togli le scarpe. E' inutile che stai li a
>sbraitare che ci sono popoli che se le tengono. *Qui* te le devi togliere

Ma che stai dicendo? Cos'e' questa, la casa dei metafisici??
L'anticamera di Cosimo? Ma chi e' mai?? Ma che stai dicendo?!

>poi, cazzarola, non vorrai mica pensare che Cosimo non sa che "tu dici che"
>è una proposizione incompiuta.

Affatto. Cosimo (prendiamolo come campione significativo, visto che ci
tieni) direbbe che per quanto incompleta enuncia un "tu-che-dici",
cioe' un ente, citabile in essenza e situazionabile con attribuzioni
contingenti, insomma qualcosa che implica un "necessario" rimando
all'essere come suo fondamento sostanziante. Tutto il trucco sta li',
nel rimando. Lui guarda il mondo e dice "e'", concependo un rimando ad
una sostanzialita' inconoscibile e connotandolo di questa
consapevolezza. Io dico che non e' necessario concepire tale rimando
(o essere *addestrati dallo studio della filosofia* a concepire
qualcosa del genere).

Per lui "l'essere" e' "dietro" (metafora, non parlo ovviamente di
spalle o volume interno); sul "davanti" si hanno le sue (dell'essere)
contingenti ed invalicabili (se pur "apparenti") manifestazioni. Tali
manifestazioni (il mondo insomma) non sono per altro comprensibilmente
collegabili all'essere in modo che - pur nella loro contingenza -
debbano proprio essere quelle manifestazioni che si manifestano, e non
altre; ma - anche senza sapere il perche' del loro manifestarsi nel
modo che si manifestano ("perche'" assoluto in quanto implica l'essere
come assoluto) - sono manifestazioni dell'assoluto, sono quindi
assolute.

Per me, se si accetta di concepire "l'essere in se'", gia' si entra
nell'ottica che ho illustrato sopra. Non e' necessario *impostare* il
proprio atteggiamento mentale su una siffatta concezione, basta dire
"essere" solo per dire che la realta' e' tutta "davanti" (accessibile
ed approssimabile, anche se non conquistabile ne' prevedibile del
tutto), come la intende il senso comune. Io considero le declinazioni
del verbo essere si' nel duplice significato di "essere" ed
"esistere", ma non connaturate, bensi' confuse ma discriminabili
contestualmente. Se dico di una mela che vedo "e' rossa" comunico la
presentazione di un oggetto percepito (un oggetto, cioe' la sintesi
soggetto-predicato), inoltre implico o meno - secondo il contesto in
cui si volge il discorso - che l'oggetto esista.

>Te l'ho detto: o stai qui e giochi a
>briscola, o ti tappi le orecchie per non sentire, o ti metti a fare il
>troll.

Ma stai dicendo una cosa gravissima! Tu dici che per entrare in questo
NG bisogna accettare un'impostazione metafisica della realta'. Ma ti
rendi conto? Ed in quest'ottica mi dici che bisogna accettare la
disciplina e l'autorita' erudita dei custodi di tale impostazione.
Tutto il contrario di "filosofia"!



>> Una cosa che e' (con sottintesa qualche descrizione
>> predicativa che completa la presentazione della cosa)
>> puo' esistere o non esistere.
>
>Non puoi dimostrare ciò che hai appena detto senza un qualche "presupposto
>ontologico". Qui hai un interlocutore il cui presupposto ontologico è che le
>cose esistono nel pensiero. E non è nemmeno una idea cretina, perché la
>cosa-in-sé kantiana ha le sue belle rogne.

Se le cose esistessero solo nel pensiero anche i presupposti
ontologici sarebbero NEL pensiero, qualunque argomento sarebbe NEL
pensiero e non si potrebbe dimostrare proprio nulla (neppure
l'antitesi se non autoprodotta dal e nel pensiero stesso). Anche i 5
sensi sarebbero "sensazioni" del pensiero, cosi' pure la martellata su
di un dito.

Che le cose esistano indipendentemente dalla mente che le pensa, che
siano cioe' - come si dice - "esterne", e' la situazione di base,
l'evidenza entro cui si cresce (da bambini in avanti) e chi me la
contesta deve essere lui ad avere argomenti sostenibili; quella
"realista" e' comunque una scelta preliminare, una frontiera del
discorso non sindacabile dall'interno del discorso stesso. E visti i
termini del contendere (o l'esterno o solo l'idea) non esiste un'altra
frontiera che contenga la precedente e possa in tal modo discriminare
il falso dal vero. Per questo non ci puo' essere - secondo me - un
argomento che incontrovertibilmente dimostri che tutto e' idea. Ci
sono solo seduttivita' e dialettica argomentative (e qui dentro ci
stanno tutte le forme di contenzioso) che contestano mirando a
convincere, senza poter dimostrare.

Il solipsismo di ritenere che tutto sia pensiero - sia le cose sia gli
altri individui - se vissuto con coerenza fa - secondo me - vivere in
uno scompenso drammatico, in un'inconsistenza inerte, un'ansia che
deve in qualche modo essere "ingessata"; l'unico modo per sfuggire a
questa situazione - senza mutare ottica - e' di dire che tutto e'
pensiero, ma pensiero divino. Ma a questo punto lo stesso pensiero
divino puo' garantire materia e realta' ordinaria. Anzi, ad essere
timorati di Dio (com'e' Cosimo, che non lo vuol nominare Dio invano
mettendo i tre asterischi - ma che ridere, ma che Dio autoritario) si
puo' tornare ad affermare le teorie del Dio "garante" della realta
ordinaria (quella straordinaria l'avrebbe riservata solo ai filosofi
:-)?).

>Dicci il tuo "presupposto ontologico" e decidiamo tutti assieme se vogliamo
>smettere di giocare a briscola per giocare il tuo gioco. Ma se dopo un po'
>il gioco da te proposto non "funziona" bisogna che ne prendi atto.

Ma come fa a non funzionare! Bisognerebbe ammettere che tutti i
filosofi contemporani che nel mondo contestano le vecchie impostazioni
metafisiche non sanno "prendere atto" delle loro debolezze
argomentative (per cosa? per nativa debolezza intellettuale data da
radiazione cosmica o perche' dopo Hegel l'unico filosofo degno di
questo nome e' Severino - per me epigono di vecchie stagioni?). Ma ti
pare plausibile?
Te ne potrei mettere li' uno al giorno di "mio gioco". Dirti ad
esempio: oggi giochiamo a Putnam; domani giochiamo a Rorty, dopodomani
un altro... Ma se tu vuoi un gioco che funzioni sempre, sono convinto
che nessuno puo' dartelo, ne' dimostrare che ci sia. Dimostrami tu
altrimenti, se ci riesci.

Per concludere: non capisco questa tua insofferenza nei miei riguardi,
alla fine cerchi sempre di azzittirmi, o parli dei miei argomenti come
allucinatorie psichedelie (o qualcosa di simile, vedi thread sul
"significato"). Eppure sono estremamente ragionevole, anzi ragionante
(e questa e' gia' una notevole costrizione, non farmici prendere il
vizio); e' proprio con la ragione che tento di smontare la ragione
degli altri.

A meno che tu non abbia una specie di ambivalenza odio-amore per
l'autorita' e l'erudizione, una specie di gioco emotivo che
vuoi giocare da solo, senza che altri si infilino in mezzo. Insomma,
mi stai dicendo che disturbo?

LG

Marco V.

unread,
Sep 26, 2002, 9:36:10 AM9/26/02
to
On Wed, 25 Sep 2002 12:48:21 GMT, "Davide" <davide...@tin.it>
wrote:

>
>"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
>news:3d91a207...@news.kataweb.it...
>

>E tu ti devi mettere in testa anche un'altra cosa. Non stai parlando con
>un'anima bella ignara delle cose del mondo. Io d'estate mando avanti una

>attività che sta sulla spiaggia di Riccione. In un paio di occasioni, per
>difendere la mia attività, ho rischiato di prendermi una coltellata dagli


>spacciatori magrebini che stazionano a notte fonda sulla spiaggia. Ebbene,

>nonostante ciò, io continuo ad avere più paura dei cattolici che non sanno


>raccontare le barzellette. Io non percepisco come "altro" i magrebini,

>*so* - per contatto empatico - la loro rabbia, perché io vengo dal buco del


>culo del mondo, e ci sono passato nella disperazione.

Capisco tutto - qui dove abito io la situazione è migliore (perchè ci
sono molti meno soldi in giro...). Ma il tuo approccio "celiniano" non
ha valore nemmeno per *te* laddove * tu dipendi da *noi* (noi che non
esistiamo per placare la rabbia dei "disperati"...).
Ma poi anche Davide, che cosa è questa *paura* dei cattolici? Che ti
tirino una coltellata o ti violentino tua sorella? O che forse
offendino la tua "fede laica" (ammeso che ce l'hai) appiccicandoti un
santino sul vetro della macchina o invitando il Card. Tonini a
"Domenica in" o il Papa in Parlamento? Andiamo, mi sembrano Fo-ate...


> Ma che cosa ci sia
>nella testa di un borghese cattolico che non sa raccontare le barzellette,
>che va in chiesa tutte le mattine e poi odia, invidia e punisce io *non lo
>so*, non riesco a stabilire nessun contatto empatico, lo percepisco come
>altro-da-me.

Avrai capito che almeno per me la faccenda della immigrazione è una
cosa molto *seria*. Ci rifletto da tempo, anzi, diciamo pure sin dal
1991, quando quel barcone carico di albanesi approdò in Italia e le
cose cominciarono a chiarirsi...La questione della immigrazione si
*pone* esclusivamente sul fondamento del riconoscimento di una
alterità differente dalla alterità che io esperisco sentendoti parlare
con accento romagnolo piuttosto che meridionale; o quella che tu
esperisci trovandoti di fronte il devoto integralista incapace di
sorridere alle tue barzellette. Dunque si pone sul fondamento di un
*noi* che riconosce un *loro*. E questo *noi* oggi ha assunto una
connotazione o dimensione *europea* - ed è un fatto questo
estremamente positivo (chè se no noi meridionali del Sud Italia
saremmo stati presto "riassorbiti" più a sud). Perciò se parli di
immigrazione stai poggiando anche tu su tale fondamento. Se contesti
il fondamento etc., c'è sempre chi può ospitarti volentieri nella sua
organizzazione, laddove si riuniscono quelli cui il pdnc sta
antipatico perchè "razzista". In ogni caso, anche loro *agiscono*, al
più contraddicendosi.
Il problema di connotare questa alterità il cui riconoscimento è
sempre in atto *laddove* è presente il significato "immigrazione", non
toglie appunto l'attualità del suo riconoscimento. La riconosce le Pen
e la riconosce Prodi. Come la connotino (diciamo pure la *forma* del
riconoscimento), è un altro paio di maniche. Anche Prodi (che la
connota "democraticamente") deve dire "noi" e "loro" così come le Pen
(che la connota non "democraticamente"). Perchè se non lo dicesse, il
fondamento del porsi del problema che intende affrontare gli si
toglierebbe da sotto i piedi. Mi pare che su tutto questo non si posa
non essere d'accordo?
Ora, io mi riferivo alla determinazione (connotazione di cui sopra)
etnico-culturale di tale alterità in *questo* senso (e mi ero ero
espresso con una certa chiarezza). Essa non può venire a costituire il
fondamento o l'essenza della nostra risposta al problema della
immigrazione. Quindi: nè "razzismo", nè "società
multiculturale-multietnica". Noi non siamo "razzisti" - il nostro
scopo non è di realizzare il paradiso dell'"antirazzismo" e
dell'"umanitarismo". Si tratta cioè di tenere ben ferma la distinzione
mezzi-scopo. La presenza dell'"altro" presso di "noi" *non* è il
nostro scopo (cosa che afferma il "multiculturalismo") - non è la
nostra distruzione (lo implica formalmente il "razzismo").
Quando mi obbietti che una legge che parlasse del riconoscimento della
alterità sarebbe un gran casino, io ti obietto a mia volta che la
legge non ha bisogno di esplicitare il pdnc o che uno più uno fa due
e roba del genere. Quel riconoscimento è il fondamento della legge -
un fondamento che la legge non ha bisogno di esplicitare. Infatti è la
*nostra* legge - la legge del *popolo italiano*, no? Perciò mi
dispiace per Falchetto Woodstock ma quello che ho in mente non è
"Norimberga, 1935", o "Roma, 1938". Ma neppure ho in mente "Emergency,
2002". E *soprattutto* *non* ho in mente di situarmi in un punto
intermedio tra questi due estremi.

>Ho già detto sopra che *se* il criterio è puramente economico *allora* non


>vedo che attinenza abbiano le tue divagazioni sul "riconoscimento".
>Stiamo sul problema, per favore.

E sul problema ci sto. Quello che ho in mente è appunto di vedere come
le ideologie che hanno preso posizione nell'intorno dei due estremi
ideologici di cui sopra - dunque ideologie che hanno messo al centro
*entrambe* la determinazione etnico-culturale dell'alterità, l'una per
farne il fondamento della società, l'altra per oltrepassarla - stiano
convergendo volenti o nolenti verso un centro posizionato su un piano
logico differente. Questo centro lo si può designare con
"funzionamento dell'apparato economico", o meglio ancora, in un senso
più generale, "funzionamento dell'apparato di potenza".

>> Chè una classe scolastica composta di venti stranieri e un italiano è


>> un danneggiamento, non un potenziamento - idem troppe moschee sparse
>> per l'Europa; idem far studiare l'arabo piuttosto che l'inglese; idem
>> una "loro" espansione demografica nel cuore dell'Europa tecnologica e
>> scientifica; idem un nostro impazzire appresso a conflitti
>> etnico-culturali etc..
>

>Sì, certo, dove "loro" per me sono i cattolici che non sanno raccontare le
>barzellette e "nostro" è di quelli che le sanno raccontare ed hanno il


>cattivo gusto di mettere le "faccine" nei post :-)
>

>> Chiaramente la scelta del carburante di per sè


>> testimonia di non essere fondata sulla "discriminazione" etc.etc.etc.

>> Ma allo stesso tempo non è detto che certi tratti culturali (chiamali


>> anche ideologici, se vuoi) dell'Europa non rimangano vincolati al

>> funzionamento dell'apparato occidentale. Ma questo ultimo punto è


>> tutto un altro discorso - che finora che io sappia qui in ICf nessuno

>> ha ancora toccato nella sua profonda problematicità.


>
>Toccalo, toccalo. Se vuoi convincermi che serve un criterio di

>discriminazione bisognerà che me lo illustri. Se tu e Cosimo non siete
>disposti a dare mezzo euro fino a quando non vi dimostriamo l'utilità delle


>ricerche sulle reti neuronali non potrai pretendere che io dia un voto ad
>una coalizione politica che non mi dimostra che una certa proposta

>*concreta* (che ancora non è stata presentata) sia quella più "razionale" ed
>eticamente accettabile.


Circa il punto che mi inviti a toccare non ne ho intenzione
innanzitutto perchè troppo complesso. Ma anche perchè esso non
riguarda il "criterio di discriminazioine", ma riguarda il destino di
certe nostre connotazioni.
E *tuttavia* la risposta che mi chiedi te l'ho data. Entro nel merito
- chè questo attendevi di ascoltare. *Laddove* la Fini-Bossi subordina
*veramente* la immigrazione alle esigenze dell'apparato economico,
essa è *la* legge sulla immigrazione. Perchè il punto è questo. La
sinistra ha cercato di far passare *altro* sotto forma di "esigenza
dell'apparato economico" - e questo "altro" in certe fasi dello
sviluppo della posizione della sinistra sulla immigrazione è stato
anche "creazione di un sottoproletariato terzomondiale, chè così
mettiamo la destra di fronte al suo razzismo, ci pigliamo una barca di
voti e cambiamo la società con l'aiuto della UE, dell'ONU e della
Carta dei Diritti dell'Uomo"; oppure ha significato un astratto
"terzomondismo", "umanitarismo" etc. Idem la destra ha pensato di far
passare "altro" - difesa della "identità nazionale", laddove il
divenire o se preferisci lo "svolgimento dello spirito" aveva già
condannato alla distruzione ciò che essa avrebbe voluto "difendere"
etc. La mia posizione è: non deve passare *nient'altro* che lo scopo
economico. Perciò: la volontà di affermare lo scopo economico può
permettersi di operare la scelta del carburante (e lo sta già
facendo), può rispedire nei paesi di provenienza, può anche usare
moderatamente il pugno di ferro. Se questo lo fa veramente la volontà
di affermare lo scopo economico, questa affermazione assume un
significato completamente differente.
Due problemi restano aperti: come "loro" restando presso di "noi"
diventeranno "noi". E quale sarà il destino dei "nostri" tratti di cui
al momento non intravedo una relazione necessaria con il funzionamento
dell'apparato di potenza. Ma appunto su questi due problemi non ho
intenzione di dilungarmi. Per la loro complessità e profonda
problematicità. Insomma relativamente a *questo* non sono ancora certo
di avere in mano la "soluzione del'equazione"...Ma a *questo* problema
ci giungiamo avendo riconosciuto *quello* che abbiamo riconosciuto
come *non problematico* sopra. E già riconoscere che quello è quanto
implicitamente "ogni* discorso sulla immigrazione e sul famoso "altro"
ed annessi riconosce, è un risultato di un certo rilievo.



>> Proviamo a dare una svolta alla discussione. Noi esistiamo come

>> volontà politica avente a dispisizione un apparato di potenza etc.
>> Insomma un nostro Stato c'è ed è immediato che ci sia.


>
>Se per "noi" intendi le persone alle quali quella particolare istituzione
>chiamata stato italiano riconosce lo status giuridico di "cittadini

>italiani" ti dico che sì, è immediato il fatto che "noi" esistiamo. Se mi
>dici che questa istituzione storicamente è il risultato di guerre di potere


>basate sul bisogno dell'industria torinese di reclutare mano d'opera a buon

>mercato, ti rispondo che sì, è immediato che questa istituzione esista e che


>abbia il riconoscimento di altre istituzioni analoghe che si autodefiniscono

>stati. Ma se mi dici che quel "noi" e quello "Stato" esistono come "volontà
>politica" mi avvalgo del fatto che *io* non ho la tua stessa volontà
>politica, per dirti che no, non è affatto immediato.

Dai che non può essere come tu dici, Davide! *Ogni* volontà politica
deve passare attraverso l'esitenza delo Stato in atto - Stato che è
unico. *Questo* appunto è il significato di "Stato italiano" - di
essere l'unico Stato che ogni volontà politica dell'italiano implica
(per potenziarlo, per distruggerlo, per mutarlo etc.etc.etc.). Ci si
può baloccare la mente raccogliendo firme "contro i Savoia" che
avrebbero "massacrato un milione di briganti" come fanno i
neoborbonici qui da me - ma l'esistenza attuale del significato "Stato
italiano" va ben al di là del "fabbisogno ella industria torinese":
Chè se no Davide, ne uscirebbe fuori che Ciampi o chi per lui in ogni
discorso dovrebbe dire: "Italiani! Ringraziamo i "fabbisogni della
industria torinese" per averci fatto un popolo uno e indivisibile".
Indaghino pure gli storiografi le "cause non dette della unificazione"
- ma l'attualità del significato "Stato italiano" sta manifesta
dinanzi ai loro occhi. E anche il vecchio, grande Montanelli quando ci
ammoniva "Gli Italiani non sono un popolo!", "Noi non siamo un
popolo!", appunto *ci* ammoniva, era de *gli italiani* e di *noi* che
parlava etc.etc.etc. Questo "noi" è l'attualità del significato
"popolo italiano", "Stato italiano" a tenerlo "raggruppato" davanti ai
*nostri* (ci risiamo) occhi. Non i defunti interessi della defunta
industria piemontese del defunto 1860.
Puoi replicarmi: ecco la solita tirata hegeliana o meglio ancora
gentiliana. Certamente Hegel e molto meglio Gentile hanno detto
qualcosa del genere. E allora? Ti invito (1) ad essere *logico* e a
chiederti perchè quando penso a "Stato italiano" non mi si parano
innanzi gli "interessi della industria piemontese" nè passata nè
presente nè futura (se mai ve ne sarà una, direbbe Maurizio). (2) A
riflettere su cosa intendevi veramnente dire quando mi chiedevi "Che
fare?" circa l'immigrazione. E' logico che tu intendevi "Cosa *noi*
dobbiamo fare?" E chi noi: noi che gestiamo una attività a Riccione,
noi navigatori di Internet oppure noi italiani in quanto italiani?



>> Prova a dirmi *tu* cosa ha da fare questo
>> nostro Stato davantina quel *dinamismo*. Forniscimi *tu* una qualunque

>> risposta a questa domanda - purchè sia la *tua* risposta, fosse pure


>> meditata sulle pagine scritte da un "pacifista scoglionato" o da un
>> Courtial Des Pereires (e chi non ama Celine?!) dell'immigrazione.
>
>Ma figurati. Sarebbe come se quando tu e Cosimo mi dite che non cacciate
>mezzo euro per la ricerca fino a quando non vi produco delle ragioni valide
>per spenderle io vi rispondessi che siete voi che dovete dimostrarmi che
>esistono delle ragioni valide per non spenderli.

No. Io ti avevo detto che non do una lira bucata - mezzo euro sarebbe
troppo - a "Gino Strada" e compagnia pacifista bella. I soldi per lo
sviluppo scientifico-tecnologico li tiro fuori non volentieri ma
convinto dalla necessità. E so che dovremo tirarli fuori sempre di più
- l'UE sta lì apposta per questo. La mia personale critica alla
scienza non per questo ne risente.


>
>Sei tu che hai iniziato i discorsi sul "noi" e "loro", io ti chiedevo solo

>di chiarire. Se mi dici che non ti va di chiarire perché non hai voglia o
>perché sono troppo tonto e ti faccio perdere troppo tempo bene, amici come


>prima. Ma non puoi chiedermi di confutare una argomentazione che a mio
>avviso tu non hai affatto terminato di esporre.

"Noi" e "loro" sono il fondamento della questione. Non si tratta di
impostare la questione in modo "esclusivista" piuttosto che
"inclusivista". Si tratta di impostarla tout court.

Saluti,

Marco

Davide

unread,
Sep 26, 2002, 10:10:33 AM9/26/02
to

"Marco V." <marvas...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:3d930d00...@news.kataweb.it...

> [...]

Ho letto tutto (2 volte) per evitare - nei limiti delle mie possibilità - di
fraintenderti e leggerti alla luce distorta dei miei "pregiudizi".

Fatto ciò, mi sono rimasti in testa un sacco di contro-argomenti che, a
occhio e croce (o Croce? :-)), occuperebbero 30-40k.

Sono troppo vecchio (troppo facile, dirai tu! :-))

Anche tu altrove hai detto che per approfondire certe questioni [dal momento
che i nostri "presupposti comuni" sono molto lontani e ogni volta bisogna
andarli a ripescare chissà dove] dovresti fare un discorso troppo lungo.

Mi sembra quindi che si vada denotando (e connotando) quella classica
situazione di "stallo" a cui purtroppo noi due ci stiamo abituando.

Stallo non completamente "simmetrico". Ad esempio io ogni tanto riconosco di
avere torto e tu no. Cosa - questa - che potrebbe denotare sia il fatto che
le mie argomentazioni sono deboli e a lungo andare destinate tutte a cedere,
sia il fatto che tu hai notevoli difficoltà a vedere i punti deboli delle
tue argomentazioni anche quando ti vengono sottolineati più volte e a più
riprese.

Mi sembra pertanto che sia "razionale" (o, quanto meno, "saggio") lasciare
che questo thread si sedimenti e, eventualmente, riprenderlo altrove (tanto,
come dici tu, sempre *lì* andiamo a parare :-))

E comunque, a prescindere dal fatto che tale "interruzione" sia razionale
e/o saggia, te la propongo come gentlemen's agreement: sono più anziano e
non ho le tue energie mentali (né, forse, la tua lucidità :-))

Saluti,
D.

Adriano Virgili

unread,
Sep 27, 2002, 1:44:57 PM9/27/02
to

Cosimo <cosim...@libero.it> wrote in message
wqnk9.11216$Eu.2...@twister1.libero.it...

> No, una proposizione è sensata quando *può* raffigurare uno stato di
> cose; è vera, se lo stato di cose che essa raffigura, sussiste, sennò è
> falsa (prop. 4.2 del Tractatus).
> La relazione fra gli oggetti logici di cui parli è la *struttura* che la
> proposizione esibisce (aRb), raffigurando gli stati di cose sussistenti
> o non sussistenti nella realtà.

Scusami, ma io dicendo che per Wittgenstein (ovviamente mi riferisco sempre


al primo
Wittgenstein) una proposizione è sensata in quanto indica una "relazione"

tra oggetti logici non facevo che dire questo. Io ho detto che una
proposizione è SENSATA se raffigura uno stato di cose (l'espressione
"oggetti logici" è infelice), sottintendendo il fatto che una proposizione
può essere vera o falsa SOLO se è sensata. Una proposizione è una FUNZIONE
DI VERITA' solo se è SENSATA, quindi può essere vera o falsa solo se
sensata. Il fatto che una proposizione sia sensata, in fondo, significa solo
che noi possiamo capire che cosa succede nel mondo se e vera e che cosa
"non" succede se è falsa.

>
> Yes, l'esistenza non è un oggetto logico, ma l'oggetto logico esiste.
> E' l'uovo di colombo.

Una cosa è una cosa in quanto "parte" di uno s t a t o d i c o s e.

> L'esistenza è indicibile, ma non gli esist-enti (nel complesso delle
> loro relazioni).

Ed io, per tutto il tempo, non ho fatto che dire questo!!!!!!!

> Inoltre, l'oggetto logico (i.e. Giovanni), esistendo, è tutt'altro che
> irrelato con gli altri oggetti, e segnatamente con quegli oggetti nei
> quali può venir raffigurato, ovvero le proposizioni.

Ma non è proprio quello che io ho detto fin dal principio?!
Per Wittgenstein, il "problema dell'essere" rientra nell'ineffabile, quindi
"l'essere è" è una proposizione priva di senso. Ed io non ho detto altro che
questo.

> Al contrario, proprio perché non raffigura un bel nulla, quella
> proposizione è la purezza di ogni validità logica.

Sì, ma è una proposizione "logicamente" priva di senso, appunto perché per
Wittgenstein i "princìpi" non si possono enunciare, questi non appartengono
al linguaggio.
<<Che le proposizioni della logica siano tautologie mostra (zeigt) le
proprietà formali - logiche - del linguaggio, del mondo>> [T. 6.12]

>Dicevo anche a Davide
> che il pdnc non dice nulla, è a-specifico, perché è piuttosto la
> possibilità in cui ogni cosa può esser detta e contraddetta.

Io dicevo che "l'essere è" non dice nulla e nient'altro.

> Personalmente, se il pdnc "cade" per via di talune "interpretazioni" o
> assiomi (= decisioni), non so che farmene di quel che vien "detto" in
> quelle teorie e in quelle "logiche non classiche".
> Cos'altro può venir detto se non, prima o poi, che "x è non-x"?

Il fatto che queste logiche continuano ad essere c o e r e n t i dovrebbe
invece dirti qualcosa.

>
> Questo domandavo.
> E nei brani che citi, che conoscevo, continua a non rispondermi; anzi,
> mi pare che complichi le cose, dicendomi che devo "osservare" e non
> "pensare" (quale sarà la differenza? E sarà una differenza necessaria o
> possibile, oppure pensata o osservata? E, insomma, c'è una ragione per
> la quale -posta indubitabilmente quella differenza- io debba "osservare"
> e non "pensare"?)

A mio avviso, invece, ti rispondono nel momento in cui introducono l'idea
dei "concetti aperti", poiché i concetti aperti sono concetti anche non
implicando quel "tratto comune" da te invocato.

> Lo dico in breve, caro Adriano. Un conto è teorizzare che l'analisi
> prosegua in infinitum e in indefinitum (porre il Significato
> *almeno* come esigenziale, e dunque attuale e presente in questo
> senso, senso *formale*), un altro conto è negare la *sintesi*
> come prius logico dell'analisi -e di ogni analisi.

Vedi, io sono forse il più grande sostenitore della "sintesi" (a questo
proposito, ti rimando alle mie "meditazioni", ma solo se non hai niente da
fare). Ma questo non significa che dobbiamo "fregarcene" dell'analisi.

> Eh no! Qui dovresti rimanere coerente con il dubbio, e dire:
> "probabilmente no, porca Eva!" :-))

Forse... :o)

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