Del giornalismo come settore industriale in crisi di cui si discute poco. Del resto non è mai facile parlare di corda in casa dell’impiccato. Eppure negli ultimi 10 anni il settore delle notizie ha perso almeno 5 mila posti di lavoro (dati in difetto e senza considerare l’indotto) e non riesce a produrre scandalo il fatto che la sua produzione si basi su manodopera sfruttata e mal pagata. La categoria dei giornalisti non può più essere considerata privilegiata da molti anni, eppure non è stata scalfita la convinzione generale secondo cui i cronisti sarebbero “casta”. Anche perché un piccolo ma potente gruppo di editorialisti con grandi vantaggi personali imperversa sui media, consolidando le false credenze sul mestiere.
LA FEDERAZIONE ITALIANA degli editori (Fieg) finora ha gestito la situazione con molti tagli e pochi investimenti, nonostante le sovvenzioni pubbliche milionarie che riceve. Ora ha deciso di cristallizzarla con una proposta di rinnovo del contratto nazionale collettivo, scaduto da 10 anni, giudicata inaccettabile dai giornalisti che, per la prima volta in 15 anni, hanno deciso di scioperare. «È uno sciopero non politico perché non cerca sponde, ma è molto politico perché vuole difendere il ruolo dell’informazione, messo in discussione dal modo in cui gli editori ci trattano», ha spiegato il segretario della Stampa Romana, Stefano Ferrante. Anche perché le motivazioni economiche si legano a doppio filo a quelle democratiche. «Non ne facciamo una battaglia corporativa – dicono dal presidio la federazione nazionale della stampa (Fnsi) ha tenuto ieri a piazza Santi Apostoli – un’informazione davvero libera e plurale, che sia controllo democratico. ha bisogno di giornalisti indipendenti, che non siano economicamente ricattabili».
RISPETTO ALLE ALTRE mobilitazioni del passato, questa volta sembra esserci «una alleanza tra contrattualizzati e lavoratori autonomi», ha detto Simona Fossati che fa parte della commissione lavoro autonomo dell’associazione lombarda dei giornalisti. «Gli editori ci accusano di essere irresponsabili ma non possiamo rimanere ancora silenti mentre loro si attribuiscono i dividendi e ci propongono misure vergognose», ha spiegato. Effettivamente i gruppi industriali che detengono l’informazione hanno incassato in 10 anni almeno 240 milioni di euro in aiuti statali mentre alleggerivano le redazioni: meno 15% di giornalisti regolarmente assunti, non più fotografi o deskisti (è cioè quelli che verificano la correttezza, sintattica e di contenuto degli articoli pubblicati), meno tipografi, segreterie ridotte all’osso.
Il tutto compensato con precari retribuiti in media 10 euro lordi a pezzo. Le posizioni di editori e sindacati rimangono lontane: Fnsi aveva proposto un aumento mensile di almeno 410 euro, per recuperare l’aumento del 19,3 dell’inflazione, Fieg ne vuole dare solo 150 euro, peraltro lordi e sganciati dalle retribuzione. Sarebbe inoltre necessario il riconoscimento di tutte quelle mansioni che sono rimaste fuori dal ccnl e che invece oggi contribuiscono alla fatture delle testate: redattori digitali, fotoreporter, videomaker, social media manager, fact check-in editor, data and visual editor, data journalist. Ma non nella bozza non c’è nulla. Anzi, gli editori vorrebbero cristallizzare la situazione sancendo di fatto che esistono giornalisti di serie A e di serie B con un contratto diverso, che costa meno e naturalmente ha meno tutele. E non sono giovani.
Racconta F.M, assunta dopo 20 anni di collaborazione per un noto inserto di un grande quotidiano nazionale solo perché ha fatto causa, «la parola precari confonde, così come freelance, in realtà parliamo di braccianti che guadagno 4 centesimi a riga e che stanno anche 20/25 anni a disposizione di una redazione, li chiamano giovani ma hanno 50 o 60 anni». F.S., invece, ha perso il lavoro a 45 anni perché la sua testata ha chiuso. Le sue competenze specifiche le hanno permesso di trovare altre collaborazioni subito, ma non uno stipendio.: «Ho una rubrica su un settimanale affermato pagata 150 euro al mese, con il resto delle collaborazioni non arrivo a 600». L.C. ha passato 10 anni in un grande redazione romana ma i soldi non le bastavano per mantenere l’affitto nella capitale. È tornata nella sua regione per lavorare a una nuova testata on line ma si è ritrovata a fare il copia e incolla dei comunicati dei politici locali e a fare titoli da click baiting. Sempre precaria. A quel punto ha mollato per diventare insegnante, «almeno so quanto prendo ogni mese».
NON SI TRATTA SOLO di remunerazioni: l’accesso limitato alla professione ha di fatto già creato un giornalismo borghese che si appresta a diventare classista. Entra nelle redazioni chi ha un cognome utile a consolidare rapporti di potere o chi ha resistito a 20 anni di stipendi di fame. In entrambi i casi si tratta di persone che provengono da contesti più che benestanti, mentre le altre classi sociali non sono rappresentate nelle redazioni. «La giusta retribuzione per i giornalisti è garanzia di libertà e per i lettori una certezza di qualità – hanno spiegato dall’Fnsi – tutto questo non interessa agli editori, più concentrati sul taglio dei costi con manovalanza intellettuale a basso costo».
«Le aziende lavorano nel pieno rispetto dall’accordo del 2014 sottoscritto con il sindacato», ha replicato la Fieg, non senza ragioni. Al tempo, nonostante la formazione dei primi gruppi di giornalisti precari dentro e fuori le testate, il sindacato prese sottogamba la questione. «Si sono accettate riduzioni salariali per salvare i posti di lavoro senza che l’obiettivo venisse raggiunto – ricostruisce Valerio Boni per Senza Bavaglio – Ogni volta che gli editori hanno chiesto sacrifici, la risposta è stata spesso un sì, nella speranza di limitare i danni, sacrificandone pochi per salvarne molti. Nel frattempo, i danni si sono moltiplicati».
IL TIMORE È CHE LO sciopero generale convocato dai sindacati di base possa offuscare le rivendicazioni dei giornalisti facendole passare per una opposizione generica al governo. Tuttavia oggi ci saranno decine di presidi da nord a sud. «L’adesione è alta, ma alcuni giornali tenteranno di uscire – ha avvisato la segretaria nazionale dell’Fnsi Alessandra Costante – saremo accanto ai colleghi per garantire il diritto allo sciopero».
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