Google Groups no longer supports new Usenet posts or subscriptions. Historical content remains viewable.
Dismiss

[MQ] Teoria della misura di Zurek

770 views
Skip to first unread message

JTS

unread,
Nov 13, 2017, 2:12:02 PM11/13/17
to
Qualcuno conosce qualcosa sulla teoria della misura di Zurek (che poi
lui presenta, mi pare, come soluzione del problema della misura in MQ)?
Io ho letto qualcosina ma e' al di la' delle mie possibilita' di
comprensione (soprattutto senza fare i calcoli in maniera dettagliata e
pensare ad ogni passaggio).

Lasciando da parte il fatto di dover comprendere il formalismo per
sapere come funziona, ho alcune curiosita'.

1) Da quello che ho capito secondo Zurek la misura e' un interazione
che obbedisce all'equazione di Schrödinger con un oggetto macroscopico
(quindi esiste un solo principio dinamico, non due come nell'esposizione
standard della MQ). Se questo e' vero, perche' non sono tutti gia'
d'accordo con questa teoria? Dovrebbe essere un calcolo, magari
complicato ma che si fa passo dopo passo quindi dovrebbe essere
automaticamente accettabile. Che problema c'e', invece?

2) Come fa l'interazione con l'apparato di misura a far sapere alla
particella in che base deve diventare decoerente? Qui vedo una vaga
rassomiglianza con la teoria di Ghirardi-Rimini-Weber in cui i sistemi
quantistici collassano sempre in autostati della posizione. Immagino che
se nella teoria GRW e' possibile far collassare il sistema quantistico
in un autostato di qualunque operatore autoaggiunto, debba esserlo anche
nella teoria di Zurek: ma questa e' solo una mia analogia intuitiva.

3) Se il collasso negli autovettori e' determinato dall'evoluzione della
funzione d'onda secondo l'eq. di Schroedinger, deve anche essere
possibile un collasso parziale se il sistema quantistico interagisce con
un sistema mesoscopico (quindi mi permetterete una battuta: esistono le
mezze misure). Ci sono esperimenti a questo riguardo? Che cosa ci si
aspetta di vedere?

Paolo Russo

unread,
Nov 20, 2017, 1:25:02 AM11/20/17
to
[JTS:]
> Qualcuno conosce qualcosa sulla teoria della misura di Zurek (che poi
> lui presenta, mi pare, come soluzione del problema della misura in
> MQ)? Io ho letto qualcosina ma e' al di la' delle mie possibilita' di
> comprensione (soprattutto senza fare i calcoli in maniera dettagliata
> e pensare ad ogni passaggio).

Ho letto qualcosa tanti anni fa. Ho appena ridato una
velocissima occhiata a "Decoherence and the Transition from
Quantum to Classical - Revisited":
https://arxiv.org/abs/quant-ph/0306072
Data la velocita`, non posso essere sicuro di non aver capito
male qualcosa.

> Lasciando da parte il fatto di dover comprendere il formalismo per
> sapere come funziona, ho alcune curiosita'.
>
> 1) Da quello che ho capito secondo Zurek la misura e' un interazione
> che obbedisce all'equazione di Schrödinger con un oggetto macroscopico
> (quindi esiste un solo principio dinamico, non due come
> nell'esposizione standard della MQ). Se questo e' vero, perche' non
> sono tutti gia' d'accordo con questa teoria? Dovrebbe essere un
> calcolo, magari complicato ma che si fa passo dopo passo quindi
> dovrebbe essere automaticamente accettabile. Che problema c'e',
> invece?

Ci sono vari problemi, non tanto nei calcoli quanto nei loro
assunti e nell'interpretazione del risultato. Si puo` dare
tranquillamente per assodato che la decoerenza avvenga, come
tristemente sanno quelli che sperimentano sul quantum
computing; il problema sta altrove.
Un primo problemino preliminare e` che Zurek applica la MQ a
sistemi macroscopici. Un fisico puo` ritenerlo un tentativo
arbitrario di applicare una teoria al di fuori dell'ambito
per cui e` stata sviluppata. In realta` il punto e` proprio
quello, verificare se applicando la teoria ai sistemi
macroscopici salti fuori che va gia` bene cosi' com'e`; non
di meno, uno puo` ugualmente non lasciarsi convincere.

> Se ben ricordo, Zurek riteneva di aver risolto l'interpretazione della
MQ senza alcun bisogno di universi paralleli;

Un altro problema, o forse IL problema, e` costituito proprio
dall'interpretazione a universi paralleli (o molti mondi che
dir si voglia, MWI = Many Worlds Intepretation; ti avverto
subito che e` la mia interpretazione preferita, cosi' puoi
fare la tara a quel che scrivo). E` facilmente dimostrabile
che se ci si limita ad applicare la MQ a tutte le scale,
senza modificare o introdurre nient'altro, saltano fuori
universi paralleli, che risultano indigesti a molti fisici,
sostanzialmente perche' non potra` mai esistere una prova
diretta della loro esistenza al livello macroscopico:
andrebbero accettati solo in virtu' del Rasoio di Occam,
perche' la teoria piu' semplice possibile (pura MQ a tutti i
livelli) porta inevitabilmente alla loro esistenza, il che
lascia a dir poco l'amaro in bocca.
Se Zurek si limita ad applicare la MQ a tutte le scale, come
gestisce gli universi paralleli che inevitabilmente ne
saltano fuori? In buona sostanza, facendo finta di non
vederli. Per essere precisi, lo fa nel passaggio "the density
matrix for the detector-system combination is obtained by
ignoring (tracing over) the information in the uncontrolled
(and unknown) degrees of freedom", a pagina 10.
I sostenitori della MWI sono ben contenti del lavoro di Zurek
sulla decoerenza, perche' chiarisce dei dettagli su come
nascano gli universi paralleli, che Zurek se ne renda conto o
no. Zurek sembra rendersene conto almeno in parte:
"Decoherence is of use within the framework of either of the
two interpretations: It can supply a definition of the
branches in Everett’s Many Worlds Interpretation, but it
can also delineate the border that is so central to Bohr’s
point of view."
Nello stesso articolo (tra le aggiunte piu' recenti) Zurek
parla della "Existential Interpretation" che secondo lui
emergerebbe dagli studi sulla decoerenza. Ho provato a
leggerla, soprattutto per quanto riguarda le dichiarate
differenze rispetto alla MWI, ma mi sembra un po' fumosa e
non me la sento di commentarla.

> 2) Come fa l'interazione con l'apparato di misura a far sapere alla
> particella in che base deve diventare decoerente?

In effetti ho sempre trovato un po' ambiguo il termine
decoerenza (e una parte del relativo apparato concettuale),
che sembra scelto per far pensare che sia una cosa che
succede alla particella (piu' in generale, al sistema
quantistico in esame).
La base viene imposta dall'apparato di misura, e` quella
corrispondente all'osservabile a cui l'apparato e` sensibile.
La decoerenza non avviene nella particella, ma nel sistema
particella + apparato. In realta` avviene appunto
primariamente nell'apparato, ma dato che dopo la misura il
suo stato e` intrecciato con quello della particella, la
decoerenza si estende ad essa: nel momento in cui decidi di
ignorare lo stato quantistico dell'apparato, lo stato della
particella si riduce a una matrice di densita` i cui termini
non interferiscono piu' tra loro.
In realta` quanto sopra e` inesatto perche' l'interazione con
lo strumento di misura puo` alterare lo stato della
particella (al di la` del semplice collasso), e questo in
certe situazioni e` cruciale, ma ai fini della decoerenza non
c'e` bisogno di tenerne conto: avresti decoerenza anche se lo
stato della particella non cambiasse. Gia` il solo fatto che
lo stato dello strumento di misura si intrecci con quello
della particella in una determinata base e` sufficiente a
provocare decoerenza (e quindi apparente collasso in forma di
proiezione su sottospazi, come da formalismo della MQ)
secondo quella base.

> Qui vedo una vaga
> rassomiglianza con la teoria di Ghirardi-Rimini-Weber in cui i sistemi
> quantistici collassano sempre in autostati della posizione. Immagino
> che se nella teoria GRW e' possibile far collassare il sistema
> quantistico in un autostato di qualunque operatore autoaggiunto, debba
> esserlo anche nella teoria di Zurek: ma questa e' solo una mia
> analogia intuitiva.

Si', certo, la base dipende dall'osservabile che vuoi
misurare.
Se non stai misurando niente, la decoerenza spontanea segue
generalmente e approssimativamente la base posizionale
perche' tutte le interazioni dipendono piu' dalle posizioni
dei corpi che da qualsiasi altra cosa.
Pensa a un elettrone libero. Interagisce con l'ambiente
esterno principalmente tramite il campo elettrico. La
velocita` dell'elettrone puo` avere la sua importanza, dato
che crea un campo magnetico, ma a v<<c il grosso
dell'interazione con l'ambiente esterno e` dovuto al campo
elettrostatico, che varia in base alla posizione
dell'elettrone.

> 3) Se il collasso negli autovettori e' determinato dall'evoluzione
> della funzione d'onda secondo l'eq. di Schroedinger, deve anche essere
> possibile un collasso parziale se il sistema quantistico interagisce
> con un sistema mesoscopico (quindi mi permetterete una battuta:
> esistono le mezze misure). Ci sono esperimenti a questo riguardo? Che
> cosa ci si aspetta di vedere?

Il collasso parziale, come gia` compreso da Everett nella sua
tesi di dottorato, si avrebbe nel caso di misura parziale: ad
esempio, un apparato di misura che ha una buona probabilita`
di lasciarsi sfuggire la particella che dovrebbe misurare
senza interagirci o una misura di posizione che individua la
particella in una zona invece che in un punto preciso.
L'interazione con un sistema mesoscopico non dovrebbe portare
a nulla di particolarmente interessante. Se la particella in
questione interagisce anche solo con *una* particella
dell'ambiente (influenzandone lo stato), che poi se ne va per
i fatti suoi o che comunque decidi di non considerare parte
del sistema in esame, hai gia` decoerenza. La macroscopicita`
dell'ambiente garantisce semplicemente l'irreversibilita`
termodinamica degli effetti dell'interazione con l'ambiente e
quindi della decoerenza stessa.
In teoria, con un sistema mesoscopico potresti cercare di
fare un esperimento dove la particella interagisce con il
sistema mesoscopico ma poi l'effetto viene invertito. Non ho
idea di come si potrebbe fare, anni fa ci pensavo ma non ne
ho cavato niente.

Ciao
Paolo Russo

lino.z...@gmail.com

unread,
Nov 20, 2017, 1:20:02 PM11/20/17
to
Il giorno lunedì 20 novembre 2017 07:25:02 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
>
> > Se ben ricordo, Zurek riteneva di aver risolto l'interpretazione della
> MQ senza alcun bisogno di universi paralleli;
>
> Un altro problema, o forse IL problema, e` costituito proprio
> dall'interpretazione a universi paralleli (o molti mondi che
> dir si voglia, MWI = Many Worlds Intepretation; ti avverto
> subito che e` la mia interpretazione preferita, cosi' puoi
> fare la tara a quel che scrivo). E` facilmente dimostrabile
> che se ci si limita ad applicare la MQ a tutte le scale,
> senza modificare o introdurre nient'altro, saltano fuori
> universi paralleli, che risultano indigesti a molti fisici,
> sostanzialmente perche' non potra` mai esistere una prova
> diretta della loro esistenza al livello macroscopico:
> andrebbero accettati solo in virtu' del Rasoio di Occam,

Mi sembra che il criterio del rasoio di Occam sia condizione
necessaria ma non sufficiente per scegliere tra ipotesi teoriche in
competizione.
Un'altra condizione necessaria e' quella della consistenza con i dati
sperimentali, che come mi sembra che affermi, non esiste per la MWI.

> Se Zurek si limita ad applicare la MQ a tutte le scale, come
> gestisce gli universi paralleli che inevitabilmente ne
> saltano fuori? In buona sostanza, facendo finta di non
> vederli. Per essere precisi, lo fa nel passaggio "the density
> matrix for the detector-system combination is obtained by
> ignoring (tracing over) the information in the uncontrolled
> (and unknown) degrees of freedom", a pagina 10

Non ho sufficiente competenza in F.Q. per entrare nel merito, ma figure simili
a quelle di pag. 19 dell' articolo citato, le ho ottenute producendo algoritmi

di forme matematiche non lineari ed iterate. Variando uno o piu' "parametri di controllo" si poteva passare da una rappresentazione caotica dove le "orbite"
presentavano un certo grado di "decoerenza" ad "orbite ordinate" dove la decoerenza spariva. Analizzando cosa faceva l'algoritmo, in termini numerici,

si vedeva chiaramente che nel secondo caso i set di dati che definivano un' orbita erano ricopiati (quindi sovrapposti), nel primo caso solo parzialmente o
per nulla.
Non so se questo puo' essere utile alla discussione.

Lino

JTS

unread,
Nov 20, 2017, 2:12:03 PM11/20/17
to
On 2017-11-20 17:27, lino.z...@gmail.com wrote:

(a Paolo Russo rispondo dopo, perche' voglio riflettere ancora un po')

>
>> Se Zurek si limita ad applicare la MQ a tutte le scale, come
>> gestisce gli universi paralleli che inevitabilmente ne
>> saltano fuori? In buona sostanza, facendo finta di non
>> vederli. Per essere precisi, lo fa nel passaggio "the density
>> matrix for the detector-system combination is obtained by
>> ignoring (tracing over) the information in the uncontrolled
>> (and unknown) degrees of freedom", a pagina 10
>
> Non ho sufficiente competenza in F.Q. per entrare nel merito, ma figure simili
> a quelle di pag. 19 dell' articolo citato, le ho ottenute producendo algoritmi
>
> di forme matematiche non lineari ed iterate. Variando uno o piu' "parametri di controllo" si poteva passare da una rappresentazione caotica dove le "orbite"
> presentavano un certo grado di "decoerenza" ad "orbite ordinate" dove la decoerenza spariva. Analizzando cosa faceva l'algoritmo, in termini numerici,
>
> si vedeva chiaramente che nel secondo caso i set di dati che definivano un' orbita erano ricopiati (quindi sovrapposti), nel primo caso solo parzialmente o
> per nulla.
> Non so se questo puo' essere utile alla discussione.
>
> Lino
>


Non lo so con sicurezza se puo' essere utile alla discussione, ma
sospetto che il collegamento sia insufficiente. Da quello che hai
scritto, e' una "ricetta" che puo' generare o no caos a seconda dei
parametri (parafraso quello che hai scritto). Il fatto che ne esista una
(per informazioni superficiali che ho sul tema, so che ne esistono
tante) non vuol dire che sia rilevante per la meccanica quantistica.

lino.z...@gmail.com

unread,
Nov 22, 2017, 8:30:03 PM11/22/17
to
Credo che hai ragione. Gli strumenti usati da Zurek e/o colleghi sono una particolare rappresentazione nello spazio delle fasi dell' evoluzione di un sistema dinamico che da quantistico "transisce" a classico.

La particolarita' sta nel fatto che viene considerata anche la funzione di Wigner che puo' assumere valori negativi e quindi non rappresentativi di probabilita'.
Vengono inoltre usati criteri (Lyapunov) per valutare il tipo "rappresentazione" ottenuta.
Tutto cio' mi ha indotto a considerare una possibile analogia con i casi che
avevo citato, al solo scopo di cercare di capire un po' di piu' questo argomento, difficile (per me) ma interessante.

Devo dire pero' che le mie applicazioni erano relative a casi di fisica classica, o ancor piu' "esperimenti al computer", dove sotto l' aspetto formale non esisteva nessun significato particolare, quindi un' applicazione diretta non e' pensabile, come hai giustamente intuito .

Paolo Russo

unread,
Nov 22, 2017, 8:40:02 PM11/22/17
to
[lino.z...@gmail.com:]
> Mi sembra che il criterio del rasoio di Occam sia condizione
> necessaria ma non sufficiente per scegliere tra ipotesi teoriche in
> competizione.
> Un'altra condizione necessaria e' quella della consistenza con i dati
> sperimentali, che come mi sembra che affermi, non esiste per la MWI.

Tutt'altro, c'e` piena consistenza con i dati sperimentali,
scusa se non era chiaro. Non esistono prove contrarie.
Il problema e` che lo stesso si puo` dire per la maggior
parte delle altre interpretazioni. Per questo vengono chiamate
interpretazioni anziche' teorie.

Ciao
Paolo Russo

Lorents

unread,
Nov 22, 2017, 8:45:02 PM11/22/17
to
Non sono un esperto su Żurek, anche perché trovo i suoi articoli non
molto comprensibili, almeno per quanto riguarda la (cosiddetta)
interpretazione della meccanica quantistica (MQ). Tra l'altro non sono
solo: anche il suo ex studente di dottorato Jess Riedel nel suo blog scrive
``Wojciech has resisted being pinned down to any well-known
interpretation, much to the chagrin of some of his colleagues.''

In ogni caso se stai cercando di capire la MQ lascierei stare in un
primo tempo quello che pensa Żurek; di sicuro la sua visione è al 90%
basata sulla formulazione delle storie consistenti di Griffiths, Omnès,
Gell-Mann e Hartle (in particolare nella formulazione di questi ultimi
due autori, che danno particolare risalto alla decoerenza), più (forse)
un 10% originale (la 'envarianza' e il 'Darwinismo quantistico' di cui
Żurek parla dal 2003 ca.) completamente focalizzato sui dettagli della
decoerenza. Quindi invece di Żurek di consiglio di focalizzare la tua
attenzione specialmente su Griffiths, che scrive molto piu' chiaramente
ed e' l'originatore di tutto il filone. Per esempio ti consiglio per
iniziare i suoi saggi 'Consistent Quantum Measurements'
https://arxiv.org/abs/1501.04813 e 'The New Quantum Logic'
https://arxiv.org/abs/1311.2619

Per quanto mi riguarda, dopo aver speso molto tempo a leggere libri e
articoli sull'interpretazione della MQ con la solita sensazione di gran
confusione, sono ora convinto che l'approccio a storie consistenti sia
quello corretto. In particolare sono d'accordo che le storie consistenti
sia 'Copenhagen fatta come si deve' (Copenhagen done right): si prendono
gli elementi corretti di Bohr (che in essenza era corretto su tutto,
anche se avrebbe potuto esprimersi diversamente) e si precisano ed
estendono. Come risultato si individua dove risiede la stranezza della
MQ, che viene tutta incapsulata in un paio di principi; se li si
accetta, *tutti* i paradossi e le confusioni scompaiono. In estrema
sintesi riassumerei questo punto di vista in tre punti chiave.

1) Il concetto chiave alla base di tutto è quello di *evento*. Un evento
è, a parole, `un particolare stato di cose al tempo t'.
Per esempio:
-L'elettrone è, al tempo t, nel suo stato fondamentale.
-L'elettrone è, al tempo t, tra x=1 e x=1.1.
-La proiezione dello spin dell'elettrone lungo la direzione z è, al
tempo t, 1/2.
-L'ago del mio strumento indica +1.

Ripeto: gli eventi sono i concetti fondamentali (i 'beables' di cui
parlava Bell), NON la funzione d'onda (FdO), la matrice di densità o
altri costrutti matematici! Per quanto riguarda l'interpretazione è
meglio DIMENTICARSI della FdO e pensare in termini di eventi. La FdO è
un utile strumento matematico, ma è fondamentale tenere a mente che la
MQ riguarda *eventi fisici*, non enti matematici. Esattamente allo
stesso modo la meccanica classica descrive eventi (ad es. 'Il punto
materiale P ha positione x=3.3 al tempo t); sarebbe un equivoco dire che
lo scopo e il contenuto fisico della meccanica classica è lo studio
della hamiltoniana, della lagrangiana o dell'integrale dell'azione!
Se non si accetta il punto 1) e ci si focalizza sull FdO è impossibile
capire il passaggio quantistico->classico, perché il formalismo della MQ
è fondamentalemente diverso da quello della meccanica classica. Al
contrario, le predizioni degli eventi delle MQ tendono in casi opportuni
a quelle della meccanica (in generale, statistica) classica.

2) Bisogna accettare che la Natura è non-deterministica. Nella meccanica
classica l'universo è come un orologio meccanico, e niente accade 'per
caso'. Eventi futuri possono essere predetti, in principio, con
precisione assoluta. Ma la realtà fisica non è così a livello
fondamentale. Anche se avessi una conoscenza perfetta dell'intero
universo al tempo t, è impossibile prevedere al 100% tutti gli eventi
possibili ad un tempo successivo.
Questo fatto è a volte espresso usando parole come 'aleatorità' o
'casualità' (in inglese randomness) della natura, ma anche questo non è
del tutto corretto.
Come anche il recente teorema del libero arbitrio (Free Will theorem) di
Conway e Kochen ha dimostrato anche aggiungendo numeri casuali (random)
ad una teoria classica non si possono riprodurre le predizioni della MQ
per coppie di particelle intrecciate (entangled). Conway e Kochen dicono
un po' provocatoriamente che le particelle elementari hanno libero
arbitrio: un elettrone può passare attraverso un filtro semi-riflettente
o può essere riflesso; prima che questo evento capiti, non c'è nessuna
informazione nell'universo che possa aiutarmi nel prevedere cosa farà;
l'elettrone decide 'al momento' cosa fare, prende una decisione libera.
Questo è diverso da una mancanza di determinismo riconducibile a
pseudo-casualità. Situazioni come quelle considerate nelle
disuguaglianze di Bell o dal teorema di Kochen-Specker non possono
essere riprodotte neanche se aggiungiamo numeri casuali in un contesto
classico.

Se accettiamo il punto 2) è chiaro che gli eventi di cui parla il punto
1) possono solo essere predetti in maniera probabilistica. Quindi, 1)+2)
dicono: gli enti fondamentali nella MQ sono eventi fisici e le
probabilità che essi accadano.

Già a questo punto si capisce che interpretazioni tipo GRW o Bohm che
basano tutto sulla FdO in rappresentazione di Schrodinger stanno
prendendo fischi per fiaschi. Similamente, tutti quelli che parlano del
'collasso' della FdO dovuto alla misurazione sono vittime di
incomprensioni. Tra l'altro, Bohr non ha *mai* parlato di collasso (è
stato introdotto da von Neumann). Il collasso è una semplificazione che
possiamo introdurre in determinati casi e dovuto all'aumentare dei gradi
di libertà del sistema (entanglement con oggetti grandi) e/o dovuto
all'interazione con l'ambiente (decoerenza).
In ogni caso se si tiene in mente in punto 1) una FdO psi(x) tipo 'gatto
di Schrodinger' non è di per sé problematica: l'importante sono le
probabilità degli eventi che si possono calcolare a partire da psi(x). E
in pratica si vede che le probabilità sono praticamente le stesse di una
miscela statistica di stati collassati ('gatto vivo OPPURE gatto morto')
e quindi possiamo benissimo usare la funzione collassata come
semplificazione. Nessun mistero.
Fra l'altro, è anche *sbagliato* dire che se psi(x) = (|gatto vivo> +
|gatto morto> )/sqrt(2) allora il gatto è sia vivo che molto.
Sarebbe come dire che, visto che psi(x) è non-zero per molti valori di
x, allora la particella è in tutti quei posti contemporaneamente.
Nella formulazione delle storie consistenti gli eventi fisici sono
associati a proiettori ortogonali; per esempio l'evento 'la particella è
alla posizione x' è il proiettore P_x [supponiamo per semplicità una
versione discreta della posizione]. La probabilità che la particella sia
in x è <psi|P_x|psi> = |psi(x)|^2, come deve essere. Il connettivo
logico AND tra due eventi corrisponde al *prodotto* dei proiettorim
quindi l'evento 'la particella è in x E CONTEMPORANEAMENTE e in y' è
P_x*P_y, ma questo proiettore dà sempre valore di aspettazione zero: una
particella non è mai in due posti allo stesso tempo.
È il connettivo logico OR (oppure) che è la somma P_x+P_y, quindi la
psi(x) a là `gatto di S.' deve essere interpretata come 'gatto vivo'
OPPURE 'gatto morto'.

3) Il principio finale, che è quello in cui risiede il nucleo della
stranezza quantistica, è il 'principio del singolo sistema di storie
consistenti' (single framework), alias principio di incompatibilità
quantistica alias principio di complementarietà di Bohr (alias principio
di indeterminazione di Heisenberg, alias non-commutatività delle
osservabili... sono tutte facce della stessa medaglia). In soldoni dice
che non è lecito conbinare insieme predizioni relative a eventi le cui
osservabili sono incompatibili (non commutano). Ci sarebbe molto da dire
ma ho già scritto tanto e, inoltre, temo non sarei molto comprensibile :-)

Rispondo brevemente alle tue domande dal punto di vista delle storie
consistenti (che dovrebbe coincidere con Żurek in questi casi):

>
> 1) Da quello che ho capito secondo Zurek la misura e' un interazione
che obbedisce all'equazione di Schrödinger con un oggetto macroscopico
(quindi esiste un solo > principio dinamico, non due come
nell'esposizione standard della MQ).
>

Correctto, c'è un solo principio dinamico per quanto riguarda
l'evoluzione delle probabilità degli eventi. Gli eventi stessi sono (in
generale) imprevedibili per via del non-determinismo intrinseco (punto 2).

>
> Se questo e' vero, perche' non sono tutti gia' d'accordo con questa
teoria?
> Dovrebbe essere un calcolo, magari complicato ma che si fa passo dopo
passo
> quindi dovrebbe essere automaticamente accettabile. Che problema c'e',
invece?
>

La gente non è d'accordo (1) perché ci sono un sacco di interpretazioni
e in pochi hanno tempo di investigarle tutte e (2) perché alcuni
vogliono assolutamente trovare una realtà che è essenzialemte classica e
rigettano per principio il punto 3) e le sue consequenze.

>
> 2) Come fa l'interazione con l'apparato di misura a far sapere alla
particella in che base deve diventare decoerente?
>

Quali sono i 'pointer states' dipende dall'hamiltoniana di interazione
con l'ambiente.


>
> 3) Se il collasso negli autovettori e' determinato dall'evoluzione
della funzione d'onda secondo
> l'eq. di Schroedinger, deve anche essere possibile un collasso
parziale se il sistema quantistico
> interagisce con un sistema mesoscopico (quindi mi permetterete una
battuta: esistono le mezze misure).
> Ci sono esperimenti a questo riguardo? Che cosa ci si aspetta di vedere?
>

Come ho scritto il collasso è una semplificazione della matrice densità,
dove eliminiamo elementi non-diagonali molto piccoli.
Certamente ci sono casi intermedi dove è ancora possibile osservare
l'effetto (interferenza) degli elementi diagonali.

Ciao,
L.

JTS

unread,
Nov 24, 2017, 3:18:02 AM11/24/17
to
Am 21.11.2017 um 21:42 schrieb Lorents:
> Non sono un esperto su Żurek, anche perché trovo i suoi articoli non
> molto comprensibili, almeno per quanto riguarda la (cosiddetta)
> interpretazione della meccanica quantistica (MQ). Tra l'altro non sono
> solo: anche il suo ex studente di dottorato Jess Riedel nel suo blog scrive
> ``Wojciech has resisted being pinned down to any well-known
> interpretation, much to the chagrin of some of his colleagues.''
>
> In ogni caso se stai cercando di capire la MQ lascierei stare in un
> primo tempo quello che pensa Żurek; di sicuro la sua visione è al 90%
> basata sulla formulazione delle storie consistenti di Griffiths, Omnès,
> Gell-Mann e Hartle (in particolare nella formulazione di questi ultimi
> due autori, che danno particolare risalto alla decoerenza), più (forse)
> un 10% originale (la 'envarianza' e il 'Darwinismo quantistico' di cui
> Żurek parla dal 2003 ca.) completamente focalizzato sui dettagli della
> decoerenza. Quindi invece di Żurek di consiglio di focalizzare la tua
> attenzione specialmente su Griffiths, che scrive molto piu' chiaramente
> ed e' l'originatore di tutto il filone. Per esempio ti consiglio per
> iniziare i suoi saggi 'Consistent Quantum Measurements'
> https://arxiv.org/abs/1501.04813 e 'The New Quantum Logic'
> https://arxiv.org/abs/1311.2619
>
> Per quanto mi riguarda, dopo aver speso molto tempo a leggere libri e
> articoli sull'interpretazione della MQ con la solita sensazione di gran
> confusione, sono ora convinto che l'approccio a storie consistenti sia
> quello corretto.


Grazie per la discussione dettagliata e le indicazioni bibliografiche;
in buona parte la discussione va oltre quello che sono in grado di
seguire fino in fondo ma ho acquisito delle idee nuove, ad esempio non
sapevo dell'esistenza del "free will theorem" (e comunque non sono
l'unico lettore del newsgroup!).

C'e' un argomento che mi sembra piu' accessibile per me e che potrei
approfondire:


>>
>> 2) Come fa l'interazione con l'apparato di misura a far sapere alla
> particella in che base deve diventare decoerente?
>>
>
> Quali sono i 'pointer states' dipende dall'hamiltoniana di interazione
> con l'ambiente.
>
>

Dove trovo qualche calcolo (magari un esempio semplice) che mostri come
si trovano i pointer states?

JTS

unread,
Nov 24, 2017, 3:36:02 AM11/24/17
to
Am 19.11.2017 um 13:48 schrieb Paolo Russo:

(cut)

Grazie anche a te per la discussione dettagliata, che riesco a seguire
solo parzialmente (e di nuovo, non sono l'unico lettore del newsgroup,
quindi se io non seguo, ci sara' qualcun altro che seguira').

Due note.

>
>> Se ben ricordo, Zurek riteneva di aver risolto l'interpretazione della
> MQ senza alcun bisogno di universi paralleli;


Qui ti deve essere riuscito male il quoting perche' la parte sopra (che
nel tuo messaggio risulta quotata) non fa parte del mio messaggio
iniziale. Giusto per puntualizzare. Cmq. cose piu' interessanti.

> Un altro problema, o forse IL problema, e` costituito proprio
> dall'interpretazione a universi paralleli (o molti mondi che
> dir si voglia, MWI = Many Worlds Intepretation; ti avverto
> subito che e` la mia interpretazione preferita, cosi' puoi
> fare la tara a quel che scrivo). E` facilmente dimostrabile
> che se ci si limita ad applicare la MQ a tutte le scale,
> senza modificare o introdurre nient'altro, saltano fuori
> universi paralleli, che risultano indigesti a molti fisici,
> sostanzialmente perche' non potra` mai esistere una prova
> diretta della loro esistenza al livello macroscopico:
> andrebbero accettati solo in virtu' del Rasoio di Occam,
> perche' la teoria piu' semplice possibile (pura MQ a tutti i
> livelli) porta inevitabilmente alla loro esistenza, il che
> lascia a dir poco l'amaro in bocca.


Qui mi sono reso conto di avere sempre inteso (credo almeno) molto male
la MWI. Non credo di riuscire ad intenderla bene adesso, ma forse una
cosa me la posso chiarire: nella MWI non esiste "la misura", giusto?
Intuisco cosi', senza avere approfondito e senza avere letto nulla:
quello che si osserva macroscopicamente e' determinato dall'evoluzione
dello stato secondo l'eq. di Schroedinger. La sovrapposizione non e'
evidente perche' anche l'osservatore e' in uno stato di sovrapposizione
(magari la sua matrice densita' e' molto vicina ad essere diagonale), ma
non puo' saperlo.
E' sensata come idea intuitiva o sono fuori strada?

Maurizio Malagoli

unread,
Nov 24, 2017, 7:05:02 PM11/24/17
to
Il giorno giovedì 23 novembre 2017 02:45:02 UTC+1, Lorents ha scritto:
> ...
>
> Ciao,
> L.

Ciao Lorents.

Sono molto d’accordo con te che il punto centrale della questione sono gli eventi e che anche in fisica classica è corretto parlare solo di eventi.
ma per capire al meglio la tua risposta avrei bisogno di qualche chiarimento sul concetto di 'evento'.

Scrivi che “Un evento è, a parole, `un particolare stato di cose al tempo t'”.


In fisica classica gli eventi avvengono in modo continuo: una particella è nel punto x1 al tempo t1 e nel punto x2 al tempo t1+dt: ad ogni istante che passa (dt) abbiamo un evento. Invece MQ possiamo avere eventi al tempo t1 e t1 + Delta t, con Delta t grande a piacere, ad esempio la particella è nel punto x1 al tempo t1 e nel punto x2 al tempo t1+ Delta. Tra i tempi t1 e t1 + Delta t possiamo dire qualcosa sulla particella?

Potresti darmi qualche indicazione maggiore o qualche riferimento sul concetto di evento? (Se per caso sono negli articoli da te indicati, chiedo scusa per la fretta!)

Poi un altro punto. Scrivi:

"E in pratica si vede che le probabilità sono praticamente le stesse di una miscela statistica di stati collassati ('gatto vivo OPPURE gatto morto') e quindi possiamo benissimo usare la funzione collassata come semplificazione. Nessun mistero. "
Quel 'praticamente' è una cosa tipo FAPP?

Ciao
Maurizio

Giorgio Pastore

unread,
Nov 24, 2017, 7:05:02 PM11/24/17
to
Il 21/11/17 21:42, Lorents ha scritto:
....
> Ripeto: gli eventi sono i concetti fondamentali (i 'beables' di cui
> parlava Bell), NON la funzione d'onda (FdO), la matrice di densità o
> altri costrutti matematici! Per quanto riguarda l'interpretazione è
> meglio DIMENTICARSI della FdO e pensare in termini di eventi. La FdO è
> un utile strumento matematico, ma è fondamentale tenere a mente che la
> MQ riguarda *eventi fisici*, non enti matematici.
....

> 2) Bisogna accettare che la Natura è non-deterministica.
....

....
> Se accettiamo il punto 2) è chiaro che gli eventi di cui parla il punto
> 1) possono solo essere predetti in maniera probabilistica. Quindi, 1)+2)
> dicono: gli enti fondamentali nella MQ sono eventi fisici e le
> probabilità che essi accadano.

Ma in questo modo la FdO che vorresti eliminare rientra dalla finestra.
Ovviamente il punto non e' tanto la FdO, come incarnata da un elemento
di uno spazio di funzioni, a cui mi riferisco. Che sia una matrice
densita', o un propagatore calcolato mediante integrali di cammino non
e' una questione essenziale. L'essenziale e' che una volta introdotta la
probabilità, la descrizione del mondo ha bisogno anche di questa (la
probabilita'). Solo che non vedo modo di mettere sullo stesso piano
eventi fisici e probabilità degli stessi. Un evento corrisponde
idealmente ad una singola misura. Una probablità no.


>.... Similamente, tutti quelli che parlano del
> 'collasso' della FdO dovuto alla misurazione sono vittime di
> incomprensioni. Tra l'altro, Bohr non ha *mai* parlato di collasso (è
> stato introdotto da von Neumann). Il collasso è una semplificazione che
> possiamo introdurre in determinati casi e dovuto all'aumentare dei gradi
> di libertà del sistema (entanglement con oggetti grandi) e/o dovuto
> all'interazione con l'ambiente (decoerenza).

Che il cosiddetto collasso rischi di portare fuori strada, visto come
fenomeno fisico su un oggetto che descrive lo *stato* come la FdO, ne
sono abbastanza convinto.
Ma alla fine della storia il "collasso" non puo' essere interpretato
come la versione "ampiezza di probabilità" del teorema di Bayes? E
quindi il problema non e' piu' legato all' interpretazione fisica della
descrizione probabilistica piu' che ad una "realificazione" della
descrizione stessa?

Giorgio

Paolo Russo

unread,
Nov 26, 2017, 8:25:02 PM11/26/17
to
[JTS:]
> Qui mi sono reso conto di avere sempre inteso (credo almeno) molto
> male la MWI. Non credo di riuscire ad intenderla bene adesso, ma forse
> una cosa me la posso chiarire: nella MWI non esiste "la misura",
> giusto? Intuisco cosi', senza avere approfondito e senza avere letto
> nulla: quello che si osserva macroscopicamente e' determinato
> dall'evoluzione dello stato secondo l'eq. di Schroedinger. La
> sovrapposizione non e' evidente perche' anche l'osservatore e' in uno
> stato di sovrapposizione (magari la sua matrice densita' e' molto
> vicina ad essere diagonale), ma non puo' saperlo.
> E' sensata come idea intuitiva o sono fuori strada?

Si', direi che ci sei. L'osservatore e` in uno stato di
sovrapposizione, intrecciato (e` importante) con quello del
sistema osservato. Nel complesso formano un unico sistema in
uno stato di sovrapposizione. Qualunque cosa interagisca con
questo sistema entra a far parte della sovrapposizione, che
quindi si allarga sempre piu', in modo rapido e
irreversibile. E` questa sovrapposizione di macrostati a
venir chiamata, ahime', universi paralleli, termine
suggestivo ma che provoca spesso fraintendimenti.
E` sempre stato noto che la MQ, per vari motivi tra cui la
linearita` dell'evoluzione temporale dello stato quantistico,
implichi che certi stati di sovrapposizione siano "contagiosi
a catena": il famoso esperimento mentale del gatto di
Schroedinger e` tutto basato su questa nozione, con lo stato
indeterminato di una particella di radiazione che contagia a
catena un rivelatore, una capsula di veleno e un gatto.
Tuttavia, curiosamente, prima di Everett nessuno aveva
pensato di prendere sul serio il gatto di Schroedinger (che
era stato concepito piuttosto come critica alla MQ o al
tentativo di applicarla a sistemi macroscopici) e portarlo
alla sua logica conclusione: tutti si fermavano al gatto (o
ben prima, negando che si potesse arrivare fin la`); nessuno
procedeva a considerare che in base alla stessa logica
l'osservatore avrebbe dovuto finire coinvolto nella
sovrapposizione esattamente come il gatto e che questo
avrebbe spiegato gratis il piu' grande mistero della MQ, il
collasso della funzione d'onda, come fenomeno apparente, o
meglio, relativo allo stato dell'osservatore.

La matrice di densita` di un sistema macroscopico e`
praticamente diagonale a tutti i fini pratici; questo e`
sempre stato intuitivamente abbastanza ovvio fin dagli albori
della MWI, ma se gente come Zurek si e` messa a studiare in
dettaglio quando e come avviene la diagonalizzazione, tanto
meglio.

Ti diro` che francamente, se davvero non ne sapevi nulla,
sono stupito che tu abbia afferrato al volo l'idea di base
della MWI. Non che sia un'idea tanto complicata, ma non
immagineresti con quanta gente anche competente ho parlato
che aveva capito tutt'altro. Dev'esserci in giro un bel po'
di letteratura fuorviante.

Ciao
Paolo Russo

Lorents

unread,
Nov 26, 2017, 8:40:03 PM11/26/17
to
Il 24/11/2017 08:16, JTS ha scritto:
[...]
>
> C'e' un argomento che mi sembra piu' accessibile per me e che potrei
> approfondire:
>
>>>
>>> 2) Come fa l'interazione con l'apparato di misura a far sapere alla
>> particella in che base deve diventare decoerente?
>>>
>>
>> Quali sono i 'pointer states' dipende dall'hamiltoniana di interazione
>> con l'ambiente.
>>
>>
> Dove trovo qualche calcolo (magari un esempio semplice) che mostri come
> si trovano i pointer states?


Ciao, che io sappia i sistemi modello più studiati negli studi di
decoerenza sono:
1) una particella in moto che urta tante particelle leggere.
2) una particella in un potenziale armonico accoppiata a tanti
oscillatori armonici.
In particolare quest'ultimo caso è molto studiato ed è stato risolto
esattamente, anche se i dettagli sono molto complicati.

Puoi guardare questa breve note appena pubblicata (le ultime due pagine
del pdf) che tratta il problema 1):
L. Lerner
A demonstration of decoherence for beginners
Am. J. Phys. 85 (11), November 2017
http://aapt.scitation.org/doi/pdf/10.1119/1.5005526

Mentre qui trovi questo articolo didattico e molto più completo:
John King Gamble, and John F. Lindner
Demystifying decoherence and the master equation of quantum Brownian motion
Am. J. Phys. 77 (3), March 2009
http://www.cs.sandia.gov/non-conventionalcomputing/docs/Gamble,%20John%20King/1.3043847.pdf

Puoi anche guardare alla prima parte di questo:
J. J. Halliwell
Two Derivations of the Master Equation of Quantum Brownian Motion
J. Phys. A: Math. Theor. 40 3067 (2007)
https://arxiv.org/abs/quant-ph/0607132

Questi sono gli articoli più comprensibili che ho trovato per rispondere
alla tua domanda, ma anche questi semplicissimi non lo sono affatto.
Non li ho ancora letti con l'attenzione necessaria ma spero di poterlo
fare a breve.

Spero di esserti stato utile,
L.

JTS

unread,
Nov 27, 2017, 6:24:02 AM11/27/17
to
Am 25.11.2017 um 20:33 schrieb Lorents:

>
> Questi sono gli articoli più comprensibili che ho trovato per rispondere
> alla tua domanda, ma anche questi semplicissimi non lo sono affatto.
> Non li ho ancora letti con l'attenzione necessaria ma spero di poterlo
> fare a breve.
>
> Spero di esserti stato utile,
> L.
>

Utilissimo, grazie; mi aspettavo che fossero complessi, so che per
seguire questi ragionamenti devo lavorarci su, spero di trovare nel
prossimo futuro le energie per farlo, l'interesse c'e'.

Lorents

unread,
Nov 29, 2017, 6:05:02 AM11/29/17
to
Il 23/11/2017 08:46, Giorgio Pastore ha scritto:
[...]
>
> Ma in questo modo la FdO che vorresti eliminare rientra dalla finestra.
> Ovviamente il punto non e' tanto la FdO, come incarnata da un elemento
> di uno spazio di funzioni, a cui mi riferisco. Che sia una matrice
> densita', o un propagatore calcolato mediante integrali di cammino non
> e' una questione essenziale. L'essenziale e' che una volta introdotta la
> probabilità, la descrizione del mondo ha bisogno anche di questa (la
> probabilita'). Solo che non vedo modo di mettere sullo stesso piano
> eventi fisici e probabilità degli stessi. Un evento corrisponde
> idealmente ad una singola misura. Una probablità no.
>

Forse mi sono espresso male. Non volevo dire che la FdO va `veramente'
eliminata, mi riferivo alla sua interpretazione come rappresentate una
densità di carica o qualcosa del genere. Intepretazioni
`materialistiche' di questo tipo sicuramente erano nella mente di
Schrodinger nel 1926 e teorie tipo Bohm o GRW sono (secondo me) uno
strascico di questo modo di pensare.
Inoltre nelle storie quantistiche le probabilità riguardano una singola
situazione (non è necessario parlare di 'misura'), vedi il mio altro
post di risposta a Maurizio.


>> .... Similamente, tutti quelli che parlano del
>> 'collasso' della FdO dovuto alla misurazione sono vittime di
>> incomprensioni. Tra l'altro, Bohr non ha *mai* parlato di collasso (è
>> stato introdotto da von Neumann). Il collasso è una semplificazione che
>> possiamo introdurre in determinati casi e dovuto all'aumentare dei gradi
>> di libertà del sistema (entanglement con oggetti grandi) e/o dovuto
>> all'interazione con l'ambiente (decoerenza).
>
> Che il cosiddetto collasso rischi di portare fuori strada, visto come
> fenomeno fisico su un oggetto che descrive lo *stato* come la FdO, ne
> sono abbastanza convinto.
> Ma alla fine della storia il "collasso" non puo' essere interpretato
> come  la versione "ampiezza di probabilità" del teorema di Bayes? E
> quindi il problema non e' piu' legato all' interpretazione fisica della
> descrizione probabilistica piu' che ad una "realificazione" della
> descrizione stessa?
>

Non sono sicuro di aver capito bene la tua ultima frase. Supponiamo di
avere una situazione dove un elettrone è sparato orizzontalmente contro
un bersaglio fisso tale per cui l'elettrone ha probabilità del 50% di
essere deflesso nella direzione +30 gradi e del 50% di essere deflesso a
-30 gradi.
Faccio una simulazione al computer, inizio con (per es.) una funzione
d'onda gaussiana con una certa velocità, dopo l'urto il pacchetto si è
diviso in due. Se sono sicuro che i due pacchetti (quello che si muove a
+30 gradi e quello a -30 gradi) non avranno più modo di interagire
(interferire) fra loro posso 'collassare' la funzione d'onda e trattare
il sistema come una miscela statistica di pacchetti che vanno in sù e di
pacchetti che vanno in giù. Nel caso della decoerenza è simile: in
pratica non ho più modo di osservare interferenze quindi posso
'collassare'. Posso collassare la matrice densità indipendentemente da
osservazioni. Oppure, se faccio una misura e trovo che la particella va
a +30 gradi posso dimenticarmi del tutto dell'altro pacchetto.

Ciao,
L.


Lorents

unread,
Nov 29, 2017, 6:05:02 AM11/29/17
to
Il 23/11/2017 16:24, Maurizio Malagoli ha scritto:
>
> Ciao Lorents.
>
> Sono molto d’accordo con te che il punto centrale della questione sono
gli eventi e che anche in fisica classica è corretto parlare solo di eventi.
> ma per capire al meglio la tua risposta avrei bisogno di qualche
chiarimento sul concetto di 'evento'.
>
> Scrivi che “Un evento è, a parole, `un particolare stato di cose al
tempo t'”.
>

Ciao Maurizio,
condivido questo commento di Nicolas Gisin [Physics Today 46(4), 13
(1993); fra l'altro è un commento proprio ad un articolo divulgativo di
Żurek sulla decoerenza; nel commento Gisin sostiene che la decoerenza da
sola non risolve i problemi interpretativi della MQ]:
``The event is the basic concept of relativity, but in quantum physics
it is not yet even defined. It is hopeless to try to relate a theory
that does not include a representation of events to real and laboratory
life in a rigorous way.''

Nel contesto delle storie consistente la parola `evento' è intesa col
significato che ha nel contesto della teoria della probabilità (vedi ad
es https://it.wikipedia.org/wiki/Evento_(teoria_della_probabilit%C3%A0)
). Citando da wikipedia:
"un evento è una qualsiasi affermazione a cui, a seguito di un
esperimento o di un'osservazione, si possa assegnare univocamente un
grado di verità ben definito."

> In fisica classica gli eventi avvengono in modo continuo: una
particella è nel punto x1 al tempo t1 e nel punto x2 al tempo t1+dt: ad
ogni istante che passa (dt) abbiamo un evento. Invece MQ possiamo avere
eventi al tempo t1 e t1 + Delta t, con Delta t grande a piacere, ad
esempio la particella è nel punto x1 al tempo t1 e nel punto x2 al tempo
t1+ Delta. Tra i tempi t1 e t1 + Delta t possiamo dire qualcosa sulla
particella?
>

Nella formulazione originale delle storie consistenti possiamo
considerare una possibile traiettoria di una particella per un numero
finito di tempi t1, t2, t3, ..., tN; è possibile assegnare una
probabilità ad ogni traiettoria. Puoi raffinare le traiettorie quanto vuoi.

Dico ancora qualcosa su quello che avevo chiamato il punto 3) nel mio
post originale, il principio di incompatibilità.
Come avevo detto è questo il punto veramente cruciale, quello difficile
da mandare giù.
Consideriamo un elettrone al tempo t. Posso formulare i seguenti
possibili eventi (in opportune unità di misura):
A) L'elettrone è situato tra x=1 e x=1.2.
B) L'elettrone ha velocità compresa tra v=3.3 e v=3.8.
C) L'elettrone ha energia minore di E=7.8

Posso assegnare ad A, B, C una probabilità nella maniera standard, per
es. tramite la funzione d'onda: P(A) è l'integrale di |psi(x)|^2 da x=1
a x=1.2, P(B) similmente è data dall'integrale nella rappresentazione di
p, P(C) è la somma dei moduli al quadrato dell'espansione di psi(x)
negli autostati dell'energia (sommando solo fino all'energia
specificata). Per esempio potremmo avere:
P(A) = 30%
P(B) = 80%
P(C) = 10%
Posso scrivere una lista infinita di altri possibili eventi D), E),
F).... ed ad ognuno è possibile assegnare una probabilità.
Qual è il significato di queste probabilità?
L'interpretazione di Copenhagen presuppone una situazione di laboratorio
con un tecnico che fa le misure e che può ripetere lo stesso esperimento
a piacere; in questo caso P(A) (ecc.) è la frequenza con cui una misura
mi restituisce il risultato in questione (per es., che la posizione sia
tra x=1 e x=1.2) nel limite in cui lo stesso esperimento sia ripetuto
moltissime volte. Le probabilità sono quindi assegnate ai risultati
degli esperimenti, non a eventi fisici non osservati. Questo è un modo
di levarsi dall'impiccio, e sicuramente non è `sbagliato', ma è
insoddisfacente e limitante come quadro di interpretazione generale.
Per questo nelle storie consistenti descriviamo le probabilità degli
eventi in sé (indipendentemente dall'essere `misurati' o no) e, inoltre,
interpretiamo le probabilità come riguardanti un *singolo* caso. Così
facendo, però, incorriamo subito in difficoltà; se supponiamo che P(A),
P(B), P(C), ... siano tutte applicabili allo stesso caso, siamo portati
a formulare affermazioni più complesse usando i connettivi logici AND o
OR, per esempio:
A ^ B (evento A AND evento B) la probabilità che un elettrone sia tra
x=1 e x=1.2 E CONTEMPORANEAMENTE abbia velocità tra v=3.3 e v=3.8 è
0,3x0,8=24%

Ahimè, combinare in questo modo le probabilità in MQ porta a
inconsistenze e paradossi (ed è per questo che Copenhagen non lo fa).
Per un esempio del tipo di paradosso a cui si va incontro si può vedere,
per es., l'esempio all'inizio della sezione 3 di
R Friedberg, P C Hohenberg
Compatible Quantum Theory
Rep. Prog. Phys. 77 (2014) 092001
https://arxiv.org/abs/1405.1961
In sintesi, l'esempio che fanno è il seguente. Consideriamo esperimenti
à la Stern-Gerlach in cui misuriamo la proiezione dello spin di un
elettrone.
Scriviamo P(z+) per l'affermazione 'lo spin nella direzione z è +1/2', e
analogamente scriviamo P(z-), P(x+), P(x-) (la direzione x è
perpendicolare a z).
Sono sempre vere le affermazioni
R1= P(z+) OR P(z-)
R2= P(x+) OR P(x-)

mentre sono a volte false le affermazioni
S1=P(z+) AND P(x+)
S2=P(z+) AND P(x-)
S3=P(z-) AND P(x+)
S4=P(z-) AND P(x-)
(le probabilità delle affermazioni qui sopra dipendono dallo stato
iniziale; se lo stato fosse |z+> avremmo, per es. 1/2, 1/2, 0,0. In ogni
caso non sono mai tutte 100% vere).

Se consideriamo poi l'affermazione che è la congiunzione logica delle
prime due affermazioni R1 e R2
[ P(z+) OR P(z-)] AND [P(x+) OR P(x-)]
questa è sempre vera, perchè [VERO] AND [VERO] = VERO
D'altra parte se usiamo la legge distibutiva della logica possiamo
riscrivere l'affermazione qui sopra come una catena di OR delle quattro
affermazioni S1-S4:
R1 ^ R2 = S1 OR S2 OR S3 OR S4
Il lato a destra è sempre vero, mentre quello a sinistra è (a volte)
falso, e quindi abbiamo un paradosso

L'interpretazione a storie consistenti `risolve' questo problema
modificando le regole della logica. In un contesto classico se abbiamo
affermazioni probabilistiche A, B, C, ... possiamo senza alcuna
limitazione considerare affermazioni combinate come A ^ B (`A' AND `B');
nella MQ questo non è più possibile. Alcuni eventi sono *incompatibili*
fra di solo e non possiamo combinare affermazioni a loro relative.
Nella situazione in cui il tempo è fisso gli eventi incompatibili sono
quelli relativi a osservabili che non commutano, come appunto
posizione/velocità o Sz/Sx per lo spin. Quindi nelle teorie consistenti
le affermazioni S1-S4 non si possono fare, perché mischiano osservabili
incompatibili. Nel caso in cui gli eventi si riferiscano a tempi diversi
c'è una condizione di consistenza che estende quella di commutatività e
che Griffiths ha derivato nel 1984.
Se si accetta il principio di incompatibilità e si evita di combinare
affermazioni incompatibili tutti i paradossi (teorema di Bell,
Kochen-Specker...) svaniscono.
Anche chi non accetta che le storie consistenti siano la soluzione
finale ai problemi interpretative della MQ deve riconoscere che il modo
di ragionare di questa impostazione è logicamente consistente (`it does
what it says on the tin!').

A molti armeggiare con i principi della logica sembra un prezzo troppo
alto da pagare. Perché non è possibile combinare affermazioni
incompatibili? Posso dare una mia parziale e personale
razionalizzazione. Supponiamo di voler creare un modello 3D del monte
Cervino. Facciamo un sacco di fotografie da ogni versante, da molti
possibili angoli, e poi analizziamo le fotografie. A partire da queste
possiamo creare il nostro modello 3D: le fotografie sono diverse fra di
loro ma sono fra loro consistenti, representano diversi aspetti di uno
stesso oggetto (il monte).
Supponiamo ora di dare queste fotografie ad essere bidimensionali, che
non hanno nessuna concezione di un oggetto 3D. Ogni singola fotografia
per loro ha senso e rappresenta una realtà 2D per loro comprensibile.
D'altra parte l'insieme di fotografie non è consistente con un oggetto
2D, ed ogni prova di trovare una figura 2D che spieghi le (infinite)
fotografie del monte è destinata a fallire.
In questa analogia il Cervino è la realtà quantistica, e noi siamo gli
esseri bidimensionali.
Questa analogìa illustra anche quale sia il ruolo dell'osservatore
nell'interpretazione delle storie quantistiche. L'osservatore è quello
che decide quali fotografie fare (quale angolo, zoom, quale versante
riprendere), e per avere informazioni sulla realtà noi poveri esseri 2D
dobbiamo servirci di una foto 2D. È in questo senso che un osservatore è
necessario, anche se la realtà quantistica -- così come il Cervino --
se ne infischia di quello che facciamo noi!

> Poi un altro punto. Scrivi:
>
> "E in pratica si vede che le probabilità sono praticamente le stesse
di una miscela statistica di stati collassati ('gatto vivo OPPURE gatto
morto') e quindi possiamo benissimo usare la funzione collassata come
semplificazione. Nessun mistero. "
> Quel 'praticamente' è una cosa tipo FAPP?

Credo che Bell usasse il suo 'for all practical purposes' con un
significato peggiorativo in riferimento all'interpretazione di Copenhagen.
Per esempio considera questa citazione:
I agree with them about that: ORDINARY QUANTUM MECHANICS (as far as I
know) IS JUST FINE FOR ALL PRACTICAL PURPOSES. Even when I begin by
insisting on this myself, and in capital letters, it is likely to be
insisted on repeatedly in the course of the discussion. So it is
convenient to have an abbreviation for the last phrase: FOR ALL
PRACTICAL PURPOSES = FAPP.

La decoerenza + storie quantistiche spiegano (anche se sicuramente non
ancora in maniera universale) il passaggio dal micro- and macro mondo in
maniera molto più soddisfacente e profonda della Copenhagen, quindi non
userei il nomignolo FAPP in riferimento a questo approccio.

Maurizio Malagoli

unread,
Nov 30, 2017, 7:10:02 AM11/30/17
to
Il giorno mercoledì 29 novembre 2017 12:05:02 UTC+1, Lorents ha scritto:
> Il 23/11/2017 16:24, Maurizio Malagoli ha scritto:
> Ciao Maurizio,
> ...



Grazie per le risposte: da esse ho capito che studiare meglio la decoerenza sia qualcosa di molto interessante da studiare e, anche se non sono molto d'accordo su alcune cose, espone un modo di vedere che senz'altro aiuta a comprendere meglio la situazione. Di seguito ti espongo alcuni miei dubbi/considerazioni.

Penso che la frase di Gisin sia quella, almeno per me, che spiega il tutto.

In fondo, ciò che manca sempre è una definizione chiara ed univoca di alcune entità concettuali che vengono definite: misura, evento, ...



Citando wikipedia, scrivi: "un evento è una qualsiasi affermazione a cui, a seguito di un esperimento o di un'osservazione, si possa assegnare univocamente un grado di verità ben definito", oppure scrivi "L'interpretazione di Copenhagen presuppone una situazione di laboratorio con un tecnico che fa le misure e che può ripetere lo stesso esperimento a piacere",



sembra dire che per la MQ sia necessario (scrivi 'presuppone') un esperimento e che l'esperimento sia necessario anche per definire un evento, ma, almeno per come la vedo io, in laboratorio succede esattamente quello che succede in natura per conto suo, con o senza il tecnico, con o senza esperimento: la differenza è solo che un tecnico assegna dei numeri (misura o grado di verità) e non è certamente questa assegnazione che fa cambiare il corso della natura, la sequenza degli eventi e noi dovremmo avere un modello che descriva la natura anche senza esperimenti.

Per quanto riguarda la parola FAPP, non la considero assolutamente un nomignolo, ma un modo veloce per riassumere bene alcune problematiche.
Ad esempio, ed è questo che ti chiedevo:
nella decoerenza + storie quantistiche è vero che si considerano, in certe situazioni, equivalenti una miscela statistica e uno stato puro?


Questo nonostante esista una osservabile che le possa distinguere, anche se difficilmente realizzabile in un esperimento? Il difficilmente realizzabile non dice impossibile: se fosse impossibile qualcosa nella teoria ce lo dovrebbe dire, il difficilmente è una situazione FAPP: ai fini pratici non interessa andare oltre.

Ultimo punto:
perché chiami paradosso il teorema di Bell?
Ciao
Maurzio

lino.z...@gmail.com

unread,
Nov 30, 2017, 7:10:02 AM11/30/17
to
Ok, una interpretazione di una teoria non e’ una teoria, anche se estendere il criterio del
“rasoio di Occam” ad una interpretazione mi procura qualche prurito,,,,ma non e’ di questo che vorrei parlare.
Vorrei cercare, a scopo autodidattico, di fare una breve sintesi, solo di alcuni punti del paper di
Zurek. Sarei grato a te o a quanti avranno voglia di correggermi e farmi capire qualche cosa di piu’.

Zurek ricorda come la matrice di densita’, introdotta da von Neumann, sia necessaria per “contenere” tutte le informazioni relative ad una misura quantistica che rende conto dell’ interazione del sistema considerato con l’ apparato di misura (detector).
Non considerando i termini non diagonali, che rappresentano le correlazioni quantistiche,
si ottiene una matrice di densita’ i cui elementi diagonali rappresentano probabilita’ classiche.
A pag. 8 Zurek afferma che le correlazioni quantistiche possono disperdere contenuto informativo

in gradi di liberta’ inaccessibili all’ osservatore ed introduce una possibile spiegazione che concretizza piu’ avanti, descrivendo una schematizzazione dell’ “ambiente” come struttura formata opportunamente da un insieme di oscillatori armonici.
Continua quindi, mostrando l’ aumento di entropia nella transizione della matrice di densita’ ad una
condizione diagonale (situazione classica), dove questa trasformazione e’ dovuta all’ interazione
del sistema considerato insieme al detector con l’ ambiente. Tale interazione produce la decoerenza.

Zurek mostra come il risultato della correlazione dello stato finale della “von Neumann chain”, produce una “riduzione” nella matrice di densita’.

La conseguente sovrapposizione di informazioni degli stati del detector produce la necessita’ di stabilire una “base preferenziale per il detector” .



A questo punto Zurek afferma che la “base preferenziale” e’ determinata dalla dinamica (questa cosa non l’ ho ben capita. Cosa vuol dire, che elementi di informazione relativi alla “base preferenziale” sono impliciti nell’ Hamiltoniana ? Piu’ avanti dice che il “puntatore” e’ una costante del movimento descritto dall’ Hamiltoniana . Non molto chiaro per me).
Proseguendo nelle affermazioni di pag. 8, Zurek mostra come in un caso particolare, l’ evoluzione

della matrice di densita’ puo’ essere descritta attraverso una “master equation” di cui un termine rappresenta un paradigma Browniano che renderebbe conto della decoerenza.
Sorvolo sulle rappresentazioni grafiche nello spazio delle fasi e come esse si trasformino nel caso limite classico e per ora mi fermo qui.

Quello che mi domando e se le collezioni di stati che si ottengono con la decoerenza (di cui il detector nella base scelta non possiede informazioni) possano costituire “set di informazioni distribuite nell’ ambiente” altresi’ chiamati MWI.

Lino

JTS

unread,
Nov 30, 2017, 1:54:02 PM11/30/17
to
Am 24.11.2017 um 19:12 schrieb Paolo Russo:
> [JTS:]
>> Qui mi sono reso conto di avere sempre inteso (credo almeno) molto
>> male la MWI. Non credo di riuscire ad intenderla bene adesso, ma forse
>> una cosa me la posso chiarire: nella MWI non esiste "la misura",
>> giusto? Intuisco cosi', senza avere approfondito e senza avere letto
>> nulla: quello che si osserva macroscopicamente e' determinato
>> dall'evoluzione dello stato secondo l'eq. di Schroedinger. La
>> sovrapposizione non e' evidente perche' anche l'osservatore e' in uno
>> stato di sovrapposizione (magari la sua matrice densita' e' molto
>> vicina ad essere diagonale), ma non puo' saperlo.
>> E' sensata come idea intuitiva o sono fuori strada?
>
> Si', direi che ci sei. L'osservatore e` in uno stato di
> sovrapposizione, intrecciato (e` importante) con quello del
> sistema osservato. Nel complesso formano un unico sistema in
> uno stato di sovrapposizione. Qualunque cosa interagisca con
> questo sistema entra a far parte della sovrapposizione, che
> quindi si allarga sempre piu', in modo rapido e
> irreversibile. E` questa sovrapposizione di macrostati a
> venir chiamata, ahime', universi paralleli, termine
> suggestivo ma che provoca spesso fraintendimenti.

Infatti prima di questa discussione ero convinto che nella MWI la misura
conducesse a universi paralleli nei quali il valore della variabile
misurata fosse diverso: un universo per ciascun possibile valore della
misura.


> E` sempre stato noto che la MQ, per vari motivi tra cui la
> linearita` dell'evoluzione temporale dello stato quantistico,
> implichi che certi stati di sovrapposizione siano "contagiosi
> a catena":

Questo lo avevo sentito anche alle lezioni di MQ che ho seguito
all'Universita', ma non lo ho mai capito. Credo che per capirlo sia
necessario seguire le equazioni passo passo, e in questo momento mi
fermo qui e mi accontento della vaga intuizione che ho. Puo' darsi che
sia in grado di riprendere in mano questa questione in futuro.

(e grazie per la discussione)

Lorents

unread,
Dec 3, 2017, 10:05:03 AM12/3/17
to
Il 29/11/2017 20:35, Maurizio Malagoli ha scritto:
[...]
>
> Grazie per le risposte: da esse ho capito che studiare meglio la
decoerenza sia qualcosa di molto interessante da studiare e, anche se
non sono molto d'accordo su alcune cose, espone un modo di vedere che
senz'altro aiuta a comprendere meglio la situazione. Di seguito ti
espongo alcuni miei dubbi/considerazioni.
>
> Penso che la frase di Gisin sia quella, almeno per me, che spiega il
tutto.
>
> In fondo, ciò che manca sempre è una definizione chiara ed univoca di
alcune entità concettuali che vengono definite: misura, evento, ...
>
Le storie consistenti (SC), a mio parere, rispondono al commento di
Gisin. In particolare:
1) `misura', `osservazione', ecc. sono concetti che non entrano nelle
SC. Un esperimento dove una particella interagisce con un sistema
macroscopio è trattato allo stesso modo di qualsiasi altra interazione
(=evoluzione unitaria data dall'eq. di Schrodinger).
2) `evento' è essenzialmente una formalizzazione e precisazione del
significato che si trova sui normali dizionari. La formalizzazione è
data dai proiettori ortogonali nello spazio degli stati.


>
> Citando wikipedia, scrivi: "un evento è una qualsiasi affermazione a
cui, a seguito di un esperimento o di un'osservazione, si possa
assegnare univocamente un grado di verità ben definito", oppure scrivi
"L'interpretazione di Copenhagen presuppone una situazione di
laboratorio con un tecnico che fa le misure e che può ripetere lo stesso
esperimento a piacere",
>
>
> sembra dire che per la MQ sia necessario (scrivi 'presuppone') un
esperimento e che l'esperimento sia necessario anche per definire un evento,
Quello che scrivi è vero non per la MQ `tout court' ma per la sua
formulazione 'ortodossa' (=Copenhagen). Nelle SC esperimenti/misure
hanno un ruolo relativamente secondario (infatti parliamo nelle SC delle
probabilità di eventi in sé, non delle probabilità di risultati
sperimentali), anche se in pratica è necessario fare una scelta su quali
eventi vogliamo considerare (per es., possiamo considerare la posizione,
oppure la velocità, ma non entrambe contemporaneamente).


> ma, almeno per come la vedo io, in laboratorio succede esattamente
quello che succede in natura per conto suo, con o senza il tecnico, con
o senza esperimento: la differenza è solo
> che un tecnico assegna dei numeri (misura o grado di verità) e non è
certamente questa assegnazione che fa cambiare il corso della natura, la
sequenza degli eventi e noi dovremmo avere un modello che descriva la
natura anche senza esperimenti.
>
Certo, nelle SC è così come dici tu.


> Per quanto riguarda la parola FAPP, non la considero assolutamente un
nomignolo, ma un modo veloce per riassumere bene alcune problematiche.
> Ad esempio, ed è questo che ti chiedevo:
> nella decoerenza + storie quantistiche è vero che si considerano, in
certe situazioni, equivalenti una miscela statistica e uno stato puro?
>
Non è mai necessario dal punto di vista concettuale fare
l'approssimazione di eliminare gli elementi non-diagonali della matrice
densità. In determinati contesti lo puoi fare perché così facendo cambi
di pochissimo (pochissi-missi-missi-mo!) le probabilità assegnate agli
eventi.


> Questo nonostante esista una osservabile che le possa distinguere,
anche se difficilmente realizzabile in un esperimento? Il difficilmente
realizzabile non dice impossibile: se fosse impossibile qualcosa nella
teoria ce lo dovrebbe dire, il difficilmente è una situazione FAPP: ai
fini pratici non interessa andare oltre.
>
Certo. Se sarà possibile grazie a esperimenti migliori ecc. misurare gli
effetti di interferenza dovuti agli elementi non diagonali allora
effettuare il collasso non è più leggittimo e bisogna ternersi tutto.

> Ultimo punto:
> perché chiami paradosso il teorema di Bell?
>
È paradossale nel senso che da premesse che sembrano (ma non sono)
ragionevoli e corrette si arriva ad una conclusione che è smentita dai
fatti sperimentali. Le premesse del teorema di Bell sono:
1) Impossibilità di comunicazioni a velocità super-luminari (corretta).
2) Assenza di superdeterminismo, ossia possibilità degli sperimentatori
di decidere `libamente e indipendentemente' le impostazioni dei due
apparati sperimentali (corretta).
3) C'è una terza assunzione, più controversa e che dipende dalla
specifica dimostrazione del teorema (ce ne sono tante), ma che è
essenzialmente una di queste:
3a) Presenza di variabili nascoste che determinano i risultati
sperimentali per tutti i possibili esperimenti futuri (anche chiamato a
volta 'realismo').
3b) Come 3a), ma solo la distriubuzione statistica dei risultati è
determinata (variabili nascoste stocastiche)
3c) Definitezza controfattuale (counterfactual definiteness): possiamo
ragionare ipoteticamente su esperimenti non effettuati (`se avessi
misurato lo spin nella direzione X avrei trovato 1/2')
3d) (punto di vista delle SC) Vengono considerate allo stesso tempo
osservabili che non commutano (violando così il principio di
incompatibilità).

Alcuni (e.g. R. Tumulka e molti altri bohmiani) sostengono che
l'assunzione 3) non viene fatta e che quindi le violazioni della
disuguaglianza di Bell dimostrano la non-località. Secondo me questo
punto di vista è totalmente sbagliato.

Sono già state date in questo filone un sacco di articoli, abbastanza da
avere da leggere per mesi (anni?)... Mi permetto ugualmente di
segnalarne alcuni (tutti molto recenti) sulla disuguaglianza di Bell che
mi sembrano didattici, comprensibili e interessanti:

R. B. Griffiths, EPR, Bell, and quantum locality, Am. J. Phys. 79 (9),
September 2011
https://arxiv.org/abs/1007.4281
Il punto di vista delle SC (e anche una buona introduzione a questo
punto di vista. Ne raccomando la lettura :).

Lorenzo Maccone, A simple proof of Bell's inequality, Am. J. Phys. 81,
854 (2013)
https://arxiv.org/abs/1212.5214
Una derivazione molto attenta delle disuguaglianze.

Marek Zukowski, Caslav Brukner, Quantum non-locality - It ain't
necessarily so..., J. Phys. A: Math. Theor. 47 (2014) 424009
https://arxiv.org/abs/1501.04618
Ribadisce che una delle ipotesi del punto 3) è necessaria.

Ghirardi nel suo libro 'Un'occhiata alle carte di Dio' ha anche un
capitolo sulla disuguaglianza di Bell (data nella versione che wikipedia
chiama 'di Sakurai', che Bell ha dato nel 1981).

Ciao,
L.

Lorents

unread,
Dec 3, 2017, 10:10:02 AM12/3/17
to
Il 29/11/2017 20:35, Maurizio Malagoli ha scritto:
[...]
>
> Grazie per le risposte: da esse ho capito che studiare meglio la decoerenza sia qualcosa di molto interessante da studiare e, anche se non sono molto d'accordo su alcune cose, espone un modo di vedere che senz'altro aiuta a comprendere meglio la situazione. Di seguito ti espongo alcuni miei dubbi/considerazioni.
>
> Penso che la frase di Gisin sia quella, almeno per me, che spiega il tutto.
>
> In fondo, ciò che manca sempre è una definizione chiara ed univoca di alcune entità concettuali che vengono definite: misura, evento, ...
>

Le storie consistenti (SC), a mio parere, rispondono al commento di
Gisin. In particolare:
1) `misura', `osservazione', ecc. sono concetti che non entrano nelle
SC. Un esperimento dove una particella interagisce con un sistema
macroscopio è trattato allo stesso modo di qualsiasi altra interazione
(=evoluzione unitaria data dall'eq. di Schrodinger).
2) `evento' è essenzialmente una formalizzazione e precisazione del
significato che si trova sui normali dizionari. La formalizzazione è
data dai proiettori ortogonali nello spazio degli stati.


>
> Citando wikipedia, scrivi: "un evento è una qualsiasi affermazione a cui, a seguito di un esperimento o di un'osservazione, si possa assegnare univocamente un grado di verità ben definito", oppure scrivi "L'interpretazione di Copenhagen presuppone una situazione di laboratorio con un tecnico che fa le misure e che può ripetere lo stesso esperimento a piacere",
>
>
> sembra dire che per la MQ sia necessario (scrivi 'presuppone') un esperimento e che l'esperimento sia necessario anche per definire un evento,

Quello che scrivi è vero non per la MQ `tout court' ma per la sua
formulazione 'ortodossa' (=Copenhagen). Nelle SC esperimenti/misure
hanno un ruolo relativamente secondario (infatti parliamo nelle SC delle
probabilità di eventi in sé, non delle probabilità di risultati
sperimentali), anche se in pratica è necessario fare una scelta su quali
eventi vogliamo considerare (per es., possiamo considerare la posizione,
oppure la velocità, ma non entrambe contemporaneamente).


> ma, almeno per come la vedo io, in laboratorio succede esattamente quello che succede in natura per conto suo, con o senza il tecnico, con o senza esperimento: la differenza è solo
> che un tecnico assegna dei numeri (misura o grado di verità) e non è certamente questa assegnazione che fa cambiare il corso della natura, la sequenza degli eventi e noi dovremmo avere un modello che descriva la natura anche senza esperimenti.
>

Certo, nelle SC è così come dici tu.


> Per quanto riguarda la parola FAPP, non la considero assolutamente un nomignolo, ma un modo veloce per riassumere bene alcune problematiche.
> Ad esempio, ed è questo che ti chiedevo:
> nella decoerenza + storie quantistiche è vero che si considerano, in certe situazioni, equivalenti una miscela statistica e uno stato puro?
>

Non è mai necessario dal punto di vista concettuale fare
l'approssimazione di eliminare gli elementi non-diagonali della matrice
densità. In determinati contesti lo puoi fare perché così facendo cambi
di pochissimo (pochissi-missi-missi-mo!) le probabilità assegnate agli
eventi.


> Questo nonostante esista una osservabile che le possa distinguere, anche se difficilmente realizzabile in un esperimento? Il difficilmente realizzabile non dice impossibile: se fosse impossibile qualcosa nella teoria ce lo dovrebbe dire, il difficilmente è una situazione FAPP: ai fini pratici non interessa andare oltre.
>

Certo. Se sarà possibile grazie a esperimenti migliori ecc. misurare gli
effetti di interferenza dovuti agli elementi non diagonali allora
effettuare il collasso non è più leggittimo e bisogna ternersi tutto.

> Ultimo punto:
> perché chiami paradosso il teorema di Bell?
>

Lorents

unread,
Dec 3, 2017, 10:15:02 AM12/3/17
to
Il 29/11/2017 20:35, Maurizio Malagoli ha scritto:
> Grazie per le risposte:
[...]

Nel mio altro post mi sono dimenticato di raccomandare questa
interessante intervista a Murray Gell-Mann:
https://www.webofstories.com/play/murray.gell-mann/160

Nelle parti 160-165 parla dell'interpretazione della meccanica
quantistica, delle storie quantistiche, dell'influenza nella
formulazione delle idea 'a molti mondi' di Everett e del significato del
teorema di Bell e dell'abuso che si fa del termine non-località.

Consiglio di guardare anche tutte le altre parti :)
Nella parte a destra sotto 'Transcript' c'è la trascrizione in inglese.
Le parti sull'intepretazione della MQ si trovano anche raccolte assieme
su youtube https://www.youtube.com/watch?v=f-OFP5tNtMY

Paolo Russo

unread,
Dec 3, 2017, 10:15:02 AM12/3/17
to
[lino.z...@gmail.com:]
> Ok, una interpretazione di una teoria non e’ una teoria, anche se
> estendere il criterio del “rasoio di Occam” ad una interpretazione mi
> procura qualche prurito

Capisco benissimo. E tuttavia, quello e` proprio il campo di
applicazione principale del Rasoio, anche se non ci si pensa
quasi mai. Dopo tutto, se due teorie sono proprio "teorie"
perche' sperimentalmente distinguibili tra loro, prima o poi
si riuscira` a capire qual e` quella giusta e quindi il
Rasoio serve fino a un certo punto. Invece, data una
qualunque teoria, di solito e` facile derivarne infinite
altre sperimentalmente indistinguibili dall'originale (e che
quindi potremmo chiamare interpretazioni), inventando
complicazioni aggiuntive inutili e inosservabili. Dato che
normalmente nessuno ha interesse a fare una cosa del genere,
non c'e` bisogno di tirare in ballo esplicitamente il Rasoio:
il comune buon senso evita a priori che insorgano queste
situazioni. Tuttavia, puo` occasionalmente insorgerne il
bisogno quando la teoria inutilmente complicata non e` stata
scartata a priori perche' per qualche motivo e` stata
formulata prima di quella semplice. Un caso emblematico e`
quello dell'etere. Nonostante spesso si dica che la sua
inesistenza e` stata dimostrata sperimentalmente, in realta`
a essere stata smentita e` solo una certa idea di etere
basata su idee pre-relativistiche. Una volta accettata la
teoria della relativita`, ridiventa tranquillamente possibile
definire un etere che quadra con gli esperimenti essendo
inosservabile. Ad esempio, si potrebbe sostenere che l'etere
coincide con il riferimento della radiazione cosmica di
fondo. Se modernamente si dice che l'etere non esiste (fino a
prova contraria) perche' non c'e` prova che esista, in
sostanza si sta usando il Rasoio.

> Vorrei cercare, a scopo autodidattico, di fare una breve sintesi, solo
> di alcuni punti del paper di Zurek. Sarei grato a te o a quanti
> avranno voglia di correggermi e farmi capire qualche cosa di piu’.

Vorrei, ma per farlo sto rileggendo il paper un po' piu'
attentamente e mi sto rendendo conto che Zurek dice anche
cose alquanto sbagliate (sulla MWI, perche' non mi stupisce?)
che ad una prima occhiata mi erano sfuggite, per cui mi e` un
po' difficile entrare nei dettagli della decoerenza (e
soprattutto di come Zurek la presenta) senza mettere qualche
puntino sulle i, il che pero` richiede tempo.
Se hai la pazienza di aspettare...

Ciao
Paolo Russo

Giorgio Bibbiani

unread,
Dec 3, 2017, 11:30:03 AM12/3/17
to
Il 01/12/2017 20.11, Paolo Russo ha scritto:
...
> Una volta accettata la
> teoria della relativita`, ridiventa tranquillamente possibile
> definire un etere che quadra con gli esperimenti essendo
> inosservabile. Ad esempio, si potrebbe sostenere che l'etere
> coincide con il riferimento della radiazione cosmica di
> fondo.

Il riferimento "dell'etere" per definizione
dovrebbe essere inerziale e anche immaginando
di stabilire localmente un riferimento inerziale
(in caduta libera e non rotante) in cui la CBR
risultasse all'incirca (ma non esattamente,
date le anisotropie misurate sperimentalmente!)
isotropa, non sarebbe possibile estenderlo poi
globalmente a tutto lo spaziotempo, dunque la
teoria dell'etere di Lorentz non è compatibile
con la RG e viene automaticamente falsificata.
Questa non è questione di Occam...

Ciao

--
Giorgio Bibbiani
(mail non letta)

Lorents

unread,
Dec 7, 2017, 10:00:03 AM12/7/17
to
Il 01/12/2017 19:11, Paolo Russo ha scritto:
[...]
> Vorrei, ma per farlo sto rileggendo il paper un po' piu'
> attentamente e mi sto rendendo conto che Zurek dice anche
> cose alquanto sbagliate (sulla MWI, perche' non mi stupisce?)
>

Ciao,
quali articoli o libri raccomenderesti che presentano la MWI nella
maniera che credi sia più corretta?
Premetto che non ho letto l'articolo di Everett. Gell-Mann dice che
parte dell'ispirazione per la formulazione delle storie decoerenti (SD)
è la MWI, e nella sua ottica le SD precisano e concretizzano i 'molti
mondi sultaneamente esistenti, tutti egualmente reali' di cui parlava
Everett (nelle SD: molti quadri (Griffiths li chiama frameworks o
famiglie, Gell-Mann e Hartle `reami') di storie quantistiche, tutti
trattati nel formalismo equivalentemente e tutti ugualmente veri).

lino.z...@gmail.com

unread,
Dec 7, 2017, 10:05:02 AM12/7/17
to
Il giorno domenica 3 dicembre 2017 16:15:02 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
> [lino.z...@gmail.com:]
> > Ok, una interpretazione di una teoria non e’ una teoria, anche se
> > estendere il criterio del “rasoio di Occam” ad una interpretazione mi
> > procura qualche prurito
>
> Capisco benissimo. E tuttavia, quello e` proprio il campo di
> applicazione principale del Rasoio, anche se non ci si pensa
> quasi mai. Dopo tutto, se due teorie sono proprio "teorie"
> perche' sperimentalmente distinguibili tra loro, prima o poi
> si riuscira` a capire qual e` quella giusta e quindi il
> Rasoio serve fino a un certo punto.

Aspettando Zurek (con la dovuta pazienza)…..

Sono d’ accordo, una delle teorie sarà vera (verificata) e l’ altra no,
quindi Occam risulterebbe superfluo .



> Invece, data una qualunque teoria, di solito e` facile derivarne infinite > altre sperimentalmente indistinguibili dall'originale (e che
> quindi potremmo chiamare interpretazioni), inventando
> complicazioni aggiuntive inutili e inosservabili. Dato che
> normalmente nessuno ha interesse a fare una cosa del genere,
> non c'e` bisogno di tirare in ballo esplicitamente il Rasoio:



Anche qui sono sostanzialmente d’ accordo. Le varianti a cui accenni le considero “inessenziali” nel senso che non portano maggiore contenuto informativo rispetto alla teoria “principale”. Applicare qui il Rasoio e’ fatica sprecata, non vale neanche l’ uso di una lametta.

> Un caso emblematico e` quello dell'etere.
> Paolo Russo

Ho qualche dubbio su come usi il concetto di “interpretazione di una teoria”.

Una teoria (preferirei parlare di modelli teorici, risulta un argomento piu’ circoscritto), per come personalmente la intendo, e’ una struttura logico-formale dove, in maniera tutt’ altro che esaustiva,

un numero limitato di assiomi e ipotesi indipendenti permettono di costruire tale struttura attraverso regole ben definite (inferenza logica, etc…). Gli elementi di questa struttura sono


generalmente elementi formali misti e opportunamente correlati : forme matematiche e forme proposizionali (proposizioni dichiarative). Questa struttura e’ percorribile (esistono interessanti analogie esplicative con la teoria dei grafi), nel senso che partendo da assiomi ed ipotesi si possono
derivare gli elementi formali di cui sopra, fino a quella che si chiama comunemente (una o piu’)
tesi. Tale tesi deve potere essere esprimibile in modo da poter essere confrontabile con risultati
sperimentali. In questa maniera il modello teorico oltre che ad essere coerente e’ anche consistente
e puo’ essere accettato.
Tutte le regole, significato dei simboli etc.. vengono definiti in un opportuno meta-linguaggio che
risulta essere una sorta di manuale d’ uso, similmente a quello relativo (se fatto bene) a software o

sistemi operativi. Il modello formale assumerebbe il significato di applicazione specifica di un determinato software , il meta-linguaggio assumerebbe il significato di manuale d’ uso del software
ed eventualmente dello specifico algoritmo.


Cosa dire delle diverse interpretazione di un modello teorico? Mi sembra un mondo con, potenzialmente, diverse categorie del quale non conosco particolari formalizzazioni.

Non mi fisserei sull’ esempio riguardante RR ed etere, può portare a discussioni che risulterebbero in eccessive “ramificazioni” con perdita di contatto con gli argomenti scelti inizialmente.
Preferisco un altro esempio: atomo di idrogeno , limitatamente all’ orbitale 1S.
Un modello, iniziale e quello di Bohr che e’ coerente e congruente con i dati sperimentali.

Un altro modello, successivo, è quello quanto-meccanico che usa l’ eq. di Schrodinger (non sono ovviamente necessarie le correzioni di Thomas, Darwin, etc.).
Qual’ è il modello principale e quale una diversa “interpretazione”? . Qual’ è il modello teorico

più “semplice”. Qual’ è la differenza tra i due modelli se descrivono appropriatamente la realtà sperimentale sottostante?
Mi sento di dire, per ora, solo che i due modelli differiscono perché sono costruiti in base



a meta-linguaggi un po’ (non completamente) diversi. Una analisi differenziale specifica non è banale e non può essere svolta qui. Però’ per rendersi conto che tale differenza, comunque esiste, è sufficiente trovare un simbolo (al di là dell’indicazione letterale) con significato (necessario) che è presente in un modello e non nell’altro. Questo, ovviamente, non vuol dire che non si possa cercare/trovare una traslazione di significati da un modello all’ altro.


Però mi piace di più Zurek…..(con patatine fritte)....

Lino


Paolo Russo

unread,
Dec 8, 2017, 6:30:02 PM12/8/17
to
[Giorgio Bibbiani:]
> Il riferimento "dell'etere" per definizione
> dovrebbe essere inerziale e anche immaginando
> di stabilire localmente un riferimento inerziale
> (in caduta libera e non rotante) in cui la CBR
> risultasse all'incirca (ma non esattamente,
> date le anisotropie misurate sperimentalmente!)
> isotropa, non sarebbe possibile estenderlo poi
> globalmente a tutto lo spaziotempo, dunque la
> teoria dell'etere di Lorentz non è compatibile
> con la RG e viene automaticamente falsificata.

Vedo che mi sono inavvertitamente cacciato in un vespaio. :-)
Onestamente non ci avevo pensato e quindi mi sono preso un po'
di tempo per meditarci.
Credo che si potrebbe anche ipotizzare un etere semirigido non
inerziale, che reagisca alla gravità in modo tale da far
comportare la luce come RG prevede, ma in effetti sarebbe
laborioso da teorizzare. Di certo non ho nessuna voglia di
perderci tempo io, ne' credo che l'avra` nessun altro...

Ciao
Paolo Russo

Paolo Russo

unread,
Dec 11, 2017, 11:40:02 AM12/11/17
to
[Lorents:]
> quali articoli o libri raccomenderesti che presentano la MWI nella
> maniera che credi sia più corretta?

Bella domanda. Me la pose anche Tommaso Russo anni fa su fisf,
questa fu la mia risposta: https://tinyurl.com/ycqb5tkw
Mi limito a linkarla perche' non e` tanto breve. Contiene
vari link e soprattutto spiegazioni, aggiunte perche' non
condivido del tutto il contenuto dei link.
Per esempio, vedo che nelle Everett FAQ di Price, peraltro
lodevoli sotto altri aspetti, si sostiene che Gell-Mann
concorda con Everett su tutto eccetto che sul nome da dare
all'interpretazione; di certo non saresti d'accordo.
Potrei aggiungere ai riferimenti il libro "I conigli di
Schroedinger" di Colin Bruce, che mi ha fatto una buona
impressione, ma rimane al livello divulgativo (se ben ricordo
non c'e` nemmeno un ket).
Comunque qualche chiarimento sulla MWI emergera` anche dal
post di commento all'articolo di Zurek che sto scrivendo.

Ciao
Paolo Russo

Paolo Russo

unread,
Dec 20, 2017, 11:15:03 AM12/20/17
to
Credo d'aver finalmente terminato questo immenso papiro. Non
so chi avrà voglia di leggerlo, ma non è un problema mio...
io ho già avuto quello di scriverlo. :-)
Dovendo citare pezzi dell'articolo di Zurek, che usa un sacco
di caratteri strani, per non diventare matto o rendere questo
post di troppo difficile lettura (che insomma, già è
lungo...) sono passato all'UTF-8 per la prima volta da che
uso Usenet. Ho provato su it.test e riesco a rileggere tutto,
ma non posso garantire che nessuno abbia problemi.
Mi riprometto di non farlo più.
Nel seguito cerco di chiarire, a modo mio, la questione della
decoerenza e nel farlo devo criticare alcune parti del lavoro
di Zurek. In breve, secondo me c'è qualche errorino e
tendenziosità non solo sulla MWI ma più in generale su tutta
la questione della base privilegiata.

> Vorrei cercare, a scopo autodidattico, di fare una breve sintesi, solo
> di alcuni punti del paper di Zurek. Sarei grato a te o a quanti
> avranno voglia di correggermi e farmi capire qualche cosa di piu’.

Okay, cominciamo. Premetto che nel seguito commento quel che
Zurek scrive e che tu riassumi dal mio punto di vista (che e`
inevitabilmente di parte MWI).

> Zurek ricorda come la matrice di densita’, introdotta da von Neumann,
> sia necessaria per “contenere” tutte le informazioni relative ad una
> misura quantistica che rende conto dell’ interazione del sistema
> considerato con l’ apparato di misura (detector).

Per la MQ, una funzione d'onda (o meglio, uno stato
quantistico o ket; la fdo ne e` la rappresentazione nella
base posizionale) e` piu' che sufficiente a contenere tutta
l'informazione di un sistema quantistico anche complesso,
apparato di misura compreso (se riteniamo che la MQ sia
applicabile ai sistemi macroscopici, che e` il punto di
partenza di tutto il discorso). La matrice di densità diventa
utile quando si vuole aggiungere alla descrizione quantistica
di un sistema anche coefficienti probabilistici dovuti
all'ignoranza dell'osservatore; in altre parole, il ket
contiene gia` tutta l'indeterminazione quantistica, ma se
vogliamo aggiungerci per comodita` nostra una casualita` da
ignoranza bisogna passare alla matrice di densita` che puo`
agevolmente rappresentarle entrambe senza confonderle. Se
quindi il sistema in esame ha probabilità classica P1 di
trovarsi nello stato |1>, probabilita` classica P2 di
trovarsi nello stato |2> e cosi' via, si può rappresentarne
le caratteristiche con una matrice di densita`. Tali
probabilita` non vanno confuse con l'indeterminazione
quantistica che si ha quando il sistema e` in uno stato che
e` una reale sovrapposizione degli stati |1>, |2> eccetera.
Prima di eseguire una misura non si sa quale ne sara`
l'esito, tuttavia se si conosce lo stato quantistico del
sistema in esame si conoscono i possibili esiti e le loro
probabilita`. Pertanto, l'esito complessivo di una misura e`
descrivibile da una matrice di densita`: con probabilita` p1
misureremo che il sistema e` nello stato |1>, con
probabilita` p2 misureremo che e` nello stato |2> e cosi'
via.
Se usiamo una matrice di densita` anche per rappresentare lo
stato del sistema prima della misura, possiamo confrontare le
due matrici e vedere cosa cambia durante la misura. Von
Neumann (riporta Zurek) ha ipotizzato l'esistenza di un non
meglio identificato "processo 1" che alteri la matrice di
densita` convertendo l'indeterminazione quantistica in
casualita` da ignoranza; per fare cio` il processo 1 dovrebbe
"solo" azzerare i termini non diagonali della matrice di
densita`. Detta cosi' sembra roba da niente, ma il
significato fisico di un tale azzeramento e` drastico: si
passa da uno stato fisico (quantistico) a una descrizione
statistica. Nella MQ non sono possibili processi fisici che
possano fare, di per se', una cosa del genere: l'evoluzione
temporale di uno stato quantistico e` deterministica. E` solo
il processo di misura a costituire, per l'appunto, quel caso
a parte che si vorrebbe armonizzare con tutto il resto.

> Non considerando i
> termini non diagonali, che rappresentano le correlazioni quantistiche,
> si ottiene una matrice di densita’ i cui elementi diagonali
> rappresentano probabilita’ classiche. A pag. 8 Zurek afferma che le
> correlazioni quantistiche possono disperdere contenuto informativo
> in gradi di liberta’ inaccessibili all’ osservatore ed introduce una
> possibile spiegazione che concretizza piu’ avanti, descrivendo una
> schematizzazione dell’ “ambiente” come struttura formata
> opportunamente da un insieme di oscillatori armonici.

Si', ma cosi' facendo sta gia` un po' barando. Prima dice che
per capire una misura ci vogliono tre elementi: il sistema da
misurare (un atomo con spin 1/2, nel suo esempio), l'apparato
di misura "d" (detector) e l'ambiente "E", poi nel modello fa
interagire direttamente il sistema (una particella) con
l'ambiente (il campo di oscillatori armonici). E l'apparato
che fine ha fatto?
In realta` (e qui parlo da many-worlder, ma non posso
evitarlo) quando c'e` di mezzo un apparato di misura
l'ambiente diventa irrilevante. La decoerenza si verifica
quando il sistema quantistico interagisce con un qualunque
altro sistema, preferibilmente ma non necessariamente
macroscopico, abbastanza intensamente da alterarne lo stato
in modo significativo; tale sistema puo` essere l'apparato di
misura, se c'e`, o in sua assenza l'ambiente.
A questo punto mi tocca spiegare meglio cosa intendo, quindi
spiego un attimo la decoerenza non secondo Zurek ma secondo
me. Prendiamo un sistema qualunque, che possa trovarsi in due
stati |A〉 e |B〉 ortogonali tra loro (potrebbero essere spin
opposti di una particella a spin 1/2, polarizzazioni
ortogonali di un fotone o qualunque altra cosa; immaginiamo
però che esista un'osservabile associata a questi stati, la
cui misura consenta di distinguerli; per semplicità userò
come osservabili i proiettori sugli stati stessi). Prendiamo
in considerazione, tra gli infiniti stati |Ψ〉 in cui il
sistema può trovarsi, i seguenti tre (sì, lo so, Ψ
generalmente si usa per le fdo, ma lo usa anche Zurek):

sistema singolo
1) |Ψ〉 = |A〉
2) |Ψ〉 = |B〉
3) |Ψ〉 = |C〉 = (|A〉+|B〉)/√2

Supponiamo di eseguire una misura che ci dica in che stato si
trova il sistema. In generale, la misura che un sistema in
stato |Ψ〉 si trovi in stato |s〉 si può fare misurando
l'osservabile S = |s〉〈s|, i cui autovalori sono 0 e 1. Il
valore medio della misura è 〈Ψ|S|Ψ〉, ossia 〈Ψ|s〉〈s|Ψ〉.
Misuriamo se il sistema è nello stato |A〉. Dato che 〈A|A〉 =
〈B|B〉 = 〈C|C〉 = 1 per definizione, 〈A|B〉 = 0 per
ortogonalità, 〈A|C〉 = (〈A|A〉+〈A|B〉)/√2 = (1+0)/√2 = 1/√2,
abbiamo, nei tre casi qui sopra:

sistema singolo, misura di |A〉
1) 〈A|A〉〈A|A〉 = 1
2) 〈B|A〉〈A|B〉 = 0
3) 〈C|A〉〈A|C〉 = 1/2

Fin qui, tutto banale. Ora, supponiamo di verificare che il
sistema sia nello stato |C〉 (potrebbe trattarsi di un
esperimento di interferenza). Le probabilità nei tre casi
sono rispettivamente:

sistema singolo, misura di |C〉
1) 〈A|C〉〈C|A〉 = 1/2
2) 〈B|C〉〈C|B〉 = 1/2
3) 〈C|C〉〈C|C〉 = 1

Fin qui, ancora tutto da manuale. Faccio notare in
particolare la probabilità = 1 nel caso 3), che indica che la
sovrapposizione degli stati |A〉 e |B〉 è ancora coerente.
Supponiamo adesso che prima della misura il sistema
interagisca con qualcos'altro, chiamiamolo genericamente
"secondo sistema", influenzandone lo stato in base al
proprio. Diciamo che il secondo sistema si trova inizialmente
nello stato |?〉, ma in seguito all'interazione il suo stato
cambia in |X〉 se lo stato del primo sistema è |A〉, in |Y〉
altrimenti:

sistema doppio
1) |A〉|?〉 �‡' |A〉|X〉
2) |B〉|?〉 �‡' |B〉|Y〉
3) |C〉|?〉 = ((|A〉+|B〉)/√2)|?〉 �‡' (|A〉|X〉+|B〉|Y〉)/√2

Notate che una volta specificate la 1) e la 2), la 3) ne
deriva per linearità.
Notate inoltre che non ho detto nulla degli stati |?〉, |X〉 e
|Y〉; non è detto che |X〉 e |Y〉 siano ortogonali, potrebbe
essere addirittura |X〉 = |Y〉; potrebbe perfino essere |?〉 =
|X〉 = |Y〉 (se non c'è stata interazione). Notate inoltre che
non ho previsto che l'interazione cambi lo stato del primo
sistema; può ben accadere, ma non ha molta importanza ai fini
del discorso anche se lo complicherebbe, quindi assumerò per
semplicità che lo stato del primo sistema non cambi.
Cosa succede ora se misuriamo nei soliti tre casi che il
primo sistema sia nello stato |A〉?

sistema doppio, misura di |A〉
1) 〈X|〈A|A〉〈A|A〉|X〉 = 〈X|X〉 = 1
2) 〈Y|〈B|A〉〈A|B〉|Y〉 = 0
3) ((〈X|〈A|+〈Y|〈B|)/√2)|A〉〈A|(|A〉|X〉+|B〉|Y〉)/√2 =
= (〈X|〈A|A〉+〈Y|〈B|A〉)(〈A|A〉|X〉+〈A|B〉|Y〉)/2 =
= (〈X|)(|X〉)/2 = 1/2

Non sembra quindi che sia cambiato nulla rispetto al caso del
sistema singolo. La differenza compare se proviamo a
verificare che il primo sistema sia nello stato |C〉 =
(|A〉+|B〉)/√2:

sistema doppio, misura di |C〉
1) 〈X|〈A|C〉〈C|A〉|X〉 = 〈X|X〉/2 = 1/2
2) 〈Y|〈B|C〉〈C|B〉|Y〉 = 〈Y|Y〉/2 = 1/2
3) ((〈X|〈A|+〈Y|〈B|)/√2)|C〉〈C|(|A〉|X〉+|B〉|Y〉)/√2 =
= (〈X|〈A|C〉+〈Y|〈B|C〉)(〈C|A〉|X〉+〈C|B〉|Y〉)/2 =
= (〈X|〈A|C〉+〈Y|〈B|C〉)(〈C|A〉|X〉+〈C|B〉|Y〉)/2 =
= (〈X|+〈Y|)(|X〉+|Y〉)/4 =
= (〈X|X〉+〈X|Y〉+〈Y|X〉+〈Y|Y〉)/4 =
= (1+〈X|Y〉+〈Y|X〉+1)/4 =
= (2+〈X|Y〉+〈X|Y〉*)/4 =
= 1/2 + Re(〈X|Y〉)/2

L'ultimo risultato è quello importante. Vediamo due casi
limite.
Per |X〉 = |Y〉: 〈X|Y〉 = 1, valore atteso = 1/2 + 1/2 = 1.
Questo è il valore che ci si aspetterebbe se il primo sistema
fosse (come infatti è) nello stato |C〉.
Per |X〉 ortogonale a |Y〉: 〈X|Y〉 = 0, valore atteso = 1/2.
Questo è il valore che ci si aspetterebbe se il primo sistema
fosse nello stato |A〉 o nello stato |B〉: la coerenza della
sovrapposizione dei due stati nello stato |C〉 è quindi andata
distrutta.
Quando |X〉 e |Y〉 non sono ortogonali anche la loro fase
conta, ma nel seguito saranno perloppiù ortogonali.

Riassumo: la decoerenza tra gli stati nel primo sistema
avviene quando interagisce con un secondo sistema portandolo
in stati ortogonali intrecciati con quelli del primo sistema.
Se gli stati non sono ortogonali, la perdita di coerenza è
parziale ed in linea di massima (fase a parte) è tanto
maggiore quanto più gli stati sono prossimi all'ortogonalità.
Ma cos'è realmente la decoerenza? Davvero non è più possibile
rivelare se il primo sistema è nello stato |C〉? Be', in
teoria si può. Basta modificare il processo di misura in modo
che non verifichi se il primo sistema è nello stato |C〉 =
(|A〉+|B〉)/√2 ma se il sistema composito è nello stato
(|A〉|X〉+|B〉|Y〉)/√2. Tale misura darebbe banalmente sempre
esito 1.
Il problema è che per eseguire questa misura bisogna innanzi
tutto sapere che c'è stata l'interazione con il secondo
sistema, sapere cos'è questo secondo sistema e conoscerne gli
stati |X〉 e |Y〉, poi bisogna escogitare un esperimento per
misurare quell'osservabile complessiva e non è nemmeno detto
che sia fattibile. Quando tutto ciò non viene fatto, non
importa per quale motivo, si parla di decoerenza.

Fin qui ho usato la MQ pura e semplice, con tanto di
postulati sulla misura, quindi, a meno che non abbia cannato
qualche passaggio, direi che fin qui dovremmo essere tutti
d'accordo.
Ora cominciano i problemi.

Sia Zurek che la MWI partono dal presupposto che la MQ sia
applicabile a sistemi macroscopici e che il collasso della
fdo sia un concetto superfluo. Sia Zurek che la MWI prendono
in considerazione cosa succede se il "secondo sistema" è
macroscopico e, casi particolari, se sia un apparato di
misura, il semplice ambiente o una somma di apparato di
misura e ambiente. La MWI spesso nei ragionamenti include
nell'ambiente anche uno o più osservatori; mi par di capire
che Zurek cerchi di farne a meno.
E` immediato dimostrare che se il secondo sistema è un
apparato di misura i suoi stati corrispondenti ai valori
dell'osservabile da misurare sono ortogonali. Basti pensare
che per la MQ, se due stati |X〉 e |Y〉 non sono ortogonali,
non c'è un modo sicuro al 100% di distinguerli. Siete in
grado di distinguere i valori misurati dall'apparato? C'e`
una qualunque differenza macroscopica, come una lancetta
spostata almeno di una frazione di millimetro, un display che
mostra una cifra invece di un'altra? Allora questi stati
dell'apparato sono banalmente ortogonali. In generale, se c'è
una qualunque differenza osservabile tra gli stati di un
sistema macroscopico significa che sono ortogonali.
Naturalmente, gli stati possono ben essere ortogonali senza
che si veda chiaramente una differenza. Per un corpo solido,
penso che basti spostarlo di una frazione di angstrom. Per un
gas non saprei esattamente, ma penso che basti un'alterazione
molto piccola.

Zurek assume che con il procedere dell'interazione di un
sistema con l'ambiente gli stati dell'ambiente intrecciati
con quelli del sistema diventino ortogonali. Non ho
verificato formule e simulazioni, ma intuitivamente mi
quadra, quindi non ho nulla da obiettare.

Quando un sistema quantistico non viene misurato ma
interagisce liberamente con l'ambiente (Zurek fa l'esempio di
una particella "gatto di Schrödinger" la cui fdo ha due
picchi in posizioni diverse), Zurek giustamente tira in ballo
l'interazione con l'ambiente per mostrare come la decoerenza
avvenga già normalmente anche in assenza di apparati di
misura.
Tuttavia, perché Zurek tira in ballo l'ambiente anche quando
l'apparato di misura c'è e la decoerenza, come ho mostrato, è
senz'altro già avvenuta durante la misura? A mio avviso è
solo un trucco per tentare di fare a meno della MWI (con
scarso successo). Penso che convenga ripercorrere il
ragionamento di Zurek, citando l'originale. Zurek parte da un
esempio, un sistema a due stati (ad esempio lo spin di un
atomo in un esperimento Stern-Gerlach). Nonostante l'UTF-8,
non ho potuto riprodurre bene alcuni stili e caratteri e ho
reso gli indici sia alti che bassi con semplici lettere
minuscole ove possibile (in d�†" la freccia dovrebbe essere un
indice ribassato), ma spero che il tutto sia comunque
abbastanza leggibile. Le note tra parentesi quadre sono mie.
____________________________________________________________

I shall reproduce his analysis [John von Neumann (1932)] for
the simplest case: a measurement on a two-state system S
(which can be thought of as an atom with spin 1/2) in which a
quantum two-state (one bit) detector records the result.
The Hilbert space Hs of the system is spanned by the
orthonormal states |�†`〉 and |�†"〉, while the states |d�†`〉 and
|d�†"〉 span the Hd of the detector. A two-dimensional Hd is the
absolute minimum needed to record the possible outcomes. One
can devise a quantum detector (see Figure 1) that “clicks”
only when the spin is in the state |�†`〉, that is,

(2) |�†`〉 |d�†"〉 �†' |�†`〉 |d�†`〉 ,

and remains unperturbed otherwise (Zeh 1970, Wigner 1963,
Scully et al. 1989).
I shall assume that, before the interaction, the system was
in a pure state |ψs〉 given by

(3) |ψs〉 = α|�†`〉 + β|�†"〉 ,

with the complex coefficients satisfying |α|² + |β|² = 1. The
composite system starts as

(4) |Φi〉 = |ψs〉|d�†"〉 .

Interaction results in the evolution of |Φi〉 into a
correlated state |Φc〉:

(5) |Φi〉 = (α|�†`〉 + β|�†"〉)|d�†"〉 �‡' α|�†`〉|d�†`〉 + β|�†"〉|d�†"〉 = |Φc〉
.

This essential and uncontroversial first stage of the
measurement process can be accomplished by means of a
Schrödinger equation with an appropriate interaction. It
might be tempting to halt the discussion of measurements with
Equation (5). After all, the correlated state vector |Φc〉
implies that, if the detector is seen in the state |d�†`〉, the
system is guaranteed to be found in the state |�†`〉. Why ask
for anything more? The reason for dissatisfaction with |Φc〉
as a description of a completed measurement is simple and
fundamental: In the real world, even when we do not know the
outcome of a measurement, we do know the possible
alternatives, and we can safely act as if only one of those
alternatives has occurred. As we shall see in the next
section, such an assumption is not only unsafe but also
simply wrong for a system described by |Φc〉 [non è vero, ci
torno dopo].
____________________________________________________________

Taglio la parte successiva che illustra come von Neumann
affronto` il problema, introducendo una matrice di densità ρc
e poi un ipotetico "processo 1" che produrrebbe una matrice
ridotta ρr senza più i termini diagonali.
____________________________________________________________

The key advantage of ρr over ρc is that its coefficients may
be interpreted as classical probabilities. [...]
By contrast, it is impossible to interpret ρc as representing
such “classical ignorance.” In particular, even the set of
the alternative outcomes is not decided by ρc! This
circumstance can be illustrated in a dramatic fashion by
choosing α = -β = 1/√2 so that the density matrix ρc is a
projection operator constructed from the correlated state

(8) |Φc〉 = (|�†`〉|d�†`〉 - |�†"〉|d�†"〉)/√2 .

This state is invariant under the rotations of the basis. For
instance, instead of the eigenstates of |�†`〉 and |�†"〉 of σz one
can rewrite |Φc〉 in terms of the eigenstates of σx:

(9a) |⊙〉 = (|�†`〉 + |�†"〉)/√2 ,

(9b) |⊗〉 = (|�†`〉 - |�†"〉)/√2 .

This representation immediately yields

(10) |Φc〉 = - (|⊙〉|d⊙〉 - |⊗〉|d⊗〉)/√2 ,

where

(11) |d⊙〉 = (|d�†"〉 - |d�†`〉)/√2 and |d⊗〉 = (|d�†`〉 + |d�†"〉)/√2

are, as a consequence of the superposition principle,
perfectly “legal” states in the Hilbert space of the quantum
detector. Therefore, the density matrix
ρc = |Φc〉〈Φc|
could have many (in fact, infinitely many) different states
of the subsystems on the diagonal.
This freedom to choose a basis should not come as a surprise.
Except for the notation, the state vector |Φc〉 is the same as
the wave function of a pair of maximally correlated (or
entangled) spin-1/2 systems in David Bohm’s version (1951) of
the Einstein-Podolsky-Rosen (EPR) paradox (Einstein et al.
1935). And the experiments that show that such nonseparable
quantum correlations violate Bell’s
inequalities (Bell 1964) are demonstrating the following key
point: The states of the two spins in a system described by
|Φc〉 are not just unknown, but rather they cannot exist
before the “real” measurement (Aspect et al. 1981, 1982). We
conclude that when a detector is quantum, a superposition of
records exists and is a record of a superposition of outcomes
[non è vero] - a very nonclassical state of affairs.
____________________________________________________________

E qui è dove Zurek commette un errore. Consideriamo le sue
equazioni (8) e (10):

(8) |Φc〉 = (|�†`〉|d�†`〉 - |�†"〉|d�†"〉)/√2 .

(10) |Φc〉 = - (|⊙〉|d⊙〉 - |⊗〉|d⊗〉)/√2 ,

*Sembrano* perfettamente simmetriche. Interpretando la (8) in
base alla MWI, avremmo due universi paralleli, uno in cui lo
spin è stato misurato come �†`, uno in cui è �†". Per come è
scritta la (10), sembrerebbe avere lo stesso significato
fisico della (8); Zurek in sostanza sostiene che per la MWI
dovremmo allora avere due universi in cui sono stati ottenuti
⊙ e ⊗ come esiti della misura e che quindi la suddivisione in
universi è arbitraria.
L'errore consiste nel dare ai simboli un significato che non
hanno. Mentre |⊗〉 rappresenta il sistema (ad esempio un
atomo) nello stato ⊗, che è un vero stato di spin, |d⊗〉 non è
affatto lo stato di uno strumento che ha misurato ⊗, come
potrebbe sembrare dal simbolo adottato; è banalmente, come da
definizione (11), la combinazione lineare di due stati, uno
in cui lo strumento ha misurato �†`, uno in cui ha misurato �†":

(11) |d⊗〉 = (|d�†`〉 + |d�†"〉)/√2

E` una cosa completamente diversa. Per rendersene conto,
basta immaginare che il detector d comprenda non solo uno
strumento ma anche uno sperimentatore umano che guarda cosa
indica lo strumento, scrive una frase su un foglio di carta e
preme uno di due pulsanti che accendono luci di diversi
colori. Abbiamo tre possibilità:

a) scrive "ho misurato �†`" e accende la luce verde
b) scrive "ho misurato �†"" e accende la luce verde
c) scrive "non ho misurato né �†` né �†", non capisco!" e
accende la luce rossa.

Se Zurek avesse ragione, nello pseudouniverso ⊗ dovremmo
avere la situazione c, invece per la (11) abbiamo una
combinazione lineare di a e b. La scritta "non capisco!" non
compare da nessuna parte dello stato quantistico globale; la
luce verde si accende sempre; la rossa mai. Citando Zurek:
"In the real world, even when we do not know the outcome of a
measurement, we do know the possible alternatives, and we can
safely act as if only one of those alternatives has
occurred." E questo è esattamente quel che accade nella MWI:
non c'è proprio nessun universo con la scritta "non capisco!"
su quel foglio di carta e la luce rossa accesa.
E la questione della suddivisione in universi? Non è
arbitraria? Perché dovrebbero formarsi due universi �†` e �†" e
non due universi ⊙ e ⊗? In realtà nella MWI non "si formano"
mai universi: esiste solo lo stato quantistico universale,
che noi esseri umani scomponiamo idealmente in "universi" in
base a criteri di buon senso. Vediamola così: potremmo anche
definire un universo ⊗ e dire che esiste. Il problema è che
in questo pseudouniverso non succede nulla che non stia
succedendo negli universi �†` e �†", perché è solo una loro
combinazione lineare. Magari nell'universo �†` lo
sperimentatore dopo aver scritto "ho misurato �†`" esce a bere
una birra, nell'universo �†" dopo aver scritto "ho misurato �†""
va a mangiare una pizza, ma nello pseudouniverso ⊗ non fa
altro che una combinazione lineare delle due cose. In un
certo senso, da un certo punto di vista, si può sostenere che
l'universo ⊗ esista; ma nello stesso senso, bisogna ammettere
che non contiene esseri senzienti che lo possano percepire
dall'interno, cosa che invece succede in �†` e �†". In �†` lo
sperimentatore sa di stare bevendo una birra, in �†" di stare
mangiando una pizza, ma in ⊗ non sa affatto di stare
α|bevendo una birra〉 + β|mangiando una pizza〉. Se glielo si
chiedesse, non potrebbe che rispondere α|sto SOLO bevendo una
birra!〉 + β|sto SOLO mangiando una pizza!〉.
Pensare allo stato universale come composto dagli universi ⊙
e ⊗ si può anche fare ma non serve a nulla. Solo negli
universi �†` e �†" i corsi degli eventi sono indipendenti,
pseudoclassici (almeno macroscopicamente) e soprattutto
internamente percepiti da osservatori senzienti; la base
secondo la quale si possa operare tale scomposizione non è
arbitraria, viene definita dalla dinamica (da come funziona
lo strumento di misura, se c'è, o l'interazione con
l'ambiente se non c'è: in generale, da come il sistema
quantistico in esame interagisce con qualcos'altro).
C'è poi un altro problemino, a mio avviso minore. La
rotazione di basi che Zurek esemplifica funziona bene su
un'espressione del tipo (|�†`〉|d�†`〉 - |�†"〉|d�†"〉)/√2, i cui addendi
sono prodotti tensoriali di al più due sistemi, ma gli
universi della MWI contengono non due ma miliardi di sistemi
i cui stati sono tutti intrecciati assieme. Seguendo la
logica di Zurek, se il detector d interagisce con
qualcos'altro, chiamiamolo A, e tentiamo di cambiare base,
abbiamo la seguente equazione:

(|�†`〉|d�†`〉|A�†`〉 - |�†"〉|d�†"〉|A�†"〉)/√2 =
= - (|⊙〉|d⊙〉|A⊙〉 - |⊗〉|d⊗〉|A⊗〉)/√2

che mi risulta falsa per qualunque scelta di |d⊙〉, |d⊗〉, |A⊙〉
e |A⊗〉 (sempre se non ho cannato i calcoli), anche cambiando
i segni - in +. E` sempre possibile scegliere un'altra base,
ma non mantenendo la stessa forma.

Ma se Zurek non risolve il problema della base preferenziale
coinvolgendo l'osservatore come fa la MWI, come lo risolve?
Pretenderebbe di risolverlo con la decoerenza, coinvolgendo
l'ambiente anche quando non serve perché (dico io) la
decorenza è già avvenuta nell'apparato di misura:
____________________________________________________________

To illustrate the process of the environment-induced
decoherence, consider a system S, a detector D, and an
environment E. The environment is also a quantum system.
Following the first step of the measurement
process-establishment of a correlation as shown in Equation
(5)-the environment similarly interacts and becomes
correlated with the apparatus:

(13) |Φc〉| E0〉 = (α|�†`〉|d�†`〉 + β|�†"〉|d�†"〉)|E0〉 �‡' α|�†`〉|d�†`〉|E�†`〉
+ β|�†"〉|d�†"〉|E�†"〉 = |Ψ〉 .

The final state of the combined SDE “von Neumann chain” of
correlated systems extends the correlation beyond the SD
pair. When the states of the environment |Ei〉 corresponding
to the states |d�†`〉 and |d�†"〉 of the detector are orthogonal,
〈Ei|Ei′〉 = δii′, the density matrix for the detector-system
combination is obtained by ignoring (tracing over) the
information in the uncontrolled (and unknown) degrees of
freedom

(14) ρDS = TrE |Ψ〉〈Ψ| = Σi〈Ei|Ψ〉〈Ψ|Ei′〉 =
|α|²|�†`〉〈�†`||d�†`〉〈d�†`| + |β|²|�†"〉〈�†"||d�†"〉〈d�†"| = ρr .

The resulting ρr is precisely the reduced density matrix that
von Neumann called for. Now, in contrast to the situation
described by Equations (9)-(11), a superposition of the
records of the detector states is no longer a record of a
superposition of the state of the system. A preferred basis
of the detector, sometimes called the “pointer basis” for
obvious reasons, has emerged [e qui sbaglia]. Moreover, we
have obtained it - or so it appears - without having to
appeal to von Neumann’s nonunitary process 1 or anything else
beyond the ordinary, unitary Schrödinger evolution. The
preferred basis of the detector - or for that matter, of any
open quantum system - is selected by the dynamics.
____________________________________________________________

Dicevo che qui Zurek sbaglia, o forse, più esattamente, dice
qualcosa di molto fuorviante. Intuitivamente c'era qualcosa
che non mi quadrava da qualche parte, ma dato che l'algebra
lineare non è il mio forte mi ci sono voluti giorni solo per
trovare il problema. La matematica in sé è corretta; è solo
la conclusione che non regge.
Zurek aveva scritto in precedenza, a proposito della matrice
di densità iniziale, senza decoerenza: "In particular, even
the set of the alternative outcomes is not decided by ρc!
This circumstance can be illustrated in a dramatic fashion by
choosing α = -β = 1/√2 [...] This state is invariant under
the rotations of the basis."
Bene. Lasciamo perdere un attimo il detector; consideriamo il
caso della particella "gatto di Schrödinger" la cui fdo ha
due picchi in posizioni diverse e che interagisce con
l'ambiente modellato da Zurek come un campo di oscillatori.
Zurek mostra che gradualmente, con il procedere
dell'interazione, la matrice di densità perde i termini non
diagonali. Se quindi indichiamo concisamente i due picchi a
sinistra e a destra (dopo l'interazione) rispettivamente come
|←〉 e |�†'〉, la matrice ridotta risultante si può scrivere
come:

ρr = (|←〉〈←| + |�†'〉〈�†'|)/2

Zurek sembra pensare che una matrice del genere, data la
perdita dei coefficienti di coerenza, identifichi i possibili
esiti sperimentali, indicando una base preferenziale, la base
{|←〉, |�†'〉}, ma non è così. Quella matrice di densità può ben
/derivare/ da una miscela statistica di stati |←〉 e |�†'〉, ma
non /è/ quella miscela. Per evidenziare la differenza,
rappresentiamo la stessa matrice nella base {|⇆〉 = (|←〉 +
|�†'〉)/√2, |⇄〉 = (|←〉 - |�†'〉)/√2}, che è praticamente la stessa
base usata da Zurek proprio per sollevare il problema della
base preferenziale:

(|←〉〈←| + |�†'〉〈�†'|)/2 =
= (((|⇆〉 + |⇄〉)/√2)((〈⇆| + 〈⇄|)/√2) + ((|⇆〉 - |⇄〉)/√2)((〈⇆| -
〈⇄|)/√2))/2 =
= ((|⇆〉 + |⇄〉)(〈⇆| + 〈⇄|) + (|⇆〉 - |⇄〉)(〈⇆| - 〈⇄|))/4 =
= ((|⇆〉〈⇆| + |⇄〉〈⇆| + |⇆〉〈⇄| + |⇄〉〈⇄|) + ((|⇆〉〈⇆| - |⇄〉〈⇆|) -
(|⇆〉〈⇄| - |⇄〉〈⇄|)))/4 =
= (|⇆〉〈⇆| + |⇄〉〈⇆| + |⇆〉〈⇄| + |⇄〉〈⇄| + |⇆〉〈⇆| - |⇄〉〈⇆| -
|⇆〉〈⇄| + |⇄〉〈⇄|)/4 =
= (|⇆〉〈⇆| + |⇄〉〈⇄| + |⇆〉〈⇆| + |⇄〉〈⇄|)/4 =
= (|⇆〉〈⇆| + |⇄〉〈⇄|)/2

Ora la stessa matrice /sembra/ indicare una miscela di stati
del tutto diversa: entrambi gli stati sono ancora del tipo
"gatto di Schrödinger". Questo risultato non dovrebbe
sorprendere. Questo tipo di matrice di densità si ottiene per
esempio considerando due particelle a spin 1/2 nello stato di
singoletto, se si costruisce la matrice che rappresenta gli
esiti delle misure su una sola delle due particelle,
ignorando l'altra. E` ben noto che in questo caso non c'è una
direzione preferenziale: lungo qualunque direzione si misuri
lo spin, viene sempre fuori una miscela statistica 50%-50% di
versi opposti, ed è proprio questo che una matrice di densità
rappresenta: gli esiti prevedibili delle misure, non lo stato
reale del sistema.
Non è una coincidenza. L'altra particella è un caso
particolare di secondo sistema a stati intrecciati ortogonali
di cui parlavo prima, per cui la prima particella si può
considerare in decoerenza. Solo che questo non basta a
definire una base.
Devo dire onestamente che se consideriamo anche il detector
la reinterpretazione in una base diversa della matrice
ridotta si fa difficile, esattamente come nel caso del
prodotto tensoriale di tre sottosistemi, e per lo stesso
motivo: la matrice ridotta deriva appunto dalla riduzione a
due di un sistema composto da tre sottosistemi. Può sempre
essere ruotata in qualche altra base a scelta, ma diventa
molto più complicata. Ma a questo punto, se vogliamo pensare
che basti questo a risolvere il problema della base
preferenziale (e qualche dubbio l'avrei), chiamare in causa
l'ambiente è fuorviante: basta che siano coinvolti almeno tre
sistemi qualunque, anche tutti microscopici.

Veniamo quindi al perché Zurek tiri in ballo l'ambiente E
anche quando c'è l'apparato di misura d. In quella parte del
paper il coinvolgimento dell'ambiente consente a Zurek di
fare due cose:

1) Sostenere che, dato che gli stati dell'ambiente sono
sconosciuti e non sotto il controllo dell'osservatore (in
parole povere, non interessano), tanto vale rimuoverli dalla
matrice di densità. Ecco allora che eseguendo una traccia
parziale la matrice di densità perde gli elementi non
diagonali e passa da stato quantistico puro (con tanto di
sovrapposizione di macrostati, ossia universi paralleli) a
miscela statistica (e con ciò gli universi vengono nascosti
sotto il tappeto). Sarebbe un po' dura sostenere che gli
stati del detector siano sconosciuti e irrilevanti e vadano
ignorati, è più facile dirlo dell'ambiente.

2) Interpretare il risultato della riduzione in una base
arbitraria senza che la cosa sia troppo evidente. La
scomparsa dei coefficienti di coerenza fa pensare che sia
stata individuata una base, anche se non è esattamente così.

Personalmente trovo la cosa un po' ridicola dal punto di
vista fisico. L'apparato di misura non sarebbe abbastanza
macroscopico da produrre decoerenza, ma l'ambiente sì? E
quale sarebbe mai il confine tra i due? Il ragionamento di
Zurek non fa uso di alcuna assunzione sulla complessità del
sistema ambiente E; qualsiasi cosa può farne le veci, basta
che assuma stati ortogonali correlati a quelli del sistema
sotto osservazione e del detector. Se proprio mi serve un
terzo sistema da correlare a entrambi per poi tracciarlo via
dalla matrice, posso sempre usare come "ambiente" un pezzo
non essenziale dello strumento stesso; ad esempio, per uno
strumento con indicatore a lancetta protetto da una lastrina
di vetro, posso considerare l'aria trattenuta dal vetro.
Quella sicuramente si correla alla posizione della lancetta,
la chiamo "ambiente", la considero separatamente nella
matrice, poi la traccio via perché non mi interessa e oplà,
ho ridotto la matrice senza usare nient'altro che lo
strumento. Probabilmente andrebbe bene anche uno dei piedini
di gomma dello strumento, riceverà bene qualche
microvibrazione. In verità gran parte della massa dello
strumento andrebbe probabilmente bene...

> Continua quindi,
> mostrando l’ aumento di entropia nella transizione della matrice di
> densita’ ad una condizione diagonale (situazione classica), dove
> questa trasformazione e’ dovuta all’ interazione del sistema
> considerato insieme al detector con l’ ambiente. Tale interazione
> produce la decoerenza.
>
> Zurek mostra come il risultato della correlazione dello stato finale
> della “von Neumann chain”, produce una “riduzione” nella matrice di
> densita’.

L'interazione con l'ambiente di per sé non riduce affatto la
matrice, è Zurek a ridurla a forza di TrE per tagliare via
quel che non gli interessa. Solo in quel momento gli elementi
non diagonali spariscono.
Le simulazioni numeriche si basano su una formula che
contiene il calcolo del TrE: "Equation (17) is obtained by
first solving exactly the Schrödinger equation for a particle
plus the field and then tracing over the degrees of freedom
of the field."

> La conseguente sovrapposizione di informazioni degli stati del
> detector produce la necessita’ di stabilire una “base preferenziale
> per il detector” .
>
> A questo punto Zurek afferma che la “base preferenziale” e’
> determinata dalla dinamica (questa cosa non l’ ho ben capita. Cosa
> vuol dire, che elementi di informazione relativi alla “base
> preferenziale” sono impliciti nell’ Hamiltoniana ?

Si', ma tieni conto che l'Hamiltoniana sistema - apparato di
misura è determinata prima di tutto dalla struttura
dell'apparato, che deriva da quel che si vuole misurare.
Comunque, la questione è sottile.
Secondo Zurek, la base preferenziale deriva dalla dinamica,
ma la dimostrazione che ne dà nel paper è incompleta (la
dinamica determina come gli stati del sistema quantistico si
intreccino con quelli del detector e dell'ambiente E, ma poi
è Zurek a scegliere in che base rappresentare la matrice).
Anche secondo me la base preferenziale deriva dalla dinamica,
ma devo necessariamente tirare in ballo l'osservatore. La
base preferenziale è quella che corrisponde a universi
"classici", con osservatori senzienti. E` la dinamica a
determinare come gli stati del sistema quantistico si
intreccino con quelli del resto dell'universo, osservatori
compresi. Intrecciarli nel modo voluto, in modo che a ogni
stato del sistema che l'osservatore voleva distinguere
corrisponda un diverso macrostato dell'apparato e della
memoria dell'osservatore, è appunto la funzione dell'apparato
di misura. Par la MWI, un processo di misura non fa in realtà
nient'altro che quello. A seconda di cosa si vuole misurare,
si usa lo strumento la cui dinamica di interazione con il
sistema da osservare è tale da produrre l'effetto voluto. Se
non c'è una misura in atto, il sistema interagisce in modo
incontrollato con l'ambiente e la base che si afferma nella
maggior parte dei casi è approssimativamente posizionale.

Faccio un esempio assurdo (di "mixing alchemico") per
evidenziare meglio quanto sia critico lo stabilirsi delle
correlazioni tra stati di sistemi diversi.
Abbiamo un sistema L (lingotto) in stato |L〉 = |Pb〉 (lingotto
di piombo). Non è quindi un "gatto di Schrödinger", è un
normalissimo lingotto di piombo. Magari avrebbe potuto essere
un lingotto d'oro di pari massa (sistema in stato |Au〉), ma
non lo è. Lo riscriviamo in un'altra base:

|L〉 = |Pb〉 = (|L1〉+|L2〉)/√2
|L1〉 = (|Pb〉+|Au〉)/√2
|L2〉 = (|Pb〉-|Au〉)/√2

dove |L1〉 e |L2〉 sono "lingotti di Schrödinger", che sono sia
d'oro che di piombo.
Poi sosteniamo che il sistema interagisca con l'ambiente,
portandolo in stati ortogonali associati:

|LE0〉 = ((|L1〉+|L2〉)/√2)|E0〉 �‡' (|L1〉|E1〉+|L2〉|E2〉)/√2 = |LE〉

assumendo che |L1〉|E0〉 �‡' |L1〉|E1〉, |L2〉|E0〉 �‡' |L2〉|E2〉.
Poi tracciamo via l'ambiente e otteniamo la matrice ridotta
di densità:

ρr = (|L1〉〈L1| + |L2〉〈L2|)/2

Poi la ruotiamo tornando alla base originaria:

ρr = (|Pb〉〈Pb| + |Au〉〈Au|)/2

Abbiamo quindi p = 1/2 di trovare che il lingotto è d'oro. Ma
com'è successo?
L'errore sta nell'aver assunto che in seguito all'interazione
con l'ambiente il sistema risultante fosse fattorizzabile
(es. |L1〉|E0〉 �‡' |L1〉|E1〉). Chiaramente non è vero:

|Pb〉|E0〉 �‡' |Pb〉|Epb〉
|Au〉|E0〉 �‡' |Au〉|Eau〉
|L1〉|E0〉 = ((|Pb〉+|Au〉)/√2)|E0〉 �‡'
�‡' (|Pb〉|Epb〉+|Au〉|Eau〉)/√2 ≠ |L1〉|E1〉

Quella somma in generale non è fattorizzabile come |L1〉|E1〉.
Però noterete che non ho dimostrato che sia invece corretto
scrivere |Pb〉|Epb〉 e |Au〉|Eau〉... essendo sistemi
macroscopici, è praticamente impossibile che sia
matematicamente corretto scriverlo. E` solo un modello.
Queste notazioni semplificate sono usabili, ma tenendo sempre
ben presenti le assunzioni e i limiti del modello.
Quindi perché ho scritto che |Pb〉|E0〉 �‡' |Pb〉|Epb〉 è
sostanzialmente giusto mentre |L1〉|E0〉 �‡' |L1〉|E1〉 è
sostanzialmente sbagliato? Dipende tutto dalla dinamica di
interazione tra lingotto e ambiente. L'ambiente non è un
sofisticatissimo (e imho irrealizzabile) strumento in grado
di eseguire un esperimento di interferenza tra l'essere un
lingotto di piombo o d'oro come se fosse un fotone che passa
attraverso due fenditure. Non è ragionevole assumere che
l'ambiente si correli con |L1〉 (che è come dire che "misuri"
l'osservabile |L1〉〈L1|); è invece ragionevole assumere che si
correli con |Pb〉. Per le leggi fisiche è facile distinguere
un lingotto di piombo da uno d'oro; escogitare un setup
capace di distinguere tra |L1〉 e |L2〉 mi pare molto più
difficile, per non dire impossibile.
Quindi quando Zurek intreccia gli stati del detector e
dell'ambiente seguendo la base {�†`, �†"} sta facendo un'ipotesi
(ragionevole) sulla dinamica. Se invece avesse intrecciato
gli stati nella base {⊙, ⊗} la matrice sarebbe venuta fuori
completamente diversa.

> Piu’ avanti dice
> che il “puntatore” e’ una costante del movimento descritto dall’
> Hamiltoniana . Non molto chiaro per me).

Decoerenza e processo di misura sono sostanzialmente la
stessa cosa. La decoerenza prodotta non da un apparato di
misura ma direttamente dall'ambiente si comporta come una
specie di misura eseguita dall'ambiente, come se l'ambiente
fosse un grosso apparato che fa misure (prevalentemente di
posizione) e poi non informa nessuno del risultato.
Se misuri due volte consecutive la stessa osservabile,
ottieni lo stesso valore (a parte la sua eventuale evoluzione
nel tempo tra le due misure). Deriva dai postulati sulla
misura: alla prima misura il sistema collassa in un autostato
dell'osservabile, alla seconda misura non succede niente
perché è già in un autostato. Stessa cosa quando a "misurare"
e` l'ambiente.
Facendo il solito esempio del lingotto, potremmo dire che,
anche se non sappiamo scrivere l'hamiltoniana di interazione
lingotto-ambiente, possiamo essere ragionevolmente certi che
le osservabili |Pb〉〈Pb| e |Au〉〈Au| commutino con
l'hamiltoniana (infatti i lingotti di piombo non tendono a
diventare d'oro), mentre |L1〉〈L1| e |L2〉〈L2| non commutano.

> Quello che mi domando e se le collezioni di stati che si ottengono con
> la decoerenza (di cui il detector nella base scelta non possiede
> informazioni) possano costituire “set di informazioni distribuite
> nell’ ambiente” altresi’ chiamati MWI.

Per me sì, ovviamente, ma altri potrebbero non essere
d'accordo.

Ciao
Paolo Russo

Paolo Russo

unread,
Dec 23, 2017, 5:05:03 PM12/23/17
to
Rimando il papiro dopo aver convertito i caratteri strani in
roba piu' normale (non so perche', non sono riuscito a
rileggerlo neanch'io)... quindi a questo punto le citazioni
dal paper di Zurek non sono piu' proprio letterali.
in considerazione, tra gli infiniti stati |psi> in cui il
sistema può trovarsi, i seguenti tre (sì, lo so, psi
generalmente si usa per le fdo, ma lo usa anche Zurek):

sistema singolo
1) |psi> = |A>
2) |psi> = |B>
3) |psi> = |C> = (|A> + |B>)/sqrt(2)

Supponiamo di eseguire una misura che ci dica in che stato si
trova il sistema. In generale, la misura che un sistema in
stato |psi> si trovi in stato |s> si può fare misurando
l'osservabile S = |s><s|, i cui autovalori sono 0 e 1. Il
valore medio della misura è <psi|S|psi>, ossia
<psi|s><s|psi>.
Misuriamo se il sistema è nello stato |A>. Dato che <A|A> =
<B|B> = <C|C> = 1 per definizione, <A|B> = 0 per
ortogonalità, <A|C> = (<A|A> + <A|B>)/sqrt(2) = (1 +
0)/sqrt(2) = 1/sqrt(2), abbiamo, nei tre casi qui sopra:

sistema singolo, misura di |A>
1) <A|A><A|A> = 1
2) <B|A><A|B> = 0
3) <C|A><A|C> = 1/2

Fin qui, tutto banale. Ora, supponiamo di verificare che il
sistema sia nello stato |C> (potrebbe trattarsi di un
esperimento di interferenza). Le probabilità nei tre casi
sono rispettivamente:

sistema singolo, misura di |C>
1) <A|C><C|A> = 1/2
2) <B|C><C|B> = 1/2
3) <C|C><C|C> = 1

Fin qui, ancora tutto da manuale. Faccio notare in
particolare la probabilità = 1 nel caso 3), che indica che la
sovrapposizione degli stati |A> e |B> è ancora coerente.
Supponiamo adesso che prima della misura il sistema
interagisca con qualcos'altro, chiamiamolo genericamente
"secondo sistema", influenzandone lo stato in base al
proprio. Diciamo che il secondo sistema si trova inizialmente
nello stato |?>, ma in seguito all'interazione il suo stato
cambia in |X> se lo stato del primo sistema è |A>, in |Y>
altrimenti:

sistema doppio
1) |A>|?> => |A>|X>
2) |B>|?> => |B>|Y>
3) |C>|?> = ((|A> + |B>)/sqrt(2))|?> => (|A>|X> +
|B>|Y>)/sqrt(2)

Notate che una volta specificate la 1) e la 2), la 3) ne
deriva per linearità.
Notate inoltre che non ho detto nulla degli stati |?>, |X> e
|Y>; non è detto che |X> e |Y> siano ortogonali, potrebbe
essere addirittura |X> = |Y>; potrebbe perfino essere |?> =
|X> = |Y> (se non c'è stata interazione). Notate inoltre che
non ho previsto che l'interazione cambi lo stato del primo
sistema; può ben accadere, ma non ha molta importanza ai fini
del discorso anche se lo complicherebbe, quindi assumerò per
semplicità che lo stato del primo sistema non cambi.
Cosa succede ora se misuriamo nei soliti tre casi che il
primo sistema sia nello stato |A>?

sistema doppio, misura di |A>
1) <X|<A|A><A|A>|X> = <X|X> = 1
2) <Y|<B|A><A|B>|Y> = 0
3) ((<X|<A| + <Y|<B|)/sqrt(2))|A><A|(|A>|X> + |B>|Y>)/sqrt(2) =
= (<X|<A|A> + <Y|<B|A>)(<A|A>|X> + <A|B>|Y>)/2 =
= (<X|)(|X>)/2 = 1/2

Non sembra quindi che sia cambiato nulla rispetto al caso del
sistema singolo. La differenza compare se proviamo a
verificare che il primo sistema sia nello stato |C> = (|A> +
|B>)/sqrt(2):

sistema doppio, misura di |C>
1) <X|<A|C><C|A>|X> = <X|X>/2 = 1/2
2) <Y|<B|C><C|B>|Y> = <Y|Y>/2 = 1/2
3) ((<X|<A| + <Y|<B|)/sqrt(2))|C><C|(|A>|X> + |B>|Y>)/sqrt(2) =
= (<X|<A|C> + <Y|<B|C>)(<C|A>|X> + <C|B>|Y>)/2 =
= (<X|<A|C> + <Y|<B|C>)(<C|A>|X> + <C|B>|Y>)/2 =
= (<X| + <Y|)(|X> + |Y>)/4 =
= (<X|X> + <X|Y> + <Y|X> + <Y|Y>)/4 =
= (1 + <X|Y> + <Y|X> + 1)/4 =
= (2 + <X|Y> + <X|Y>^*)/4 =
= 1/2 + Re(<X|Y>)/2

L'ultimo risultato è quello importante. Vediamo due casi
limite.
Per |X> = |Y>: <X|Y> = 1, valore atteso = 1/2 + 1/2 = 1.
Questo è il valore che ci si aspetterebbe se il primo sistema
fosse (come infatti è) nello stato |C>.
Per |X> ortogonale a |Y>: <X|Y> = 0, valore atteso = 1/2.
Questo è il valore che ci si aspetterebbe se il primo sistema
fosse nello stato |A> o nello stato |B>: la coerenza della
sovrapposizione dei due stati nello stato |C> è quindi andata
distrutta.
Quando |X> e |Y> non sono ortogonali anche la loro fase
conta, ma nel seguito saranno perloppiù ortogonali.

Riassumo: la decoerenza tra gli stati nel primo sistema
avviene quando interagisce con un secondo sistema portandolo
in stati ortogonali intrecciati con quelli del primo sistema.
Se gli stati non sono ortogonali, la perdita di coerenza è
parziale ed in linea di massima (fase a parte) è tanto
maggiore quanto più gli stati sono prossimi all'ortogonalità.
Ma cos'è realmente la decoerenza? Davvero non è più possibile
rivelare se il primo sistema è nello stato |C>? Be', in
teoria si può. Basta modificare il processo di misura in modo
che non verifichi se il primo sistema è nello stato |C> =
(|A> + |B>)/sqrt(2) ma se il sistema composito è nello stato
(|A>|X> + |B>|Y>)/sqrt(2). Tale misura darebbe banalmente
atomo in un esperimento Stern-Gerlach). Le note tra parentesi
quadre sono mie.
____________________________________________________________

I shall reproduce his analysis [John von Neumann (1932)] for
the simplest case: a measurement on a two-state system S
(which can be thought of as an atom with spin 1/2) in which a
quantum two-state (one bit) detector records the result.
The Hilbert space Hs of the system is spanned by the
orthonormal states |up> and |down>, while the states |d_up>
and |d_down> span the Hd of the detector. A two-dimensional
Hd is the absolute minimum needed to record the possible
outcomes. One can devise a quantum detector (see Figure 1)
that “clicks” only when the spin is in the state |up>, that
is,

(2) |up> |d_down> => |up> |d_up> ,

and remains unperturbed otherwise (Zeh 1970, Wigner 1963,
Scully et al. 1989).
I shall assume that, before the interaction, the system was
in a pure state |psi_s> given by

(3) |psi_s> = alpha|up> + beta|down> ,

with the complex coefficients satisfying |alpha|^2 + |beta|^2
= 1. The composite system starts as

(4) |phi_i> = |psi_s>|d_down> .

Interaction results in the evolution of |phi_i> into a
correlated state |phi_c>:

(5) |phi_i> = (alpha|up> + beta|down>)|d_down> =>
=> alpha|up>|d_up> + beta|down>|d_down> = |phi_c> .

This essential and uncontroversial first stage of the
measurement process can be accomplished by means of a
Schrödinger equation with an appropriate interaction. It
might be tempting to halt the discussion of measurements with
Equation (5). After all, the correlated state vector |phi_c>
implies that, if the detector is seen in the state |d_up>,
the system is guaranteed to be found in the state |up>. Why
ask for anything more? The reason for dissatisfaction with
|phi_c> as a description of a completed measurement is simple
and fundamental: In the real world, even when we do not know
the outcome of a measurement, we do know the possible
alternatives, and we can safely act as if only one of those
alternatives has occurred. As we shall see in the next
section, such an assumption is not only unsafe but also
simply wrong for a system described by |phi_c> [non è vero,
ci torno dopo].
____________________________________________________________

Taglio la parte successiva che illustra come von Neumann
affronto` il problema, introducendo una matrice di densità
rho_c e poi un ipotetico "processo 1" che produrrebbe una
matrice ridotta rho_r senza più i termini diagonali.
____________________________________________________________

The key advantage of rho_r over rho_c is that its
coefficients may be interpreted as classical probabilities.
[...]
By contrast, it is impossible to interpret rho_c as
representing such “classical ignorance.” In particular, even
the set of the alternative outcomes is not decided by rho_c!
This circumstance can be illustrated in a dramatic fashion by
choosing alpha = -beta = 1/sqrt(2) so that the density matrix
rho_c is a projection operator constructed from the
correlated state

(8) |phi_c> = (|up>|d_up> - |down>|d_down>)/sqrt(2) .

This state is invariant under the rotations of the basis. For
instance, instead of the eigenstates of |up> and |down> of
sigma_z one can rewrite |phi_c> in terms of the eigenstates
of sigma_x:

(9a) |forward> = (|up> + |down>)/sqrt(2) ,

(9b) |backward> = (|up> - |down>)/sqrt(2) .

This representation immediately yields

(10) |phi_c> = - (|forward>|d_forward> -
- |backward>|d_backward>)/sqrt(2) ,

where

(11) |d_forward> = (|d_down> - |d_up>)/sqrt(2) and
|d_backward> = (|d_up> + |d_down>)/sqrt(2)

are, as a consequence of the superposition principle,
perfectly "legal" states in the Hilbert space of the quantum
detector. Therefore, the density matrix
rho_c = |phi_c><phi_c|
could have many (in fact, infinitely many) different states
of the subsystems on the diagonal.
This freedom to choose a basis should not come as a surprise.
Except for the notation, the state vector |phi_c> is the same
as the wave function of a pair of maximally correlated (or
entangled) spin-1/2 systems in David Bohm’s version (1951) of
the Einstein-Podolsky-Rosen (EPR) paradox (Einstein et al.
1935). And the experiments that show that such nonseparable
quantum correlations violate Bell’s
inequalities (Bell 1964) are demonstrating the following key
point: The states of the two spins in a system described by
|phi_c> are not just unknown, but rather they cannot exist
before the “real” measurement (Aspect et al. 1981, 1982). We
conclude that when a detector is quantum, a superposition of
records exists and is a record of a superposition of outcomes
[non è vero] - a very nonclassical state of affairs.
____________________________________________________________

E qui è dove Zurek commette un errore. Consideriamo le sue
equazioni (8) e (10):

(8) |phi_c> = (|up>|d_up> - |down>|d_down>)/sqrt(2) .

(10) |phi_c> = - (|forward>|d_forward> -
- |backward>|d_backward>)/sqrt(2) ,

*Sembrano* perfettamente simmetriche. Interpretando la (8) in
base alla MWI, avremmo due universi paralleli, uno in cui lo
spin è stato misurato come up, uno in cui è down. Per come è
scritta la (10), sembrerebbe avere lo stesso significato
fisico della (8); Zurek in sostanza sostiene che per la MWI
dovremmo allora avere due universi in cui sono stati ottenuti
forward e backward come esiti della misura e che quindi la
suddivisione in universi è arbitraria.
L'errore consiste nel dare ai simboli un significato che non
hanno. Mentre |backward> rappresenta il sistema (ad esempio
un atomo) nello stato backward, che è un vero stato di spin,
|d_backward> non è affatto lo stato di uno strumento che ha
misurato backward, come potrebbe sembrare dal simbolo
adottato; è banalmente, come da definizione (11), la
combinazione lineare di due stati, uno in cui lo strumento ha
misurato up, uno in cui ha misurato down:

(11) |d_backward> = (|d_up> + |d_down>)/sqrt(2)

E` una cosa completamente diversa. Per rendersene conto,
basta immaginare che il detector d comprenda non solo uno
strumento ma anche uno sperimentatore umano che guarda cosa
indica lo strumento, scrive una frase su un foglio di carta e
preme uno di due pulsanti che accendono luci di diversi
colori. Abbiamo tre possibilità:

a) scrive "ho misurato up" e accende la luce verde
b) scrive "ho misurato down" e accende la luce verde
c) scrive "non ho misurato né up né down, non capisco!" e
accende la luce rossa.

Se Zurek avesse ragione, nello pseudouniverso backward
dovremmo avere la situazione c, invece per la (11) abbiamo
una combinazione lineare di a e b. La scritta "non capisco!"
non compare da nessuna parte dello stato quantistico globale;
la luce verde si accende sempre; la rossa mai. Citando Zurek:
"In the real world, even when we do not know the outcome of a
measurement, we do know the possible alternatives, and we can
safely act as if only one of those alternatives has
occurred." E questo è esattamente quel che accade nella MWI:
non c'è proprio nessun universo con la scritta "non capisco!"
su quel foglio di carta e la luce rossa accesa.
E la questione della suddivisione in universi? Non è
arbitraria? Perché dovrebbero formarsi due universi up e down
e non due universi forward e backward? In realtà nella MWI
non "si formano" mai universi: esiste solo lo stato
quantistico universale, che noi esseri umani scomponiamo
idealmente in "universi" in base a criteri di buon senso.
Vediamola così: potremmo anche definire un universo backward
e dire che esiste. Il problema è che in questo pseudouniverso
non succede nulla che non stia succedendo negli universi up e
down, perché è solo una loro combinazione lineare. Magari
nell'universo up lo sperimentatore dopo aver scritto "ho
misurato up" esce a bere una birra, nell'universo down dopo
aver scritto "ho misurato down" va a mangiare una pizza, ma
nello pseudouniverso backward non fa altro che una
combinazione lineare delle due cose. In un certo senso, da un
certo punto di vista, si può sostenere che l'universo
backward esista; ma nello stesso senso, bisogna ammettere che
non contiene esseri senzienti che lo possano percepire
dall'interno, cosa che invece succede in up e down. In up lo
sperimentatore sa di stare bevendo una birra, in down di
stare mangiando una pizza, ma in backward non sa affatto di
stare alpha|bevendo una birra> + beta|mangiando una pizza>.
Se glielo si chiedesse, non potrebbe che rispondere alpha|sto
SOLO bevendo una birra!> + beta|sto SOLO mangiando una
pizza!>.
Pensare allo stato universale come composto dagli universi
forward e backward si può anche fare ma non serve a nulla.
Solo negli universi up e down i corsi degli eventi sono
indipendenti, pseudoclassici (almeno macroscopicamente) e
soprattutto internamente percepiti da osservatori senzienti;
la base secondo la quale si possa operare tale scomposizione
non è arbitraria, viene definita dalla dinamica (da come
funziona lo strumento di misura, se c'è, o l'interazione con
l'ambiente se non c'è: in generale, da come il sistema
quantistico in esame interagisce con qualcos'altro).
C'è poi un altro problemino, a mio avviso minore. La
rotazione di basi che Zurek esemplifica funziona bene su
un'espressione del tipo
(|up>|d_up> - |down>|d_down>)/sqrt(2),
i cui addendi sono prodotti tensoriali di al più due
sistemi, ma gli universi della MWI contengono non due ma
miliardi di sistemi i cui stati sono tutti intrecciati
assieme. Seguendo la logica di Zurek, se il detector d
interagisce con qualcos'altro, chiamiamolo A, e tentiamo di
cambiare base, abbiamo la seguente equazione:

(|up>|d_up>|A_up> - |down>|d_down>|A_down>)/sqrt(2) =
= - (|forward>|d_forward>|A_forward> -
- |backward>|d_backward>|A_backward>)/sqrt(2)

che mi risulta falsa per qualunque scelta di |d_forward>,
|d_backward>, |A_forward> e |A_backward> (sempre se non ho
cannato i calcoli), anche cambiando i segni - in +. E` sempre
possibile scegliere un'altra base, ma non mantenendo la
stessa forma.

Ma se Zurek non risolve il problema della base preferenziale
coinvolgendo l'osservatore come fa la MWI, come lo risolve?
Pretenderebbe di risolverlo con la decoerenza, coinvolgendo
l'ambiente anche quando non serve perché (dico io) la
decorenza è già avvenuta nell'apparato di misura:
____________________________________________________________

To illustrate the process of the environment-induced
decoherence, consider a system S, a detector D, and an
environment E. The environment is also a quantum system.
Following the first step of the measurement
process-establishment of a correlation as shown in Equation
(5)-the environment similarly interacts and becomes
correlated with the apparatus:

(13) |phi_c>|E_0> =
= (alpha|up>|d_up> + beta|down>|d_down>)|E_0> =>
=> alpha|up>|d_up>|E_up> + beta|down>|d_down>|E_down> =
= |psi> .

The final state of the combined SDE “von Neumann chain” of
correlated systems extends the correlation beyond the SD
pair. When the states of the environment |E_i> corresponding
to the states |d_up> and |d_down> of the detector are
orthogonal, <E_i|E_i′> = delta_ii′, the density matrix for
the detector-system combination is obtained by ignoring
(tracing over) the information in the uncontrolled (and
unknown) degrees of freedom

(14) rho_DS = TrE |psi><psi| = sum_i<E_i|psi><psi|E_i′> =
[nota: il precedente E_i′ dovrebbe essere E_i]
= |alpha|^2|up><up||d_up><d_up| +
+ |beta|^2|down><down||d_down><d_down| =
= rho_r .

The resulting rho_r is precisely the reduced density matrix
that von Neumann called for. Now, in contrast to the
situation described by Equations (9)-(11), a superposition of
the records of the detector states is no longer a record of a
superposition of the state of the system. A preferred basis
of the detector, sometimes called the “pointer basis” for
obvious reasons, has emerged [e qui sbaglia]. Moreover, we
have obtained it - or so it appears - without having to
appeal to von Neumann’s nonunitary process 1 or anything else
beyond the ordinary, unitary Schrödinger evolution. The
preferred basis of the detector - or for that matter, of any
open quantum system - is selected by the dynamics.
____________________________________________________________

Dicevo che qui Zurek sbaglia, o forse, più esattamente, dice
qualcosa di molto fuorviante. Intuitivamente c'era qualcosa
che non mi quadrava da qualche parte, ma dato che l'algebra
lineare non è il mio forte mi ci sono voluti giorni solo per
trovare il problema. La matematica in sé è corretta; è solo
la conclusione che non regge.
Zurek aveva scritto in precedenza, a proposito della matrice
di densità iniziale, senza decoerenza: "In particular, even
the set of the alternative outcomes is not decided by rho_c!
This circumstance can be illustrated in a dramatic fashion by
choosing alpha = -beta = 1/sqrt(2) [...] This state is
invariant under the rotations of the basis."
Bene. Lasciamo perdere un attimo il detector; consideriamo il
caso della particella "gatto di Schrödinger" la cui fdo ha
due picchi in posizioni diverse e che interagisce con
l'ambiente modellato da Zurek come un campo di oscillatori.
Zurek mostra che gradualmente, con il procedere
dell'interazione, la matrice di densità perde i termini non
diagonali. Se quindi indichiamo concisamente i due picchi a
sinistra e a destra (dopo l'interazione) rispettivamente come
|sinistra> e |destra>, la matrice ridotta risultante si può
scrivere come:

rho_r = (|sinistra><sinistra| + |destra><destra|)/2

Zurek sembra pensare che una matrice del genere, data la
perdita dei coefficienti di coerenza, identifichi i possibili
esiti sperimentali, indicando una base preferenziale, la base
{|sinistra>, |destra>}, ma non è così. Quella matrice di
densità può ben /derivare/ da una miscela statistica di stati
|sinistra> e |destra>, ma non /è/ quella miscela. Per
evidenziare la differenza, rappresentiamo la stessa matrice
nella base:

|ovunque> = (|sinistra> + |destra>)/sqrt(2)
|altrovunque> = (|sinistra> - |destra>)/sqrt(2)}

che è praticamente la stessa base usata da Zurek proprio per
sollevare il problema della base preferenziale:

(|sinistra><sinistra| + |destra><destra|)/2 =
= (((|ovunque> + |altrovunque>)/sqrt(2))((<ovunque| +
+ <altrovunque|)/sqrt(2)) +
+ ((|ovunque> - |altrovunque>)/sqrt(2))((<ovunque| -
- <altrovunque|)/sqrt(2)))/2 =
[cut vari passaggi]
= (|ovunque><ovunque| + |altrovunque><altrovunque|)/2

Ora la stessa matrice /sembra/ indicare una miscela di stati
del tutto diversa: entrambi gli stati sono ancora del tipo
"gatto di Schrödinger". Questo risultato non dovrebbe
sorprendere. Questo tipo di matrice di densità si ottiene per
esempio considerando due particelle a spin 1/2 nello stato di
singoletto, se si costruisce la matrice che rappresenta gli
esiti delle misure su una sola delle due particelle,
ignorando l'altra. E` ben noto che in questo caso non c'è una
direzione preferenziale: lungo qualunque direzione si misuri
lo spin, viene sempre fuori una miscela statistica 50%-50% di
versi opposti, ed è proprio questo che una matrice di densità
rappresenta: gli esiti prevedibili delle misure, non lo stato
reale del sistema.
Non è una coincidenza. L'altra particella è un caso
particolare di secondo sistema a stati intrecciati ortogonali
di cui parlavo prima, per cui la prima particella si può
considerare in una specie di decoerenza. Solo che questo non
|L> = |Pb> = (|L_1> + |L_2>)/sqrt(2)
|L_1> = (|Pb> + |Au>)/sqrt(2)
|L_2> = (|Pb> - |Au>)/sqrt(2)

dove |L_1> e |L_2> sono "lingatti di Schrödinger", che sono
sia d'oro che di piombo.
Poi sosteniamo che il sistema interagisca con l'ambiente,
portandolo in stati ortogonali associati:

|LE_0> = ((|L_1> + |L_2>)/sqrt(2))|E_0> => (|L_1>|E_1> +
|L_2>|E_2>)/sqrt(2) = |LE>

assumendo che |L_1>|E_0> => |L_1>|E_1>, |L_2>|E_0> =>
|L_2>|E_2>.
Poi tracciamo via l'ambiente e otteniamo la matrice ridotta
di densità:

rho_r = (|L_1><L_1| + |L_2><L_2|)/2

Poi la ruotiamo tornando alla base originaria:

rho_r = (|Pb><Pb| + |Au><Au|)/2

Abbiamo quindi p = 1/2 di trovare che il lingotto è d'oro. Ma
com'è successo?
L'errore sta nell'aver assunto che in seguito all'interazione
con l'ambiente il sistema risultante fosse fattorizzabile
(es. |L_1>|E_0> => |L_1>|E_1>). Chiaramente non è vero:

|Pb>|E_0> => |Pb>|E_Pb>
|Au>|E_0> => |Au>|E_Au>
|L_1>|E_0> = ((|Pb> + |Au>)/sqrt(2))|E_0> => => (|Pb>|E_Pb> +
|Au>|E_Au>)/sqrt(2) =/= |L_1>|E_1>

Quella somma in generale non è fattorizzabile come
|L_1>|E_1>. Però noterete che non ho dimostrato che sia
invece corretto scrivere |Pb>|E_Pb> e |Au>|E_Au>... essendo
sistemi macroscopici, è praticamente impossibile che sia
matematicamente corretto scriverlo. E` solo un modello.
Queste notazioni semplificate sono usabili, ma tenendo sempre
ben presenti le assunzioni e i limiti del modello.
Quindi perché ho scritto che |Pb>|E_0> => |Pb>|E_Pb> è
sostanzialmente giusto mentre |L_1>|E_0> => |L_1>|E_1> è
sostanzialmente sbagliato? Dipende tutto dalla dinamica di
interazione tra lingotto e ambiente. L'ambiente non è un
sofisticatissimo (e imho irrealizzabile) strumento in grado
di eseguire un esperimento di interferenza tra l'essere un
lingotto di piombo o d'oro come se fosse un fotone che passa
attraverso due fenditure. Non è ragionevole assumere che
l'ambiente si correli con |L_1> (che è come dire che "misuri"
l'osservabile |L_1><L_1|); è invece ragionevole assumere che
si correli con |Pb>. Per le leggi fisiche è facile
distinguere un lingotto di piombo da uno d'oro; escogitare un
setup capace di distinguere tra |L_1> e |L_2> mi pare molto
più difficile, per non dire impossibile.
Quindi quando Zurek intreccia gli stati del detector e
dell'ambiente seguendo la base {up, down} sta facendo
un'ipotesi (ragionevole) sulla dinamica. Se invece avesse
intrecciato gli stati nella base {forward, backward} la
matrice sarebbe venuta fuori completamente diversa.

> Piu’ avanti dice
> che il “puntatore” e’ una costante del movimento descritto dall’
> Hamiltoniana . Non molto chiaro per me).

Decoerenza e processo di misura sono sostanzialmente la
stessa cosa. La decoerenza prodotta non da un apparato di
misura ma direttamente dall'ambiente si comporta come una
specie di misura eseguita dall'ambiente, come se l'ambiente
fosse un grosso apparato che fa misure (prevalentemente di
posizione) e poi non informa nessuno del risultato.
Se misuri due volte consecutive la stessa osservabile,
ottieni lo stesso valore (a parte la sua eventuale evoluzione
nel tempo tra le due misure). Deriva dai postulati sulla
misura: alla prima misura il sistema collassa in un autostato
dell'osservabile, alla seconda misura non succede niente
perché è già in un autostato. Stessa cosa quando a "misurare"
e` l'ambiente.
Facendo il solito esempio del lingotto, potremmo dire che,
anche se non sappiamo scrivere l'hamiltoniana di interazione
lingotto-ambiente, possiamo essere ragionevolmente certi che
le osservabili |Pb><Pb| e |Au><Au| commutino con
l'hamiltoniana (infatti i lingotti di piombo non tendono a
diventare d'oro), mentre |L_1><L_1| e |L_2><L_2| non

Paolo Russo

unread,
Dec 23, 2017, 5:10:02 PM12/23/17
to
[Paolo Russo:]
> (2) |��`〉 |d��"〉 ��' |��`〉 |d��`〉 ,

Niente da fare, scusate, risulta illeggibile anche per me.
Strano, con it.test funzionava.
Sostituiro` tutti i simboli strani con qualcos'altro e lo
rimandero`.

Ciao
Paolo Russo

lino.z...@gmail.com

unread,
Jan 13, 2018, 12:10:03 PM1/13/18
to
Il giorno sabato 23 dicembre 2017 23:10:02 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:

Passate le feste........












Un lavoro veramente ponderoso, di cui per parte mia, ti ringrazio. In effetti, una oggettiva complessità di alcune parti unita alla mia limitata dimestichezza con "l' algebra dei ket" me ne rendono difficile una maggior comprensione. Vedremo se leggendo e rileggendo, quanto ne caverò fuori. Questo, giustamente, non è un problema tuo e come dice a volte, in maniera encomiabile JTS, altri potranno capire dove io non riesco. Colgo l' occasione per una breve digressione. Leggendo la documentazione che hai indicato sulla MWI (mi riferisco in particolare alla: "The Everett FAQ" di M.C. Price) viene forse chiarito l' uso di "interpretazione di una teoria" nel senso che con tale termine si indica la meta-teoria relativa. Mi spiego rapidamente, poi possiamo anche lasciar cadere questo argomento collaterale. A mio parere, esiste un "corpo" di dati sperimentali, dove si possono "inserire" anche tutte le procedure di preparazione, misura, etc (quest' ultima è una scelta definitoria). Molti chiamerebbero questo insieme di dati sperimentali "la realtà fisica oggettiva". Su un altro piano esiste una parte formale del tipo "zitto e calcola" che coerente internamente è consistente con il corpo dei dati sperimentali (almeno si spera). Su un piano ancora diverso dai due precedentemente indicati esistono delle diverse formalizzazioni (le meta-teorie) che hanno come oggetto la "teoria oggetto" (quella del "zitto e calcola"). Queste meta-teorie essendo comunque teorie (Copenaghen, MWI, variabili nascoste, GRW, diverse logiche quantistiche, etc) sono in competizione tra di loro e quindi possono anche subire gli effetti del Rasoio. Finisco qui anche se potrei dire altre cose al riguardo, ma ho l'impressione che questo argomento, peraltro collaterale, susciti poco interesse.

Quanto segue non può essere configurato come "discussione" data la mia scarsa competenza in merito, ma solo una richiesta di ulteriori chiarimenti o comunque una espressione di dubbi non organizzati in maniera lineare, che esprimo in diversi punti, anche in maniera dichiarativa.

a)Sono d' accordo con il considerare la suddivisione sistema quantico - apparato rivelatore - ambiente come strumentale e che ai fini che ci si propone ambiente e apparato sono la medesima cosa, non ha senso dividerli.


b)Mi parrebbe che l' interazione sistema-apparatoambiente sia l' unica cosa necessaria nel definire la misura quantistica, nel senso che troverei la presenza di un osservatore cosciente un paradigma antropocentrico degno di altri tempi. Fino a quanti boccali di birra si può ancora considerare cosciente un "osservatore cosciente standard"?

A mio parere l' osservatore (cosciente e/o artificiale) fa parte dell' ambiente parimenti all' apparato di rivelazione (c'è solo una parte suppletiva di elaborazione/registrazione dell' informazione originaria).
c)Vorrei ora esprimere qualche dubbio sul carattere "universale" e omnicomprensivo della MWI. Lo faccio in relazione a 2 sottoargomenti.













c1)Rispolverando le mie limitate conoscenze dell' algebra lineare per cercare di capire quanto più possibile della parte formale (compito per me assai arduo e senza garanzia di successo) ho soffermato l' attenzione su una proprietà formale dell' algebra dei "ket" che avendo la stessa struttura descrivente il comportamento di onde lineari derivate (dalla D' Alembert in generale, come pure dalle Maxwell, o più in particolare dalla Schrodinger). Tale proprietà è appunto la linearità che consente di avere sempre forme lineari come combinazione di altre forme lineari. Questa proprietà, mi sembra alla base del considerare tutte le diramazioni della f.o ancora come f.o lineari. Tutto quanto esiste nella MWI è rappresentato come lineare a livello "omnicomprensivo" e quindi universale. Questa posizione, se ho inteso bene, è in contradizione con forme non lineari persistenti (solitoni) che appaiono in ottica non linare, nei B.E.C., ma anche piu' prosaicamente nei canali, etc... Riguardo all' ottica non lineare e ai B.E.C. tali comportamenti sono formalizzati rispettivamente con eq. di Maxwell non lineari e eq. di Schrodinger non lineari che possono generare particolari entità non lineari chiamate solitoni (il termine non lineare deve essere in un preciso rapporto con il termine dispersivo per poter avere l' effetto solitonico). I solitoni hanno proprietà "bizzarre": non sommano le loro ampiezze quando interagiscono, ma cambiano solo di fase, si possono disperdere in solitoni più piccoli e "radiazione laterale", la loro velocità è funzione dell' ampiezza, etc.....Tutto ciò non formalizzabile con l' algebra dei ket così come la conosciamo (conosco), a meno di cambiare le regole. Tutto ciò mi induce a pensare a diramazioni della funzione d'onda, parzialmente con domini non conformi a quanto previsto da MWI (La MWI, nelle sue diramazioni, mi si rappresenterebbe come potenzialmente "piena di buchi").
c.2)Riprendo direttamente dalla FAQ:



La relazione termodinamica Planck-Boltzmann, S = k * log (W), conta i rami della funzione d'onda ad ogni scissione, al livello più basso e massimamente raffinato dell'albero delle molte storie di Gell-Mann Il livello inferiore o massimo diviso è costituito da microstati che possono essere contati dalla formula W = exp (S/k), dove S = entropia, k = Costante di Boltzmann (circa 10^(-23) Joule/Kelvin) e W = numero di mondi o macrostati.
Quindi un numero finito di "mondi" ed un numero finito di dimensioni dello spazio di Hilbert e quindi di vettori ortogonali.


Insieme le c1 e c2 prospettano (salvo i possibili arrosti che posso aver fatto) una MWI ben diversa da quella prospettata inizialmente da pubblicazioni divulgative e non (altro che una infinità di mondi paralleli, ma un numero finito, anche se grandissimo, di "mondi ortogonali", nel senso di Hilbert, con qualche problemino nei domini non lineari)

Purtroppo sono un testardo ingegnere curioso (o a piacere un "curioso ingegnere") che cerca sempre, se e quando possibile, una interpretazione il più possibile realista. (so che non va molto di moda).



Mi piacerebbe correlare, in un caso particolare, i vettori ortogonali dello spazio di Hilbert alle collezioni di stati ottenuti con la decoerenza (quindi dopo la misura) per ottenere una maggior "significativita'" in relazione al : dove si nascondono "tra di noi" queste benedette dimensioni parallele (o meglio ortogonali!) e perchè non possiamo vederle? (in termini di spazio delle fasi). Avrei qualche mezza idea, ma per oggi forse ho detto anche troppe stupidaggini. C'è un limite (come diceva il matematico e ingegnere francese Cauchy).

Lino

Paolo Russo

unread,
Jan 19, 2018, 11:20:02 AM1/19/18
to
[lino.z...@gmail.com:]
> ho
> l'impressione che questo argomento, peraltro collaterale, susciti poco
> interesse.

Forse un po' perche' molti lo considerano piu' filosofia che
fisica e un po' perche' se ne e` gia` discusso in passato.

> b)Mi parrebbe che l' interazione sistema-apparatoambiente sia l' unica
> cosa necessaria nel definire la misura quantistica, nel senso che
> troverei la presenza di un osservatore cosciente un paradigma
> antropocentrico degno di altri tempi. Fino a quanti boccali di birra
> si può ancora considerare cosciente un "osservatore cosciente
> standard"?

Sono completamente d'accordo a meta`. :-)
OK per il fatto che la coscienza in se' non debba avere un
ruolo (che gli viene attribuito da qualche
sotto-interpretazione dell'interpretazione di Copenaghen, del
tipo "e` la coscienza a creare la realta`"), ma da un altro
punto di vista, a volte non si puo` proprio prescindere dal
coinvolgere l'osservatore, se il fatto che sia un sistema
fisico reale soggetto alle leggi fisiche (anziche' una mera
astrazione lasciata nel vago) ha effetto su cosa realmente
percepisce direttamente e indirettamente. In senso molto
lato, la scienza in generale dovrebbe spiegare la realta`
cosi' come viene percepita (e potremmo distinguere tra
realta` soggettiva, intersoggettiva e oggettiva, ma teniamoci
sul semplice).
Ci sono teorie, come quella della relativita`, che proprio
non funzionano se non si tiene conto che gli osservatori sono
soggetti alle stesse leggi fisiche di tutto il resto.
L'orologio a bordo di un'astronave in moto in un dato
riferimento O risulta rallentato, e la spiegazione che in
quel riferimento O ci si da` del fatto che il pilota
dell'astronave non se ne accorga e` che i processi interni
del pilota rallentano come quelli dell'orologio.
Nel caso in oggetto, se qualcuno chiede "ma se la MQ vale a
tutti i livelli, perche' non vediamo mai un gatto di
Schroedinger sia vivo che morto?", la risposta della MWI e`
che se l'osservatore e` soggetto alle leggi della MQ come
tutto il resto NON PUO` percepire quel gatto come sia vivo
che morto. Anche qui, come nel caso della relativita`, non ha
importanza che l'osservatore sia cosciente (puo` anche essere
solo uno strumento automatizzato), ha importanza cosa "vede",
cioe` cosa puo` misurare come sistema fisico che interagisce
con il resto. Non a caso, il lavoro originario di Everett si
intitolava "Relative State" Formulation of Quantum Mechanics,
intendendo che lo stato osservabile di un sistema e` relativo
a quello dell'osservatore.

> c1)Rispolverando le mie limitate conoscenze dell' algebra lineare per
> cercare di capire quanto più possibile della parte formale (compito
> per me assai arduo e senza garanzia di successo) ho soffermato l'
> attenzione su una proprietà formale dell' algebra dei "ket" che
> avendo la stessa struttura descrivente il comportamento di onde
> lineari derivate (dalla D' Alembert in generale, come pure dalle
> Maxwell, o più in particolare dalla Schrodinger). Tale proprietà è
> appunto la linearità che consente di avere sempre forme lineari come
> combinazione di altre forme lineari. Questa proprietà, mi sembra alla
> base del considerare tutte le diramazioni della f.o ancora come f.o
> lineari. Tutto quanto esiste nella MWI è rappresentato come lineare a
> livello "omnicomprensivo" e quindi universale. Questa posizione, se ho
> inteso bene, è in contradizione con forme non lineari persistenti
> (solitoni) che appaiono in ottica non linare, nei B.E.C., ma anche
> piu' prosaicamente nei canali, etc...

Parli di cose che non conosco, ma cosi' a naso credo che la
tua obiezione non si applichi. La MWI eredita la linearita`
dalla MQ; l'unica non-linearita` nella MQ, che la MWI
elimina, sta nel processo di misura. Ora, dato che i fenomeni
che descrivi se non ho capito male sono non lineari gia`
prima di misurarne gli effetti, direi che tra MQ e MWI non
dovrebbe esserci differenza da questo punto di vista. Se i
fenomeni di cui parli contraddicessero la MQ, credo che
qualcuno se ne sarebbe gia` accorto.
Non e` che per la MQ tutto debba sempre essere lineare in
funzione di qualsiasi parametro; deve solo essere lineare in
funzione dei ket. Se |A> rappresenta lo stato di un fascio di
luce, un fascio di intensita` doppia non e` 2|A> (che non
sarebbe neppure normalizzato), e` proprio uno stato |B>
diverso, caratterizzato da un numero doppio di fotoni, non da
una probabilita` quadrupla di trovare nel fascio gli stessi
fotoni di prima.
Poi niente impedisce di descrivere quei fenomeni con
equazioni non lineari, ma che a questo punto non credo
maneggino direttamente stati quantistici. Ma come ho detto,
qui vado a naso su cose di cui non so nulla.

> La relazione termodinamica Planck-Boltzmann, S = k * log (W), conta i
> rami della funzione d'onda ad ogni scissione, al livello più basso e
> massimamente raffinato dell'albero delle molte storie di Gell-Mann Il
> livello inferiore o massimo diviso è costituito da microstati che
> possono essere contati dalla formula W = exp (S/k), dove S = entropia,
> k = Costante di Boltzmann (circa 10^(-23) Joule/Kelvin) e W = numero
> di mondi o macrostati. Quindi un numero finito di "mondi" ed un numero
> finito di dimensioni dello spazio di Hilbert e quindi di vettori
> ortogonali.

Il numero esatto non e` ben definito, dipende dal criterio
con cui definisci i "mondi". Ad esempio, dipende dalla soglia
di irreversibilita` che vuoi adottare. Suppongo che con
definizioni differenti il numero potrebbe anche essere
infinito. La cosa mi lascia abbastanza indifferente. Mi
interessa piu' il quadro della realta` in se' che le parole
con cui vogliamo descriverlo.

> Mi piacerebbe correlare, in un caso particolare, i vettori ortogonali
> dello spazio di Hilbert alle collezioni di stati ottenuti con la
> decoerenza (quindi dopo la misura) per ottenere una maggior
> "significativita'" in relazione al : dove si nascondono "tra di noi"
> queste benedette dimensioni parallele (o meglio ortogonali!) e perchè
> non possiamo vederle? (in termini di spazio delle fasi).

Perche' siamo soggetti anche noi alla MQ, che ce lo
impedisce.

Ciao
Paolo Russo

JTS

unread,
Jan 21, 2018, 2:06:03 PM1/21/18
to
Grazie per le lodi (nella parte che non ho quotato) e adesso io ti
critico ;-)

Nel testo sopra quotato fai confusione IMHO fra elementi di uno spazio e
soluzioni di un'equazione.

I ket sono elementi dello spazio di Hilbert. Un ket descrive (sempre) un
possibile stato di un sistema quantistico. Un ket e la sua evoluzione
(secondo l'equazione di Schroedinger) descrive uno stato di un sistema
quantistico e la sua evoluzione.

La somma di due stati, ognuno con la sua evoluzione, da' uno stato con
la sua evoluzione, perche' l'eq. di Schroedinger e' lineare.

Se la descrizione degli stati si facesse sempre con lo spazio di Hilbert
(quindi fossero sempre ket) ma l'equazione di evoluzione non fosse
lineare, allora la somma di soluzioni non sarebbe soluzione.

Quindi la linearita' non e' nei ket - o meglio non e' solo nei ket. E'
nei ket per la seguente parte: la somma di due ket e' ancora un ket;
ovvero la somma (normalizzata) di due stati possibili e' uno stato
possibile. Ma per sapere che la somma di due soluzioni e' soluzione mi
serve la linearita' dell'equazione.

Se hai voglia potresti dare un'occhiata all'equazione di Gross-Pitaevski
(io la conosco per sentito dire :-) ) in cui ci sono i ket ma non c'e'
la linearita'.

Questa ti da' anche un'idea di quale sia la risposta alla tua domanda
sui solitoni (equazioni di base lineari, comportamento del sistema
non-lineare): lo spazio degli stati del sistema quantistico non e' lo
spazio in cui rappresentiamo il solitone. Se hai la pazienza di
districarti nella derivazione dell'eq. di Gross-Pitaevski (io non la ho
mai avuta, la ho vista una volt ad un seminario e non ricordo nulla)
dovresti vedere come la funzione d'onda totale del sistema di N
particelle (quella vera) soddisfi un'equazione lineare mentre la
funzione d'onda di particella singola (quella approssimata) soddisfi
un'equazione non-lineare.

Le stesse considerazioni valgono per i solitoni dei sistemi classici: lo
spazio degli stati del sistema quantistico che e' "alla base" del
sistema classico non e' lo spazio in cui vedi i solitoni.

lino.z...@gmail.com

unread,
Jan 23, 2018, 5:25:03 PM1/23/18
to
Il giorno venerdì 19 gennaio 2018 17:20:02 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
> [lino.z...@gmail.com:]

> > b)Mi parrebbe che l' interazione sistema-apparatoambiente sia l' unica
> > cosa necessaria nel definire la misura quantistica, nel senso che
> > troverei la presenza di un osservatore cosciente un paradigma
> > antropocentrico degno di altri tempi. Fino a quanti boccali di birra
> > si può ancora considerare cosciente un "osservatore cosciente
> > standard"?
>
> Sono completamente d'accordo a meta`. :-)
> OK per il fatto che la coscienza in se' non debba avere un
> ruolo (che gli viene attribuito da qualche
> sotto-interpretazione dell'interpretazione di Copenaghen, del
> tipo "e` la coscienza a creare la realta`"), ma da un altro
> punto di vista, a volte non si puo` proprio prescindere dal
> coinvolgere l'osservatore, se il fatto che sia un sistema
> fisico reale soggetto alle leggi fisiche (anziche' una mera
> astrazione lasciata nel vago) ha effetto su cosa realmente
> percepisce direttamente e indirettamente. In senso molto
> lato, la scienza in generale dovrebbe spiegare la realta`
> cosi' come viene percepita (e potremmo distinguere tra
> realta` soggettiva, intersoggettiva e oggettiva, ma teniamoci
> sul semplice).

Si, in effetti il mio intervento teso a non condividere interpretazioni
alla Wigner era "sbilanciato" nel senso che hai scritto.
Condivido che comunque il minimo logico, parlando di misure sia presupporre,
ovviamente, osservatore ed osservato e quindi prendere in considerazione il
"punto di vista dell' osservatore" che piu' precisamente (per quanto a me possibile) definisco come "sistema di riferimento solidale ad un osservatore

naturale o artificiale opportunamente strumentato che esegue misure, registra ed elabora". Si potrebbe dettagliare ulteriormente, perché tale definizione necessiterebbe di una descrizione in termini di requisiti minimi, ma non intendo proseguire su questa strada.


>
> > Mi piacerebbe correlare, in un caso particolare, i vettori ortogonali
> > dello spazio di Hilbert alle collezioni di stati ottenuti con la
> > decoerenza (quindi dopo la misura) per ottenere una maggior
> > "significativita'" in relazione al : dove si nascondono "tra di noi"
> > queste benedette dimensioni parallele (o meglio ortogonali!) e perchè
> > non possiamo vederle? (in termini di spazio delle fasi).
>
> Perche' siamo soggetti anche noi alla MQ, che ce lo
> impedisce.

Questo si, ma cercavo una esplicitazione maggiore nel senso che avevo
citato. Non so se è possibile e qualche idea che ho deve, eventualmente,
maturare e decantare prima di essere espressa con un minimo di plausibilità.

> Ciao
> Paolo Russo

Ciao
Lino

lino.z...@gmail.com

unread,
Jan 26, 2018, 4:10:02 PM1/26/18
to
Il giorno domenica 21 gennaio 2018 20:06:03 UTC+1, JTS ha scritto:
> Grazie per le lodi (nella parte che non ho quotato) e adesso io ti
> critico ;-)



Perbacco Leybniz redivivo! Scusa ma ricordavo una vecchia discussione estiva, ormai defunta, di cui nonostante alcune diversità di opinione, ho apprezzato la puntualizzazione sugli argomenti e la moderazione dei toni. Le critiche sono benvenute se poste in maniera argomentata, possibilmente comprensiva e con toni civili (cosa che tu ed altri avete finora fatto).


> Nel testo sopra quotato fai confusione IMHO fra elementi di uno spazio e
> soluzioni di un'equazione.
>
> I ket sono elementi dello spazio di Hilbert. Un ket descrive (sempre) un
> possibile stato di un sistema quantistico. Un ket e la sua evoluzione
> (secondo l'equazione di Schroedinger) descrive uno stato di un sistema
> quantistico e la sua evoluzione.

Ok,ok sono d'accordo sulla esposizione "dogmatica".





Da quel che affermi mi rendo conto che ho inavvertitamente confuso lo spazio di Hilbert dove sono definiti i ket e lo spazio reale dove sono descritti i solitoni. Un errore, col senno di poi, banale e degno di un principiante quale sono in questi argomenti. Oppure no! Perchè mi rimane il dubbio di una possibile interpretazione realista alla de Broglie-Bohm. Lo so che non è più in auge ma non ho mai capito precisamente il perchè (ignoranza mia). In effetti non mi sento ancora legato definitivamente ad una delle "interpretazioni" della M.Q. (da cui il mio attuale interesse per la M.W.I. "rispiegata"). La doppia soluzione di de Broglie ottemperava contemporaneamente alle richieste probabilistiche, considerando la psi^2 (lasciami non definire meglio) e con c*psi (c = opportuna costante) ad un elemento di realtà.
>
> Questa ti da' anche un'idea di quale sia la risposta alla tua domanda
> sui solitoni (equazioni di base lineari, comportamento del sistema
> non-lineare): lo spazio degli stati del sistema quantistico non e' lo
> spazio in cui rappresentiamo il solitone. Se hai la pazienza di
> districarti nella derivazione dell'eq. di Gross-Pitaevski (io non la ho
> mai avuta, la ho vista una volt ad un seminario e non ricordo nulla)
> dovresti vedere come la funzione d'onda totale del sistema di N
> particelle (quella vera) soddisfi un'equazione lineare mentre la
> funzione d'onda di particella singola (quella approssimata) soddisfi
> un'equazione non-lineare.





L' equazione di Gross-Pitaevskii (GPE), per quello che ho letto, mi appare come una forma non lineare che e' realizzata da equazioni differenziali non lineari "Schrodinger-like" (N.L.S). Si possono considerare situazioni a molte particelle interagenti (Rif.A) : https://arxiv.org/pdf/cond-mat/0007117 (eq. 1a e 1b) , o (come limite) ad una particella dove, ovviamente il termine di interazione si annulla (Rif. B) : china.iopscience.iop.org/article/10.1088/1674-1056/.../040203 (soluzione della generica eq. 1 in eq. 20 ). Tale soluzione "ad un solitone" della NSL relativa è non lineare, vuoi dire che la soluzione non rappresenta una f.o. e quindi non rappresenta uno stato quantico? Sinceramente ho le idee un po' confuse.







Sarei curioso di sapere se esistono esperimenti riconducibili al paradigma della "doppia fenditura" con solitoni nei B.E.C. Per quel che posso intuire probabilmente si dovrebbero avere fenomeni di interferenza simili al caso degli elettroni (visibile maggiormente su grandi numeri), visto che singolarmente i solitoni non interagiscono come "onde classiche". A questo punto mi chiedo se i solitoni, che sono comunque onde particolari e permanenti, comportandosi come particelle (leggi: elettroni, per semplificare) non possono avallare l' ipotesi di considerare un elettrone in termini ondulatori. Nel senso di struttura ondulatoria (non sto dicendo che dovrebbero essere solitoni !!), non in termini di onda associata o complementare. De-Broglie ha sempre pensato all' elettrone come un sistema oscillante, o meglio (come afferma lui): " un piccolo orologio di frequenza propria f0" , con : Me*c^2 = h*f0. Non proseguo nella trattazione e precisazioni di de Broglie.

Una mole gigantesca di dubbi mi assale, ma molto probabilmente ciò è dovuto al fatto che mi sono proditoriamente avventurato al di fuori delle "colonne d' Ercole" col mio fragile vascello da principiante. (Continua a bastonarmi...... Piano)

Lino

JTS

unread,
Jan 26, 2018, 6:54:02 PM1/26/18
to
Am 26.01.2018 um 12:13 schrieb lino.z...@gmail.com:

>
>
>
>
> Da quel che affermi mi rendo conto che ho inavvertitamente confuso lo spazio di Hilbert dove sono definiti i ket e lo spazio reale dove sono descritti i solitoni. Un errore, col senno di poi, banale e degno di un principiante quale sono in questi argomenti. Oppure no! Perchè mi rimane il dubbio di una possibile interpretazione realista alla de Broglie-Bohm. Lo so che non è più in auge ma non ho mai capito precisamente il perchè (ignoranza mia). In effetti non mi sento ancora legato definitivamente ad una delle "interpretazioni" della M.Q. (da cui il mio attuale interesse per la M.W.I. "rispiegata"). La doppia soluzione di de Broglie ottemperava contemporaneamente alle richieste probabilistiche, considerando la psi^2 (lasciami non definire meglio) e con c*psi (c = opportuna costante) ad un elemento di realtà.

Pure senza conoscerla, mi aspetto che la teoria di Bohm non influenzi il
ragionamento: da' le stesse predizioni della meccanica quantistica
ordinaria.

>
> L' equazione di Gross-Pitaevskii (GPE), per quello che ho letto, mi appare come una forma non lineare che e' realizzata da equazioni differenziali non lineari "Schrodinger-like" (N.L.S). Si possono considerare situazioni a molte particelle interagenti (Rif.A) : https://arxiv.org/pdf/cond-mat/0007117 (eq. 1a e 1b) , o (come limite) ad una particella dove, ovviamente il termine di interazione si annulla (Rif. B) : china.iopscience.iop.org/article/10.1088/1674-1056/.../040203 (soluzione della generica eq. 1 in eq. 20 ). Tale soluzione "ad un solitone" della NSL relativa è non lineare, vuoi dire che la soluzione non rappresenta una f.o. e quindi non rappresenta uno stato quantico? Sinceramente ho le idee un po' confuse.
>


Di questo conosco la definizione, e la conseguenza che ho detto
(l'equazione per gli stati di singola particella puo' essere non-lineare).

La definizione e' che lo stato di singola particella descrive una
singola particella :-) e il sistema quantistico formato da molte
particelle e' descritto da un elemento del prodotto tensoriale degli
spazi di singola particella (uno spazio per ogni particella). In questo
spazio prodotto tensoriale poi vale una regola di simmetria per gli
stati possibili.

Mi rendo conto che e' un po' confusa e potresti ancora chiederti "ma
cos'e' lo stato a singola particella"? Se la spiegazione non ti e'
sufficiente posso provare a pensarci un po' su o forse puo' intervenire
qualche altro postatore che ha i concetti piu' chiari di quanto li abbia io.

Detto questo, per chiarirti le idee forse potresti provare a considerare
casi piu' semplici, io non lo ho mai studiato seriamente ma mi aspetto
che il metodo di Hartree per i sistemi a molte particelle ti dia un'idea
migliore di cosa succede. Gli ho dato un'occhiata adesso, il termine
nonlineare c'e'.

Forse puoi formarti un'idea intuitiva ragionando cosi'. Supponi di avere
l'atomo di elio, e ipotizza che i due elettroni siano nello stesso stato
quantistico (di singola particella ;-) ); il nucleo lo prendiamo come
potenziale esterno, fissato. Consideriamo uno dei due elettroni e
lasciamo da parte la simmetria della funz. d'onda complessiva, che non
mi aspetto influenzi questo ragionamento; questo elettrone e' soggetto
al potenziale del nucleo e al potenziale dell'altro elettrone.

Ora fingiamo che l'equazione per uno dei due elettroni sia l'equazione
di Schroedinger con il potenziale che ho descritto nel paragrafo
precedente. Abbiamo ipotizzato che due elettroni siano nello stesso
stato: quindi, nell'equazione della particella singola il potenziale che
descrive l'interazione con l'altro elettrone contiene la stessa funzione
per cui scrivo l'equazione. In questo potenziale la funzione d'onda
compare con il modulo quadro (densita' di carica) e quindi l'equazione
e' non-lineare.

Questo che ho scritto potrebbe contenere errori ed ha un brutto difetto:
non fa vedere come dall'equazione per il sistema a molte particelle
derivo quella per la particella singola. Non mi soddisfa. Mi aspetto
pero' che l'idea che nell'equazione d'onda per la particella singola
compaiano potenziali che contengono la funzione stessa sia valida.

>
> Sarei curioso di sapere se esistono esperimenti riconducibili al paradigma della "doppia fenditura" con solitoni nei B.E.C. Per quel che posso intuire probabilmente si dovrebbero avere fenomeni di interferenza simili al caso degli elettroni (visibile maggiormente su grandi numeri), visto che singolarmente i solitoni non interagiscono come "onde classiche". A questo punto mi chiedo se i solitoni, che sono comunque onde particolari e permanenti, comportandosi come particelle (leggi: elettroni, per semplificare) non possono avallare l' ipotesi di considerare un elettrone in termini ondulatori. Nel senso di struttura ondulatoria (non sto dicendo che dovrebbero essere solitoni !!), non in termini di onda associata o complementare. De-Broglie ha sempre pensato all' elettrone come un sistema oscillante, o meglio (come afferma lui): " un piccolo orologio di frequenza propria f0" , con : Me*c^2 = h*f0. Non proseguo nella trattazione e precisazioni di de Broglie.
>

Mi sembra che tu riesca a manipolare il formalismo in maniera
sufficiente per districarti nelle complicazioni matematiche. IMHO
dovresti avere la pazienza di costruire le cose partendo dalle basi.
Questo dovrebbe darti la capacita' di evitare il caos concettuale
(secondo me nel tuo ultimo paragrafo il caos concettuale c'e', il
paragrafo lo ho letto, non mi sono sforzato di capirlo).
Una buona idea potrebbe essere studiare il metodo di Hartree (e di
Hartree-Fock se hai il tempo e l'energia), cosi' ti fai un'idea su come
si risolve l'equazione di Schroedinger per un sistema di molte
particelle (e come da un'equazione lineare "vengono fuori" effetti
nonlineari). Potresti anche solo vedere i dettagli del calcolo
nell'atomo di elio, senza la soluzione (puo' darsi che ci sia qualche
approssimazione analitica buona per trovarla, non lo so).

E dopo questo, tornare su cose che ti interessano di piu'.




lino.z...@gmail.com

unread,
Jan 28, 2018, 4:05:02 AM1/28/18
to
Il giorno venerdì 26 gennaio 2018 22:10:02 UTC+1, lino.z...@gmail.com ha scritto:

ERRATA CORRIGE (un po' in ritardo)

(Rif. B) : china.iopscience.iop.org/article/10.1088/1674-1056/.../040203 (soluzione della generica eq. 1 in eq. 20 ).

La 20 citata e' una funzione in quanto soluzione della 1 che è una eq. differenziale.

Lino

lino.z...@gmail.com

unread,
Jan 28, 2018, 4:15:02 AM1/28/18
to
Il giorno sabato 27 gennaio 2018 00:54:02 UTC+1, JTS ha scritto:


>> Perché mi rimane il dubbio di una possibile interpretazione realista alla de >> Broglie-Bohm. Lo so che non è più in auge ma non ho mai capito precisamente >> il perchè (ignoranza mia). In effetti non mi sento ancora legato
>> definitivamente ad una delle "interpretazioni" della M.Q. (da cui il mio
>> attuale interesse per la M.W.I. "rispiegata"). La doppia soluzione di de
>> Broglie ottemperava contemporaneamente alle richieste probabilistiche,
>> considerando la psi^2 (lasciami non definire meglio) e con c*psi (c =
>> opportuna costante) ad un elemento di realtà.
>
> Pure senza conoscerla, mi aspetto che la teoria di Bohm non influenzi il
> ragionamento: da' le stesse predizioni della meccanica quantistica
> ordinaria.

Assolutamente si. Si passa sempre attraverso la psi^2 con tutto quello che


"si tira dietro" dal punto di vista formale. Quello che cambia è la interpretazione della psi (o c*psi), che nella fattispecie è considerata come elemento di realtà. Cercavo solo qualcuno che mi spiegasse perché tale interpretazione non è più considerata valida, visto i vantaggi esplicativi che comporterebbe :)


> Una buona idea potrebbe essere studiare il metodo di Hartree (e di
> Hartree-Fock se hai il tempo e l'energia), cosi' ti fai un'idea su come
> si risolve l'equazione di Schroedinger per un sistema di molte
> particelle (e come da un'equazione lineare "vengono fuori" effetti
> nonlineari).

Ho trovato: www2.pv.infn.it/~boffi/a10-b.pdf

dalle prime pagine mi sembra un approccio masticabile e che procede per gradi.

Lino

P.S. può darsi che ho fatto qualche pasticcio con l'impaginazione

JTS

unread,
Jan 29, 2018, 5:12:02 PM1/29/18
to
Am 27.01.2018 um 11:51 schrieb lino.z...@gmail.com:

>
>
>> Una buona idea potrebbe essere studiare il metodo di Hartree (e di
>> Hartree-Fock se hai il tempo e l'energia), cosi' ti fai un'idea su come
>> si risolve l'equazione di Schroedinger per un sistema di molte
>> particelle (e come da un'equazione lineare "vengono fuori" effetti
>> nonlineari).
>
> Ho trovato: www2.pv.infn.it/~boffi/a10-b.pdf
>
> dalle prime pagine mi sembra un approccio masticabile e che procede per gradi.
>


Prova a dare un'occhiata a questo che e' piu' snello.

http://users.auth.gr/tgaitano/TheoNucPhys/hartfock.pdf

Se hai la possibilita' di visitare qualche biblioteca:

Slater, Teoria quantistica della materia

(non piu' in commercio vedo)

Wakinian Tanka

unread,
Jan 31, 2018, 7:00:02 PM1/31/18
to
Il giorno lunedì 29 gennaio 2018 23:12:02 UTC+1, JTS ha scritto:
>...
> Prova a dare un'occhiata a questo che e' piu' snello.
> http://users.auth.gr/tgaitano/TheoNucPhys/hartfock.pdf

Non ho afferrato come definisce la derivata funzionale (prima formula scritta), ovvero come definisce delta|psi>.

--
Wakinian Tanka

JTS

unread,
Feb 1, 2018, 6:00:03 AM2/1/18
to
Mi pare che non la definisca; il fatto che la derivata funzionale si
comporta come una derivata "normale" per moltiplicazione per una
costante (ragionevole).

C'e' una cosa che non capisco nella derivazione, cioe' perche' si puo'
applicare la variazione solo al bra. Magari inizio un thread a parte.

JTS

unread,
Feb 1, 2018, 6:24:03 AM2/1/18
to
Am 01.02.2018 um 11:57 schrieb JTS:

>
>
> Mi pare che non la definisca;  il fatto che la derivata funzionale si
> comporta come una derivata "normale" per moltiplicazione per una
> costante (ragionevole).
>


Correzione: "usa il fatto che la derivata funzionale si comporta come

Giorgio Pastore

unread,
Feb 2, 2018, 5:45:02 PM2/2/18
to
Il 01/02/18 11:57, JTS ha scritto:
....
> C'e' una cosa che non capisco nella derivazione, cioe' perche' si puo'
> applicare la variazione solo al bra. Magari inizio un thread a parte.

Lascia perdere bra e ket e fai riferimento al funzionale come funzione
di phi e phi*. La variazione (viene scritto esplicitamente) è fatta su
phi* e non su phi. Tutto qui.

Se la cosa lasciasse perplessi, occorre tenr conto del fatto che un
funzionale di una funzione complessa e' di fatto funzione di due
funzioni reali indipendenti (la parte reale e quella immaginaria).
Equivalentemente puoi considerare indipendenti phi e phi*, vista la
relazione lineare tra le due coppie di funzioni

Giorgio

Wakinian Tanka

unread,
Feb 2, 2018, 5:45:02 PM2/2/18
to
Il giorno giovedì 1 febbraio 2018 01:00:02 UTC+1, Wakinian Tanka ha scritto:
> Il giorno lunedì 29 gennaio 2018 23:12:02 UTC+1, JTS ha scritto:
> >...
> > http://users.auth.gr/tgaitano/TheoNucPhys/hartfock.pdf
>
> Non ho afferrato come definisce la derivata funzionale (prima formula
> scritta), ovvero come definisce delta|psi>.

Trovato.
La definisce qui:
http://users.auth.gr/tgaitano/TheoNucPhys/ghf_monog_appx_C.pdf

--
Wakinian Tanka

lino.z...@gmail.com

unread,
Feb 2, 2018, 5:45:02 PM2/2/18
to
Il giorno giovedì 1 febbraio 2018 01:00:02 UTC+1, Wakinian Tanka ha scritto:
dJ/df(x) = derivata funzionale di J rispetto a f(x) in x
(1) dJ = Int[(dJ/df(x))*df(x)*dx]
basta moltiplicare e dividere per df(x)
f(x)= Psi; d/dPsi si ricava (implicitamente) dalla(1)
In pratica puoi immaginare di usare una funzione come se fosse una variabile.
nel caso in esame la funzione è la funzione d' onda

Lino

Elio Fabri

unread,
Feb 7, 2018, 11:55:02 AM2/7/18
to
Paolo Russo ha scritto:
> Forse un po' perche' molti lo considerano piu' filosofia che
> fisica e un po' perche' se ne e` gia` discusso in passato.
La mia spiegazione (per mia intendo del tutto personale) è diversa.
In parte già te la indica il ritardo con cui intervengo.
Detto in soldoni, ho poca fiducia in queste discussioni, anche perché
si prestano a interventi di persone che non hanno la minima
preparazione a mio giudizio necessaria per condurle in modo sensato.
E anche quel poco che ho letto, scritto da fisici autorevoli,
raramente mi ha dato un'impressione favorevole: spesso mi sono apparsi
discorsi al limite del ragionevole, confusi, difficilmente
comprensibili.
Ripeto che questa è una mia personalissima sensazione, che non può
servire a teorizzare pià in generale.
Comunque ora intervengo per contraddire, su alcuni puti specifici, ciò
che scrivi.

> In senso molto lato, la scienza in generale dovrebbe spiegare la
> realta` cosi' come viene percepita (e potremmo distinguere tra realta`
> soggettiva, intersoggettiva e oggettiva, ma teniamoci sul semplice).
A mio parere la scienza (soprattutto la fisica) ormai da secoli ha
deciso di affidare l'intrazione coi fenomeni da osservare a
*strumenti*.
Ciò è necessario, ormai nella totalità dei casi, perché i fenomeni
d'interesse stanno del tutto fuori delle possibiità dei nostri sensi.
Ma anche, prima di questo, per assicurare oggetttività e ripetibilità
alle "osservazioni".

> Ci sono teorie, come quella della relativita`, che proprio
> non funzionano se non si tiene conto che gli osservatori sono
> soggetti alle stesse leggi fisiche di tutto il resto.
Non sono d'accordo.

> L'orologio a bordo di un'astronave in moto in un dato
> riferimento O risulta rallentato, e la spiegazione che in
> quel riferimento O ci si da` del fatto che il pilota
> dell'astronave non se ne accorga e` che i processi interni
> del pilota rallentano come quelli dell'orologio.
La spiegazione è che quello che dici *non è vero*.
L'orologio *non risulta rallentato*.
E' un equivoco ultrafrequente, ma una corretta analisi mostra come va
esposto e interpretata il fenomeno della cosiddetta "dilatazione del
tempo".
Ti rimando per es. a
http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2104-fismod-2.pdf
pagine 25-27.

> Non e` che per la MQ tutto debba sempre essere lineare in
> funzione di qualsiasi parametro; deve solo essere lineare in
> funzione dei ket. Se |A> rappresenta lo stato di un fascio di
> luce, un fascio di intensita` doppia non e` 2|A> (che non
> sarebbe neppure normalizzato), e` proprio uno stato |B>
> diverso, caratterizzato da un numero doppio di fotoni, non da
> una probabilita` quadrupla di trovare nel fascio gli stessi
> fotoni di prima.
Qui sono del tutto d'acordo.
Troppo spesso si parla di linearità a casaccio, da parte di persone
che non hanno neppure le minime basi per capire il significato del
termine.
E' vero che la struttura base della MQ è uno spazio lineare, e
soprattutto che l'evoluzione nel temo di un sistema è rappresentata da
un operatore lineare su quello spazio.

Ma ci si dimentica spesso che la teoria ha anche aspetti non lineari,
in modo banale.
Le relazioni di commutazione non sono lineari.
In qualunque sistema quantistico, l'algebra delle osservabili è
generata da alcuni elementi, in numero finito o infinito, ma con
operazioni non lineari.
Esempio banale: particella in campo centrale, con energia potenziale
che va come 1/r.
L'algebra è generata da x, y, z, px, py, pz.
La hamiltoniana non è affatto lineare in questi operatori.
Il momento angolare neppure.
Ha importanza questo nella discussione sui fondamenti?
Mi sembra difficile negarlo.

Sul resto non intervengo. La MWI non ho mai capito che cosa sia, e
ormai ho perso interesse a capirlo.


--
Elio Fabri

Franco

unread,
Feb 7, 2018, 4:00:02 PM2/7/18
to
On 2/7/2018 17:38, Elio Fabri wrote:

> Ti rimando per es. a
> http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2104-fismod-2.pdf
> pagine 25-27.

O ti sei portato avanti con il lavoro, oppure sei in un altro SdR e sei
stato vittima di un disallineamento degli orologi (e calendari).

Questo il link corretto

http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2014-fismod-2.pdf

--

Franco

Wovon man nicht sprechen kann, darüber muß man schweigen.
(L. Wittgenstein)

Bruno Cocciaro

unread,
Feb 8, 2018, 6:00:02 AM2/8/18
to
"Franco" ha scritto nel messaggio news:p5fp7s$1a3o$1...@gioia.aioe.org...

> On 2/7/2018 17:38, Elio Fabri wrote:

>> Ti rimando per es. a
>> http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2104-fismod-2.pdf
>> pagine 25-27.

> O ti sei portato avanti con il lavoro, oppure sei in un altro SdR e sei
> stato vittima di un disallineamento degli orologi (e calendari).

> Questo il link corretto

> http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2014-fismod-2.pdf

Io non riesco proprio a capire in cosa differiscano i due link. Eppure uno
mi si apre e l'altro no.

> Franco

Ciao,
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)



---
Questa email è stata esaminata alla ricerca di virus da AVG.
http://www.avg.com

ADPUF

unread,
Feb 8, 2018, 4:20:02 PM2/8/18
to
Bruno Cocciaro 11:54, giovedì 8 febbraio 2018:
> "Franco" ha scritto nel messaggio
>> On 2/7/2018 17:38, Elio Fabri wrote:
>
>>> Ti rimando per es. a
>>> http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2104-fismod-2.pdf
>>> pagine 25-27.
>
>> O ti sei portato avanti con il lavoro, oppure sei in un
>> altro SdR e sei stato vittima di un disallineamento degli
>> orologi (e calendari).
>
>> Questo il link corretto
>
>> http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2014-fismod-2.pdf
>
> Io non riesco proprio a capire in cosa differiscano i due
> link. Eppure uno mi si apre e l'altro no.


Controlla meglio il numero...


--
E-S °¿°
Ho plonkato tutti quelli che postano da Google Groups!
Qui è Usenet, non è il Web!

Paolo Russo

unread,
Feb 19, 2018, 6:05:03 PM2/19/18
to
Anch'io rispondo un po' tardi, ma solo per mancanza di tempo.

[Elio Fabri:]
> Paolo Russo ha scritto:
> [...]
>> In senso molto lato, la scienza in generale dovrebbe spiegare la
>> realta` cosi' come viene percepita (e potremmo distinguere tra
>> realta` soggettiva, intersoggettiva e oggettiva, ma teniamoci sul
>> semplice).
> A mio parere la scienza (soprattutto la fisica) ormai da secoli ha
> deciso di affidare l'intrazione coi fenomeni da osservare a
> *strumenti*.

Certo, sia pur in modo non esclusivo. Anzi, avevo proprio
scritto:

> non ha
> importanza che l'osservatore sia cosciente (puo` anche essere
> solo uno strumento automatizzato), ha importanza cosa "vede",
> cioe` cosa puo` misurare come sistema fisico che interagisce
> con il resto.

> Paolo Russo ha scritto:
>> L'orologio a bordo di un'astronave in moto in un dato
>> riferimento O risulta rallentato, e la spiegazione che in
>> quel riferimento O ci si da` del fatto che il pilota
>> dell'astronave non se ne accorga e` che i processi interni
>> del pilota rallentano come quelli dell'orologio.
[Elio Fabri:]
> La spiegazione è che quello che dici *non è vero*.
> L'orologio *non risulta rallentato*.
> E' un equivoco ultrafrequente, ma una corretta analisi mostra come va
> esposto e interpretata il fenomeno della cosiddetta "dilatazione del
> tempo".
> Ti rimando per es. a
> http://www.sagredo.eu/PI-14-fismod/Pisa-2104-fismod-2.pdf
> pagine 25-27.

Me lo sentivo che saresti intervenuto. :-)
Probabilmente neanche tu sarai stupito del fatto che non sono
d'accordo con l'interpretazione riportata in quel pdf.
Senza nessuna pretesa di convincerti, mi limito a chiarire il
mio personalissimo punto di vista.

Centrale nella RR e` il principio di relativita`, che in
sostanza dice che le stesse leggi fisiche valgono in ogni
sistema di riferimento inerziale. Uno *puo`* scegliere un
qualunque s.d.r. inerziale e fare i conti li', e la dinamica
deve quadrare e giustificare gli eventi osservati. Io *posso*
dire che l'orologio in moto nel mio s.d.r rallenta. E`
proprio il principio di relativita` ad autorizzarmi a farlo e
a garantire che le leggi della dinamica coinvolte nel
funzionamento interno dell'orologio debbano essere tali da
provocarne il rallentamento quando si muove, perche' la
relativita` non funziona per magia: il p.r. si limita a
imporre vincoli alle leggi della dinamica, poi sono quelle a
fare il lavoro sporco.

L'interpretazione in quel pdf non mi piace per due motivi.
Uno e` che, in un certo senso, non e` relativistica e puo`
far sorgere piu' equivoci di quelli che vorrebbe evitare. In
sostanza, tende a far pensare che il tempo "vero" sia solo il
tempo proprio e tutto il resto sia una specie di illusione
creata non si sa bene come dalle trasf. di Lorentz. Se il
fatto che un orologio in moto rallenti e` da considerarsi
"una stupidaggine", poi non lamentiamoci se qualcuno non
capisce bene cos'abbiano osservato Hafele e Keating.
L'altro motivo e` che quell'interpretazione tende a svilire
il ruolo della dinamica, che invece e` essenziale per la
generalizzazione. Due cariche elettriche inizialmente ferme
si respingono con una certa accelerazione. Se invece entrambe
inizialmente si muovono parallelamente, l'accelerazione di
repulsione e` minore, calcolabile facilmente con una trasf.
di Lorentz invece di complicarsi la vita calcolando gli
effetti magnetici. Ma se le cariche sono tre o quattro e si
muovono ognuna in una direzione diversa? Qui ci vuole
l'elettromagnetismo, non c'e` boost che tenga. I boost
servono in casi particolari (sia pur importanti e frequenti),
ma la dinamica funziona nel caso generale; per questo la
considero piu' fondamentale. E se la dinamica implica (e lo
implica) che, come caso particolare di una situazione piu'
generale, un orologio in moto rallenti, tenderei a prendere
la cosa abbastanza sul serio.
Ma al di la` dei motivi personalissimi per cui
quell'interpretazione non mi piace, cio` su cui non posso
davvero concordare e` che sia addirittura l'unica corretta.

Naturalmente mi si puo` obiettare che passando dalla RR alla
RG la questione cambia; i s.d.r. inerziali sono solo locali,
non si puo` sostenere che il potenziale gravitazionale
"rallenti il tempo", e` piuttosto una questione di come sono
connesse le regioni di spaziotempo. Mi dispiace: non sono
d'accordo che questa sia l'unica interpretazione possibile,
ne' la migliore, ma spiegare perche' porterebbe a una
discussione molto vasta che quasi certamente nessuno dei due
ha tempo e voglia di fare, e io personalmente dovrei anche
studiare e approfondire ancora parecchio prima di poterla
sostenere seriamente (chissa`, forse quando saro` in
pensione...). E comunque, qui non si stava parlando di RG.

Ciao
Paolo Russo

Elio Fabri

unread,
Feb 20, 2018, 12:50:03 PM2/20/18
to
Paolo Russo ha scritto:
> ...
> Probabilmente neanche tu sarai stupito del fatto che non sono
> d'accordo con l'interpretazione riportata in quel pdf.
> Senza nessuna pretesa di convincerti, mi limito a chiarire il
> mio personalissimo punto di vista.
Comincio col ringraziarti per le obiezioni che fai.
Non è retorica: ho spesso lamentato lo scarsissimo (per non dire nullo)
feedback che riceve il mio lavoro sulla relativià; quindi tu sei una
gradita eccezione.
Ma non solo: se dovessi darti ragione, anche in parte, avrei
migliorato il mio punto di vista (anche se non posso correggere tutto
quello che ho scritto in proposito).
Se invece le tue obiezioni non mi convinceranno, dovrò comunque
argomentare per contrastarle, e con questo avrò capito meglio le
ragioni della mia posizione.
Ma veniamo al sodo.

> ...
> Io *posso* dire che l'orologio in moto nel mio s.d.r rallenta. E`
> proprio il principio di relativita` ad autorizzarmi a farlo e a
> garantire che le leggi della dinamica coinvolte nel funzionamento
> interno dell'orologio debbano essere tali da provocarne il
> rallentamento quando si muove, perche' la relativita` non funziona per
> magia: il p.r. si limita a imporre vincoli alle leggi della dinamica,
> poi sono quelle a fare il lavoro sporco.
Giustissimo: il p.r. impone vincoli alla dinamica: qualunque sia il
sistema, le sue parti, il tipo di dinamica coinvolta (meccanica,
elettromagnetica, nucleare ...) il moto risultante dovrà comunque
conformarsi a ciò che il p.r. stabilisce.
In particolare, la "dilatazione del tempo".

E' vero che in linea di principio, una volta che la dinamica sia nota,
sarebbe possibile ricavare il "rallentamento" dell'orologio (di
*tutti* gli orologi, nella stessa misura) risolvendo il moto
dell'orologio nei due rif. e confrontando i risultati.
E' quello che fa Miller (arXiv:0907.0902v1): ne abbiamo parlato lo
scorso luglio.
Il problema è che il calcolo diretto su un orologio in moto è
praticamente impossibile, a meno di casi sommamente artificiosi (come
quelli di Miller).
Per cui l'uso del p.r. è l'unica via percorribile in pratica.

> L'interpretazione in quel pdf non mi piace per due motivi.
> Uno e` che, in un certo senso, non e` relativistica e puo`
> far sorgere piu' equivoci di quelli che vorrebbe evitare. In
> sostanza, tende a far pensare che il tempo "vero" sia solo il
> tempo proprio e tutto il resto sia una specie di illusione
> creata non si sa bene come dalle trasf. di Lorentz.
Questo non lo capisco. Non mi pare che possa sorgere un'idea del
genere.
Tra l'altro sai che a mio parere nella s.s. di trasf. di Lorentz
sarebbe meglio non parlare affatto.

> Se il fatto che un orologio in moto rallenti e` da considerarsi "una
> stupidaggine", poi non lamentiamoci se qualcuno non capisce bene
> cos'abbiano osservato Hafele e Keating.
Anche qui ti capisco poco, ma forse dipende da diverse esperienze.
Nella gran parte della divulgazione, e non escluderei neppure i libri
per la scuola secondaria, il rallentamento di un orologio non è inteso
come tu e io l'intendiamo.
Sotto sotto si resta attaccati al tempo assoluto: gli orologi
*rallentano in assoluto*, anche nel rif. in cui sono in quiete.
Solo che l'osservatore solidale con l'orologio non se ne accorge,
perché rallenta anche il suo orologio biologico. Ecc.
Se si potesse fare sul serio della dinamica, questa concezione verebbe
smantellata. Ma c'è quel "se" (v. ppreso).

> L'altro motivo e` che quell'interpretazione tende a svilire il ruolo
> della dinamica, che invece e` essenziale per la generalizzazione.
> ...
Anche qui mi pare che si tratti di una questione di contesto.
Io sto parlando a insegnanti secondari, che debbono imparare come
presentare le cose ai loro allievi.
In quel contesto parlare di "dinamica" in generale rimane un discorso
vuoto: nessuno può spiegare che cosa sia questa dinamica, come la si
possa usare, ecc.
(Tieni anche presente che a livello liceale l'unico orologio di cui si
può trattare la dinamica è il pendolo. E prova un po' a fare la
dinamica relativistica del pendolo in un rif. in cui il punto di
sospensione si muove...)

Dico di più: a me in realtà non interessa parlare di orologi e di come
questi si muovono.
M'interessa molto di più fissare le idee sugli /eventi/.
Il concetto di evento è un'astrazione indispensabile per capire
qualcosa di relatività.
Gli eventi sono *oggettivi*; esistono e possono essere studiati in
qualsiasi rif.
E' importante far vedere che ciò che varia da un rif. all'altro sono
le relazioni tra gli eventi (le diff. delle coordinate, per esempio).
t2 - t1 cambia da un rif. all'altro, ed è massimo nel rif. in cui i
due eventi avvengono nello stesso luogo.
Questo è il /tempo proprio/, che *ha* un ruolo privilegiato perché ha
il carattere di un /invariante/.
M'interessa mettere l'accento sugli invarianti, invece che sulle
dilatazioni e contrazioni.
In quelle lezioni dichiaro esplicitamente che se ne potrebbe benissimo
fare a meno, e che se ne parlo è solo perché le famigerate IN lo
impongono.

Come massima concessione :-) posso dire che avrei potuto tentare un
cenno alla questione della dinamica (for teachers only).
Ma ho i miei dubbi, per la possibiità di farmi capire, dati anche i
limiti di tempo.


--
Elio Fabri

Bruno Cocciaro

unread,
Feb 20, 2018, 6:48:02 PM2/20/18
to
"Paolo Russo" ha scritto nel messaggio news:p6etvg$g34$1...@dont-email.me...

> Centrale nella RR e` il principio di relativita`, che in sostanza dice che
> le stesse leggi fisiche valgono in ogni sistema di riferimento inerziale.
> Uno *puo`* scegliere un qualunque s.d.r. inerziale e fare i conti li', e
> la dinamica deve quadrare e giustificare gli eventi osservati. Io *posso*
> dire che l'orologio in moto nel mio s.d.r rallenta. E` proprio il
> principio di relativita` ad autorizzarmi a farlo e a garantire che le
> leggi della dinamica coinvolte nel funzionamento interno dell'orologio
> debbano essere tali da provocarne il rallentamento quando si muove,
> perche' la relativita` non funziona per magia: il p.r. si limita a imporre
> vincoli alle leggi della dinamica, poi sono quelle a fare il lavoro
> sporco.

Potresti fare un esempio?
Intendo una cosa la piu' semplice possibile in base alla quale, a tuo
avviso, si possa dire che, a seguito delle seguenti *misure* ... , siamo
autorizzati a dire che un certo arnese (che possiamo chiamare orologio)
rallenta quando e' in moto.

> L'interpretazione in quel pdf non mi piace per due motivi. Uno e` che, in
> un certo senso, non e` relativistica e puo` far sorgere piu' equivoci di
> quelli che vorrebbe evitare. In sostanza, tende a far pensare che il tempo
> "vero" sia solo il tempo proprio e tutto il resto sia una specie di
> illusione creata non si sa bene come dalle trasf. di Lorentz.

Sinceramente io ritengo che quelli che tu chiami equivoci non lo siano
affatto.
Tutto il resto (cioe' il "tempo" non proprio) e' una specie di illusione (in
realta' e' un semplice strumento matematico) creato *si sa* bene come dalle
convenzioni descrittive che usiamo normalmente.

> E se la dinamica implica (e lo implica) che, come caso particolare di una
> situazione piu' generale, un orologio in moto rallenti, tenderei a
> prendere la cosa abbastanza sul serio.

Ecco, io non capisco in che senso la dinamica implicherebbe quanto dici.

> Ciao
> Paolo Russo

Paolo Russo

unread,
Mar 5, 2018, 11:30:03 AM3/5/18
to
[Elio Fabri:]
> Il problema è che il calcolo diretto su un orologio in moto è
> praticamente impossibile, a meno di casi sommamente artificiosi (come
> quelli di Miller).
> Per cui l'uso del p.r. è l'unica via percorribile in pratica.

Certo, me ne rendo conto.

>> L'interpretazione in quel pdf non mi piace per due motivi.
>> Uno e` che, in un certo senso, non e` relativistica e puo`
>> far sorgere piu' equivoci di quelli che vorrebbe evitare. In
>> sostanza, tende a far pensare che il tempo "vero" sia solo il
>> tempo proprio e tutto il resto sia una specie di illusione
>> creata non si sa bene come dalle trasf. di Lorentz.
> Questo non lo capisco. Non mi pare che possa sorgere un'idea del
> genere.

E` l'impressione che ho avuto. Il vero problema e` che non
capisco cosa significhi che gli orologi in moto non
rallentano, dato che so che rallentano. La` dove non si
capisce si cerca di interpretare alla meno peggio, ma
certamente non posso sapere che impressione ne ricaverebbe un
altro, specie uno che non conoscesse gia` di suo la RR. Cerco
di immedesimarmi, tutto qui.
Devo anche ammettere che non ho letto tutto il pdf che hai
segnalato, solo la pagina che hai indicato. Forse leggendo
tutto quanto dall'inizio avrei avuto un'altra impressione,
non saprei.

> Tra l'altro sai che a mio parere nella s.s. di trasf. di Lorentz
> sarebbe meglio non parlare affatto.

Lo so bene. Tuttavia, io non ho mai capito nulla di RR
finche' non ho letto delle trasf. di Lorentz, quindi posso
solo dire che *per me* sono state fondamentali. Per me, senza
di quelle, cose come l'invarianza di c passando da un rif.
all'altro rimangono affermazioni inspiegabili e quindi
incomprensibili. Per me l'eleganza formale non genera
comprensibilita`, anzi e` quasi sempre il contrario. Mi e`
stato fondamentale anche il legame con la dinamica
(particolarmente illuminante il caso delle due cariche
elettriche in moto parallelo), senza il quale si perde una
parte importante della faccenda e si rischia anche di
sbagliare contando due volte lo stesso effetto, una volta
come magnetico e un'altra volta come relativistico.
Pero` e` anche vero che non sono mai stato uno studente
tipico; ho una struttura mentale un po' anomala, quindi non
dovresti basarti troppo sul mio feedback. Giusto per dirtene
una, parlando di eleganza formale e comprensibilita`: al
primo anno di ingegneria ho dato il primo esame (Analisi 1)
in ritardo perche' non riuscivo a memorizzare le
dimostrazioni dei teoremi. I vari passaggi non venivano mai
giustificati; solo alla fine si sarebbe forse capito il ruolo
che ricoprivano nella dimostrazione, ma ben prima di
arrivarci li avevo gia` dimenticati perche' troppo arbitrari
per poterli memorizzare. Ho dovuto ridimostrare per conto mio
tutti i teoremi nel testo, dal primo all'ultimo. Mi e`
costato un po' di ritardo. (Questo al primo anno, dopo e`
andata anche peggio.)

>> Se il fatto che un orologio in moto rallenti e` da considerarsi
>> "una stupidaggine", poi non lamentiamoci se qualcuno non capisce
>> bene cos'abbiano osservato Hafele e Keating.
> Anche qui ti capisco poco, ma forse dipende da diverse esperienze.

Mi par di ricordare che qualcuno su isf o fisf avesse
strane idee su H&K, ma non ne ho un ricordo nitido.

> Nella gran parte della divulgazione, e non escluderei neppure i libri
> per la scuola secondaria, il rallentamento di un orologio non è inteso
> come tu e io l'intendiamo.
> Sotto sotto si resta attaccati al tempo assoluto: gli orologi
> *rallentano in assoluto*, anche nel rif. in cui sono in quiete.
> Solo che l'osservatore solidale con l'orologio non se ne accorge,
> perché rallenta anche il suo orologio biologico. Ecc.

E tuttavia questa spiegazione e` valida e (per me) necessaria
in tutti gli altri rif. inerziali; non saprei giustificare
altrimenti la coerenza degli eventi. Non cercherei quindi di
combattere quella spiegazione; magari conviene precisarla,
facendo notare che si puo` ben ragionare in quel modo in
tutti i riferimenti inerziali, per cui non ce n'e` uno
preferenziale. Meglio questo, per me, che dire che non si
deve ragionare in quel modo tout court. Se non c'e` *un* rif.
assoluto e` solo perche' funzionano tutti come assoluti, e
questo per me e` proprio il senso del p.r..

> (Tieni anche presente che a livello liceale l'unico orologio di cui si
> può trattare la dinamica è il pendolo. E prova un po' a fare la
> dinamica relativistica del pendolo in un rif. in cui il punto di
> sospensione si muove...)

Sei ottimista. :-) In realtæ` anche la trattazione classica
viene un po' calata dall'alto, dato che lo studente non e`
ancora arrivato alle eq. differenziali in matematica (se mai
ci arriva, non ricordo neanche se si fanno al liceo). Almeno,
cosi' era alla mia epoca.

> Dico di più: a me in realtà non interessa parlare di orologi e di come
> questi si muovono.
> M'interessa molto di più fissare le idee sugli /eventi/.
> Il concetto di evento è un'astrazione indispensabile per capire
> qualcosa di relatività.

D'accordissimo.

> Gli eventi sono *oggettivi*; esistono e possono essere studiati in
> qualsiasi rif.

Giustissimo, eppure mi e` stato necessario capire come fosse
dinamicamente possibile questa coerenza.

> E' importante far vedere che ciò che varia da un rif. all'altro sono
> le relazioni tra gli eventi (le diff. delle coordinate, per esempio).
> t2 - t1 cambia da un rif. all'altro, ed è massimo nel rif. in cui i
> due eventi avvengono nello stesso luogo.
> Questo è il /tempo proprio/, che *ha* un ruolo privilegiato perché ha
> il carattere di un /invariante/.
> M'interessa mettere l'accento sugli invarianti, invece che sulle
> dilatazioni e contrazioni.
> In quelle lezioni dichiaro esplicitamente che se ne potrebbe benissimo
> fare a meno, e che se ne parlo è solo perché le famigerate IN lo
> impongono.

Avevo immaginato una motivazione del genere (ti leggo su isf
da tanti anni, un po' ti conosco...). Ne apprezzo l'eleganza,
la pulizia, la concisione, da un punto di vista fondazionale
ed anche estetico, ma dal punto di vista didattico, come ho
gia` scritto, con me l'eleganza funziona male. Magari
funziona bene con gli altri, questo non posso saperlo.

Ciao
Paolo Russo

Paolo Russo

unread,
Mar 5, 2018, 11:35:02 AM3/5/18
to
[Bruno Cocciaro:]
> Potresti fare un esempio?
> Intendo una cosa la piu' semplice possibile in base alla quale, a tuo
> avviso, si possa dire che, a seguito delle seguenti *misure* ... ,
> siamo autorizzati a dire che un certo arnese (che possiamo chiamare
> orologio) rallenta quando e' in moto.

Non capisco bene la richiesta. Le misure le hanno fatto
Hafele e Keating, per esempio. Solo che un esperimento ti
dice cosa accade, non perche' accade.
Che la dinamica abbia quell'effetto e` una cosa che si
verifica sulla carta (e credo che dall'avvento della RR in
poi sia considerato un requisito base per qualunque teoria
di dinamica che si rispetti).

> Sinceramente io ritengo che quelli che tu chiami equivoci non lo siano
> affatto.
> Tutto il resto (cioe' il "tempo" non proprio) e' una specie di
> illusione (in realta' e' un semplice strumento matematico) creato *si
> sa* bene come dalle convenzioni descrittive che usiamo normalmente.

Grazie per aver esemplificato cosa andavo dicendo. :-)

>> E se la dinamica implica (e lo implica) che, come caso particolare di
>> una situazione piu' generale, un orologio in moto rallenti, tenderei
>> a prendere la cosa abbastanza sul serio.
>
> Ecco, io non capisco in che senso la dinamica implicherebbe quanto
> dici.

A suo tempo ho apprezzato l'esempio di due cariche
elettriche in moto parallelo. Se sono dello stesso segno, si
respingono, tuttavia essendo in moto ognuna genera un campo
magnetico che l'altra sente in quanto si muove; c'e` un
effetto magnetico attrattivo, che controbilancia in parte
la repulsione elettrostatica. Piu' veloci sono le cariche,
minore e` la repulsione complessiva (la repulsione
"rallenta"). Al limite per v -> c l'attrazione magnetica
compensa esattamente la repulsione elettrica.
No, ora come ora non saprei rifare i calcoli e non ricordo
neanche tutti i dettagli di cui si doveva tenere conto, ma
trovo che gia` a livello qualitativo sia abbastanza
illuminante.
Naturalmente bisogna comunque usare la dinamica
relativistica per forze, accelerazioni etc., e in generale
le trasf. di Lorentz per determinare almeno la situazione
iniziale (ad es. per la contrazione spaziale); non mi
ricordo se servono per quest'esempio specifico (usarle per
trasformare il campo elettrico e` un modo alternativo e
pratico di calcolare il campo EM indotto totale, ma se ne
puo` fare a meno).

Ciao
Paolo Russo

Wakinian Tanka

unread,
Mar 6, 2018, 10:50:03 AM3/6/18
to
06/03/2018 ore 00:50

Il giorno lunedì 5 marzo 2018 17:30:03 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
...
> Il vero problema e` che non
> capisco cosa significhi che gli orologi in moto non
> rallentano, dato che so che rallentano.

La risposta non la so, ma vorrei sapere cosa ne pensi di quanto segue.



a) Che significa "l'orologio di A rallenta rispetto a quello di B"? Lo paragoneresti ad un rallentamento "funzionale" come quello di un orologio elettrico che ha la pila scarica? Quindi attribuiresti l'effetto al fatto che l'orologio ha subito accelerazioni o qualcosa del genere? Che cosa, fisicamente, del moto di A, modifica il funzionamento dell'orologio?

Come mai tale modifica non dipende dal "tipo" di orologio: meccanico, elettrico, elettronico, atomico, biologico, ecc ma agisce /allo stesso modo/ su qualsiasi fenomeno periodico, indipendentemente da come tu possa concepirlo?

b) Una metafora.


Hai un'auto A ed un'auto B che si muovono da un punto P1 ad un altro P2 con la stessa costante velocità in modulo (in inglese si direbbe "with the same, constant speed"). Il tachimetro di entrambe viene azzerato in P1, ma quando raggiungono P2 il tachimetro di A segna 50 km, quello di B segna 100 km.

Come distingui tra le seguenti 2 possibilità:


1) Il tachimetro di A si è mosso più lentamente di quello di B (a metà velocità) in quanto è diverso il meccanismo/il circuito elettronico che trasduce i giri ruota in cifre sul cruscotto, oppure semplicemente perché le ruote di A hanno un diametro doppio di quelle di B e quindi hanno fatto la metà dei giri (a parità di km percorsi dalle 2 auto).
2) l'auto A ha fatto un percorso più corto per andare da P1 a P2 (ha percorso metà dei chilometri percorsi da B)?

Elio Fabri

unread,
Mar 6, 2018, 7:35:03 PM3/6/18
to
Paolo Russo ha scritto:
> ...
> A suo tempo ho apprezzato l'esempio di due cariche
> elettriche in moto parallelo. Se sono dello stesso segno, si
> respingono, tuttavia essendo in moto ognuna genera un campo
> magnetico che l'altra sente in quanto si muove; c'e` un
> effetto magnetico attrattivo, che controbilancia in parte
> la repulsione elettrostatica. Piu' veloci sono le cariche,
> minore e` la repulsione complessiva (la repulsione
> "rallenta"). Al limite per v -> c l'attrazione magnetica
> compensa esattamente la repulsione elettrica.
Per ora intervengo solo su questo, per esporre in maggior dettaglio
come stanno le cose.
Poi ci sarebbe tanto altro da dire, su questo post e sul successivo...
Ma non ce la faccio :-(

Dunque: abbiamo due cariche q, dello stesso segno, che nel rif. del
laboratorio si muovono alla stessa velocità, affiancate, su rette
parallele.
Se le cariche fossero ferme, ci sarebbe solo la comune forza di
Coulomb, che non sto a scrivere.
Assumo che nel rif. del laboratorio valgano le eq. di Maxwell.

Se le cariche si muovono, ne seguono vari effetti:

1) Il campo elettrico prodotto su una carica dipende dalla velocità.
Nel caso in esame (il campo interessa in direzione trasversale alla
velocità) E è aumenta di un fattore g (gamma) rispetto al caso di
quiete. Quindi E = g*E', se indico con E' il campo di una carica
ferma.

2) La carica in moto produce un campo magnetico, che nella solita
direzione trasversale è legato a quello elettrico da B = b*E (b=v/c).
La direzione sappiamo qual è.

3) L'altra carica che si muove nel campo B, sente la forza di Lorentz
di grandezza b*B.
Il verso è attrattivo, quindi questa forza si sottrae a quella
elettrica.

Perciò la forza risultante vale
F = q*E - q*b*B * q*E*(1 - b^2) = q*E/g^2 * q*E'/g.
La forza è ridotta di un fattore g rispetto a quella tra cariche
ferme.

Dato che g-->oo per b-->1, si vede che F-->0, come hai detto.
Ma il gioco complessivo è un tantino più complicato...

Faccio notare che non ho usato la trasf. dei campi, né la RR.
I risultati su quanto valgono campo elettrico e magnetico di una
carica in moto discendono dalle eq. di Maxwell, ed erano noti prima
del 1905.


--
Elio Fabri

Wakinian Tanka

unread,
Mar 10, 2018, 4:55:03 PM3/10/18
to
Il giorno martedì 6 marzo 2018 16:50:03 UTC+1, Wakinian Tanka ha scritto:
> Il tachimetro di entrambe viene azzerato in P1, ma quando
> raggiungono P2 il tachimetro di A segna 50 km, quello di B segna 100 km.
>
Chiedo venia. Sostituire "tachimetro" con "CONTACHILOMETRI" (e anche dopo).

--
Wakinian Tanka

Paolo Russo

unread,
Mar 10, 2018, 5:00:02 PM3/10/18
to
[Wakinian Tanka:]
> a) Che significa "l'orologio di A rallenta rispetto a quello di B"?

Lo intendo come "... nel riferimento solidale con B".

> Lo
> paragoneresti ad un rallentamento "funzionale" come quello di un
> orologio elettrico che ha la pila scarica?

Non capisco bene la domanda. In *quel* s.d.r. e` un
rallentamento reale che ha una causa fisica reale, se e`
questo che vuoi sapere, ma mi pare di starlo ripetendo gia`
da alcuni post, quindi forse stai chiedendo altro ma non
capisco bene cosa.

> Quindi attribuiresti
> l'effetto al fatto che l'orologio ha subito accelerazioni o qualcosa
> del genere?

Lo attribuirei al fatto che e` in moto.

> Che cosa, fisicamente, del moto di A, modifica il
> funzionamento dell'orologio?

Le leggi dell'elettromagnetismo (per un tipico orologio
dovrebbe bastare quello). Vedi ad esempio la mia risposta a
Bruno Cocciaro (puoi vedere l'esempio che faccio come un
"orologio a repulsione elettrica"), ma gia` Elio citava una
passata discussione su meccanismi del genere:

[Elio Fabri:]
> E' vero che in linea di principio, una volta che la dinamica sia nota,
> sarebbe possibile ricavare il "rallentamento" dell'orologio (di
> *tutti* gli orologi, nella stessa misura) risolvendo il moto
> dell'orologio nei due rif. e confrontando i risultati.
> E' quello che fa Miller (arXiv:0907.0902v1): ne abbiamo parlato lo
> scorso luglio.

[Wakinian Tanka:]
> Come mai tale modifica non dipende dal "tipo" di orologio: meccanico,
> elettrico, elettronico, atomico, biologico, ecc ma agisce /allo stesso
> modo/ su qualsiasi fenomeno periodico, indipendentemente da come tu
> possa concepirlo?

Per la simmetria di Lorentz, che per quanto ne sappiamo
finora tutte le leggi della dinamica di qualsiasi interazione
nota rispettano. In linea di principio, niente impedisce che
un giorno si scopra qualcosa che la viola, ma al momento non
vedo motivo di introdurla (vedo che la pagina di Wikipedia:
<https://en.wikipedia.org/wiki/Lorentz_covariance#Lorentz_violating_models>
parla di modelli teorici che la violerebbero, ma purtroppo e`
arabo per me).
Se la tua prossima domanda fosse "non ti pare allora una
strana coincidenza che tutte le interazioni rispettino quella
simmetria", una risposta l'avrei anche, ma sarebbe
necessariamente filosofica (basata sul principio antropico
debole) e quindi andremmo un pochino off topic.

> b) Una metafora.
>
>
> Hai un'auto A ed un'auto B che si muovono da un punto P1 ad un altro
> P2 con la stessa costante velocità in modulo (in inglese si direbbe
> "with the same, constant speed").

Suppongo tu intenda nel riferimento di P1 e P2.

> Il tachimetro di entrambe viene
> azzerato in P1, ma quando raggiungono P2 il tachimetro di A segna 50
> km, quello di B segna 100 km.

Scusa, ci ho capito poco. Stai misurando velocita`
(tachimetro) o distanze (km)?

Ciao
Paolo Russo

Elio Fabri

unread,
Mar 10, 2018, 5:00:02 PM3/10/18
to
Wakinian Tanka ha scritto:
> Il giorno lunedì 5 marzo 2018 17:30:03 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
> ...
>> Il vero problema e` che non
>> capisco cosa significhi che gli orologi in moto non
>> rallentano, dato che so che rallentano.
Intervengo solo su questo, da un punto di vista diverso dal tuo.

Lascerei stare le "metafore", che sono rischiose, e tra l'altro ho
idea che tu ti sia ispirato a un mio discorso che però aveva tutt'altro
contesto...
Quanto meno poi, non confondere tachimetro e contachilometri :-)

Invece voglio prendere alla lettera Paolo Russo, che scrive
> so che rallentano
Tu (Paolo) *sai* che rallentano.
Allora ti chiedo un sforzo ulteriore: spiega, con la massima
precisione che ti riesce, che cosa intendi.
*Come* lo sai.
Intendo dire: quali esperimenti, misure, osservazioni te lo dicono?

Naturalmente non pretendo una descrizione dettagliata di esper. reali,
ma ciò che conta davvero: una descrizione schamtizzata di un esper.
possibile (che nn violi nessuna legge della fisca nota) e il cui
esito dica questo:

"Siano A, B due orologi, il primo in quiete nel mio laboratorio,
l'altro in moto con una data velocità (costante).
L'esperimento prova che B rallenta rispetto ad A."

Va da sé che strada facendo dovrai dare una definizione chiara di
"rallenta".
Credi pure che non c'è alcun intento polemico.
Solo l'osservazione che in fisica (non solo in fisica) l'onere della
prova spetta a chi fa affermazioni

Capisci benissimo che la richiesta nasce dal fatto che a mio parere il
99% di quelli che parlano di queste cose omettono proprio di dare
queste definizioni e precisazioni.
Se non fosse così, non si starebbe, nel 2018, a discuterne ancora.
Così come da molto tempo ormai nessuno discute più della rotondità
della Terra.
--
Elio Fabri

Paolo Russo

unread,
Mar 14, 2018, 3:55:02 AM3/14/18
to
[Elio Fabri:]
> "Siano A, B due orologi, il primo in quiete nel mio laboratorio,
> l'altro in moto con una data velocità (costante).
> L'esperimento prova che B rallenta rispetto ad A."

Solo una finezza (che forse e` il punto cruciale, ci torno
dopo): io preferirei dire "... B rallenta nel riferimento del
laboratorio", o "nel riferimento solidale ad A", piuttosto
che "rispetto ad A".
Mi sembra che il rallentamento sia di per se' piuttosto
banale da verificare. Basta disporre degli orologi
sincronizzati (a` la Einstein) in quiete nel laboratorio
lungo il percorso di B e confrontare i tempi segnati da B e
dagli orologi accanto a cui passa. Si osservera` uno
sfasamento crescente nel tempo con una certa specifica
dipendenza dalla velocita`.
C'e` forse un problema concettuale nella definizione di
orologio B. Perche' l'esperimento abbia un senso, devono
esserci buoni motivi di ritenere che se B fosse in quiete nel
laboratorio non mostrerebbe sfasamenti crescenti rispetto
agli altri orologi. Deve quindi trattarsi o di un orologio
che ha gia` dato prova di buon funzionamento quando era in
quiete ed e` poi stato accelerato (e qui bisogna stimare o
verificare il possibile effetto delle accelerazioni sul
funzionamento dell'orologio variando le condizioni
sperimentali, insomma clock hypothesis eccetera) o di un
orologio che per qualche motivo possa essere considerato
identico a uno di quelli in quiete (es. un atomo).

Giusto per chiarezza, so benissimo che con un setup
sperimentale simmetrico si puo` tranquillamente sostenere che
anche A rallenta "rispetto a B", e non ci vedo nessuna
contraddizione perche' stiamo parlando di due s.d.r. diversi.
In altre parole: per me vanno bene affermazioni come:
- B rallenta nel riferimento di A
- A rallenta nel riferimento di B
mentre
- B va piu' lento di A
per me non ha senso perche' la frase tratta A e B
simmetricamente e quindi non identifica un riferimento in cui
eseguire il confronto.
- B rallenta rispetto ad A
e` accettabile perche' dalla frase secondo me si capisce che
si sta indicando il riferimento solidale ad A, ma dato che
qualcuno potrebbe anche non intenderla in quel modo,
preferisco dizioni che indichino il riferimento in modo piu'
esplicito (sempre che non sia comunque chiaro dal contesto),
specie in discussioni che vertono proprio su certi aspetti
della faccenda.

> Va da sé che strada facendo dovrai dare una definizione chiara di
> "rallenta".

Una volta che uno ha una definizione di "sistema di
riferimento" (inerziale) non mi pare che ci sia bisogno di
definire molto altro. E spero che tu non mi chieda di
definire il s.d.r. perche' mi sa che sono discreti cavoli...

Ciao
Paolo Russo

Bruno Cocciaro

unread,
Mar 15, 2018, 2:36:02 PM3/15/18
to
"Paolo Russo" ha scritto nel messaggio news:p867os$604$1...@dont-email.me...

> [Elio Fabri:]
>> "Siano A, B due orologi, il primo in quiete nel mio laboratorio, l'altro
>> in moto con una data velocità (costante). L'esperimento prova che B
>> rallenta rispetto ad A."

> Mi sembra che il rallentamento sia di per se' piuttosto banale da
> verificare. Basta disporre degli orologi sincronizzati (a` la Einstein) in
> quiete nel laboratorio lungo il percorso di B e confrontare i tempi
> segnati da B e dagli orologi accanto a cui passa. Si osservera` uno
> sfasamento crescente nel tempo con una certa specifica dipendenza dalla
> velocita`.

Direi che quanto dici sopra sia un esempio da manuale su quali sono i tipici
errori in cui si incorre non riflettendo adeguatamente sul carattere
convenzionale della sincronizzazione di orologi distanti.
Tu assumi come "buona" la sincronizzazione standard eseguita tramite segnali
luminosi (quella che chiami "a` la Einstein") e ne deduci che quello che
consideri un esperimento, proverebbe la bonta' della tua affermazione:
"... B rallenta nel riferimento del laboratorio".

In realta' quello che hai descritto *non e'* un esperimento. E' la semplice
osservazione che ritrovi oggi quello che hai fatto ieri (e questo in fisica
si assume sempre: se oggi ripeto la stessa cosa di ieri osservero' gli
stessi esiti). Lo sfasamento sempre crescente fra gli istanti segnati
dall'orologio in moto, B, e gli orologi accanto a cui passa è esattamente
quello che avevi settato ieri quando, durante la fase di sincronizzazione,
stavi viaggiando con B e settavi gli orologi a cui passavi accanto.
Ma, dirai, io ho sincronizzato tramite segnale luminoso, non tramite
trasporto di orologio. In realta' le due cose *non* sono diverse, sono la
stessa cosa, come dimostro qua
https://www.dropbox.com/s/b4dja38z7a1jcko/Sincronizzazione.pdf?dl=0

Qualora le due procedure non fossero la stessa procedura (e lo sono sotto
opportune ipotesi da assumere necessariamente per poter costruire la RR)
allora quello che descrivi sopra sarebbe in effetti un esperimento che
proverebbe la bonta' della sincronizzazione standard.

> Ciao
> Paolo Russo

Ciao,
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)



---
Questa email e stata esaminata alla ricerca di virus da AVG.
http://www.avg.com

Wakinian Tanka

unread,
Mar 16, 2018, 6:20:03 PM3/16/18
to
15/03/2018 ore 21:09

Bruno Cocciaro mi ha battuto sul tempo (che sincronizzazione usa? :-), volevo (anche) contestarti la stessa cosa.

Il giorno sabato 10 marzo 2018 23:00:02 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
> [Wakinian Tanka:]
> > a) Che significa "l'orologio di A rallenta rispetto a quello di B"?
>
> Lo intendo come "... nel riferimento solidale con B".
>
> > Lo paragoneresti ad un rallentamento "funzionale" come quello di un
> > orologio elettrico che ha la pila scarica?
>
> Non capisco bene la domanda. In *quel* s.d.r. e` un
> rallentamento reale che ha una causa fisica reale, se e`
> questo che vuoi sapere, ma mi pare di starlo ripetendo gia`
> da alcuni post, quindi forse stai chiedendo altro ma non
> capisco bene cosa.

La domanda è intesa nel senso di quanto segue.

A rimane fisso sulla Terra (che si assume ferma in un rif. inerziale) e chiamo t il tempo che segna, mentre chiamo t' il tempo segnato da B. A t = t' = 0, A e B coincidono e B si sta allontanando da A ad una v = 0,6 c.


Quando B arriva ad una distanza da A (nel rif. di A, come anche in seguito) di 3 anni luce, in prossimità di una certa stella X, inverte (quasi) istantaneamente il suo moto riavvicinandosi ad A, sempre ad una v = 0,6 c.

Come sappiamo, al termine del viaggio, quando B ed A si confronteranno di nuovo, B segnerà 8 anni ed A 10 anni.

Analizziamo quello che succede nel viaggio di andata ed in quello di ritorno.
a) Andata.


Quando B si trova ad 1,5 anni luce da A confronta il suo orologio con quello fisso accanto a lui nel rif. di A: B segna 2 anni, quello accanto fisso segna 1 anno; quando B si trova al punto di inversione, in prossimità della stella X, segnerà 4 anni, mentre l'orologio fisso ne segnerà 2. Quindi nel viaggio di andata B "accelera" rispetto agli orologi nel rif. di A.
Vedi qui:
https://s13.postimg.org/vxjd76wc7/Grafici_effetto_gemelli.jpg

b) Ritorno.

Nel viaggio di ritorno B segnerà 5 anni, 6, 7 ed infine 8 anni ed incontrerà orologi fissi che segneranno invece (non in coincidenza di quelli qui sopra) 3 anni, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 anni.
Qui, a differenza del viaggio di andata, B "rallenta" rispetto agli orologi del rif. di A.



Domanda: dato che B si muove di moto inerziale nel viaggio di andata e sempre di moto inerziale nel viaggio di ritorno, per quale diamine di motivo B dovrebbe "accelerare" nel primo caso e "rallentare" nel secondo? Non è questa un'evidenza sufficiente del fatto che B "non rallenta proprio, in nessun senso" ma che "effettua un diverso percorso nello spazio-tempo"?
Vedi anche la metafora (corretta) che segue.

> > b) Una metafora.
> > Hai un'auto A ed un'auto B che si muovono da un punto P1 ad un altro
> > P2 con la stessa costante velocità in modulo (in inglese si direbbe
> > "with the same, constant speed").
>
> Suppongo tu intenda nel riferimento di P1 e P2.

Si, fai conto che siamo sulla superficie terrestre, considerata rif. inerziale.

> Scusa, ci ho capito poco. Stai misurando velocita`
> (tachimetro) o distanze (km)?
>
Ho corretto: "distanze" (contachilometri).
Lo riscrivo, scambiando anche le lettere A e B per adeguarle al caso dei gemelli che stiamo discutendo.

Il CONTACHILOMETRI di entrambe viene
azzerato in P1, ma quando raggiungono P2 il CONTACHILOMETRI di B segna 50 km, quello di A segna 100 km.

Come distingui tra le seguenti 2 possibilità:



1) A e B effettuano lo stesso identico percorso, ma il CONTACHILOMETRI di B si è mosso più lentamente di quello di A (a metà velocità) in quanto è diverso il meccanismo/il circuito elettronico che trasduce i giri ruota in cifre sul cruscotto, oppure semplicemente perché le ruote di B hanno un diametro doppio di quelle di A e quindi hanno fatto la metà dei giri (a parità di km percorsi dalle 2 auto).
2) l'auto B ha fatto un percorso più corto per andare da P1 a P2 (ha percorso metà dei chilometri percorsi da A)?

--
Wakinian Tanka

Bruno Cocciaro

unread,
Mar 18, 2018, 6:30:08 AM3/18/18
to
Il giorno lunedì 5 marzo 2018 17:35:02 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
> [Bruno Cocciaro:]
> > Potresti fare un esempio?
> > Intendo una cosa la piu' semplice possibile in base alla quale, a tuo
> > avviso, si possa dire che, a seguito delle seguenti *misure* ... ,
> > siamo autorizzati a dire che un certo arnese (che possiamo chiamare
> > orologio) rallenta quando e' in moto.
>
> Non capisco bene la richiesta. Le misure le hanno fatto
> Hafele e Keating, per esempio. Solo che un esperimento ti
> dice cosa accade, non perche' accade.
> Che la dinamica abbia quell'effetto e` una cosa che si
> verifica sulla carta (e credo che dall'avvento della RR in
> poi sia considerato un requisito base per qualunque teoria
> di dinamica che si rispetti).


D'accordo, la dinamica ha quell'effetto, ma io continuo a non vedere come tu possa ricondurre quegli effetti ad una affermazione del tipo "la dinamica ci dice che gli orologi in moto rallentano".


L'esempio che porti (Hafele e Keating) è in larga parte cinematica (assenza di forze) e, per la parte cinematica, c'e' perfetta simmetria (e' impossibile stabilire chi sarebbe in moto e chi fermo, chi avrebbe l'orologio rallentato e chi "accelerato"), e, per quanto riguarda la parte dinamica dice semplicemente che si assume che l'orologio accelerato misuri un intervallo di tempo molto piccolo durante le fasi di accelerazione.


Direi che se ne possa concludere che la teoria (la teoria nell'insieme, cinematica, dinamica ecc.) ci dice che un orologio risultera' "rallentato" o meno a seconda della sua storia: gli orologi che non accelerano mai sono quelli che risultano "piu' avanti" quando si ritrovano sovrapposti ad altri che hanno subito accelerazioni.
Il semplice "essere in moto" non rallenta.

> A suo tempo ho apprezzato l'esempio di due cariche
> elettriche in moto parallelo. Se sono dello stesso segno, si
> respingono, tuttavia essendo in moto ognuna genera un campo
> magnetico che l'altra sente in quanto si muove; c'e` un
> effetto magnetico attrattivo, che controbilancia in parte
> la repulsione elettrostatica. Piu' veloci sono le cariche,
> minore e` la repulsione complessiva (la repulsione
> "rallenta"). Al limite per v -> c l'attrazione magnetica
> compensa esattamente la repulsione elettrica.
> No, ora come ora non saprei rifare i calcoli e non ricordo
> neanche tutti i dettagli di cui si doveva tenere conto, ma
> trovo che gia` a livello qualitativo sia abbastanza
> illuminante.
> Naturalmente bisogna comunque usare la dinamica
> relativistica per forze, accelerazioni etc., e in generale
> le trasf. di Lorentz per determinare almeno la situazione
> iniziale (ad es. per la contrazione spaziale); non mi
> ricordo se servono per quest'esempio specifico (usarle per
> trasformare il campo elettrico e` un modo alternativo e
> pratico di calcolare il campo EM indotto totale, ma se ne
> puo` fare a meno).

Ma in questo esempio non ci sono orologi. Come da questo si dovrebbe dedurre che "gli orologi in moto rallentano" ?

> Ciao
> Paolo Russo

Ciao,

Bruno Cocciaro

Tommaso Russo, Trieste

unread,
Mar 21, 2018, 2:45:02 PM3/21/18
to
Il 15/03/2018 21:09, Wakinian Tanka ha scritto:
> Quando B si trova ad 1,5 anni luce da A confronta il suo orologio con
> quello fisso accanto a lui nel rif. di A: B segna 2 anni, quello
> accanto fisso segna 1 anno; quando B si trova al punto di inversione,
> in prossimità della stella X, segnerà 4 anni, mentre l'orologio fisso
> ne segnerà 2. Quindi nel viaggio di andata B "accelera" rispetto agli
> orologi nel rif. di A. Vedi qui:
> https://s13.postimg.org/vxjd76wc7/Grafici_effetto_gemelli.jpg

Guarda che no, tu non stai considerando l'ora segnata da un orologio
fisso nel riferimento di A e vicino a B, stai prendendo in
considerazione il segnale orario inviato da A via radio e ricevuto da B.

Nel grafico, l'ora che segna l'orologio vicino a B fisso nel riferimento
di A e' l'ordinata. Quindi:

Quando B si trova ad 1,5 anni luce da A e confronta il suo orologio con
quello fisso accanto a lui nel rif. di A, B segna 2 anni, quello
accanto fisso segna *2,5 anni*;

quando B si trova al punto di inversione, in prossimità della stella X,
segnerà 4 anni, mentre l'orologio fisso vicino a lui ne segnerà *5*.

L'orologio B rimane vieppiu' *indietro* rispetto a quelli fissi in A che
via via incontra, sia nel viaggio di andata che in quello di ritorno.


--
TRu-TS
buon vento e cieli sereni

Giorgio Bibbiani

unread,
Mar 21, 2018, 2:50:02 PM3/21/18
to
Il 15/03/2018 21.09, Wakinian Tanka ha scritto:
> A t = t' = 0, A e B coincidono e B si sta allontanando da A ad una
> v = 0,6 c.
...
> distanza da A (nel rif. di A, come anche in seguito)
...
> Quando B si trova ad 1,5 anni luce da A confronta il suo orologio con
> quello fisso accanto a lui nel rif. di A: B segna 2 anni, quello
> accanto fisso segna 1 anno;

Forse non ho capito bene l'enunciato, ma se
"quello accanto fisso" è sincronizzato in A
con quello nell'origine allora segnerà:

(1.5 a.l.) / (0.6 c) = 2.5 anni,

e analogamente nel seguito.

Ciao

--
Giorgio Bibbiani
(mail non letta)

Elio Fabri

unread,
Mar 21, 2018, 2:55:03 PM3/21/18
to
Bruno Cocciaro ha scritto:
> L'esempio che porti (Hafele e Keating) è in larga parte cinematica
> (assenza di forze) e, per la parte cinematica, c'e' perfetta simmetria
> (e' impossibile stabilire chi sarebbe in moto e chi fermo, chi avrebbe
> l'orologio rallentato e chi "accelerato"), e, per quanto riguarda la
> parte dinamica dice semplicemente che si assume che l'orologio
> accelerato misuri un intervallo di tempo molto piccolo durante le fasi
> di accelerazione.
Prima di tutto mi scuso se rispondo a brandelli.
Ci sono altre cose che dovrei dire, a te, a Paolo e su altri thread.
Ma non ci riesco :-(
Ora ho colto un punto interessante al quale non avevo mai pensato, e
rispondo su quello.

Non è impossibile.
Basta pesare un oggetto sull'aereo.

Infatti (i dati li trovi a pag. 102 del Q16) la differenza di velocità
rispetto a un rif. inerziale porta a una differenza di f. centrifuga,
in un caso minore di quella al suolo, nell'altro maggiore.
Nel Q16 me ne servo solo per mostrare che la differenza è troppo piccola
per poter influenzare gli orologi; ma con una pesata si vedrebbe
benissimo, visto che è circa il 6 per mille: 6 g(peso) su 1 kg!

Quindi si può dimostrare (anche se H&K non credo ci abbiano pensato)
che *non c'è* simmetria tra i due aerei.

> Direi che se ne possa concludere che la teoria (la teoria
> nell'insieme, cinematica, dinamica ecc.) ci dice che un orologio
> risultera' "rallentato" o meno a seconda della sua storia: gli orologi
> che non accelerano mai sono quelli che risultano "piu' avanti" quando
> si ritrovano sovrapposti ad altri che hanno subito accelerazioni.
>
> Il semplice "essere in moto" non rallenta.
Ovviamente d'accordo.
A Paolo avrei dovuto dire che la sua risposta non mi ha soddisfatto, ma
ovv. debbo spiegre perché.
Spero di farcela...
--
Elio Fabri

Paolo Russo

unread,
Mar 21, 2018, 3:05:03 PM3/21/18
to
Provo a rispondere un po' a tutti in un unico post, per
evitare frammentazioni e ripetizioni.

[Paolo Russo:]
>> Che la dinamica abbia quell'effetto e` una cosa che si
>> verifica sulla carta (e credo che dall'avvento della RR in
>> poi sia considerato un requisito base per qualunque teoria
>> di dinamica che si rispetti).

[Bruno Cocciaro:]
> D'accordo, la dinamica ha quell'effetto, ma io continuo a non vedere
> come tu possa ricondurre quegli effetti ad una affermazione del tipo
> "la dinamica ci dice che gli orologi in moto rallentano".

Ma e` proprio il rallentamento l'effetto di cui parlavo.

> L'esempio che porti (Hafele e Keating) è in larga parte cinematica
> (assenza di forze) e, per la parte cinematica, c'e' perfetta simmetria
> (e' impossibile stabilire chi sarebbe in moto e chi fermo, chi avrebbe
> l'orologio rallentato e chi "accelerato"), e, per quanto riguarda la
> parte dinamica dice semplicemente che si assume che l'orologio
> accelerato misuri un intervallo di tempo molto piccolo durante le fasi
> di accelerazione.

Questo conferma che non ci stiamo capendo. Come puoi leggere
nella mia risposta a Elio, per me il sistema di riferimento
e` fondamentale. Sono pienamente d'accordo con te che se non
si specifica un riferimento non si può dire, istante per
istante, quale orologio stia rallentando rispetto all'altro;
lo si potrà dire solo con un confronto tra due percorsi
spaziotemporali diversi che condividano gli stessi due eventi
come estremi, o con una sequenza di operazioni funzionalmente
equivalente (ripensandoci, forse era questa la conclusione a
cui Elio voleva farmi arrivare; mi e` venuto in mente solo
dopo). E questo e` UN concetto di rallentamento, assoluto,
indipendente dal sistema di riferimento.
Esiste anche un ALTRO concetto di rallentamento, relativo al
sistema di riferimento. Capisco che, essendo relativo, a
tanti non piaccia usarlo, soprattutto a te che lo vedi basato
su una convenzione di sincronizzazione che per qualche motivo
che non ricordo sembra lasciarti abbastanza indifferente.
Intendiamoci, anche il rallentamento relativo si puo`
misurare in ultima analisi solo con un confronto tra percorsi
con estremi coincidenti (o procedura equivalente), se si
tiene conto della parte percorsa dalla procedura di
sincronizzazione, solo che in questo caso la scelta dei
percorsi, che influenza il risultato finale, dipende appunto
dal sistema di riferimento adottato. (Non che sia un caso; in
generale, qualunque processo di misura e` un evento e il suo
esito non puo` che essere determinato da una funzione
scalare.)
Quello che sto sostenendo e` che ci sia una certa differenza
tra dire "non mi piacciono i confronti di ritmi temporali
dipendenti dal sistema di riferimento, sono cosi' relativi e
convenzionali, conviene ragionare solo sugli invarianti" e
dire "NON ESISTE un rallentamento dipendente dal sistema di
riferimento, non ha proprio senso parlarne".
Rispetto la prima asserzione (de gustibus...), anche se non
la condivido: vedi caso, a me il rallentamento relativo
piace, nel senso che lo trovo un concetto molto utile per non
dire fondamentale, per vari motivi che ho spiegato, tra i
quali il fatto che ha una causa fisica diretta (dinamicamente
giustificabile e potenzialmente calcolabile istante per
istante).
Ritengo invece arbitraria la seconda asserzione, talmente
arbitraria da poterla considerare erronea. Capisco la sua
adozione in vista della RG che sembrerebbe richiedere questo
tipo di astrazione, ma qui siamo ancora in RR (e anche sulla
RG forse in un lontano futuro avro` qualcosina da dire).

> Direi che se ne possa concludere che la teoria (la teoria
> nell'insieme, cinematica, dinamica ecc.) ci dice che un orologio
> risultera' "rallentato" o meno a seconda della sua storia: gli orologi
> che non accelerano mai sono quelli che risultano "piu' avanti" quando
> si ritrovano sovrapposti ad altri che hanno subito accelerazioni. Il
> semplice "essere in moto" non rallenta.

Come dicevo, dipende dal concetto di rallentamento che
adotti.

>> A suo tempo ho apprezzato l'esempio di due cariche
>> elettriche in moto parallelo. [...] Piu' veloci sono le cariche,
>> minore e` la repulsione complessiva (la repulsione
>> "rallenta"). [...]
>
> Ma in questo esempio non ci sono orologi. Come da questo si dovrebbe
> dedurre che "gli orologi in moto rallentano" ?

Le due cariche, nel riferimento in cui sono inizialmente
ferme, impiegano un certo tempo T per respingersi dalla
distanza iniziale d0 a una data distanza d(T). Dalla d(T)
puoi calcolare T.
Quindi le due cariche costituiscono un orologio. Poco
pratico, ma concettualmente semplice. Dato che nell'esempio
la distanza d e` ortogonale alla direzione del moto, non c'e`
contrazione e questo semplifica le cose.
Quando dico che la dinamica implica che un orologio in moto
rallenti, non parlo dell'eventuale accelerazione a cui
l'orologio puo` essere soggetto; intendo proprio la dinamica
di tutti i meccanismi interni dell'orologio. Non parlo delle
leggi della meccanica classica che fanno funzionare gli
ingranaggi, ovviamente; non sono relativistiche. Parlo delle
leggi dell'elettromagnetismo (niente vieta di immaginare
orologi che sfruttino fenomeni gravitazionali o nucleari, e
il discordo rimarrebbe uguale, ma restiamo sul semplice). Le
leggi dell'elettromagnetismo ci dicono che qualsiasi
meccanismo elettromagnetico rallenta se e` in moto. Il caso
delle due cariche elettriche e` solo un caso particolarmente
semplice, in cui si riesce a verificare la cosa direttamente
senza calcoli troppo difficili, ma esiste la dimostrazione
generale (sostanzialmente legata al concetto di simmetria di
Lorentz).

[Bruno Cocciaro:]
> "Paolo Russo" ha scritto nel messaggio
>> Mi sembra che il rallentamento sia di per se' piuttosto banale da
>> verificare. Basta disporre degli orologi sincronizzati (a` la
>> Einstein) in quiete nel laboratorio lungo il percorso di B e
>> confrontare i tempi segnati da B e dagli orologi accanto a cui passa.
>> Si osservera` uno sfasamento crescente nel tempo con una certa
>> specifica dipendenza dalla velocita`.
>
> Direi che quanto dici sopra sia un esempio da manuale su quali sono i
> tipici errori in cui si incorre non riflettendo adeguatamente sul
> carattere convenzionale della sincronizzazione di orologi distanti.
> Tu assumi come "buona" la sincronizzazione standard eseguita tramite
> segnali luminosi (quella che chiami "a` la Einstein") e ne deduci che
> quello che consideri un esperimento, proverebbe la bonta' della tua
> affermazione: "... B rallenta nel riferimento del laboratorio".

Piu' esattamente, nel momento in cui uno usa l'espressione
"riferimento del laboratorio" senza specificare altro, sta
sottintendendo che esso sia definito tramite le procedure
standard tra cui la sincronizzazione a luce o equivalente;
faccio notare en passant che anche lo spazio e` altrettanto
convenzionale, calibrato a luce o in modi equivalenti. E il
motivo per cui lo si sottintende e` che spazio e tempo sono
solitamente alquanto necessari per poter dire alcunche' in
fisica, per cui, per quanto arbitraria e convenzionale possa
essere la loro definizione, una qualche definizione bisogna
pur darla, solitamente, e in RR la piu' semplice e` quella
li'.
Naturalmente, se vuoi definire un riferimento in modo
diverso, fai pure; basta capirsi. Io quando dico
"riferimento" intendo sempre quello standard, ove non sia
diversamente specificato.

> In realta' quello che hai descritto *non e'* un esperimento. E' la
> semplice osservazione che ritrovi oggi quello che hai fatto ieri (e
> questo in fisica si assume sempre: se oggi ripeto la stessa cosa di
> ieri osservero' gli stessi esiti). Lo sfasamento sempre crescente fra
> gli istanti segnati dall'orologio in moto, B, e gli orologi accanto a
> cui passa � esattamente quello che avevi settato ieri quando, durante
> la fase di sincronizzazione, stavi viaggiando con B e settavi gli
> orologi a cui passavi accanto.

La fai troppo semplice. Il viaggio di sincronizzazione va
fatto a bassa velocita`, quindi il viaggio di misura non ne
riproduce affatto l'esito.

> Ma, dirai, io ho sincronizzato tramite
> segnale luminoso, non tramite trasporto di orologio. In realta' le due
> cose *non* sono diverse, sono la stessa cosa, come dimostro qua
> https://www.dropbox.com/s/b4dja38z7a1jcko/Sincronizzazione.pdf?dl=0

Ah, vedo che adotti il trasporto a velocita` qualunque con
compensazione esplicita. Naturalmente ti rendi conto che cio`
significa che accetti la RR, accetti che gli orologi in moto
one-way rallentino (tant'e` che hai previsto di doverne
compensare l'effetto sul trasporto dell'orologio di
sincronizzazione) e quindi ovviamente non devo descrivere
nessun esperimento per convincerti di cio` di cui
evidentemente sei gia` piu' che convinto. Tanto meglio, ma
l'esperimento era a beneficio degli altri. :-)


[Wakinian Tanka:]
> Bruno Cocciaro mi ha battuto sul tempo (che sincronizzazione usa? :-),

Mai capito. :-)

> A rimane fisso sulla Terra (che si assume ferma in un rif. inerziale)
> e chiamo t il tempo che segna, mentre chiamo t' il tempo segnato da B.
> A t = t' = 0, A e B coincidono e B si sta allontanando da A ad una v =
> 0,6 c.
>
>
> Quando B arriva ad una distanza da A (nel rif. di A, come anche in
> seguito) di 3 anni luce, in prossimità di una certa stella X, inverte
> (quasi) istantaneamente il suo moto riavvicinandosi ad A, sempre ad
> una v = 0,6 c.
>
> Come sappiamo, al termine del viaggio, quando B ed A si confronteranno
> di nuovo, B segnerà 8 anni ed A 10 anni.
>
> Analizziamo quello che succede nel viaggio di andata ed in quello di
> ritorno. a) Andata.
>
>
> Quando B si trova ad 1,5 anni luce da A confronta il suo orologio con
> quello fisso accanto a lui nel rif. di A: B segna 2 anni, quello
> accanto fisso segna 1 anno; quando B si trova al punto di inversione,
> in prossimità della stella X, segnerà 4 anni, mentre l'orologio fisso
> ne segnerà 2.

No. Se gli orologi fermi nel rif. di A sono sincronizzati in
maniera standard, in prossimita` della stella X ci sara` un
orologio fisso che segna 5 anni. I 2 anni sono il contenuto
di un eventuale messaggio inviato a v = c dall'orologio di A
sulla Terra, che arriva a X dopo 3 anni di viaggio. Non
c'entra niente, non e` quello il tempo del rif. di A, i cui
orologi devono essere sincronizzati compensando il tempo di
propagazione dei segnali in quel riferimento.

> Quindi nel viaggio di andata B "accelera" rispetto agli
> orologi nel rif. di A.

Proprio no, mi dispiace. Intendiamoci, mentre B passa accanto
a ciascun orologio del rif. di A lo vede marciare piu'
lentamente del suo; tuttavia, non vede gli orologi del rif.
di A sincronizzati tra loro, per cui in definitiva B rallenta
sempre rispetto agli orologi nel rif. di A.

> 1) A e B effettuano lo stesso identico percorso, ma il CONTACHILOMETRI
> di B si è mosso più lentamente di quello di A (a metà velocità) in
> quanto è diverso il meccanismo/il circuito elettronico che trasduce i
> giri ruota in cifre sul cruscotto, oppure semplicemente perché le
> ruote di B hanno un diametro doppio di quelle di A e quindi hanno
> fatto la metà dei giri (a parità di km percorsi dalle 2 auto). 2)
> l'auto B ha fatto un percorso più corto per andare da P1 a P2 (ha
> percorso metà dei chilometri percorsi da A)?

Indagherei. Nell'impossibilita` di farlo, assumerei la
spiegazione più semplice e coerente con quanto gia` noto:
percorso diverso.
Nell'esempio interstellare precedente, qualunque indagine
eseguita nel rif. di A confermera` che l'orologio B, in moto
nel rif. di A, va efffettivamente piu' lento del normale in
qualunque istante del suo moto e con qualsiasi tecnica
(eseguita nel rif. di A) si esegua il confronto; ulteriori
indagini illustreranno i meccanismi fisici (effettivamente
esistenti) di questo rallentamento e del perche' nel rif. di
B non venga percepito. Caso chiuso. :-)


Mi pare d'aver piu' o meno risposto alle domande e alle
obiezioni. Ora, se permettete, qualche obiezione ve la faccio
io.

Ho capito benissimo che una misura che prescinda dalle
convenzioni con cui si definiscono i sistemi di riferimento
richiede il confronto tra due integrali di percorsi
spaziotemporali con estremi coincidenti (insomma, una curva
chiusa), e che il risultato cosi' ottenuto sia indipendente
dal sistema di riferimento e dalle relative convenzioni.
Capisco anche benissimo che il rallentamento relativo
istantaneo, one-way, non puo` realmente essere dimostrato in
modo one-way, perche' le operazioni per definire un rif.
inerziale chiudono implicitamente la curva, a livello
concettuale se non materiale (non credo che nessuno abbia
dovuto andare in quota a sincronizzare orologi per rendersi
conto della dilatazione temporale dei muoni che arrivavano a
terra; il solo fatto che arrivassero a terra era già
piuttosto significativo).
Ho pero` qualche problema con l'implicazione che, essendo il
rallentamento su curva chiusa l'unico direttamente misurabile
senza convenzioni, sia anche l'unico dimostrabile tout-court
e quindi esistente. Quasi tutta la fisica moderna si regge su
prove ampiamente indirette, ottenute interpretando esiti
sperimentali nell'ambito di teorie che consentono di trarne
delle conclusioni. Definire un rif. inerziale sarebbe troppo?
Abbiamo ampie prove della RR, e la RR implica che esistano
meccanismi fisici (anch'essi ampiamente dimostrati
indipendentemente, come ho cercato di far notare) che
rallentano gli orologi in moto in un riferimento inerziale
standard (che spiega come definire). Che altro pretendete?

Detto in parole povere: avete qualche plausibile motivo
fisico per assumere che se H&K avessero viaggiato in linea
retta anziche' girare in cerchio il rallentamento non ci
sarebbe stato? Pensate che la dinamica covariante
responsabile istante per istante del rallentamento avrebbe
appeso il cartello "torno subito, appena la curva si chiude"
e sarebbe andata un attimo a pescare in attesa di un futuro
ritorno degli aerei?
Una carica elettrica in moto indurrebbe un campo magnetico
solo quando si muove lungo una curva chiusa, o magari solo
quando misuriamo il campo? E sarei io a dover dimostrare il
contrario?
Non scherzo: le affermazioni "un orologio in moto rallenta" e
"una carica elettrica in moto genera un campo magnetico" sono
perfettamente analoghe in RR: hanno lo stesso ambito
(relativo) di validita`. Chi critica la prima critica
implicitamente anche la seconda, che se ne renda conto o
meno; tuttavia, ho la sensazione che la seconda riceva molte
meno critiche *esplicite* della prima. E per inciso, come ho
tentato di mostrare, nei casi piu' comuni e` proprio la
seconda (in buona sostanza) la causa fisica della prima.

Per riuscire a negare l'esistenza di un rallentamento
relativo one-way bisogna caricarsi di una tale zavorra
filosofica mal definita per compensare tutti gli assurdi che
ne derivano che francamente, no grazie, preferisco viaggiare
piu' leggero: basta prendere atto che oltre ai comodissimi
scalari esistono anche i tensori di rango maggiore di zero,
prenderli opportunamente sul serio, ed e` tutto risolto.

Sul valore didattico e sugli equivoci che si rischiano
assumendo un punto di vista o l'altro... premesso che stando
sempre bene attenti gli errori non si commettono, qualunque
sia il punto di vista adottato, resta il fatto che certi
punti di vista possono essere in linea di principio piu'
scivolosi di altri, favorendo equivoci. Ora, dopo aver letto
le argomentazioni di Bruno Cocciaro e Wakinian Tanka,
alquanto affette da errori vari (se le ho capite), e dopo
tutti i post che sto scrivendo per convincerli che le
equazioni della dinamica prevedono *davvero* cause fisiche
reali (ancorche' relative) per il rallentamento dei
meccanismi interni dei corpi in moto, e non so nemmeno se
sono ancora riuscito a convincerli di cio`, forse dovreste
cominciare a chiedervi se il mio punto di vista sia davvero
il piu' scivoloso dei due...

Ciao
Paolo Russo

Wakinian Tanka

unread,
Mar 23, 2018, 3:40:03 PM3/23/18
to
Il giorno mercoledì 21 marzo 2018 19:45:02 UTC+1, Tommaso Russo, Trieste ha scritto:
> Il 15/03/2018 21:09, Wakinian Tanka ha scritto:
> > Quando B si trova ad 1,5 anni luce da A confronta il suo orologio con
> > quello fisso accanto a lui nel rif. di A: B segna 2 anni, quello
> > accanto fisso segna 1 anno; quando B si trova al punto di inversione,
> > in prossimità della stella X, segnerà 4 anni, mentre l'orologio fisso
> > ne segnerà 2. Quindi nel viaggio di andata B "accelera" rispetto agli
> > orologi nel rif. di A. Vedi qui:
> > https://s13.postimg.org/vxjd76wc7/Grafici_effetto_gemelli.jpg
>
> Guarda che no, tu non stai considerando l'ora segnata da un orologio
> fisso nel riferimento di A e vicino a B, stai prendendo in
> considerazione il segnale orario inviato da A via radio e ricevuto da B.
> Nel grafico, l'ora che segna l'orologio vicino a B fisso nel riferimento
> di A e' l'ordinata.

Vero, banale errore.

--
Wakinian Tanka

Wakinian Tanka

unread,
Mar 23, 2018, 3:40:03 PM3/23/18
to
Il giorno mercoledì 21 marzo 2018 19:50:02 UTC+1, Giorgio Bibbiani ha scritto:
...
>
> Forse non ho capito bene l'enunciato, ma se
> "quello accanto fisso" è sincronizzato in A
> con quello nell'origine allora segnerà:
> (1.5 a.l.) / (0.6 c) = 2.5 anni,
> e analogamente nel seguito.
> Ciao
>
Hai ragionissima, come ho già scritto a Tommaso e come ora scriverò anche a Paolo.

--
Wakinian Tanka

Elio Fabri

unread,
Mar 23, 2018, 3:45:02 PM3/23/18
to
Paolo Russo ha scritto:
> Solo una finezza (che forse e` il punto cruciale, ci torno dopo): io
> preferirei dire "... B rallenta nel riferimento del laboratorio", o
> "nel riferimento solidale ad A", piuttosto che "rispetto ad A".
Va bene, vada per la precisazione.
(Scusa il grande ritardo, ma ho già scritto che faccio fatica a
districarmi tra tutti i post che leggo, le cose che debbo consultare,
le risposte che devo scrivere :-( )

> Mi sembra che il rallentamento sia di per se' piuttosto banale da
> verificare. Basta disporre degli orologi sincronizzati (a` la
> Einstein) in quiete nel laboratorio lungo il percorso di B e
> confrontare i tempi segnati da B e dagli orologi accanto a cui passa.
> Si osservera` uno sfasamento crescente nel tempo con una certa
> specifica dipendenza dalla velocita`.
Certo non dubitavo che avresti saputo precisare.
Però così si vede bene che da dove viene la dissimmetria: nel rif.
di A hai bisogno di *due* orologi, mentre B è uno solo.

> C'e` forse un problema concettuale nella definizione di
> orologio B.
> ...
Un'altra possibile soluzione è di basarsi sul PR.
Stabiliamo che l'orol. B è stato costruito (nel suo rif., senza mai
muoverlo da lì) con gli stessi metodi usati per gli orologi A.
Oppure, forse anche meglio: verifichiamo che c'è perfetta simmetria. B
rallenta rispetto al rif. di A come A rallenta nel rif. di B, né più
né meno.

Però resta il fatto che a me è proprio il verbo "rallentare" che non
piace.
Mi sembra che sposti l'accento dal fatto fisico essenziale: la
differenza tra A e B dipende in ultima analisi solo dal fatto che
seguono cammini diversi nello spazio-tempo.

Prima che tu mi faccia l'ovvia obiezione, che questo avrebbe senso
solo se A e B partissero dallo stesso evento e terminassero pure in
uno stsso evento, mentre questo non è il caso, ti suggerirei di dare
un'occhiata al Q16, dove mi sono occupato della questione in relazione
alla vita media dei muoni.
Lì non ho affatto parlato di rallentamento, ma solo di percorsi
diversi.
Come si può fare, è detto alla lez. 9, pag. 120-121 "Muoni dai raggi
cosmici".


--
Elio Fabri

Giorgio Bibbiani

unread,
Mar 23, 2018, 3:50:02 PM3/23/18
to
Il 21/03/2018 17.18, Paolo Russo ha scritto:

Nel seguito considero solo trasformazioni tra
_riferimenti inerziali in RR_.

> Non scherzo: le affermazioni "un orologio in moto rallenta" e
> "una carica elettrica in moto genera un campo magnetico" sono
> perfettamente analoghe in RR: hanno lo stesso ambito
> (relativo) di validita`.

Concordo, infatti a rigore sono entrambe criticabili.

> Chi critica la prima critica
> implicitamente anche la seconda, che se ne renda conto o
> meno; tuttavia, ho la sensazione che la seconda riceva molte
> meno critiche *esplicite* della prima. E per inciso, come ho
> tentato di mostrare, nei casi piu' comuni e` proprio la
> seconda (in buona sostanza) la causa fisica della prima.

Un orologio in moto misura il suo tempo proprio,
cioè il tempo nel riferimento in cui l'orologio
è in quiete, non rallenta e non accelera, cambiando
riferimento cambieranno _solo le componenti_ del
quadrivettore formato dalle coordinate spaziotemporali
dell'orologio.

Una carica in quiete _genera_ anche un campo magnetico,
di valore nullo, cambiando riferimento cambieranno
_solo le componenti_ del tensore del campo elettromagnetico
generato dalla carica e in particolare alcune componenti
magnetiche risulteranno allora non nulle.

Wakinian Tanka

unread,
Mar 25, 2018, 4:20:03 PM3/25/18
to
24/03/2018 ore 17:30

Il giorno mercoledì 21 marzo 2018 20:05:03 UTC+1, Paolo Russo ha scritto:
> [Wakinian Tanka:]
> > Quindi nel viaggio di andata B "accelera" rispetto agli
> > orologi nel rif. di A.
>
> Proprio no, mi dispiace.


Hai perfettamente ragione; tra l'altro a suo... tempo :-) avevo già analizzato in dettaglio la situazione e quello che dici lo sapevo ma evidentemente me lo ero già scordato :-(
Come non detto.

> > 1) A e B effettuano lo stesso identico percorso, ma il CONTACHILOMETRI
> > di B si è mosso più lentamente di quello di A (a metà velocità) in
> > quanto è diverso il meccanismo/il circuito elettronico che trasduce i
> > giri ruota in cifre sul cruscotto, oppure semplicemente perché le
> > ruote di B hanno un diametro doppio di quelle di A e quindi hanno
> > fatto la metà dei giri (a parità di km percorsi dalle 2 auto). 2)
> > l'auto B ha fatto un percorso più corto per andare da P1 a P2 (ha
> > percorso metà dei chilometri percorsi da A)?
>
> Indagherei. Nell'impossibilita` di farlo, assumerei la
> spiegazione più semplice e coerente con quanto gia` noto:
> percorso diverso.

Appunto.

> Nell'esempio interstellare precedente, qualunque indagine
> eseguita nel rif. di A confermera` che l'orologio B, in moto
> nel rif. di A, va efffettivamente piu' lento del normale in
> qualunque istante del suo moto e con qualsiasi tecnica
> (eseguita nel rif. di A) si esegua il confronto;

Ok.

> ulteriori indagini illustreranno i meccanismi fisici (effettivamente
> esistenti) di questo rallentamento

... che non verranno trovati. Ma se tu ne sei convinto...
Comunque ho visto più giù a cosa alludi e te lo contesterò :-)

> e del perche' nel rif. di B non venga percepito. Caso chiuso. :-)

Chiuso per te, non per me :-)

> Mi pare d'aver piu' o meno risposto alle domande e alle
> obiezioni. Ora, se permettete, qualche obiezione ve la faccio
> io.

Ottimo.

[...]

> Una carica elettrica in moto indurrebbe un campo magnetico
> solo quando si muove lungo una curva chiusa, o magari solo
> quando misuriamo il campo? E sarei io a dover dimostrare il
> contrario?

No, ovviamente, lo genera anche muovendosi di moto uniforme.




Però devo ringraziare te in primis e poi Giorgio Bibbiani ed Elio Fabri per avermi fatto notare questa questione: se è vero, come è vero, che un semplice moto uniforme genera qualcosa che appare essere un vero e proprio effetto fisico, ovvero la creazione di un campo magnetico, come si concilia questo con il fatto intuitivo (e, meno usando l'intuito ma più precisamente usando il primo postulato della RR, il PR) che un semplice moto inerziale non dovrebbe affatti "generare effetti fisici"? Come fa notare Giorgio (e implicitamente Elio quando pone l'accento sul riferimento che invece è solidale a B), si tratta in fondo solo di cambiare le coordinate!

> Non scherzo: le affermazioni "un orologio in moto rallenta" e
> "una carica elettrica in moto genera un campo magnetico" sono
> perfettamente analoghe in RR: hanno lo stesso ambito
> (relativo) di validita`.

Finora questo non mi era chiaro e vi ringrazio per avermelo fatto notare.


Quindi a questo punto la domanda è: l'esistenza di un campo magnetico dove (o quando) prima non c'era, come quello generato da una carica in moto uniforme, può essere considerata un "vero effetto fisico"?

A prima vista sembrerebbe proprio di si: un campo magnetico, ad es., fa deviare un ago magnetizzato.
Ma l'effetto fisico è /il campo magnetico in sé/ o /la deviazione dell'ago magnetizzato/?


Se /cambiamo coordinate spazio-temporali/, come dice Giorgio, e consideriamo (un sdr in cui) la carica ferma (niente campo magnetico) e l'ago magnetizzato in moto inerziale, esso devierà lo stesso e come prima? Già il PR ci dice di sì, e le leggi dell'elettromagnetismo ce lo confermano.

Perciò quello che conta non è /l'esistenza del campo magnetico in sé/, e quindi /il fatto che la carica sia in moto/ ma:

*il fatto che carica ed ago magnetizzato siano in moto reciproco*!



Di conseguenza, a mio modesto parere, non ha significato fisico affermare che "il rallentamento dell'orologio B rispetto all'orologio A è un vero effetto fisico": il vero effetto fisico è il fatto che quando alla fine i due orologi vengono confrontati direttamente, l'orologio B segna un intervallo di tempo inferiore a quello segnato da A.

--
Wakinian Tanka

Elio Fabri

unread,
Mar 25, 2018, 4:25:02 PM3/25/18
to
Paoo Russo ha scritto:
> Sono pienamente d'accordo con te che se non si specifica un
> riferimento non si può dire, istante per istante, quale orologio stia
> rallentando rispetto all'altro; lo si potrà dire solo con un
> confronto tra due percorsi spaziotemporali diversi che condividano gli
> stessi due eventi come estremi, o con una sequenza di operazioni
> funzionalmente equivalente (ripensandoci, forse era questa la
> conclusione a cui Elio voleva farmi arrivare; mi e` venuto in mente
> solo dopo).
Non necessariamente, ma era una possibile risposta.
Ma per me il punto essenziale è che non ha *mai* senso parlare di
rallentamento di un orologio.
V. appresso.

> E questo e` UN concetto di rallentamento, assoluto, indipendente dal
> sistema di riferimento.
Che sia indip. dal rif. è vero, ma non so perché vuoi chiamarlo
rallentamento.
Hai *due* orologi, che come hai spiegato hanno in comune partenza e
arrivo (eventi).
In quanto orologi, entrambi portano un indicatore del *tempo proprio*.
Osservi che gli intervalli di tempo proprio sono in generale diversi
per i due orologi.
Questo è il dato di fatto.
Tirare in ballo il verbo "rallentare" è arbitrario: è
un'interpretazione che ha più controindicazioni che vantaggi.

> Esiste anche un ALTRO concetto di rallentamento, relativo al sistema
> di riferimento. Capisco che, essendo relativo, a tanti non piaccia
> usarlo,
Non è il mio caso, ma tu stai rispondendo a Bruno :-)

> Intendiamoci, anche il rallentamento relativo si puo` misurare in
> ultima analisi solo con un confronto tra percorsi con estremi
> coincidenti (o procedura equivalente), se si tiene conto della parte
> percorsa dalla procedura di sincronizzazione, solo che in questo caso
> la scelta dei percorsi, che influenza il risultato finale, dipende
> appunto dal sistema di riferimento adottato.
D'accordo.
Mi pare di aver rimandato in altr post al caso dei muoni dai raggi
cosmici, e al modo come lo tratto nel Q16.
Lì non parlo di sincronizzazione, ma c'è, in modo implicito: uso un
orologio a metà strada per sincronizzare i due orologi in alto e in
basso.
Quello in alto segna l'istante in cui il muone passa sulla cima del
monte; quello in basso misura l'istante in cui il muone arriva.
Il rif. adottato è chiaramente quello solidale al suolo.

Per le ragioni che sai, io non ho niente contro la sincron. standard.
Per la presente discussione conta però che il confronto lo fai tra *un*
orologio (il muone) che si muove in quel rif. e *due* orologi fermi
(sincronizzati).
E' questa la dissimmetria essenziale.

> ...
> e dire "NON ESISTE un rallentamento dipendente dal sistema di
> riferimento, non ha proprio senso parlarne".
In realtà io dico che trovo improprio attribuire a un orologio
qualcosa che cambia da un rif. al'altro.

Se dico che l'orologio rallenta, chiunque intenderà che succede
qualcosa *proprio a lui*, all'orologio, che lo fa andare più lento.
Poi dico: "però attenzione, perché il rallentamento dipende dal rif."
Ma allora non è cosa dell'orologio...
Chiunque a questo punto preferirebbe sentir dire "l'orologio *appare*
rallentare, in un modo che dipende dal rif. dal quale lo si osserva".
E io non voglio che nel discorso fisico entrino verbi come "appare".

Tralascio una quantità di punti del tuo lunghissimo post.
Cerco di concentrarmi su poche cose...

> Detto in parole povere: avete qualche plausibile motivo fisico per
> assumere che se H&K avessero viaggiato in linea retta anziche' girare
> in cerchio il rallentamento non ci sarebbe stato?
In realtà è la discussione che gira in cerchio :-)

> Pensate che la dinamica covariante responsabile istante per istante
> del rallentamento avrebbe appeso il cartello "torno subito, appena la
> curva si chiude" e sarebbe andata un attimo a pescare in attesa di un
> futuro ritorno degli aerei?
Ho l'impressione che si sia già parlato di questo tuo ricorso alla
dinamica covariante, quindi forse mi ripeto.
Finché puoi dimostrare che il funzionamento del'orologio dipende
*esclusivametne* da interazioni e.m., l'argomento pare funzionare.
Ma succede mai questo?
E comunque, come fai a saperlo a priori?
Solo perché in realtà inverti l'onere della prova: prendi come
postulato che *qualsiasi* dinamica debba essere relativistica.
Quindi il "rallentamento", in quanto in realtà effetto solo della
geometria dello spazio-tempo, viene prima della tua dinamica.
Col tuo approccio (non solo tuo) questo viene messo in ombra.
E io lo trovo un forte difetto.

> Non scherzo: le affermazioni "un orologio in moto rallenta" e "una
> carica elettrica in moto genera un campo magnetico" sono perfettamente
> analoghe in RR: hanno lo stesso ambito (relativo) di validita`. Chi
> critica la prima critica implicitamente anche la seconda, che se ne
> renda conto o meno; tuttavia, ho la sensazione che la seconda riceva
> molte meno critiche *esplicite* della prima. E per inciso, come ho
> tentato di mostrare, nei casi piu' comuni e` proprio la seconda (in
> buona sostanza) la causa fisica della prima.
In effetti debbo essere tra quelli che non se ne rendono conto :-)

Provo a spiegarmi.
In primo luogo, come ho detto sopra, se parlo di "rallentamento"
intendo (e anche tu, mi pare) qualcosa che succede *all'orologio*.
Se dico "qui c'è un campo magnetico" sto facendo un'affermazione che è
verificabile a prescindere dalla sorgente del campo.
Il campo è osservabile *di per sé*.

Secondo. Non so se è questo che vorresti, ma provo a fare affermazioni
indip. dal rif.
Abbiamo una carica q, che si muove di moto uniforme (questa è
un'afferm. indip. dal rif.: solo la velocità cambia da un rif.
all'altro). Sia s la sua linea oraria (una retta) e u la sua
4-velocità (vettore dello spazio-tempo: solo le sue compomenti
cambiano da un rif. all'altro).
Sia P un punto dello sp.-tempo (evento).

Prendiamo un punto Q su s, poniamo per def. r = P-Q (un 4-vettore) e
poniamo poi per brevità w = u∧r (prodotto esterno: w è un /bivettore/,
ossia un tensore antisimmetrico di rango (2,0).
Allora il tensore e.m. in P è (a meno di fattori numerici)

F = q w/|w|^3

dove |w|^2 è definito come w.w.
In componenti:
|w|^2 = w^[\mu\nu} w_{\mu\nu}.

Nota 1: i fattori numerici li lascio indeterminati perché sono un casino,
e in parte dipendono dalle convenzioni.
Nota 2: la scelta di Q su s è libera, perché u∧u = 0.

Esempio. (Uso la metrica g_{00}=1, g_{11} = -1 ecc.)
Se assumiamo un rif. in cui la carica è ferma, abbiamo u=(1,0,0,0).
Scelgo l'origine su s, e prendo Q=(0,0,0,0).
Sia P=(t,x,y,z): allora il bivettore u∧r ha le componenti:
w^{01} = x, w^{02} = y, w^{03} = z
w^{10} = -x, w^{20} = -y, w^{30} = -z
(tutte le altre sono nulle).

|w|^2 = -2(x^2 + y^2 + z^2)

(ecco che ci sono fattori da sistemare!).
Essendo F^{01} = E_x ecc. (o forse col segno opposto?) troviamo la
legge di Coulomb.
Le componenti F^{12} ecc. sono nulle: non c'è campo magnetico.

In un diverso rif. u avrebbe anche componenti spaziali, e si
troverebbero subito le espressioni relativistiche di E e di B di una
carica in moto uniforme.
Che c'è di strano a dire
"se q è ferma, B=0; se si muove, B non è nullo"?
D'accordo, stiamo solo descrivendo proprietà delle compoenti di F in
rif. diversi.
Ma come ho detto sopra, si tratta di cose misurabili.


--
Elio

Paolo Russo

unread,
Apr 5, 2018, 12:45:02 PM4/5/18
to
[Elio Fabri:]
> Paolo Russo ha scritto:
>> E questo e` UN concetto di rallentamento, assoluto, indipendente dal
>> sistema di riferimento.
> Che sia indip. dal rif. è vero, ma non so perché vuoi chiamarlo
> rallentamento.

D'accordo, tra due orologi in moto generico puo` aver poco
senso.
Se uno dei due fa parte di (e` fermo in) un riferimento, non
saprei con che altra parola esprimere dTau/dT < 1.

> Hai *due* orologi, che come hai spiegato hanno in comune partenza e
> arrivo (eventi).
> In quanto orologi, entrambi portano un indicatore del *tempo proprio*.
> Osservi che gli intervalli di tempo proprio sono in generale diversi
> per i due orologi.
> Questo è il dato di fatto.

Si', questo e` uno dei tanti dati di fatto su cui si fondano
le teorie, da cui emerge una visione della realta`: una
rappresentazione dello stato di un sistema e leggi su come lo
stato si evolva nel tempo. Occorre introdurre i riferimenti,
con tanto di coordinata temporale spazialmente estesa basata
su un concetto di simultaneita`, ed e` solo in questa
coordinata temporale che si riesce a definire lo stato di un
sistema e a trattare la sua dinamica.
Per cui per me e` il riferimento, non il tempo proprio, la
base di tutta la visione della realta`. Il tempo proprio e`
utilissimo, per carita`, ma non e` fondamentale; non per me,
almeno.
Entrambi riteniamo di starci solo basando sui fatti.

> Tirare in ballo il verbo "rallentare" è arbitrario: è
> un'interpretazione che ha più controindicazioni che vantaggi.

Altrettanto si puo` dire del non tirarlo in ballo. E` una
questione di opinioni e soprattutto di mentalita`, di visioni
fisiche del mondo. Io preferisco la visione che ho spiegato,
per i motivi che ho spiegato.

> Per le ragioni che sai, io non ho niente contro la sincron. standard.
> Per la presente discussione conta però che il confronto lo fai tra
> *un* orologio (il muone) che si muove in quel rif. e *due* orologi
> fermi (sincronizzati).
> E' questa la dissimmetria essenziale.

E` esattamente per questa asimmetria tra un orologio
(singolo) e un riferimento (che equivale a infiniti orologi
sincronizzati) che giustifico il termine rallentamento, non
di un orologio rispetto a un altro, ma di un orologio
rispetto a un riferimento.

> In realtà io dico che trovo improprio attribuire a un orologio
> qualcosa che cambia da un rif. al'altro.
>
> Se dico che l'orologio rallenta, chiunque intenderà che succede
> qualcosa *proprio a lui*, all'orologio, che lo fa andare più lento.
> Poi dico: "però attenzione, perché il rallentamento dipende dal rif."
> Ma allora non è cosa dell'orologio...

Certo, non dell'orologio e basta; e` dell'orologio relativa
al riferimento.

> Chiunque a questo punto preferirebbe sentir dire "l'orologio *appare*
> rallentare, in un modo che dipende dal rif. dal quale lo si osserva".
> E io non voglio che nel discorso fisico entrino verbi come "appare".

Sembra quasi che tu voglia spiegare la RR senza introdurre il
concetto stesso di relativita`, senza spiegare che ci sono
cose che variano da un riferimento all'altro e come. Mi
sembra un po' limitativo. Scusa la banalita`, ma se la
chiamano teoria della relativita` invece che teoria degli
invarianti un motivo ci sara`... Allora, a questo punto, se
si assume che il concetto di relativita` sia troppo per
l'ascoltatore, meglio non cominciare nemmeno a spiegargliela
'sta benedetta RR, che tanto non c'e` speranza.
Capisco che parti dal presupposto di rivolgerti a insegnanti
di studenti liceali che in media capiscono ben poco anche
delle cose piu' semplici, e che possa essere meglio evitare
concetti che richiedono tempo e pazienza per essere appresi,
specie se il tempo latita. Pero`, scusa, e` colpa mia se io
invece la RR la capisco? Dovrei adattarmi anch'io a non usare
concetti per me basilari perche' se uno studente poco portato
per la materia mi sentisse potrebbe non afferrarli al volo
senza ulteriori spiegazioni? Addirittura, bisogna dire che
sono sbagliate tout court quelle interpretazioni che lo
studente in questione potrebbe non afferrare al volo? Mi
sembra un po' eccessivo.
Come ho sempre detto: non critico la tua esposizione della
RR, dato il target e soprattutto la mia assoluta incompetenza
in materia di insegnamento. Critico solo l'idea che quello
sia l'unico modo fisicamente corretto di vedere le cose, o
anche solo il migliore in assoluto per chiunque (dato che
sono piu' che certo che per me non lo e`).

> In realtà è la discussione che gira in cerchio :-)

Hai assolutamente ragione. Il problema e` che sulla fisica in
se' siamo d'accordo, quindi la questione non e` realmente di
fisica. Stiamo sconfinando nella filosofia, purtroppo. :-)
E io ormai non posso dedicargli molto altro tempo. Del resto,
credo che lo si fosse capito dal mio tempo medio di risposta.

>> Pensate che la dinamica covariante responsabile istante per istante
>> del rallentamento avrebbe appeso il cartello "torno subito, appena la
>> curva si chiude" e sarebbe andata un attimo a pescare in attesa di un
>> futuro ritorno degli aerei?
> Ho l'impressione che si sia già parlato di questo tuo ricorso alla
> dinamica covariante, quindi forse mi ripeto.
> Finché puoi dimostrare che il funzionamento del'orologio dipende
> *esclusivametne* da interazioni e.m., l'argomento pare funzionare.
> Ma succede mai questo?
> E comunque, come fai a saperlo a priori?
> Solo perché in realtà inverti l'onere della prova: prendi come
> postulato che *qualsiasi* dinamica debba essere relativistica.

Piu' esattamente, dato che le teorie di campo piu' moderne le
hanno fatte dopo la relativita`, do` per scontato che abbiano
cercato di farle tutte relativistiche e che se non ci fossero
riusciti la cosa avrebbe fatto cosi' scalpore che ne avrei
sentito parlare.

> Quindi il "rallentamento", in quanto in realtà effetto solo della
> geometria dello spazio-tempo, viene prima della tua dinamica.

Da un punto di vista fondazionale, della riduzione a un
numero minimo di postulati, senz'altro.
Forse grazie a questa discussione sto cominciando a capire
cos'e` il realismo e che, dopo tutto, sono realista.
Sono convinto che all'universo non importi molto degli
aspetti fondazionali della scienza umana. Quel che succede
nell'universo lo decidono le leggi della dinamica (quelle
vere, comunque siano fatte) e nient'altro. Se un giorno si
scoprisse una qualche interazione che non rispetta il p.r.,
ne sarei un po' stupito, dato che finora non se n'e` vista
traccia, ma non certo sconvolto. La fisica e` piena di
simmetrie che vengono rispettate da certe interazioni e
violate da altre. Per me il p.r. e` una simmetria come tante.

> Col tuo approccio (non solo tuo) questo viene messo in ombra.
> E io lo trovo un forte difetto.

Lo capisco. I difetti che trovo io nel tuo approccio li ho
gia` detti (e ho gia` precisato che sono tali per il *mio*
modo di vedere le cose, non in assoluto).

>> Non scherzo: le affermazioni "un orologio in moto rallenta" e "una
>> carica elettrica in moto genera un campo magnetico" sono
>> perfettamente analoghe in RR: hanno lo stesso ambito (relativo) di
>> validita`. Chi critica la prima critica implicitamente anche la
>> seconda, che se ne renda conto o meno; tuttavia, ho la sensazione che
>> la seconda riceva molte meno critiche *esplicite* della prima. E per
>> inciso, come ho tentato di mostrare, nei casi piu' comuni e` proprio
>> la seconda (in buona sostanza) la causa fisica della prima.
> In effetti debbo essere tra quelli che non se ne rendono conto :-)
>
> Provo a spiegarmi.
> In primo luogo, come ho detto sopra, se parlo di "rallentamento"
> intendo (e anche tu, mi pare) qualcosa che succede *all'orologio*.

Si', in un dato riferimento.

> Se dico "qui c'è un campo magnetico" sto facendo un'affermazione che è
> verificabile a prescindere dalla sorgente del campo.
> Il campo è osservabile *di per sé*.

Si', in un dato riferimento.
Anche il rallentamento e` osservabile di per se', a
prescindere dalla sua causa (sempre in un dato riferimento).

> Che c'è di strano a dire
> "se q è ferma, B=0; se si muove, B non è nullo"?

Nulla per me, come non trovo nulla di strano nel dire
"se A e` fermo, dTau/dT = 1; se A si muove, dTau/dT < 1"
e nel chiamarlo "rallentamento di A relativo a T".

> D'accordo, stiamo solo descrivendo proprietà delle compoenti di F in
> rif. diversi.
> Ma come ho detto sopra, si tratta di cose misurabili.

Per me lo e` anche il rallentamento.

Ciao
Paolo Russo

Bruno Cocciaro

unread,
Apr 6, 2018, 6:36:02 PM4/6/18
to
"Paolo Russo" ha scritto nel messaggio news:p8u0js$qdg$1...@dont-email.me...

Caro Paolo, non e' il caso che io risponda a tutti i punti che hai toccato
in questo post perche', se lo facessi, ho l'impressione che dovrei nella
sostanza ripetere n volte le stesse cose.

Prendo solo un tuo passo discutendo il quale si puo', a mio avviso,
affrontare direttamente il nocciolo della questione. Tu dici:

> Ah, vedo che adotti il trasporto a velocita` qualunque con compensazione
> esplicita. Naturalmente ti rendi conto che cio` significa che accetti la
> RR, accetti che gli orologi in moto one-way rallentino (tant'e` che hai
> previsto di doverne compensare l'effetto sul trasporto dell'orologio di
> sincronizzazione) e quindi ovviamente non devo descrivere nessun
> esperimento per convincerti di cio` di cui evidentemente sei gia` piu' che
> convinto. Tanto meglio, ma l'esperimento era a beneficio degli altri. :-)

Assolutamente *non* "compenso esplicitamente" alcunche' perche' non c'e'
alcun "tempo giusto" di sincronizzazione al quale ci si dovrebbe accordare
tramite "compenso esplicito".
Io certamente accetto la RR e, proprio per questo, *non* accetto di dire che
gli orologi in moto rallentino.
Infine, dovresti descrivere un esperimento in base al quale si dovrebbe
concludere che "un orologio in moto rallenta" perche', fino ad ora, *non*
l'hai fatto (e tantomeno l'ho fatto io, per quanto tu ritenga che non sia
cosi').
Hai detto che due cariche che si respingono costituiscono un orologio (che
"rallenterebbe" qualora fosse in moto). Bene, definiamo un po' meglio questo
orologio e osserviamolo quando e' in moto. Ad esempio, le due cariche
potrebbero essere messe sopra un regolo graduato, quando l'orologio inizia
la misura di un intervallo di tempo si preme un pulsante che piazza le due
cariche ad una data distanza e poi le lascia libere di respingersi
(sorvoliamo su questioni che sarebbero fondamentali dal punto di vista
concettuale ma che possiamo considerare trascurabili dal punto di vista
pratico come il fatto che il pulsante sarà lontano dai punti in cui verranno
piazzate le cariche). Quando la misura di intervallo di tempo finisce si
preme ancora un pulsante che
blocca le cariche, sul righello si legge la distanza alla quale sono
arrivate le cariche e, tramite una opportuna tabella di conversione possiamo
associare ad ogni distanza un certo intervallo di tempo. Regolo graduato,
cariche che si muovono sopra il regolo, pulsanti e tabella di conversione
lunghezza->intervallo di tempo, costituiscono il nostro orologio.
Ora dovremmo mettere il nostro orologio in moto e vedere in base a cosa
dovremmo dire che e' rallentato.

Capisco che tu assumi che
"nel momento in cui uno usa l'espressione "riferimento del laboratorio"
senza specificare altro, sta sottintendendo che esso sia definito tramite le
procedure standard tra cui la sincronizzazione a luce o equivalente;"

ma e' una assunzione ingiustificata. *Tu* sottintendi la sincronizzazione
standard. Altri la sottintendono avendo pero' ben chiaro il fatto che la
scelta e' convenzionale (la questione in discussione e' la
*convenzionalita'* di alcuni enti non la relativita'. Ad esempio la
quantita' di moto e' relativa al riferimento ma non e' convenzionale, cioe'
e' misurabile). Conseguentemente, gli altri detti sopra, hanno chiaro il
fatto che il presunto rallentamento degli orologi in moto e' insostenibile
sulla base dei tuoi argomenti. Esattamente per lo stesso motivo per il quale
tutti concordano nel dire che non ha senso dire che un orologio in viaggio
su un aereo risulta rallentato per via del fatto che ha misurato 1 ora dal
momento in cui e' partito da Londra (mentre a Londra gli orologi segnavano
le ore 14) al momento in cui e' arrivato a Roma (mentre a Roma gli orologi
segnavano le ore 16). Secondo gli orologi fissi a Londra e a Roma il viaggio
ha avuto una durata t_fin-t_in=(16-14)h=2h, ma l'orologio "rallentato" ha
misurato solo 1 h. Non diciamo che l'orologio in viaggio ha "rallentato"
perche' sappiamo che gli orologi fissi a Londra e a Roma li abbiamo
sincronizzati convenzionalmente.
In RR facciamo esattamente allo stesso modo. Assumiamo la sincronizzazione
standard convenzionalmente. Per dare valenza fisica al "rallentamento" di
cui parli dovresti *prima* spiegare perche' la sincronizzazione standard
sarebbe "giusta" (e quella a fusi orari "sbagliata").

Paolo Russo

unread,
Apr 10, 2018, 5:40:02 PM4/10/18
to
[Bruno Cocciaro:]
> "Paolo Russo" ha scritto nel messaggio
>> Ah, vedo che adotti il trasporto a velocita` qualunque con
>> compensazione esplicita. Naturalmente ti rendi conto che cio`
>> significa che accetti la RR, accetti che gli orologi in moto one-way
>> rallentino (tant'e` che hai previsto di doverne compensare l'effetto
>> sul trasporto dell'orologio di sincronizzazione) e quindi ovviamente
>> non devo descrivere nessun esperimento per convincerti di cio` di cui
>> evidentemente sei gia` piu' che convinto. Tanto meglio, ma
>> l'esperimento era a beneficio degli altri. :-)
>
> Assolutamente *non* "compenso esplicitamente" alcunche' perche' non
> c'e' alcun "tempo giusto" di sincronizzazione al quale ci si dovrebbe
> accordare tramite "compenso esplicito".

Tuttavia e` proprio quel che fai in quell'articolo (infatti
mi ha un po' stupito, ma li' parlavi appunto della
sincronizzazione standard).
In effetti se non concordiamo neanche su questo mi pare
inutile continuare. Hai scritto nell'articolo:

"Nel seguito noi, con sincronizzazione per trasporto, intenderemo che
l'orologio trasportato verrà settato all'istante esatto
t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
una volta arrivato a destinazione."

Quel che ho chiamato "compensazione esplicita" e` appunto usare
t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
invece di
t_fin = t_in + delta tau
che e` quel che realmente segna l'orologio trasportato.
Il rapporto tra i due termini e` appunto il fattore di
dilatazione temporale di cui stiamo parlando:

t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
t_fin - t_in = 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
t_fin - t_in = sqrt((x_p^2 +y_p^2 + z_p^2)/c^2 + (delta tau)^2)
(t_fin - t_in)^2 = (x_p^2 +y_p^2 + z_p^2)/c^2 + (delta tau)^2
(t_fin - t_in)^2 - (x_p^2 +y_p^2 + z_p^2)/c^2 = (delta tau)^2
(t_fin - t_in)^2 * (1 - (v^2)/c^2) = (delta tau)^2
(t_fin - t_in) * sqrt(1 - (v^2)/c^2) = delta tau
(t_fin - t_in) * sqrt(1 - (v/c)^2) = delta tau
t_fin - t_in = (delta tau) / sqrt(1 - (v/c)^2)
t_fin = t_in + (delta tau) / sqrt(1 - (v/c)^2)

(sostituendo (x_p^2 +y_p^2 + z_p^2)/(t_fin - t_in)^2 = v^2.)
Se questa non e` una compensazione esplicita, non so come
altro chiamarla.

Ciao
Paolo Russo

Bruno Cocciaro

unread,
Apr 12, 2018, 6:24:02 AM4/12/18
to
"Paolo Russo" ha scritto nel messaggio news:pafvo4$9kd$1...@dont-email.me...

> [Bruno Cocciaro:]
>> Assolutamente *non* "compenso esplicitamente" alcunche' perche' non c'e'
>> alcun "tempo giusto" di sincronizzazione al quale ci si dovrebbe
>> accordare tramite "compenso esplicito".

> Tuttavia e` proprio quel che fai in quell'articolo (infatti mi ha un po'
> stupito, ma li' parlavi appunto della sincronizzazione standard).
> In effetti se non concordiamo neanche su questo mi pare inutile
> continuare. Hai scritto nell'articolo:
>
> "Nel seguito noi, con sincronizzazione per trasporto, intenderemo che
> l'orologio trasportato verrà settato all'istante esatto
> t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
> una volta arrivato a destinazione."
>
> Quel che ho chiamato "compensazione esplicita" e` appunto usare
> t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
> invece di
> t_fin = t_in + delta tau
> che e` quel che realmente segna l'orologio trasportato.
> Il rapporto tra i due termini e` appunto il fattore di dilatazione
> temporale di cui stiamo parlando:

Facciamo così, trovo un tipo che chiama "compensazione esplicita" usare
t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2) +
F(x_fin) - F(x_in)
invece di
t_fin = t_in + delta tau
che e` quel che realmente segna l'orologio trasportato
dove F(x) è una certa funzione del punto che lui ha definito in un certo
modo e che è tale che
F(x_Londra)=0
F(x_Roma)=+1 h.

Il tizio parte da Londra quando l'orologio di Londra segna l'istante t_in, e
anche il suo orologio segna l'istante t_in, e arriva a Roma quando il suo
orologio segna l'istante t_fin = t_in + delta tau. Arrivato a Roma non setta
l'orologio di Roma all'istante che "realmente segna l'orologio trasportato",
cioe' t_in + delta tau, ma, siccome lui vuole "compensare esplicitamente",
lo setta all'istante
t_fin=t_in+1/c * sqrt(x_p^2+y_p^2+z_p^2 + (c * delta tau)^2)+1 h


Il problema che pongo è il seguente:
perché tu ritieni la tua compensazione esplicita migliore di quella del
tizio?
In altri termini, c'è una maniera *fisica* (c'è qualche misura) che potrebbe
certificare quale sarebbe la "compensazione" giusta?

I convenzionalisti sostengono che non esista una compensazione giusta (cioè
sostengono che la simultaneità a distanza è convenzionale).
Einstein lo dice, fra l'altro, con queste parole (tratte da "Relativita',
esposizione divulgativa"):
"Che la luce richieda lo stesso tempo tanto per compiere il percorso A->M
quanto per compiere il percorso B->M [M è il punto medio del segmento AB],
non e' nella realta' ne' una supposizione ne' un'ipotesi sulla natura fisica
della luce, bensi' una convenzione che io posso fare a mio arbitrio al fine
di giungere a una definizione di simultaneita'".

Paolo Russo

unread,
Apr 14, 2018, 5:25:03 PM4/14/18
to
[Bruno Cocciaro:]

> "Paolo Russo" ha scritto nel messaggio
> news:pafvo4$9kd$1...@dont-email.me...
>
>> [Bruno Cocciaro:]
>>> Assolutamente *non* "compenso esplicitamente" alcunche' perche' non
>>> c'e' alcun "tempo giusto" di sincronizzazione al quale ci si
>>> dovrebbe accordare tramite "compenso esplicito".
>
>> Tuttavia e` proprio quel che fai in quell'articolo (infatti mi ha un
>> po' stupito, ma li' parlavi appunto della sincronizzazione standard).
>> In effetti se non concordiamo neanche su questo mi pare inutile
>> continuare. Hai scritto nell'articolo:
>>
>> "Nel seguito noi, con sincronizzazione per trasporto, intenderemo che
>> l'orologio trasportato verr� settato all'istante esatto
>> t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
>> una volta arrivato a destinazione."
>>
>> Quel che ho chiamato "compensazione esplicita" e` appunto usare
>> t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)
>> invece di
>> t_fin = t_in + delta tau
>> che e` quel che realmente segna l'orologio trasportato.
>> Il rapporto tra i due termini e` appunto il fattore di dilatazione
>> temporale di cui stiamo parlando:
>
> Facciamo cos�, trovo un tipo che chiama "compensazione esplicita"
> usare t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta
> tau)^2) + F(x_fin) - F(x_in)
> invece di
> t_fin = t_in + delta tau
> che e` quel che realmente segna l'orologio trasportato
> dove F(x) � una certa funzione del punto che lui ha definito in un
> certo modo e che � tale che
> F(x_Londra)=0
> F(x_Roma)=+1 h.
>
> Il tizio parte da Londra quando l'orologio di Londra segna l'istante
> t_in, e anche il suo orologio segna l'istante t_in, e arriva a Roma
> quando il suo orologio segna l'istante t_fin = t_in + delta tau.
> Arrivato a Roma non setta l'orologio di Roma all'istante che
> "realmente segna l'orologio trasportato", cioe' t_in + delta tau, ma,
> siccome lui vuole "compensare esplicitamente", lo setta all'istante
> t_fin=t_in+1/c * sqrt(x_p^2+y_p^2+z_p^2 + (c * delta tau)^2)+1 h
>
>
> Il problema che pongo � il seguente:
> perch� tu ritieni la tua compensazione esplicita migliore di quella
> del tizio?
> In altri termini, c'� una maniera *fisica* (c'� qualche misura) che
> potrebbe certificare quale sarebbe la "compensazione" giusta?
>
> I convenzionalisti sostengono che non esista una compensazione giusta
> (cio� sostengono che la simultaneit� a distanza � convenzionale).
> Einstein lo dice, fra l'altro, con queste parole (tratte da
> "Relativita', esposizione divulgativa"):
> "Che la luce richieda lo stesso tempo tanto per compiere il percorso
> A->M quanto per compiere il percorso B->M [M � il punto medio del
> segmento AB], non e' nella realta' ne' una supposizione ne' un'ipotesi
> sulla natura fisica della luce, bensi' una convenzione che io posso
> fare a mio arbitrio al fine di giungere a una definizione di
> simultaneita'".
>
>> Ciao
>> Paolo Russo
>
> Ciao,
> --
> Bruno Cocciaro
> --- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
> --- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
> --- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
> [Bruno Cocciaro:]
> Il tizio parte da Londra quando l'orologio di Londra segna l'istante
> t_in, e anche il suo orologio segna l'istante t_in, e arriva a Roma
> quando il suo orologio segna l'istante t_fin = t_in + delta tau.
> Arrivato a Roma non setta l'orologio di Roma all'istante che
> "realmente segna l'orologio trasportato", cioe' t_in + delta tau, ma,
> siccome lui vuole "compensare esplicitamente", lo setta all'istante
> t_fin=t_in+1/c * sqrt(x_p^2+y_p^2+z_p^2 + (c * delta tau)^2)+1 h
>
>
> Il problema che pongo � il seguente:
> perch� tu ritieni la tua compensazione esplicita migliore di quella
> del tizio?

La ritengo migliore non perche' piu' giusta ma perche' piu'
semplice: non mi richiede di riscrivermi di conseguenza le
leggi della dinamica. Faccio un esempio banalissimo: diciamo
pure che io e un altro tizio siamo in due città diverse, a
pochi km di distanza, ma in due fusi orari diversi. Quando
l'orologio del tizio senga le 11, il mio segna le 10; proprio
in quel momento, purtroppo, entrambi veniamo informati che un
ordigno nucleare esplodera` nella citta` del tizio alle 11:01
ora locale, spazzandola via, e che l'onda d'urto distruggera`
senz'altro anche la mia citta`. Non posso dire "be', qui da
me sono solo le 10, ho un'ora di tempo per mettermi in
salvo", perche' in questa convenzione temporale l'onda
d'urto, mentre viaggia da una citta` all'altra, torna
indietro nel tempo di un'ora. Posso farmi tutte le
convenzioni che voglio, ma l'onda d'urto arrivera` quasi
subito e il modo piu' semplice di calcolare quando arrivera`
e` di adottare la sincronizzazione standard.
Quello che sto cercando di dire e` che non tutto e`
convenzionale, perche' le convenzioni devono adattarsi ai
fatti.
Convenzione per convenzione, uno potrebbe allora adottare la
convenzione:

t_fin = t_in + delta tau

Non sarebbe piu' comoda? Solo che dopo un po' ci si
accorgerebbe che non funziona, nel senso che non e` coerente:
provando a risincronizzare all'indietro per verifica, si
osserverebbe una discrepanza.
La sincronizzazione che hai portato come esempio:
t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta
tau)^2) + F(x_fin) - F(x_in)
e` appunto una famiglia di sincronizzazioni coerenti (per
ogni F), e non a caso contengono tutte la correzione
esplicita che dicevo. Naturalmente, niente ti vieta di
scegliere la F in modo che la compensazione si annulli nel
viaggio di andata tra due x_in e x_fin assegnati, ma a quel
punto te la ritrovi in misura doppia nel viaggio di ritorno
fatto per verifica. Tutte le convenzioni del mondo non
possono cancellare questo fatto. Quel fattore di
compensazione non e` convenzionale; se lo fosse, avresti
tranquillamente potuto scegliere di ometterlo dall'articolo.

Ciao
Paolo Russo

Bruno Cocciaro

unread,
Apr 19, 2018, 8:30:02 AM4/19/18
to
"Paolo Russo" ha scritto nel messaggio news:paq99i$kt5$1...@dont-email.me...

> [Bruno Cocciaro:]

> > Il problema che pongo e' il seguente:
> > perche' tu ritieni la tua compensazione esplicita migliore di quella
> > del tizio?
>
> La ritengo migliore non perche' piu' giusta ma perche' piu'
> semplice: non mi richiede di riscrivermi di conseguenza le
> leggi della dinamica.

La risposta che dai qua e' esattamente quella darei io, e che danno tutti i
convenzionalisti. Peraltro non c'e' da riscrivere alcuna legge della
dinamica perche' qua siamo in fase di costruzione della teoria (le leggi
della dinamica dobbiamo ancora scriverle). Se fosse solo una questione di
semplicita' descrittiva allora non potremmo certo sperare di trovare nella
fisica (nelle misure) alcuna conferma della correttezza delle nostre scelte.
La leggi della dinamica risulteranno solo piu' o meno complicate a seconda
della "compensazione esplicita" scelta, ma le previsioni teoriche
risulteranno sempre le stesse. Cioe' le previsioni che la teoria dara'
riguardo gli esiti delle misure saranno indipendenti dalla "compensazione
esplicita" scelta.

Pero' tu, in passato, hai sostenuto che il cosiddetto rallentamento degli
orologi in moto sarebbe misurabile, cioe' non hai detto che "e' piu' comodo
descrivere gli eventi come se gli orologi in moto rallentassero".
E hai rigettato la mia critica che quel "rallentamento" non puo' in alcun
modo essere misurabile (perche' e' convenzionale).


> Faccio un esempio banalissimo: diciamo
> pure che io e un altro tizio siamo in due città diverse, a
> pochi km di distanza, ma in due fusi orari diversi.

diciamo a distanza d

> Quando
> l'orologio del tizio segna le 11, il mio segna le 10; proprio
> in quel momento, purtroppo, entrambi veniamo informati che un
> ordigno nucleare esplodera` nella citta` del tizio alle 11:01
> ora locale, spazzandola via, e che l'onda d'urto distruggera`
> senz'altro anche la mia citta`.

Questa frase va specificata
Esistono, intanto, due eventi
E1: il tizio, quando il suo orologio segna le 11:00, riceve l'informazione
che un ordigno nucleare esplodera' nel punto in cui si trova lui quando il
suo orologio segnera' le ore 11:01;
E2: io, quando il mio orologio segna le ore 10:00, ricevo l'informazione che
un ordigno nucleare esplodera' nel punto in cui si trova il tizio, cioe' a
distanza d da me, quando l'orologio del tizio segnera' le ore 11:01;

I due eventi, E1 e E2, *non sono simultanei* (non ha senso dire "quando il
suo segna le 11 il mio segna le 10"). In base alla sincronizzazione scelta i
due eventi hanno luogo a distanza di un'ora. Certo quel Deltat=1 ora non ha
alcuna valenza fisica in quanto deriva, fra l'altro, dal fatto che abbiamo
convenzionalmente scelto di sincronizzare gli orologi secondo una certa
relazione (a fusi orari).
Esistono altre sincronizzazioni in base alle quali gli eventi potranno
risultare simultanei (Deltat=0), o anche ordinati temporalmente in senso
opposto (Deltat<0), ma tutti questi Deltat non hanno contenuto fisico
"proprio" (il semplice Deltat, avulso dalla sincronizzazione adottata, non
ha contenuto fisico).
Qualora volessimo sostenere che i due eventi, E1 e E2, sono "veramente"
simultanei, dovremmo specificare in base a cosa sosterremmo cio'. E non
potremmo sostenerlo in base a un "e' piu' semplice descrivere". Dovremmo
dire quali *misure* certificano quel nostro "veramente simultanei".

> Non posso dire "be', qui da
> me sono solo le 10, ho un'ora di tempo per mettermi in
> salvo", perche' in questa convenzione temporale l'onda
> d'urto, mentre viaggia da una citta` all'altra, torna
> indietro nel tempo di un'ora.

Certo che non potrei dirlo. E, sinceramente, non vedo nemmeno come potrebbe
venirmi in mente di fare un discorso del genere. Proprio perche' ho chiare
le tesi convenzionaliste ho anche chiaro che non potrei dire qualcosa del
genere:
"il tizio ha solo un secondo per mettersi in salvo, io, per mettermi in
salvo, ho un intervallo di tempo pari a 1s+Deltat+il tempo che ci mette
l'onda d'urto a percorrere la distanza d".
Non potrei dirlo perche' ho chiaro che tanto Deltat quanto il "tempo che ci
mette l'onda d'urto a percorrere la distanza d" sono grandezze convenzionali
che potrebbero darmi informazioni di valenza fisica *solo se* le inserissi
in considerazioni che dovrebbero necessariamente tenere conto anche della
sincronizzazione adottata.

Dovrei fare un discorso del genere:
siccome so che l'onda d'urto viaggia alla Velocita' V, cioe' l'orologio in
moto con l'onda d'urto misura un intervallo di tempo DeltaTau=d/V mentre
percorre il tragitto lungo d che separa il tizio da me, allora so che l'onda
d'urto arrivera' da me quando il mio orologio segnera' l'istante
t_in+(1/c)Sqrt(d^2+(c d/V)^2)+F(x_io)-F(x_tizio)=
10:01 + (d/c) Sqrt(1+(c/V)^2) + 1 h
cioè, per mettermi in salvo, ho un intervallo di tempo pari a 1s+(d/c)
Sqrt(1+(c/V)^2).

Ovviamente arriverei alla stessa conclusione qualora avessi sincronizzato
gli orologi secondo relazione standard (cioe' F(x_io)=F(x_tizio)=0) e
ricevessi l'informazione quando il mio orologio segna le ore 11:00.

> Posso farmi tutte le
> convenzioni che voglio, ma l'onda d'urto arrivera` quasi
> subito e il modo piu' semplice di calcolare quando arrivera`
> e` di adottare la sincronizzazione standard.

Beh certo. Un convenzionalista ha particolarmente chiaro che le affermazioni
che hanno contenuto fisico "proprio" (come, ad esempio, "per mettermi in
salvo ho un intervallo di tempo pari a 1s+(d/c) Sqrt(1+(c/V)^2)") sono
indipendenti dalle convenzioni adottate. Proprio per questo un
convenzionalista sottolinea il carattere convenzionale di alcune
affermazioni, per esaltare la differenza fra quelle che hanno contenuto
fisico e quelle che non ne hanno.
Sulla semplicita' ho gia' detto ma qui si sta discutendo sul contenuto
fisico del cosiddetto "rallentamento" degli orologi in moto. Io sostengo che
non ci sia perche' quel "rallentamento" e' convenzionale.

> Quello che sto cercando di dire e` che non tutto e`
> convenzionale, perche' le convenzioni devono adattarsi ai
> fatti.
> Convenzione per convenzione, uno potrebbe allora adottare la
> convenzione:
>
> t_fin = t_in + delta tau
>
> Non sarebbe piu' comoda? Solo che dopo un po' ci si
> accorgerebbe che non funziona, nel senso che non e` coerente:
> provando a risincronizzare all'indietro per verifica, si
> osserverebbe una discrepanza.
> La sincronizzazione che hai portato come esempio:
> t_fin = t_in + 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta
> tau)^2) + F(x_fin) - F(x_in)
> e` appunto una famiglia di sincronizzazioni coerenti (per
> ogni F), e non a caso contengono tutte la correzione
> esplicita che dicevo.

Il termine

1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta tau)^2)

*non e'* una "correzione esplicita".
Le parole "correzione esplicita" lasciano intendere che ci sia un t_fin
"giusto" (o un t_fin-t_in giusto) che andrebbe "corretto".
Quello "giusto" sarebbe
t_fin=t_in + deltaTau
posto che l'orologio trasportato viaggi a velocita' infinitamente bassa. Per
velocita' dell'orologio trasportato non nulla si dovrebbe "correggere
esplicitamente" il deltaTau in 1/c * sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * delta
tau)^2).

> Naturalmente, niente ti vieta di
> scegliere la F in modo che la compensazione si annulli nel
> viaggio di andata tra due x_in e x_fin assegnati, ma a quel
> punto te la ritrovi in misura doppia nel viaggio di ritorno
> fatto per verifica. Tutte le convenzioni del mondo non
> possono cancellare questo fatto. Quel fattore di
> compensazione non e` convenzionale; se lo fosse, avresti
> tranquillamente potuto scegliere di ometterlo dall'articolo.

Appunto, niente mi vieta. Cioe' non esiste il t_fin "giusto".
Quello che tu chiami (non saprei dire perche', posta la non esistenza di un
t_fin "giusto") "fattore di compensazione" e' certamente non convenzionale.
Ma lo e' per motivi profondi e indipendenti dalle sincronizzazioni scelte e
dagli eventuali "rallentamenti" degli orologi in moto.
La lunghezza L=sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c * DeltaTau)^2) e' la lunghezza
del percorso seguito da un qualsiasi fascio luminoso che sia partito
dall'origine simultaneamente all'orologio trasportato Or e arrivi in P(x_p,
y_p, z_p) simultaneamente a Or. Posto il cammino di Or (dall'origine a P) e
l'intervallo di tempo DeltaTau misurato da Or durante il percorso, e'
fissato L. Che L debba essere pari a sqrt(x_p^2 +y_p^2 + z_p^2 + (c *
DeltaTau)^2) si dimostra (poste ulteriori ipotesi necessarie per la
costruzione della RR) provando che quella e' la lunghezza percorsa dal
fascio di un orologio a luce perpendicolare a vec{x_p, y_p, z_p} che
percorre in andata e ritorno l'orologio e misura DeltaTau mentre un suo
estremo si sposta da O a P. Affermare che *tutti* i fasci luminosi che
partono da O simultaneamente a Or e arrivano in P simultaneamente a Or
percorreranno la stessa distanza (cioe' L) e' uno dei modi di esprimere il
II postulato.
Tutto questo, come dicevo, ha significato profondo, nel senso di basilare
per la costruzione della RR e, per quanto mi riguarda, va ben distinto da
affermazioni piu' o meno banali e/o scorrette tipo che t_fin si "deve" porre
pari a
t_fin = t_in + L/c
che equivarrebbe a dire che non possiamo sincronizzare gli orologi secondo i
fusi orari.
Sono altrettanto banali e/o scorrette altre affermazioni, tipo "un orologio
in moto rallenta di un fattore gamma", che derivano, fra l'altro, dalla
"dobbiamo porre t_fin = t_in + L/c".

> Ciao
> Paolo Russo

Ciao,
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)



Paolo Russo

unread,
Apr 27, 2018, 12:30:04 PM4/27/18
to
[Bruno Cocciaro:]
> La risposta che dai qua e' esattamente quella darei io, e che danno
> tutti i convenzionalisti. Peraltro non c'e' da riscrivere alcuna legge
> della dinamica perche' qua siamo in fase di costruzione della teoria
> (le leggi della dinamica dobbiamo ancora scriverle).

Io invece le do` per assodate e fondamentali, almeno per la
maggior parte. Do` per scontato che la dinamica ci sia e che
se uno non adotta la sincronizzazione standard sia onere suo
(e di nessun altro) correggere di conseguenza la dinamica e
fornirne una funzionante. Forse e` uno dei motivi piu'
importanti per cui non ci capiamo. In fisica le dimostrazioni
si reggono su interpretazioni di risultati sperimentali
nell'ambito di contesti teorici. Onestamente, in un contesto
teorico in cui non si conosce (o si fa finta di non
conoscere) alcuna dinamica, non si adotta la sincronizzazione
standard e non si accettano nemmeno le ingenue coordinate
spaziali e temporali assolute galileiane, neppure come
ipotesi di lavoro da verificare ed eventualmente affinare,
non ho proprio idea di come si possa dimostrare alcunche',
altro che dilatazione temporale. Non saprei da che parte
cominciare neppure per dimostrare il principio di inerzia o
anche solo definire "velocita`" o "orologio".
Anzi, diciamola tutta: non capisco come fai a parlare di
tempi convenzionali totalmente arbitrari e al tempo stesso
usare simboli come d, v e c come se avessero un ovvio
significato assoluto, che a questo punto per me ovvio non e`.
Magari un convenzionalista e` avvezzo a tali labirinti
concettuali e riesce a trovarci una via d'uscita, ma io al
momento non la vedo, per cui, scusa, ma anche per questo
motivo temo che manchi una base comune per la discussione. In
effetti, avevo scritto quasi un mese fa a proposito della
compensazione esplicita della dilatazione temporale nel
trasporto dell'orologio nel tuo articolo: "In effetti se non
concordiamo neanche su questo mi pare inutile continuare".
Ecco, se un mese non e` bastato a metterci d'accordo neanche
su questo, e` meglio lasciar perdere. Per arrivare a qualche
risultato in tempi ragionevoli dovrei dedicare a questa
discussione molto piu' tempo, e purtroppo non posso.

Qualche nota sparsa:

> Pero' tu, in passato, hai sostenuto che il cosiddetto rallentamento
> degli orologi in moto sarebbe misurabile, cioe' non hai detto che "e'
> piu' comodo descrivere gli eventi come se gli orologi in moto
> rallentassero".

Ho sostenuto che il rallentamento di un orologio in moto
rispetto a un riferimento inerziale standard e` dimostrabile,
certo. Perche' lo e`, come sai benissimo anche tu; al piu' mi
puoi obiettare che la legge del fenomeno diventi piu'
complicata in modo arbitrario con altre convenzioni, ma non
certo che il fenomeno in se' non sia osservabile nelle
condizioni che ho precisato.

> E hai rigettato la mia critica che quel
> "rallentamento" non puo' in alcun modo essere misurabile (perche' e'
> convenzionale).

A parte che la critica era alquanto fuori bersaglio fin
dall'inizio perche' ho sempre parlato di rallentamento di un
orologio in un riferimento inerziale, quindi escludendo
espressamente altre convenzioni, anche tu hai rigettato la
mia osservazione che quel rallentamento e` reale perche' non
e` globalmente eliminabile con alcuna convenzione. Il
passaggio dal globale al locale e` giustificato da
considerazioni sulla dinamica, che tu preferisci non
considerare, e qui ci areniamo. In quanto al chiamarlo
rallentamento, tu non capisci perche' lo chiamo cosi' ne'
piu' ne' meno come io non capisco perche' non lo chiami
cosi'.

> Beh certo. Un convenzionalista ha particolarmente chiaro che le
> affermazioni che hanno contenuto fisico "proprio" (come, ad esempio,
> "per mettermi in salvo ho un intervallo di tempo pari a 1s+(d/c)
> Sqrt(1+(c/V)^2)") sono indipendenti dalle convenzioni adottate.
> Proprio per questo un convenzionalista sottolinea il carattere
> convenzionale di alcune affermazioni, per esaltare la differenza fra
> quelle che hanno contenuto fisico e quelle che non ne hanno.

Tale differenza e` a sua volta un'affermazione che ha
contenuto fisico solo per un convenzionalista. Detto
altrimenti, tale differenza non puo` avere conseguenze
osservabili.

> Quello che tu chiami (non saprei dire perche', posta la non esistenza
> di un t_fin "giusto") "fattore di compensazione" e' certamente non
> convenzionale. Ma lo e' per motivi profondi e indipendenti dalle
> sincronizzazioni scelte e dagli eventuali "rallentamenti" degli
> orologi in moto.

I "motivi" sono interpretazioni umane, nel senso che tu ed
altri vedete certi motivi, io altri, e siamo tutti convinti
di avere le nostre buone ragioni. La realta` fisica dice solo
che certe cose sono legate ad altre in modo piu' o meno
complesso da certe equazioni, non ti dice quale di quelle
cose e` la causa e quale l'effetto. Con Elio ho discusso
anche di quali motivi fossero da ritenersi piu' profondi, e
alla fine ognuno e` rimasto della sua idea.
Diciamo che forse sui motivi dovresti essere piu'
convenzionalista. :-)

> Tutto questo, come dicevo, ha significato
> profondo, nel senso di basilare per la costruzione della RR e, per
> quanto mi riguarda, va ben distinto da affermazioni piu' o meno banali
> e/o scorrette tipo che t_fin si "deve" porre pari a
> t_fin = t_in + L/c
> che equivarrebbe a dire che non possiamo sincronizzare gli orologi
> secondo i fusi orari.

Certo che possiamo, ma solo i convenzionalisti attribuiscono
dignita` fisica alla cosa. Tutti gli altri usano frasi come
"quando a Greenwich sono le 10, a Roma sono le 11" che per un
convenzionalista, come hai fatto notare, non ha significato.
I softwaristi, poi, sono cosi' convinti che quella frase
abbia senso che ricorrono al formato UTC (Universal Time
Coordinate, l'ora di Greenwich) per sbarazzarsi dei fusi
orari e dell'ora legale ogni volta che possono.

Ciao
Paolo Russo

Elio Fabri

unread,
Apr 29, 2018, 12:50:02 PM4/29/18
to
Paolo Russo ha scritto:
> ...
avrai notato che praticamente non ho ptecipato a tutta questa
discussione.
I motivi sono più o meno quelli che dici tu.
Ora leggendo il tuo post mi sono venute in mente un paio di cose che
butto lì senza pretese :-)

> Anzi, diciamola tutta: non capisco come fai a parlare di
> tempi convenzionali totalmente arbitrari
Una cosa che ho sempre notato è che (a meno di carenze d'informazione
da parte mia) chi si mette a lavorare su sincronizzazioni arbitrarie
sembra non possa fare a meno di partire da quella standard.
Le altre vengono definite come modifiche a quella standard.
Non so che signifcato abbia, ma forse non è casuale...

> I softwaristi, poi, sono cosi' convinti che quella frase abbia senso
> che ricorrono al formato UTC (Universal Time Coordinate, l'ora di
> Greenwich) per sbarazzarsi dei fusi orari e dell'ora legale ogni volta
> che possono.
Solo una precisazione storica: il TU (UT), con le sue varianti, esiste
da molto prima che fosse coniata la parola "softwarista", anzi da ben
prima che esistesse il software, anzi da ben prima che esistessero i
computer :-)

Il concetto, com'è ovvio, è nato in astronomia, per la necessità di
riferire gli eventi astronomici coi relativi calcoli a una base di
tempo comune (appunto "universale").
Non so nemmeno precisarne la nascita, ma esisteva già a inizio '800.
Per fare un unico esempio, Gauss negli esempi che fa nel suo "Theoria
motus corporum coelestium" (1809) già usa il Tempo Medio di Greenwich:
quello (GMT) che poi cambiò nome in UT.


--
Elio Fabri

X-Mozilla-Status: 0800
X-Mozilla-Status2: 00000000
X-Mozilla-Keys:
0 new messages