On 12/10/2017 11:02, bogie wrote:
> sai una sega di te di cosa sogno e di che mondo ho visto o non ho visto.
> e ora forza, chierichetto: trovami la "legge di guerra" che sancisce il
> diritto di rappresaglia sui civili.
I delitti dei partigiani, quando è impossibile negarli, vengono
liquidati come eccessi dovuti al momento e reazioni alla barbarie
criminale fascista e nazista.
Dove si intende che era giusto e comprensibile che i partigiani
reagissero in quel modo alle ‘barbare‘ esecuzioni di combattenti per la
libertà e alle rappresaglie naziste.
Ed uno degli esempi più ricorrenti nella liturgia resistenziale è
l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Come sempre, anche in questo caso, si tratta di un ribaltamento totale
della libertà.
Per dare un giudizio di quanto accaduto in maniera imparziale, l’unico
metodo è quello di affidarsi alle leggi internazionali. Nel caso
specifico alla Convenzione dell’Aja vigente a quell’epoca e alle
successive conclusioni del Tribunale di Norimberga.
Cominciamo per ordine.
L’art. 42 della Convenzione dell’Aja dice testualmente:
“La popolazione ha l’obbligo di continuare nelle sue attività abituali
astenendosi da qualsiasi attività dannosa nei confronti delle truppe e
delle operazioni militari. La potenza occupante può pretendere che venga
data esecuzione a queste disposizioni al fine di garantire la sicurezza
delle truppe occupanti e al fine di mantenere ordine e sicurezza. Solo
al fine di conseguire tale scopo la potenza occupante ha la facoltà,
come ultima ratio, di procedere alla cattura e alla esecuzione degli
ostaggi“.
Basta questo articolo, da solo, a togliere qualsiasi parvenza di
legittimità alla resistenza.
Secondo il diritto internazionale (Art. 1 della convenzione dell’Aia del
1907) un atto di guerra materialmente legittimo può essere compiuto solo
dagli eserciti regolari ovvero da corpi volontari i quali rispondano a
determinati requisiti, cioè abbiano alla loro testa una persona
responsabile per i subordinati, abbiano un segno distintivo fisso
riconoscibile a distanza e portino apertamente le armi.
Ciò premesso, si può senz’altro affermare che gli attentati messi in
atto dai partigiani fossero atti illegittimi di guerra esendo stati
compiuti da appartenenti a un corpo sì di volontari che però non
rispondevano ad alcuno degli accennati requisiti.
Consapevole di questo, il governo del Sud, per mezzo di Badoglio, che
aveva diramato l’ordine a tutti gli uomini della Resistenza di evitare
di fare attentati nelle città, proprio per evitare quel tipo di
prevedibili (e ripetio per il nemico legittime) rappresaglie che
avrebbero coinvolto anche civili.
Stabilito che l’attentato di via Rasella costituì un atto illegittimo di
guerra, occorre accertare, per le diverse conseguenze giuridiche che ne
derivano, quale fosse la posizione degli attentatori nei confronti dello
stato italiano in quel preciso momento (e del governo del Sud Badoglio,
che aveva diramato l’ordine a tutti gli uomini della Resistenza di
evitare di fare attentati nelle città, proprio per evitare quel tipo di
prevedibili (e ripetiamo per il nemico legittime) rappresaglie che
avrebbero coinvolto anche civili).
Solo successivamente lo Stato considerò come propri combattenti i
partigiani che avessero combattuto contro i tedeschi.
Con decreto legge n. 96 del 25 aprile 1944 (qualche giorno dopo
l’attentato di via Rasella) e col successibo decreto legge n, 194 del 12
aprile 1945 Lo Stato italiano dichiarò ‘non punibili’ (amnistiati) gli
atti compiuti dai partigiani.
Il che equivale a dire che li riteneva illegittimi, tanto da sentire la
necessità di due appositi devreti per amnistiarli.
Veniamo ora alle Fosse Ardeatine.
Secondo l’Art. 2 della convenzione di Ginevra del 1929 non potevano
essere utilizzati per una rappresaglia né feriti né prigionieri di
guerra e neppure personale sanitario.
Il Tribunale di Norimberga d’altra parte affermò:
“le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali,
nelle condizioni particolari in cui esse si verificano possono essere
giustificati: ciò ‘in quanto l’avversario colpevole si è a sua volta
comportato in maniera illegale e la rappresaglia stessa è stata
intrapresa allo scopo di impedire all’avversario di comportarsi
illegalmente anche in futuro.’”
E per finire la parte legale del ‘discorso‘ ecco le condizioni che
ammettevano una rappresaglia, sia per il diritto internazionale, sia per
l’interpretazione data dal Tribunale di Norimberga:
Dopo attacchi contro la potenza occupante, laddove la rappresaglia
si rendesse necessaria dal punto di vista militare. La rappresaglia
serviva innanzi tutto per impedire ulteriori delitti commessi
dall’avversario. L’ordine dell’alto comando dell’esercito di data 5
giugno 1941 imponeva “rappresaglie severe” quando esse si rendessero
necessarie per la sicurezza della truppa che occupava il territorio.
Quando le ricerche degli autori di atti illeciti avessero dato
esito negativo. Anche l’ordine “Barbarossa” (13 maggio 1941) contrario
al diritto internazionale consentiva l’arresto collettivo di ostaggi
“quando le circostanze non consentano una rapida individuazione degli
autori di un fatto criminoso”.
Che esse fossero ordinate da ufficiali superiori.
Che tenessero conto della proporzionalità. Nel citato caso n.9 il
tribunale di Norimberga confermò che “misure di ritorsione, qualora
consentite, debbono essere proporzionate al fatto illecito commesso”.
Questo è un punto di particolare importanza dal momento che si tratta di
vite umane. Nel caso n.7, cioè nel processo a carico dei generali List,
von Weichs e Rendulic tenutosi nel 1948, la proporzione accettata dal
tribunale di Norimberga come equa era 10.1 vale a dire fucilazione di
dieci ostaggi per ogni soldato tedesco ucciso da un atto terroristico.
Che la cerchia delle persone colpite dalla rappresaglia fosse in
qualche modo in rapporto col reato commesso a danno delle forze
occupanti. Che gli ostaggi o le persone destinate alla rappresaglia
fossero tratte dalla cerchia della resistenza. Cosa questa che venne
applicata anche dai tribunali postbellici francesi.
Non venivano stabiliti i criteri per la scelta degli ostaggi, ma la
scelta stessa era affidata a criteri di discrezionalità.
Il Tribunale di Norimberga a tale proposito, afferma:
“Il criterio discrezionale nella scelta può essere disapprovato ed
essere spiacevole, ma non può essere condannato e considerato contrario
alle norme del diritto internazionale. Deve tuttavia esserci una
connessione fra la popolazione nel cui ambito vengono scelti gli ostaggi
e il reato commesso” (quindi luogo dell’attentato o l’appartenenza a
gruppi clandestini che compiono atti terroristici).
Il diritto alla rappresaglia venne accolto anche alle forze britanniche
nel paragrafo n.454 del “British Manual of Military Law“. Le forze
americane a loro volta prevedevano la rappresaglia nel paragrafo n. 358
dei “Rules of Land Warfare del 1940. Per le truppe francesi, l’allegato
I alle istruzioni di servizio del 12 agosto 1936 consentiva all’Art.29
il diritto di prendere ostaggi nel caso in cui l’atteggiamento della
popolazione fosse ostile agli occupanti, e il successivo Art. 32
prevedeva l’esecuzione sommaria degli stessi ostaggi se si verificavano
attentati.
“Nel 1947 i magistrati militari britannici, nel processo a carico di
Albert Kesselring, commentarono che nulla impediva che una persona
innocente potesse essere uccisa a scopo di rappresaglia“.
(F.J.P. Veale, Advance to barbarism (ed.The Mitre Press. Londra 1968) e
dello stesso autore, Crimes discretely veiled (ed. IHR, Torrance,
California,1979)
Interessante anche ricordare alcune rappresaglie alleate:
A Stoccarda il generale francese Lattre de Tassigny minacciò
l’uccisione di ostaggi tedeschi nel rapporto di 25:1 se fossero stati
uccisi soldati francesi.
A Marcktdorf erano previste fucilazioni di ostaggi nel rapporto di
30:1.
A Reutlingen i francesi uccisero 4 ostaggi tedeschi affermando che
era stato ucciso un motociclista che in realtà era rimasto vittima di un
incidente.
A Tuttlingen, i francesi annunciarono il 1° maggio 1945 che per
ogni soldato ucciso sarebbero stati fucilati 50 ostaggi. (L’originale
del manifesto appare nel libro di Spataro che citiamo sotto)
Ad Harz le forze americane minacciarono di esecuzione punitive nel
rapporto di 200:1.
Quando il generale americano Rose, nel marzo del 1945, rimase
vittima di una imboscata, gli americani fecero fucilare per rappresaglia
110 cittadini tedeschi. (In realtà Rose era stato ucciso in un normale
combattimento, soldati contro soldati – e l’imboscata è pur sempre un
atto di guerra se si portano le mostrine e la divisa).
A Tambach, presso Coburg, in data 8 aprile 1945 il tenente
americano Vincent C. Acunto fece fucilare 24 prigionieri di guerra
tedeschi e 4 civili; accusato di omicidio venne assolto.
A Berlino l’Armata Rossa che l’occupava minacciò fucilazione di
ostaggi nel rapporto di 50:1. Il testo del comunicato era il seguente:
“Chiunque effettui un attentato contro gli appartenenti alle truppe
d’occupazione o commette attentati per motivi di inimicizia politica,
provocherà la morte di 50 ex appartenenti al partito nazista“.
(Pubblicato sul quoridiano Verordnunsglatt di Berlino in data 1 luglio
1945).
A Soldin, Neumark, i russi andarono al di là di questa cifra:
furono fucilati 120 cittadini tedeschi perchè un maggiore russo era
stato ucciso nottetempo da una guardia tedesca. (che poi risultò essere
stato ucciso perchè il russo gli stuprò la moglie (Mario Spataro, Dal
caso Priebke al nazi gold, Ed. 7° Sigillo, vol.2, Pag. 913).
Una delle più gravi fu la strage di Annecy del 18 agosto 1944, in
un campo di prigionieri tedeschi gestito da americani e francesi;
proporzioni di 80:1.(ib)
A Bengasi, gli inglesi di Montgomery contro gli italiani
applicarono quella del 10:1. (Ib.)
(da le RAPPRESAGLIE)
Ma torniamo alle Fosse Ardeatine.
Nessun Tribunale italiano fu infatti in grado di imputare a Kappler
l’atto di rappresaglia.
La condanna di quest’ultimo infatti si basa solo e soltanto sul numero
delle vittime. Nelle Fosse Ardeatine furono infatti ritrovati i corpi di
345 persone e non i 330 che ci si aspettava. Dieci di quelli in
soprannumero potevano essere ‘giustificati’ con la morte di un ulteriore
soldato tedesco avvenuta prima della della rappresaglia, gli altri
cinque no.
Per inciso, se si fossero aspettati alcuni giorni, le persone
giustiziate ‘legalmente’ sarebbero state molte di più, visto che nei
giorni successivi morirono ulteriori soldati tedeschi.
Per completezza aggiungo che non fu mai trovata la lista di coloro che
dovevano essere fucilati e che, di sette corpi, non si riuscì a
stabilire l’identità.
La lista dei condannati fu scritta in gran parte dai tedeschi, ma
mancando alcuni nomi fu chiesto di completarla al questore di Rona,
Caruso. Questi scrisse 55 nomi (sembra anche i cinque in più) scelti tra
i reclusi.
Nel 1944 fu fatto il processo contro Caruso. Il primo testimone contro
di lui fu Donato Carretta, direttore delle carceri da cui furono
prelevati i confannati. Caruso fu condannato a morte il 21 settembre e
subito fucilato. Carretta era tranquillo. Aveva un certificato
dibenemerenza rilasciato da Nenni ed era in contatto con il CLN. Ma
venne il suo turno e fu accusato diessere il responsabile di quelle 56
morti. Incredulo fu portato in Tribunale dove,.durante l’udienza una
donna balzò in piedi urlando come un’ossessa: “Ha fatto morire mio
figlio, e’ stato lui a mandarlo alle Ardeatine, deve pagare, uccidetelo…”.
La folla travolse i carabinieri , Carretta fu afferrato da cento mani,
sollevato da terra, spinto a calci e pugni verso l’ uscita. Venne
trascinato fino al bordo del Lungotevere; intanto sopraggiungeva un tram
e l’ infelice fu sdraiato sulle rotaie perche’ il veicolo lo straziasse,
parendo troppo dolce per lui qualsiasi altra morte. Il tramviere fermo’
il tram, tolse la manovella dal comando e scese. Agli energumeni che gli
si scagliarono addosso disse che lui non era un assassino, e alle accuse
di essere invece un fascista rispose mostrando la sua tessera del
partito comunista: si chiamava Angelo Salvatori e credo che il suo nome
dovrebbe essere ricordato. Carretta, ancora in se’ , fu scaraventato nel
Tevere dal Ponte Umberto. Cadde in acqua, si afferro’ ai bordi, ma gli
schiacciarono le mani con i piedi, sicche’ si abbandono’ alla corrente.
Due uomini saltarono su una barca, lo raggiunsero e cominciarono a
colpirlo con i remi sulla testa. L’ infelice urlava e aveva ancora la
forza di tentare di salvarsi, nuotando e lasciandosi andare sott’ acqua
per evitare i colpi. Ma ogni volta che riemergeva il linciaggio
riprendeva, finche’ una larga chiazza rossa di sangue intorno al suo
corpo fece intendere che era morto. Il fiume trascinava via il cadavere,
ma al Ponte Sant’ Angelo riuscirono a tirarlo a riva, la folla non era
ancora sazia del suo orrendo pasto. Si udiva gridare “A Regina Coeli, a
Regina Coeli”, perche’ si voleva che Carretta avesse l’ estrema
punizione d’ essere esposto la’ dove avrebbe commesso i suoi delitti.
Arrivati alla prigione, Carretta seminudo, sfigurato, ricoperto di
sangue, con la testa maciullata, fu crocifisso al portone. Le urla, la
marea di gente raccolta nella strada, i colpi, le esplosioni selvagge d’
un giubilo bestiale fecero affacciare alla finestra due donne. Erano la
moglie e la figlia di Carretta e questo completo’ la ferocia d’ una
scena che si apparenta nella vergogna e nell’ orrore soltanto alla
macelleria messicana di piazzale Loreto.
La donna che in aula aveva determinato la condanna a morte di Carretta
non aveva avuto nessun figlio ucciso alle Ardeatine. Anzi, non aveva
nessun figlio. Si disse poi che era una pazza, ma qualcuno affermo’ che
si era trattato d’ un elemento dello spionaggio sovietico usato per
motivi che oggi definiremmo destabilizzanti. E anche perche’ nelle
vicende italiane un pizzico di dietrologia e di giallo non guasta mai.
(Kezich Tullio – Corriere della Sera)