Eppure penso proprio che sia cosi'.
Ti ho trovato in una stanza dalle pareti scure, te che adesso giochi
con le mie parole, con una porta cosi' piccola che per entrarci mi
sono dovuta piegare e fare tre passi con la testa tra le ginocchia. Il
soffitto era alto, invece, e tu mi dicevi che questo era buono, ed
ancor piu' buono era il trapano comprato d'occasione, e la tua sedia
traballante di un viola chiaro appena scrostato sui bordi. Li' dentro
c'era posto per te solo, e molte volte mi hai rinfacciato l'ardire di
entrare, cosi' com'ero, a piedi nudi. Ma per uscire mi sarei dovuta di
nuovo chinare, e il timore di un tuo calcio d'addio, neanche fossi io
stessa una sedia, me lo aveva impedito. Ma avevi ragione tu: si stava
stretti.
Le ho scavate col cucchiaio, le feritoie sul lato est, perche' mi
mancava il sorgere del sole. Non te ne sei accorto fino a quel giorno,
quando ti sei girato verso di me e hai cominciato a vedermi sotto
un'altra luce. Per settimane, poi, hai finto di non notare la mia
stanchezza, le mani indurite e coperte di graffi, le unghie scheggiate
e i raggi dell'alba che ogni mattina ti svegliavano piu' decisi.
Gli archi sul lato ovest li ho aperti col piccone. Volevo vedere il
tramonto. E tu gia' non ti ribellavi, passavi lo stucco sui bordi dei
vetri perche' dall'altra parte non entrasse l'inverno, insieme
all'aurora, mentre io sudavo a spaccare mattoni. Perche' era estate,
ma tu che ne potevi sapere.
E poi ho cominciato a trovarti sempre piu' spesso a scrutare
l'orizzonte, e lo sapevo che in mia presenza ti trattenevi dal
sospirare.
L'apertura per la vetrata verso sud l'abbiamo fatta insieme, col
martello pneumatico, e abbiamo colorato e composto i tasselli sedendo
alla turca in mezzo al pavimento lavato.
Sulla parete nord c'e' la testiera del letto. Anche il materasso, hai
cambiato, e non ti lamenti piu' del mal di schiena. E adesso che ti
occupi tu di dare l'acqua ai fiori sui davanzali, credo sia giunto per
me il tempo di ripartire.
Sono rimasta a guardarti a lungo, stamattina, e ho sorriso al tuo
sorriso sereno, ai tuoi capelli sempre piu' inargentati. Prima di
uscire, stanotte, non so se potro' darti un bacio. Te l'ho detto: il
mio compito e' creare finestre dove prima vi erano muri. Tutto qua.
--
Ombra
per rispondere in mail, togli il punto
Una prima parte dialogica contrapposta alle altre didascaliche. Alcuni
cliché tipici della scrittura onirica (come le stanze grandi/ stanze
piccole, che mi riportano nel Paese delle meraviglie) alternati ad alcuni
spunti, sempre onirici, ma più personali. Tra le immagini più belle, secondo
me, ci sono: una sedia screpolata ai bordi ed uno scavare col cucchiaio,
quasi si vivesse, eternamente, in una creme brulee (si scrive così?). Tra le
finestre, poi, filtra la luce ed un'altra stanza, dove la protagonista può
diventare una sedia, ci invade con i suoi colori.
Un bel racconto con ottimi spunti, questo, peccato però che manchi quel
non-so-che-dirti che non mi soddisfa a pieno. Forse è una questione
empatica, forse..............
>Tra le immagini piů belle, secondo
>me, ci sono: una sedia screpolata ai bordi
E' la vernice viola chiaro (dire lilla avrebbe reso troppo palese la
citazione) che s'e' scrostata sui bordi. Ca`pita, a forza di salire
in piedi sulle sedie con le scarpe.
>ed uno scavare col cucchiaio,
>quasi si vivesse, eternamente, in una creme brulee (si scrive cosě?).
Curioso :) Pensavo piuttosto ai galeotti che scappano scavando un
tunnel con l'unico oggetto che hanno a disposizione per lo scopo.
>Tra le finestre, poi, filtra la luce ed un'altra stanza, dove la protagonista
>puň diventare una sedia, ci invade con i suoi colori.
Questa tua visione dell'affaire della sedia, insieme alla questione
del cucchiaio, mi conferma come i testi scritti in modo eccessivamente
simbolico e sintetico possano andare soggetti a letture diversissime
tra loro e dall'idea dell'autore/rice. Forse e' proprio questo, il
bello.
Grazie dell'attenzione,
> [...]
> E poi ho cominciato a trovarti sempre piu' spesso a scrutare
> l'orizzonte, e lo sapevo che in mia presenza ti trattenevi dal
> sospirare.
> [...]
"Quando io uso una parola" disse Humpty Dumpty con un certo sdegno, "quella
significa ciò che io voglio che significhi - né più né meno".
"La questione è" disse Alice, "se lei può costringere le parole a
significare così tante cose diverse".
"La questione è" replicò Humpty Dumpty, "chi è che comanda - ecco tutto".
L. Carrol
> e lo sapevo che in mia presenza ti trattenevi dal
> sospirare.
denso e delicato
ma i dialoghi iniziali mi sembrano appiccicati a forza
gordon
>"Quando io uso una parola" disse Humpty Dumpty con un certo sdegno, "quella
>significa ciò che io voglio che significhi - né più né meno".
>"La questione è" disse Alice, "se lei può costringere le parole a
>significare così tante cose diverse".
>"La questione è" replicò Humpty Dumpty, "chi è che comanda - ecco tutto".
Eh questo si' che e' geniale :)))
>ma i dialoghi iniziali mi sembrano appiccicati a forza
Mah... a guardarli oggi, in effetti danno quell'impressione.