Ciao Maria Riva

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mauro sonzini

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Aug 23, 2016, 3:37:11 AM8/23/16
to Primarosa Pia, Roberto Varrone, Ilaria Mardocco, Fulvio Grandinetti, Roberta Migliavacca, Angelo Boccalatte, Beppe Castronovo, Enrico Zola


Alle 17.10 di sabato 20 agosto è mancata Maria Riva. Era nata il 13
luglio 1925. Il funerale sarà celebrato alle ore 15 di martedì 23
agosto al Santuario di Trana.

Sedicenne all'epoca maestra più giovane d'Italia, infermiera e
staffetta partigiana nella 43a divisione autonoma Sergio De Vitis,
collaboratrice U.D.I. per il riconoscimento delle salme dei caduti
partigiani, per anni insegnante in numerose piccole scuole di
provincia (fra le altre anche Ceresole Reale, riuscendo a farsi dare
per i suoi allievi sciarpe, coperte e viveri dal comando alleato)
prima di approdare alla Kennedy di Torino, organizzatrice di gruppi
parrocchiali torinesi di assistenza ai poveri e di gruppi scout
(erano gli anni della immigrazione), organizzatrice di collaborazioni
missionarie in diverse parti del mondo (dal Bangladesh al Sud Sudan),
cittadina onoraria di Moggio Udinese per l'assistenza nel dopo
terremoto (dal 1976 compie ben 52 trasporti di generi di necessità),
unico membro non familiare nel comitato vittime del cinema Statuto di
Torino (fino all'intitolazione del giardino in largo Cibrario
trentuno anni dopo nel 2009), "Primula ad honorem" del gruppo
musicale Primule Rosse, instancabile animatrice e pungolatrice di
iniziative di tipo civile e sociale.

Certamente manca qualcosa.
Certamente a tutti noi - anche a chi neppure lo immagina - mancherà
il suo ripensare, il suo fare, il suo sollecitare.

Questa è la sua parola:

RICORDI DI GUERRA IN VAL SANGONE
Maria Riva

26 maggio 1944 - Rientro da Torino a Giaveno col trenino dopo una
faticosa giornata per le stradine della collina torinese alla ricerca
dei fratelli Veneziani.
In treno si captano sommessamente di qua e di là tristi notizie.
Giunta a casa, ne ho conferma: a Giaveno, in piazza Molines, di
fronte alle mie finestre, dieci creature giacciono a terra scomposte
… Una sentinella è lì per loro, mangia ciliegie con il mitra pronto a
sparare. La terra è nera di sangue: un cane, ignaro della tragedia,
passa tra le salme, lecca … e s’allontana veloce. Sconvolgente la
scena: un momento che non riuscirò più a dimenticare per tutta la
vita e mi pervade d’angoscia ogni qualvolta lo rievoco.
In quell’attimo un senso di ribellione scatta dentro di me. Nessuno
mai saprà chi sono quei poveretti. Le mamme che a casa attendono il
ritorno dei figli “alla macchia”, come potranno conoscere questa
triste realtà?
Un turbinio d’idee mi sconvolge. Entro in casa, mi apposto dietro le
persiane e resto lì inebetita a pensare … Vien buio … La guardia
s’allontana … C’è il coprifuoco, tutto tace … La luna ormai illumina
quei corpi … Sono “miei fratelli” … Se riesco ad avvicinarmi, potrei
riconoscerne almeno uno … Forse li ho visti feriti, li ho curati in
ospedale, forse qualcuno respira ancora … Esco pian piano dal portone
in legno che scricchiola terribilmente, mi dirigo in mezzo alla
piazza verso di loro e constato che parecchi sono straziati in volto
perché raggiunti da più d’un solo colpo … Inizio il mio controllo
veloce, ma senza paura.
Allora ero giovane, credevo ancora che la pietà esistesse. Se i
nemici crudeli mi avessero scoperta, avrebbero capito, perché anche
loro avevano una madre, una moglie, una fidanzata, una figlia che
dovevano pur essere avvertite. Allora, nell’ingenuità dei miei
diciotto anni, lo credevo ancora!
Purtroppo non riconosco nessuno. Cerco nelle tasche sperando in
qualche biglietto, in qualche segno qualsiasi. Mi imprimo nella mente
qualche particolare in base al numero di posizione sul terreno… Mi
sento il cuore che scoppia … Rientro: è fatta! Mi accingo a scrivere
tutto ciò che ho visto per non confondere i dettagli.
Passano ancora quasi due giorni d’esposizione al sole cocente per
quelle creature, sempre con la sentinella a vigilarle perché nessuno
si avvicini. Finalmente (è forse lunedì) arriva un lungo carro
trascinato da cavalli. Spargono un po’ di calce, poi con la massima
disinvoltura e noncuranza, forse anche con disprezzo, caricano i
cadaveri, alcuni con le gambe penzoloni per portarle alla camera
mortuaria. Guardo dalla finestra: mi pare la scena descritta dal
Manzoni nei “Promessi Sposi”, quando i monatti radunavano e
trasportavano gli appestati. Eppure è il 1944! Orrore!
Nel mio cuore non c’è più posto neppure per l’odio: tutto in me è
pervaso da un dolore illimitato che mi riempie ancora di lacrime a
distanza di 60 anni. Per un precedente accordo con il becchino
Magiurin, egli, dopo tanti tentennamenti, mi lascia socchiuso il
cancello grande del cimitero e infilata la chiave all’interno della
camera mortuaria dove le vittime sono state deposte in attesa che sia
preparata una fossa comune. Foulard in testa alla contadina, fascio
d’erbe sotto il braccio, raggiungo il cimitero. La strada è
completamente vuota. Entro pian piano, chiudo il cancello, entro
nella camera mortuaria, giro la chiave perché nessuno possa aprire la
porta. E qui inizio l’opera pietosa: controllo e segno su un foglio i
lineamenti del viso, l’apparente età, il colore dei capelli
tagliandone un ciuffetto se è possibile, asporto pezzi di stoffa
dagli abiti anche se intrisi di sangue, annoto il tipo di scarpe;
tolgo la “vera” da un dito ripiegato che si richiude di scatto …
“E’ vivo”, grido.
Questa è la mia prima impressione, poi resto immobile per non so
quanto, per timore che qualche passante abbia sentito. Purtroppo non
c’è più vita, ma quell’anello porta incisa la data del matrimonio e
sarà molto utile per il riconoscimento del “ribelle” caduto. Lo
riconosceremo infatti in Carlo Belletti.
Quando tutti quei “fratelli” hanno terminato di comunicarmi qualcosa
da trasmettere - a fine guerra - ai loro cari, esco dalla stanzetta.
Il cancello era stato da me chiuso e devo attendere il ritorno di
Magiurin. Torno dentro e la paura m’assale: mi sono trattenuta
troppo. Tento la scalata ma troppo in alto è il punto da scavalcare …
Provvidenziale arriva il mio salvatore, Magiurin, più preoccupato di
quanto lo sia io. Se ci avessero scoperto, la questione per Giaveno
sarebbe stata grave… Mi rimprovera sommessamente e poi ognuno
prosegue la strada da parti opposte, quasi non ci conoscessimo. Passo
in ospedale a posare il mio prezioso fagotto. Poi torno dalla mamma
ignara di tutto.
Certo, avessi saputo che i tedeschi, dopo aver accompagnato il carro
al cimitero, se n’erano andati da Giaveno, avrei fatto tutto in modo
più semplice e tranquillo ma la notizia si diffuse solo il mattino
seguente, dopo che non si erano più visti soldati tedeschi in giro
per il paese. A questo punto, prima della deposizione nella fossa
comune, controllo ancora una volta che i dati corrispondano, presente
l’amica Adriana.
Quel giorno è sfumata la spensieratezza e l’allegria propria della
mia gioventù ed io mi sono trasformata. Il dolore che avevo provato
era stato troppo forte e in me era scattata improvvisa un’impronta
nuova per il futuro: davanti ai miei occhi esisteva solo più la
sofferenza altrui ed io sentivo di essere felice solo a patto che
fossero felici gli altri.
Quanti anni sono trascorsi prima di rientrare nella normalità, senza
mai però dimenticare quella sensazione che si era impadronita così
violentemente di me … L’impostazione, però, è rimasta: il mio
carattere si era formato per sempre.
Torino, 12 marzo 2004
(trascrizione da Mauro Sonzini, Abbracciati per sempre, ed. Gribaudo,
Savigliano, 2004)

Credo avrebbe meritato la medaglia d'oro della Repubblica Italiana
per il merito civile. Penso che le avrebbe fatto piacere. Ma non l'ha
mai cercata. E nessuno ci ha pensato.

Grazie, Maria

(Nell'immagine Maria Riva con Elio Pereno e "Tenente Nino" Criscuolo
con l'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e
Mercedes Bresso)

Mauro Sonzini
studioso di Resistenza e Democrazia
piazzetta G. Garibaldi 8 - 27058 Voghera (PV)
tel.: 0383/191.65.12 - cell.: 345/585.66.55
mail: mau...@libero.it



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