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Nina, o sia La pazza per amore al Piccolo

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Rodolfo Canaletti

unread,
Oct 5, 1999, 3:00:00 AM10/5/99
to
E' la prima volta che sono stato al Piccolo Teatro, ora battezzato
Teatro Strehler. Non c'e' dubbio che e' un teatro fatto con gusto, e
soprattutto molto ben attrezzato. L'impressione che ne ho ricevuto
tuttavia non e' stata travolgente. Sotto certi aspetti mi ha fatto
rimpiangere il calore e l'intimita' che si respiravano nel "vecchio"
Piccolo.

L'opera. La critica sui giornali ha accolto con molto calore la
rappresentazione di questa opera sottolineando con giusti elogi il
ricupero che Muti sta facendo del Settecento napoletano. Era ovvio che
le mie aspettative fossero di curiosita' ed interesse.
Non conoscevo nulle dell'opera, e tantomeno del periodo; solo qualche
lavoro di Pergolesi, come lo Stabat Mater e la Serva Padrona. E per la
verita' non mi ero neppure coscienziosamente preparato all'ascolto.
Per inquadrare l'opera, la sua origine, il suo significato nell'ambito
del periodo storico occorre riconoscere che il Programma di Sala e'
molto dettagliato, e mi ha consentito di approfondire gli aspetti di
interesse. E l'aspetto che piu' mi ha colpito e' il grande successo che
essa ha avuto nelle rappresentazioni che ne sono state fatte alla fine
del Settecento e nella prima meta' dell'Ottocento.
Per la verita' occorre dire che, se non c'e' dubbio che il riproporre al
pubblico moderno un'opera che ha avuto la sua importanza dal punto di
vista storico e' stata un'operazione ineccepibile, quello che l'ascolto
mi ha dato non e' stato nulla di piu' di una musica piacevole, di facile
ascolto, ma che mai (se si eccettua forse l'aria piu' famosa "Il mio ben
quando verra'") mi ha dato la sensazione del capolavoro. Anzi, la sua
non indifferente durata alla fine si e' sposata con un leggero senso di
noia.

Intanto, la struttura drammaturgica dell'opera. E' un discorso piuttosto
complicato, perche' l'opera di Paisiello proviene da un'opera-comique
francese, su libretto di Marsollier in versi e prosa, musicata da
Dalayrac (musicista a me del tutto sconosciuto: forse Cioran's son -- il
minorista -- potra' dire qualche cosa di piu'?), e rappresentata in
Francia, ma anche in Italia con grande successo. Paisiello ne ha
recepito il libretto nella traduzione italiana, e con alcune aggiunte di
arie, sostituzione di finali etc., l'ha utilizzato per comporre la sua
opera, la quale tuttavia ha avuto piu' di una versione. Una versione
rispetta la struttura ad opera-comique, alternando parti dialogate e
parti cantate; in un'altra versione, successiva, evidentemente per
avvicinare maggiormente l'opera alla forma italiana, le parti dialogate
sono state sostituite da recitativi. La versione eseguita al piccolo e'
stata la prima, cioe' quella in forma di opera-comique.

L'impianto drammatico e' assai fragile. La vicenda puo' essere definita
come la conclusione di un antefatto drammatico che viene raccontato
durante l'opera: Nina, giovane fanciulla della nobilta' napoletana, si
e' innamorata di Lindoro, ma il padre la promette ad un altro
pretendente piu' ricco e piu' nobile. Lo sgomento di Nina diventa pazzia
quando Lindoro si scontra in duello con l'altro pretendente e rimane
gravemente ferito, forse ucciso. Nel lavoro teatrale, di fatto, si
assiste nel primo atto alla manifestazione della follia di Nina ed ai
rimorsi del padre; e nel secondo all'incontro di Nina col redivivo
Lindoro e quindi alla guarigione di Nina e al conseguente lieto fine.
L'interesse principale dell'opera sta nella pazzia. E' una delle prime
volte che la pazzia, anziche' oggetto di comicita', viene presentata
come un problema umano per il quale occorre pieta' e considerazione; e,
inoltre, che la pazzia non viene piu' considerata come uno stato
irreversibile che cancella la persona, rifugiandola nel limbo degli
intoccabili, ma una manifestazione di un grave malessere, al quale una
opportuna terapia puo' porre rimedio.
Non a caso l'opera, o meglio il libretto, e' stato scritto in Francia
nel pieno fiorire dell'illuminismo, con tutto l'interesse che questo
movimento ha suscitato attorno all'uomo e ai suoi problemi. Si potrebbe
addirittura azzardare che nel libretto vi siano premonizioni delle
successive teorie freudiane.
A queste grosse novita' si deve, credo, in particolar modo, il grande
successo che hanno avuto sia l'opera originale di Marsollier e Dalayrac,
che l'opera di Paisiello sullo stesso libretto tradotto in italiano; e
in particolare, per quanto riguarda la musica di Paisiello, a quel tono
di melanconia che gli esegeti considerano proprio dell'animo napoletano.

La musica. La musica di Paisiello e' piacevole e di facile ascolto. I
critici affermano che questa facilita' di ascolto e' frutto di un grande
lavoro, soprattutto di contrappunto e di costruzione. Non c'e' dubbio.
Come ho detto in altre occasioni, secondo me l'opera d'arte ha tanto
piu' valore quanto piu' e' elaborata e complessa la sua costruzione, ma
tanto piu' semplice di facile lettura e' il risultato che si presenta
allo spettatore. Un po' il contrario dell'Outis, insomma. Tuttavia
occorre rilevare che questa facilita' di ascolto, si prolunga per tutta
l'opera senza mai che venga strappato all'ascoltatore un moto di acceso
interesse, un fremito, la sorpresa di una soluzione "trasgressiva".
Tutto fila via liscio per quasi due ore di musica, su un impianto
drammaturgico assai semplice, senza eventi drammatici. Fra gli eventi
piu' notevoli, oltre alla citata aria di Nina, c'e' un canto pastorale
accompagnato dalla zampogna (mi pare uno dei pochissimi esempi di
utilizzo di questo strumento nell'ambito della musica operistica), una
lezione di canto di Nina alle sue villanelle, e un finale in concertato
nel quale gradualmente Nina riacquista la memoria e riconosce il "suo
amato bene" guarendo dalla pazzia.
L'orchestrazione e' indubbiamente ricca, con gradevole uso dei corni,
dei legni e degli archi per sottolineare i diversi momenti del dramma,
o, come la si ama definire, commedia sentimentale.

L'allestimento. Questo e' stato molto raffinato ed elegante. Le scene
erano semplici: un fondale con una enorme finestra ovale di stile
settecentesco, e un panneggio. I due elementi scorrendo l'uno sull'altro
davano piccoli, ma eloquenti cambiamenti di scena. I costumi erano
eleganti. Il colore predominante era un colore seppia con variazioni
verso altri colori, ma sempre con tonalita' smorzate e calde. La
coreografia era arricchita da mimi (pochi per la verita') con costumi
che richiamano le maschere napoletane, e dal coro ben guidato nei
movimenti.

L'esecuzione. Direi superba. L'Antonacci, Florez, Pertusi hanno dato
veramente uno spettacolo di grande bravura nel canto. Molto meno nella
recitazione, ma questo era scontato. L'orchestra molto ben guidata. Il
risultato e' stato di grande chiarezza. In sostanza e' stata una serata
piacevole, che ha fatto rivivere un ambiente sicuramente di grande
interesse come il settecento napoletano.


--
If the doors of perception were cleansed every
thing would appear to man as it is: infinite.
William Blake
====================================

rgen...@hotmail.com

unread,
Oct 5, 1999, 3:00:00 AM10/5/99
to
Nel mio continuo girovagare il mondo per motivi di lavoro,
sono riuscito sabato scorso ad andare a sentire l'ultima
replica della NINA al Piccolo. Rudy magari eravamo nello
stesso teatro e non ci siamo visti (beh in fondo non sappiamo
come siamo fatti!)

Allego in calce il post che ho fatto per RMO
subito dopo il mio ritorno a NYC (in inglese, scusate).

In article <1dz7q4g.13a...@a-pc7-59.tin.it>,
lil...@ns.altrimedia.it (Rodolfo Canaletti) wrote:


> quello che l'ascolto
> mi ha dato non e' stato nulla di piu' di una musica piacevole,
> di facile ascolto, ma che mai (se si eccettua forse l'aria piu'
> famosa "Il mio ben quando verra'") mi ha dato la sensazione
> del capolavoro. Anzi, la sua non indifferente durata alla fine si
> e' sposata con un leggero senso di noia.

Mah, mi dispiace per te che tu ti sia annoiato.
Prima di tutto l'opera non e' poi cosi' lunga. E la
bellezza delle melodie e' tali da non farti accorgere
del tempo che passa. Almeno cosi' e' stato nel mio caso.
Certo, non credo che si possa parlare di vero capolavoro.
Isotta sul Corriere mi aveva fatto immaginare chissa'
che opera. Eppure la musica e' bellissima e la performance
secondo me e' stata di alto livello.

> L'interesse principale dell'opera sta nella pazzia. [...]


> in particolare, per quanto riguarda la musica di Paisiello,
> a quel tono di melanconia che gli esegeti considerano proprio
> dell'animo napoletano.

E' stato nel trattamento della pazzia di Nina che ho avuto
i maggiori problemi con l'allestimento del Piccolo.
Sia la musica che le parole del libretto ("estasi di malinconia",
"sombre tristesse" nell'originale francese) denotano un
ben preciso tipo di malessere. La pazzia di Nina e' interiore,
una forma di tristezza e malinconia che tolgono la voglia
di vivere e di essere felici. Quello che in termini
moderni chiameremmo depressione.
Peccato quindi che la regia abbia invece messo in scena una
Nina profondamente instabile, che non puo' star ferma, che
ride in maniera incontrollata, i cui arti assumono posizioni
innaturali. E la Antonacci si e' lasciata un po' andare,
forse anche troppo, con degli atteggiamenti da tragedienne
che forse andavano ridimensionati un po' (ma che chiaramente
la regia invece gradiva).

>
> La musica. La musica di Paisiello e' piacevole e di facile ascolto.

[...]


> Tuttavia occorre rilevare che questa facilita' di ascolto,
> si prolunga per tutta l'opera senza mai che venga
> strappato all'ascoltatore un moto di acceso
> interesse, un fremito, la sorpresa di una soluzione "trasgressiva".
> Tutto fila via liscio per quasi due ore di musica, su un impianto
> drammaturgico assai semplice, senza eventi drammatici. Fra gli eventi
> piu' notevoli, oltre alla citata aria di Nina, c'e' un canto pastorale
> accompagnato dalla zampogna (mi pare uno dei pochissimi esempi di
> utilizzo di questo strumento nell'ambito della musica operistica), una
> lezione di canto di Nina alle sue villanelle, e un
> finale in concertato
> nel quale gradualmente Nina riacquista la memoria e riconosce il "suo
> amato bene" guarendo dalla pazzia.

Ma anche la scena di Lindoro e soprattutto il finale
del primo atto (un concertato che si collega direttamente
ai migliori ensemble di Mozart e Rossini secondo me)
presentano motivi di estremo interesse.

C'e' poi da dire che Muti sembra aver optato per una lettura
molto lineare del testo. Nessun abbellimento, nessuna variazione,
nessuna deviazione belcantistica. Questo puo' avere contribuito
alla tua impressione di tranquillo fluire della musica
senza fremiti.
In generale una lettura di questo tipo mi avrebbe contrariato,
pero' devo dire che in questo caso specifico non mi e' dispiaciuta.

> L'allestimento. Questo e' stato molto raffinato ed elegante.

Le scene e i costumi sono piaciuti molto anche a me.
La regia meno. A parte il problema della descrizione della
pazzia a cui ho accennato sopra, il regista ha fatto ricorso
ad un simbolismo oscuro (i cannocchiali che spiano Nina, la
finestra ovale che si allarga e si stringe, il doppio di Nina
che appare in due soli momenti dell'opera) che non mi
hanno convinto per niente nemmeno dopo aver letto
l'intervista al regista sul programma di sala.

In ogni caso foto dell'allestimento sono disponibili sul
sito della Scala.

> L'esecuzione. Direi superba. L'Antonacci, Florez, Pertusi hanno dato
> veramente uno spettacolo di grande bravura nel canto. Molto meno nella
> recitazione, ma questo era scontato.

Scontato? E perche'?
La Antonacci e' circondata da questa fama di "singing actress"
e devo dire che ha un notevole talento drammatico, che
pero' necessita di un buon regista per essere messo un po'
sotto controllo.
Florez e Pertusi hanno recitato bene.
Dal punto di vista musicale, la Antonacci l'ho trovata molto
brava (anche se il ruolo di Nina non ha un'estensione particolarmente
ampia). Florez e' stato eccellente. Pertusi un po' sotto tono
rispetto ad altre volte in cui ho avuto l'occasione di vederlo.

---Rosario

==============================================================

At the end of my trip to Europe I managed to squeeze in the
last performance of Paisiello's NINA OSSIA LA PAZZA
PER AMORE
in Milano. It was produced by La Scala but performed
at the
new Piccolo Teatro "Strehler" in Milano (this was
Strehler's biggest dream, to have
La Scala perform in his theater, but
unfortunately he did not live long enough to see
it).

It was an excellent performance. The opera itself is
extremely
beatiful, full of very sweet and sad melodies but
also
with some moments of intense energy and rythm (like
the
Act I finale which clearly prefigures Rossini's
music).
The opera was presented in the "opera-comique"
format, with spoken dialogues.

The role of Nina was sung magnificently by Anna
Caterina
Antonacci. The music fits her voice perfectly, as it
doesn't
soar too high, and this singer used a full range of
colors and expressions to sing what apparently is a
very
simple melodic line. In particular (and here
probably Muti
had his say) Antonacci did not add any ornamentation
or
any special effects to the music, not even in second
or
thirds repetitions in Nina's arias. The music was
left
alone in its simplicity. Take for example Nina's
first
aria "Il mio ben quando verra'" which one can hear
in
Bartoli's "Arie antiche" CD. While Bartoli adds
variations and thrills in the
repetitions, Antonacci kept singing
the same music, which repeats itself more and more
fragmented
until a quiet end. It was breathtaking.
Altough this seems to be the way Paisiello wanted
the
role to be sung (there is a letter to Colbran in
which
he praises her for keping things simple and not
adding any excessive ornamentation), one has to
wonder if
this complete adherence to the text is respectful
of the performance practice of the time (after all
I really doubt that Colbran did not add anything at
all).
It did make sense musically though, and it worked.
The music after all has to reflect Nina's state of
mind which
is not real "pazzia" (madness) but rather, as the
libretto describes it, an "estasi di
malinconia" (a melancholic ecstasy, or in the
original french "sombre tristesse").
It was then a little distracting that the character
of Nina
was staged as possessed by some serious neurological
disorder.
At times Nina would launch herself spinning around
until falling down, or she
would walk around limping looking restless.
Her arms were in weird angled positions, and she
would
interrupt her speech with a disturbed laugh.
It wasn't clear how much of this was the result of a
misguided
stage direction and how much was Ms.Antonacci
abusing of
her undeniably excellent acting skills. Yet it did
not take
anything away from the beauty of the music.

As Lindoro, Juan Diego Florez was a real revelation.
I had heard a CD of this young (only 26!) tenor and
I was looking forward to see him. This is a singer
to
watch. A beatiful timbre and an effortless
production,
perfect diction (even in the spoken dialogues), a
clear
ringing voice with thrilling high notes.
So far he has confined himself to Rossini (except
Elvino
and Leicester) but backstage (and there one can see
even
better how handsome he is) he told us that next year
he will approach Mozart.

Michele Pertusi was singing the role of the father
and
although he started tentatively he improved during
the
course of the opera, giving in particular and very
good
reading of the duet with Lindoro.
Another young tenor, Antonino Siragusa, sung very
well the role
of the sheperd who has a beatiful aria in Act I
accompanied by hornpipe.
Carlo Lepore sang the basso buffo role of Giorgio
who
provides comic relief, while Donatella Lombardi was
nice and sweet as Susanna, Nina's caretaker.

Muti conducted with a lot of respect for the
singers,
never letting the orchestra overpower them. As I
said
he opted for a very simple reading of the score
without
frills or additions.

At the end applauses and cheers for everybody, and
several curtain calls.
Backstage, Ms.Antonacci was extremely nice and
talkative.
When I told her that I lived in NYC but I had missed
her
concert at the MET Museum she smiled and said "Too
bad
because that one really came out well!" :)
She said that she has been invited to give another
concert
in NYC in early June at the Italian Institute of
Culture.
But other than that no more American engagements for
her.
Our loss, too bad.

---Rosario

--
--
" ... la tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio ... " (Inf. X)


Sent via Deja.com http://www.deja.com/
Before you buy.

Rodolfo Canaletti

unread,
Oct 5, 1999, 3:00:00 AM10/5/99
to
<rgen...@hotmail.com> wrote:

> Nel mio continuo girovagare il mondo per motivi di lavoro,
> sono riuscito sabato scorso ad andare a sentire l'ultima
> replica della NINA al Piccolo. Rudy magari eravamo nello
> stesso teatro e non ci siamo visti (beh in fondo non sappiamo
> come siamo fatti!)

Venerdi' 1 ottobre? Ero in prima fila, tutto spostato sulla destra. A me
pare di averti visto in fotografia accanto alla Devia. ma non sono
fisionomista, per cui, anche se ti avessi visto, difficilmente ti avrei
riconosciuto. Peccato, potevamo scambiarci qualjhe impressione a caldo.


> Mah, mi dispiace per te che tu ti sia annoiato.

Diciamo che alla fine l'intersse si era molto allentato. E questo l'ho
avvertito anche in altri. Ma, ovviamente non vuol dire nulla.

> Prima di tutto l'opera non e' poi cosi' lunga.

Non alludevo alla lunghezza del tempo. Ma al rapporto fra durata
dell'opera e un evento teatrale praticamente inesistente. Di fatto
l'impianto di tutta la commedia e' imperniato sulla pazzia di Nina,
quasi senza eventi. Personalmente penso che due ore siano eccessive. Ma
questo e' un mio giudizio del tutto personale, che non vuole essere
"esportato". Il "fatto" e' relegato nell'antefatto raccontato dalla
ancella.


> E la Antonacci si e' lasciata un po' andare,
> forse anche troppo, con degli atteggiamenti da tragedienne
> che forse andavano ridimensionati un po' (ma che chiaramente
> la regia invece gradiva).

Questo e' vero. Nell'intervista alla RAI il regista esaltava la
recitazione dell'Antonacci, che io ho trovato molto elementare e
scontata (se mi passi il termine, da filodrammatica parrocchiale).
Pertusi e Florez erano praticamente immobili. Ma non mi scandalizzo. In
fin dei conti ho visto attori di prosa (italiani) recitare ancora
peggio. Da cantanti credo che sia difficile pretendere di piu'.


> C'e' poi da dire che Muti sembra aver optato per una lettura
> molto lineare del testo. Nessun abbellimento, nessuna variazione,
> nessuna deviazione belcantistica. Questo puo' avere contribuito
> alla tua impressione di tranquillo fluire della musica
> senza fremiti.

Sulla direzione di Muti concordo. Tuttavia, quando intendevo alludere
alla mancanza di momenti di emozione, non mi riferivo all'adssenza di
abbellimenti o a momenti belcantistici. Se hai letto il programma di
Sala, viene riportata una lettera di Paisiello alla Colbran, che
contiene un elogio proprio per il suo canto semplice e non arzigogolato.
Io mi riferivo piuttosto al fatto che la musica non ha momenti di
esaltazione, quei momenti che ti rimagono impressi nella memoria, che
vorresti risentire per provare un piacere... quasi fisico. La mia
impressione che sia mancato il colpo di genio. lavoro ben fatto, ben
costruito, con buona scelta di arie assiemi, etc, orchestrazione ricca e
interessante, ma nessun colpo d'ala.


> Le scene e i costumi sono piaciuti molto anche a me.
> La regia meno. A parte il problema della descrizione della
> pazzia a cui ho accennato sopra, il regista ha fatto ricorso
> ad un simbolismo oscuro (i cannocchiali che spiano Nina, la
> finestra ovale che si allarga e si stringe, il doppio di Nina
> che appare in due soli momenti dell'opera) che non mi
> hanno convinto per niente nemmeno dopo aver letto
> l'intervista al regista sul programma di sala.

Si', il simbolismo e' molto di moda. E spesso, come tu dici e' oscuro.
ma personalmente non mi da' fastidio. Anzi, in certe occasioni mi piace
molto. Per esempio, io ho trovato piacevole la presenza dei mimi con i
costumi delle maschere napoletane, o il costume da lazzari, insomma,
quadretti che ti facevano respirare un po' l'aria della Napoli di fine
secolo, quella di Ferdinando IV, di Vincenzo Cuoco, della rivoluzione
del '99, dell'opificio di San Leucio; il senso della vitalita' di una
citta' che forse avrebbe potuto dare ben altri contributi alla storia
d'Italia.


> Dal punto di vista musicale, la Antonacci l'ho trovata molto
> brava (anche se il ruolo di Nina non ha un'estensione particolarmente
> ampia). Florez e' stato eccellente. Pertusi un po' sotto tono
> rispetto ad altre volte in cui ho avuto l'occasione di vederlo.


Su questo concordo perfettamente

Ciao

Rudy

PS
Leggendo il tuo post a RMO vedo che anche tu hai citato l'osservazione
di Paisiello alla Colbran. Ti chiedo scusa.

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If the doors of perception were cleansed every
thing would appear to man as it is: infinite.
William Blake

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Giovanni Christen

unread,
Oct 6, 1999, 3:00:00 AM10/6/99
to
rgen...@hotmail.com writes:
>E' stato nel trattamento della pazzia di Nina che ho avuto
>i maggiori problemi con l'allestimento del Piccolo.
>Sia la musica che le parole del libretto ("estasi di malinconia",
>"sombre tristesse" nell'originale francese) denotano un
>ben preciso tipo di malessere. La pazzia di Nina e' interiore,
>una forma di tristezza e malinconia che tolgono la voglia
>di vivere e di essere felici. Quello che in termini
>moderni chiameremmo depressione.
>Peccato quindi che la regia abbia invece messo in scena una
>Nina profondamente instabile, che non puo' star ferma, che
>ride in maniera incontrollata, i cui arti assumono posizioni
>innaturali. E la Antonacci si e' lasciata un po' andare,

>forse anche troppo, con degli atteggiamenti da tragedienne
>che forse andavano ridimensionati un po' (ma che chiaramente
>la regia invece gradiva).

Sono le stesse critiche che molti avevano mosso a Cecilia Bartoli nella
primavera 98. Secondo i piu' la pazzia di Nina dovrebbe essere dolce,
malinconica, trasognata - una Nina intontita dal dolore ma dolce e tenera.
Invece la Nina-Bartoli (con regia di Lievi) era imprevedibile, spesso
aggressiva e anche crudele, con momenti quasi furiosi - e sembrava
divertirsi a tormentare il prossimo. A quanto pare la versione Antonacci
- De Simone e' sulla stessa lunghezza d'onda. La cosa in fondo e' logica,
Cecilia Bartoli aveva deciso di fare Nina dopo che proprio De Simone le
aveva suggerito quel ruolo.
Naturalmente non avendo visto la Antonacci non posso fare paragoni.
Comunque secondo me - come avevo gia' spiegato a suo tempo parlando
dell'allestimento a Zurigo - e' giusta la versione "drammattizzata".

Infatti la pazzia di Nina non e' solo un pretesto per una scena
virtuosistica - e' il soggetto dell'opera! E si tratta di una pazzia del
'700, non romantica.
Si tratta della rappresentazione della pazzia come rottura fra il mondo
reale e quello ideale (quello "giusto", secondo natura). Questa rottura
si e' prodotta con la morte di Lindoro, Nina non ha accettato l'ambiente
ingiusto che si era creato e continua a vivere nel mondo ideale e
incorrotto: o se vogliamo, continua a tenerlo in vita in se'. Nina non e'
un personaggio pazzo facente parte del mondo reale: e' un personaggio a
suo modo sano (anzi! essendo incorrotta lo e' piu' dei "normali"!) ma che
vive in un mondo che non corrisponde piu' alla realta'. Quindi ci si deve
porre la questione: chi sono i veri pazzi? chi si comporta in modo
giusto? Perche' Nina e' sincera e fedele, mentre gli altri sono falsi e
ipocriti. Nina e' se stessa, gli altri si travestiscono.

E soprattutto: si e' creata la situazione di due mondi incomunicanti,
quello di Nina e quello degli altri. Quindi e' inevitabile che nella zona
di contatto si creino degli attriti. Poiche' dal lato del mondo reale
(quello ingiusto, falso e ipocrita) ci si premura di assecondare in tutto
la Nina per cercare di attirarla e farla rientrare nei ranghi, questi
attriti devono venire da Nina. Che quindi e' costretta a comportarsi in
modo scostante e isterico.

Poi il ritorno alla normalita' non avviene secondo il metodo praticato
nel primo atto, in cui viene taroccato il mondo reale a suon di
pastorelle per farlo assomigliare a quello ideale di Nina, per spingerla
ad attraversare la porta fra i due mondi. Avviene invece con il ritorno
di Lindoro, che ricrea pezzo a pezzo la situazione precedente il duello.
Solo quando il mondo reale corrisponde davvero a quello ideale Nina puo'
tornare nella realta'.

Queste sono considerazioni mie, in realta' Lievi secondo un'intervista
aveva dato soprattutto peso a considerazioni psicologiche troppo moderne
per Paisiello. Pero' aveva centrato molto bene l'essenza piazzando in
scena una grande porta rotta in due pezzi: un simbolo perfetto per dare
la chiave di lettura dell'opera.

Rudolfo Canaletti scrive:


>Da cantanti credo che sia difficile pretendere di piu'.

No!!! ...e' difficile *ottenere* di piu.
Ma si deve sempre pretendere di piu', che diamine!

>quadretti che ti facevano respirare un po' l'aria della Napoli di fine
>secolo, quella di Ferdinando IV, di Vincenzo Cuoco, della rivoluzione
>del '99, dell'opificio di San Leucio; il senso della vitalita' di una
>citta' che forse avrebbe potuto dare ben altri contributi alla storia
>d'Italia.

Forse maschere e Pulcinelli sono innanzi tutto la firma di De Simone!
ormai li ficca in ogni opera (vedi il recente Don Giovanni).
... parlando della Napoli di quel periodo bisognerebbe aggiungere la
repressione borbonica con come simbolo Cimarosa cacciato a marcire nelle
segrete. In quegli anni a Napoli l'aria era molto pesante.

>Io mi riferivo piuttosto al fatto che la musica non ha momenti di
>esaltazione, quei momenti che ti rimagono impressi nella memoria, che
>vorresti risentire per provare un piacere... quasi fisico.

Deve essere quello che pensa anche Adam Fischer, che nella produzione a
Zurigo aveva inserito un recitativo e aria mozartiani ("Ah lo previdi...
Ah t'invola" KV 272) all'interno della scena pastorale. L'aria e' stata
scritta per un'opera di Paisiello, ma per un'opera seria! Un'aggiunta
gradita perche' l'aria e' bellissima. Pero' il contrasto del recitativo
drammatico nel clima pastorale era una doccia scozzese! e in questi casi
Cecilia Bartoli ha un cambio di marcia incredibile, e' una bomba H che
esplode in scena... E il contrasto era anche nella musica: pareva una
staffetta dove un ciclista da' il cambio a una formula 1. La musica di
Mozart era estremamente piu' densa ed elaborata di quella di Paisiello,
oltretutto in un momento di estrema rarefazione.
Addirittura mi ero chiesto se Fischer non l'aveva fatto perfidamente per
mettere le cose in chiaro: vi eravate fatti ipnotizzare da Paisiello,
ebbene ecco: QUESTA e' la Musica!

Giovanni

Rodolfo Canaletti

unread,
Oct 6, 1999, 3:00:00 AM10/6/99
to
Giovanni Christen <gchr...@bluewin.ch> wrote:

> Queste sono considerazioni mie, in realta' Lievi secondo un'intervista
> aveva dato soprattutto peso a considerazioni psicologiche troppo moderne
> per Paisiello. Pero' aveva centrato molto bene l'essenza piazzando in
> scena una grande porta rotta in due pezzi: un simbolo perfetto per dare
> la chiave di lettura dell'opera.

Naturalmente siamo nel settecento, e Freud non era ancora nato.
Tuttavia, mi pare giusta l'osservazione che la pazzia fino a quel
momento, nel teatro, era considerata un soggetto comico. Nel lavoro di
Marsollier per la prima volta (o una delle prime volte, se preferisci)
la pazzia viene interpretata come soggetto di dramma, e viene anche
immaginata la possibilita' di guarigione, attraverso una percorso che
addirittura sembra prefigurare la psicanalisi. Che poi e' quello che
dici tu stesso quando affermi che la pazzia di Nina guarisce con la
ricostruzione della situazione precedente il duello. Cioe' il secolo dei
"lumi" sposta l'attenzione sui valori umani presenti nella pazzia.


> Forse maschere e Pulcinelli sono innanzi tutto la firma di De Simone!
> ormai li ficca in ogni opera (vedi il recente Don Giovanni).

Veramente la regia dell'edizione del Piccolo e' di Cappuccio. De Simone
e' stato forse il regista di quella di Zurigo? Non e' escluso che
Cappuccio si sia ispirato a lui. Questo non te lo so proprio dire.
Tuttavia occorre dire che il tutto era molto gradevole.

> ... parlando della Napoli di quel periodo bisognerebbe aggiungere la
> repressione borbonica con come simbolo Cimarosa cacciato a marcire nelle
> segrete. In quegli anni a Napoli l'aria era molto pesante.

Non per riabilitare i Borboni, ma la brutale repressione del '99 e'
stata ispirazione piu' degli austriaci (Carolina d'Asburgo), di Aston e
degli inglesi (Lord Nelson) che non proprio del povero Ferdinando IV.

Ciao

Rudy

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If the doors of perception were cleansed every
thing would appear to man as it is: infinite.
William Blake

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Giovanni Christen

unread,
Oct 7, 1999, 3:00:00 AM10/7/99
to
Rodolfo Canaletti, lil...@ns.altrimedia.it writes:
>Tuttavia, mi pare giusta l'osservazione che la pazzia fino a quel
>momento, nel teatro, era considerata un soggetto comico. Nel lavoro di
>Marsollier per la prima volta (o una delle prime volte, se preferisci)
>la pazzia viene interpretata come soggetto di dramma

La pazzia come soggetto del dramma mi sembra essere la vera novita'.
La vera pazzia in un protagonista mi sembra fosse piuttosto riservata
alle tragedie. Pensa a Shakespeare: Ofelia, Lady Macbeth...
Nella commedia nei personaggi principali erano ammessi i piccoli difetti
fisici, le manie di cui si poteva ridere: quindi c'erano i miopi e gli
ipocondriaci, ma non ciechi e pazzi. Se c'erano, erano finti e il
pubblico lo sapeva.
I pazzi erano forzatamente personaggi marginali perche' il comico non
derivava dallo stato di pazzia ma dalla sua causa. E' vero che nella
commedia esistevano piu' spesso dei personaggi (secondari!) gia' pazzi
fin dall'inizio. Venivano utilizzati come esempio morale. Mi viene in
mente il capitolo nel manicomio del "Diable boiteaux" di Lesage, dove ci
sono casi come quello della dama impazzita perche' a corte era stata
chiamata "borghese"... Oppure nell'opera italiana nella "Scuola dei
gelosi" di Salieri (10 anni prima della Nina) due protagonisti vanno a
visitare un manicomio per svago, come noi andremmo allo zoo. E
naturalmente c'e' un bel coro di pazzi per gelosia.

>Cioe' il secolo dei
>"lumi" sposta l'attenzione sui valori umani presenti nella pazzia.

Senz'altro, ed e' questo a permettere l'inserimento della pazzia (di
*questa* pazzia) come protagonista nel semiserio o nella commedia:
perche' e' reversibile, non e' una vera tara fisica ma piuttosto uno
stato alterato come ad es. l'ubriachezza.

>> Forse maschere e Pulcinelli sono innanzi tutto la firma di De Simone!
>> ormai li ficca in ogni opera (vedi il recente Don Giovanni).
>

>Veramente la regia dell'edizione del Piccolo e' di Cappuccio.

Ooops... allora c'e' stato un cambiamento di programma! Visto che nella
recensione non avevi detto il nome del regista (male! :-) me lo sono
cercato nel file con il programma della stagione 98-99 che avevo
prelevato a suo tempo dalle pagine www della Scala. Ecco il testo:

>>
GIOVANNI PAISIELLO - NINA, O SIA LA PAZZA PER AMORE
NUOVO PICCOLO TEATRO  25, 28, 29 settembre - 1 e 2 ottobre 1999

DIRETTORE  Riccardo Muti
REGIA  Roberto De Simone
SCENE  Mauro Carosi
COSTUMI  Odette Nicoletti

Nina  Anna Caterina Antonacci
Lindoro  Juan Diego Florez
Conte  Michele Pertusi
Giorgio  Carlo Lepore
<<

>Non per riabilitare i Borboni, ma la brutale repressione del '99 e'
>stata ispirazione piu' degli austriaci (Carolina d'Asburgo), di Aston e
>degli inglesi (Lord Nelson) che non proprio del povero Ferdinando IV.

In effetti nella famiglia reale era Carolina a portare i pantaloni, ma
infine era regina di Napoli e non ambasciatrice d'Austria. Ferdinando era
sotto la protezione inglese al momento della riconquista di Napoli. Ma i
decreti e le leggi con cui aveva posto le basi per la persecuzione di
chiunque avesse collaborato con la repubblica li aveva firmati lui. E in
ogni caso la repressione era amministrata da giudici e ministri
napoletani, le persecuzioni e i saccheggi praticati da onesti cittadini e
lazzaroni. Insomma, la Napoli di fine '700 era una polveriera!
La presenza straniera caso mai assicurava un minimo di ordine. Ad es per
tornare a Cimarosa: venne tolto di prigione dal reggimento russo.
Sospetto che anche l'influenza inglese sulle decisioni di Ferdinando sia
stata sopravvalutata dal Colletta e dagli storici del risorgimento, che
tendevano a sottolineare i lati negativi delle ingerenze straniere.

Ciao

Giovanni

Rodolfo Canaletti

unread,
Oct 7, 1999, 3:00:00 AM10/7/99
to
Giovanni Christen <gchr...@bluewin.ch> wrote:


> Ooops... allora c'e' stato un cambiamento di programma! Visto che nella
> recensione non avevi detto il nome del regista (male! :-)

Mi scuso. Puo' succedere

> me lo sono
> cercato nel file con il programma della stagione 98-99 che avevo
> prelevato a suo tempo dalle pagine www della Scala. Ecco il testo:
>
> >>
> GIOVANNI PAISIELLO - NINA, O SIA LA PAZZA PER AMORE
> NUOVO PICCOLO TEATRO  25, 28, 29 settembre - 1 e 2 ottobre 1999
>
> DIRETTORE  Riccardo Muti
> REGIA  Roberto De Simone
> SCENE  Mauro Carosi
> COSTUMI  Odette Nicoletti
>
> Nina  Anna Caterina Antonacci
> Lindoro  Juan Diego Florez
> Conte  Michele Pertusi
> Giorgio  Carlo Lepore


Ovviamente se hai trovato questa informazione, e' chiaro che c'e' stato
un cambiamento di programma. Anche lo scenografo e il costumista sono
diversi da quelli che riporti. E anche le date delle repliche. Infatti
in ottobre ci sono moltissime repliche che nella tua informazione non
compaiono. Mentre i cantanti sono gli stessi (almeno di quelli che
riporti).
Ma poiche' la Nina e' fuori abbonamento, a suo tempo, non prevedendo di
andarci, non avevo fatto caso alla questione. Poi ho cambiato idea.
Comunque sul sito della Scala c'e' il cast completo, orari, fotografie,
etc.

>
> >Non per riabilitare i Borboni, ma la brutale repressione del '99 e'
> >stata ispirazione piu' degli austriaci (Carolina d'Asburgo), di Aston e
> >degli inglesi (Lord Nelson) che non proprio del povero Ferdinando IV.
>
> In effetti nella famiglia reale era Carolina a portare i pantaloni, ma
> infine era regina di Napoli e non ambasciatrice d'Austria. Ferdinando era
> sotto la protezione inglese al momento della riconquista di Napoli. Ma i
> decreti e le leggi con cui aveva posto le basi per la persecuzione di
> chiunque avesse collaborato con la repubblica li aveva firmati lui. E in
> ogni caso la repressione era amministrata da giudici e ministri
> napoletani, le persecuzioni e i saccheggi praticati da onesti cittadini e
> lazzaroni. Insomma, la Napoli di fine '700 era una polveriera!

Certo, vi e' la storia di Cuoco di quel periodo, molto interessante, e
quella di Benedetto Croce. Poi vi sono romanzi storici della Dacia
Maraini e di altri (scusa, ma i miei neuroni in questo momento non mi
sono d'aiuto e non ho modo di controllare).
E' un periodo che mi ha molto interessato, anche dal punto di vista
delle ideologie che la rivoluzione francese a importato in Italia e che
hanno preceduto il risorgimento Italiano (sul quale ho idee tutte mie).
Ferdinando ha certamente le responsabilita' pesantissime di chi appone
una firma su provvedimenti esecutivi. Ma la sua storia, prima del '99,
lo dipinge come un sovrano attento ai reali bisogni della popolazione.
L'esperimento di San Leucio e' stato un atto che aveva illuso molto gli
ambienti democratici e progressisti (anche se oggi lo definiremmo con
nomi molto diversi). Poi, un po' l'influenza di Carolina e degli
ambienti piu' retrivi e opportunisti della corte, un po' l'influenza
inglese, un po' la sua debolezza come uomo e, tutto sommato, la sua
paura, lo hanno portato a quelle tragiche conclusioni. Per questo
parlavo di povero Ferdinando IV.

Ciao

Rudy


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William Blake

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rgen...@hotmail.com

unread,
Oct 7, 1999, 3:00:00 AM10/7/99
to
In article <1dzb15f.y13...@a-pc8-14.tin.it>,

lil...@ns.altrimedia.it (Rodolfo Canaletti) wrote:
> E anche le date delle repliche. Infatti
> in ottobre ci sono moltissime repliche che nella tua informazione non
> compaiono. Mentre i cantanti sono gli stessi

Le repliche susseguenti al (il?) 2 Ottobre sono con cantanti
diversi. Cantano i giovani dell'accademia di perfezionamento della
Scala.

---Rosario

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