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San Diego

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Lucio Picci

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May 9, 1992, 11:19:13 AM5/9/92
to

Per dimostrare al mondo che, malgrado le apparenze, non sono
l'Alberto Sordi del giornalismo italiano, e per dare il mio primo
contributo serio a s.c.i. da quando, or volge l'anno, per errore
spinsi i tasti r-n, godetevi quanto segue.

Mandate a letto i bambini e preparate le difese mentali: ecco
a voi un esempio di Puro Giornalismo:

(da "Il Manifesto" , Sabato 9 maggio 92. Versione originale; la
versione pubblicata e' stata vittima della solita censura
comunista)


"Italiani di San Diego"

Sta per cominciare la fase finale della Coppa America, ma una San Diego
sonnolenta non sembra preoccuparsene troppo. Con lei, i tanti italiani che vi
abitano.

La sede locale di National Public Radio, l'emittente radio piu' prestigiosa, fa
precedere a ogni notiziario le informazioni sul traffico, indispensabili per
vivere in una citta' che e' definita dall'incrocio di autostrade. E' forse per
spocchia, ma un banale tamponamento su Interstate 5 riceve piu' attenzione
dell'inizio delle regate della Coppa America.

Simile e' l'atmosfera che si respira tra gli italiani di San Diego, con
eccezion fatta, ovviamente, per quelli che sono in qualche modo collegati con
"Il Moro di Venezia". Vengono in mente immagini di altro tempo, dalla Svizzera,
dalla Germania, in cui le partite della Nazionale di calcio in trasferta erano
vissute come un occasione per affermare la propria identita' nazionale. Nulla
di tutto questo qua: e' certo vero che la vela non e' il calcio, e che in molti
forse vedono l'impresa del "Moro" come una questione privata di Raul Gardini o
della Montedison, ma questo da solo non spiega la differenza. In realta',
ognuno sembra preso da mille cose da fare, piu' o meno adattato a uno stile di
vita da sud della California che rispetto a quello nostrano non potrebbe essere
piu' distante.

San Diego, piu' che una citta', e' un'unione di comunita', ognuna con un suo
carattere ben distinto, ognuna collegata al resto del tessuto da qualche
troncone di autostrada. Partendo da nord, La Jolla, dove si trova l'universita'
piu' prestigiosa di San Diego e molti centri di ricerca medica, e' un quartiere
esclusivo con belle spiagge e un' alta densita' di ristoranti europei. Andando
giu' lungo la costa si incontra Pacific Beach, comunita' di surfisti che si
anima le sere ed i fine settimana di una popolazione non sempre sobria. Ancora
piu' a sud, oltre la Baia di Mission e il quartiere di Ocean Beach, si trova il
bellissimo promontorio di Point Loma, dal quale si domina tutta la Baia di San
Diego, a est, ed il campo di regata della Coppa America a ovest.

Piu' verso l'interno e' Downtown, la zona centrale di San Diego, che sta
vivendo un piccolo boom con un paio di grattacieli costruiti ogni anno, e dove
staziona l'esercito crescente degli "homeless", i senza casa. Una parte di
downtown, il "Gaslamp Quarter", una volta centro della prostituzione, e' stato
in questi anni ingentilito, ed ha ora molti ristoranti etnici. Subito a nord,
la zona di Uptown, che comprende Hillcrest, il quartiere della comunita' gay e
dei tanti cafe all'europea. A sud invece, verso il confine con il Messico, si
trovano le comunita' latine di Chula Vista e Imperial Beach, e piu' all'interno
la grande zona di East San Diego, la parte violenta dei "drive by shooting" e
del commercio di droga.

Citta' di comunita' e di autostrade. Interstate 5 innanzitutto, la grande
arteria che taglia longitudinalmente tutta la costa ovest degli Stati Uniti e
che e' l'asse principale per gli spostamenti all'interno di San Diego.
Percorrendo Interstate 5 da nord, da Los Angeles, la prima immagine di San
Diego citta' di frontiera si riceve al posto di blocco che si trova a meta'
strada tra le due citta'. Li' i veicoli che provengono da San Diego vengono
fermati e controllati per la presenza di immigrati clandestini. E nelle
vicinanze, forse in una anticipazione di un Italia prossima ventura, si trovano
i segnali stradali piu' allucinanti: cartelli triangolari con disegnato un
uomo, una donna ed un bambino che corrono. Traduzione: "Attenzione, non
investite i messicani illegali che scappano dalla "Migra", la polizia per il
controllo dell'immigrazione". In questo modo ne muoiono a decine ogni anno: non
e' facile di notte attraversare un autostrada a dieci corsie, magari abbagliati
e confusi dai fari. Cartelli identici si trovano anche a San Diego in
prossimita' del confine messicano. E la nuova tecnica di emigrazione e' proprio
questa: in grandi gruppi di corsa attraversano il confine lanciandosi contro al
traffico. L'anno scorso, mentre aspettavo un meccanico che si prendesse cura
della mia auto surriscaldata da due ore di fila al ritorno dal messico, ho
assistito a una di queste fughe: su una trentina di persone, solo una e' stata
catturata. Questo tipo di storie allarmano la popolazione locale, e fioccano le
iniziative anti-immigrazione, come la controversa "light up the city': privati
cittadini la sera illuminano con i fari dell'auto il confine per aiutare la
"Migra" a individuare tentativi di immigrazione illegale.

Citta' di autostrade, vita in automobile. Senza auto non si vive: praticamente
non esistono luoghi raggiungibili a piedi, e gli autobus ci sono ma sono
lentissimi. Non esiste il concetto della "camminata in centro". Le uniche
persone che si vedono girare a piedi sono gli indefessi jogger, oppure qualche
messicano, soprattutto ora che la "Migra" ha intensificato i controlli alle
fermate dell'autobus. Qualche tempo fa una mia amica spagnola uscii di casa per
fare una passeggiata, in una zona ben illuminata di un quartiere residenziale.
Si accosto' una pattuglia della polizia, e le fu chiesto se per caso le si
fosse rotta la macchina. I poliziotti si erano probabilmente accorti che non
apparteneva ne' alla categoria degli atleti, ne' a quella delle minoranze
etniche, e avevano concluso che doveva esserci qualcosa che non andava.

Sono forse gli spagnoli, ancor piu' che gli italiani, a soffrire per certe
idiosincrasie della cultura locale. Abituati come sono alla vita notturna, alla
"movida" a volte un po' selvaggia, trovano bizzarro che i ristoranti chiudano
alle dieci di sera, e che i locali aperti oltre a mezzanotte in tutta San Diego
si contino sulla punta delle dita. E certo non e' facile per noi empatizzare
con i tanti surfisti che prima di andare al lavoro riescono a cavalcare qualche
gelida onda mattutina, o con i joggers in moto perpetuo, che mentre aspettano
che il semaforo diventi verde per attraversare la strada corrono sul posto per
non perdere il ritmo.

Ma chi sono gli italiani di San Diego? Quanto sono diversi dall'emigrato delle
stampe di fine secolo o, se volete, quanto sono uguali all'immagine piu'
recente del professionista super acculturato che all'estero ha un'occupazione
ben retribuita?

Ne parlo con Paola Desii, a San Diego dal 1978 e Vice Console italiano dal
1984.
In tutta la contea di San Diego, una vasta area che comprende un centinaio di
chilometri di costa e si spinge all'interno sino al deserto di Anza Borrego,
gli italiani di prima generazione, ossia quelli con almeno un genitore nato in
Italia, sono circa 70,000, o il tre per cento della popolazione totale.
Probabilmente solo una minoranza di questi e' in grado di parlare la lingua e
mantiene rapporti di qualche tipo con l'Italia. I primi italiani arrivarono da
San Francisco nel 1871. Erano marinai di origine siciliana, e si stabilirono
nella zona attorno a India Street, subito a nord di Downtown. Nei primi anni
del secolo fu la volta dei genovesi, e poi nel 1906 in seguito al terremoto di
San Francisco arrivarono altri italiani. Quasi tutti marinai, a loro viene
riconosciuto il merito della creazione del commercio di pesce fresco a San
Diego. Ben presto la zona dove si stabilirono divenne una vera e propria
"Little Italy", non certo paragonabile in dimensioni a North Beach a San
Francisco, ma comunque con una serie di negozi e di locali che svolgevano anche
la funzione di punto di riferimento per la comunita'. La chiesa, "Our Lady of
Rosary", fu costruita nel 1925, e la messa era rigorosamente in italiano. E
tante imprese commerciali furono fondate da italiani, come il People 's Fish
Co., un'istituzione a San Diego dal 1918.

Di tutto questo non rimane molto. Con il tempo i legami si allentarono, le
origini culturali cominciarono a sentirsi di meno. Il colpo piu' duro lo
inferse la costruzione dell'autostrada Interstate 5, all'inizio degli anni '60,
che taglio' in due la zona italiana. In molti furono costretti a trasferirsi,
ma l'esodo in realta' era gia' cominciato subito dopo la fine della seconda
guerra mondiale.
In India Street vi sono ancora alcuni negozietti dove e' possibile comperare
mozzarella, prosciutto, un ottima focaccia. La chiesa di "Our Lady of the
Rosary" esiste ancora, ma la messa in italiano ora ha luogo solo una volta al
mese. C'e' ancora chi esce con le barche la mattina, ma piu' per nostalgia che
per lavoro. Alcune famiglie di pescatori misero in piedi ristoranti di pesce;
uno di questi, Anthony's Food Grottto, della famiglia Ghio, e' ora tra i piu
famosi di San Diego. E i ristoranti italiani sono qua numerosi e godono in
generale di un'ottima fama.

Mentre la comunita' italiana tradizionale perdeva di importanza e di coesione,
durante gli anni '60, cominciava un tipo diverso di immigrazione, meno numeroso
e di tipo completamente diverso. L'immigrazione dei ricercatori e degli
studiosi, che crebbe di pari passo con l'emergere di San Diego come centro
all'avanguardia della ricerca scientifica, soprattutto medica, biologica e
farmacologica. Il campus di San Diego dell'Universita' di California fu fondato
nel 1964 sulla collina subito a nord di La Jolla e a ridosso dell'oceano, in
quella che era stata una base dei Marines. Presto la zona divenne punto di
aggregazione per numerosi centri di ricerca, tra i quali i prestigiosi Scripps
Institute e Salk Institute, dove ora lavorano molti biologi e medici italiani.
Non e' facile fare una stima di quanti siano gli italiani che a San Diego
svolgono attivita' di studio o di ricerca. Molti si fermano per periodi brevi,
dai pochi mesi a qualche anno, e raramente si registrano all'anagrafe dei
residenti all'estero presso il Consolato. In tutto, forse, qualche centinaio.
La nuova "Little Italy" cosi' non e' piu' downtown, nel centro di San Diego, ma
spostata a nord, a La Jolla, o nelle vicine colline di Mount Soledad, o su
lungo la costa sino a Del Mar e a Solana Beach. Ugualmente, come un tempo, ci
si conosce piu' o meno tutti. Le conoscenze non si fanno piu' sulle banchine
del porto a scaricare pesce, o per le strade vicino a India Street, ma nei
laboratori, nei dipartimenti dell'universita'. Ed e' forse un po' cambiato il
concetto di "noi" e "loro": "loro" sono in qualche modo sempre gli americani,
"noi" gli europei, o a volte i latini.

Non e' facile adattarsi all'America, forse particolarmente al sud della
California. Ne parlo con Fabrizio Germano, che studia econometria
all'Universita di California, in un dipartimento che negli ultimi 15 anni ha
contribuito a rivoluzionare il modo in cui gli economisti trattano le
informazioni quantitative. "Quando sono stato a Las Vegas" mi dice, "ho pensato
che gli americani sono rispetto a noi come i romani erano rispetto ai greci:
indietro di ottocento anni" Non tutti hanno il coraggio di dirlo apertamente
come lui, ma i piu' sembrano avere pensieri simili. Tutti ammettono che qua si
lavora meglio che in Europa; quando pero' si tratta di uscire la sera, i gruppi
sono quasi esclusivamente a composizione non statunitense.
Se il disagio europeo per gli Stati Uniti e' forse generale, qui a San Diego i
giudizi si fanno piu' estremi. Continua Fabrizio: "San Diego e' tutto una
periferia di un centro che non esiste". Tutta una periferia fatta di casette
color pastello tutte uguali, di shopping mall color pastello tutte uguali, di
gente abbronzata color pastello tutta uguale. Tutto asettico: Quando torno in
Italia la prima cosa che noto sono gli odori, che qua mancano, assieme alle
puzze. Un mondo di plastica, una Las Vegas appena un po' timida, e davvero non
e' un caso se Disneyland e' stata inventata nel sud della California.
Questi sono i discorsi tipici tra italiani quando ci si ritrova. Poi pero si
guarda fuori dalla finestra, si considerano i dodici mesi di sole all'anno, le
spiagge, il basso costo della vita, e si finisce per rimanere qualche anno di
piu' di quanto si fosse pianificato. Si pensa alla difficolta' di trovare casa
nelle nostre citta' inquinate, a come siano chiare qui le regole del gioco nel
posto di lavoro, rispetto al nostro mondo universitario barocco e a volte
umiliante, e si capisce perche' quelli che in Italia tornano facciano di tutto
per mantenere contatti qua, certo utili dal punto di vista scientifico, ma
forse soprattutto importanti come valvola di sfogo da un Italia da terzo mondo.

Ognuno e' preso da mille cose da fare, ma in qualche modo si mantengono le
tradizioni. Come la bagna cauda, specialita' di Stefano Demichelis, piemontese,
27 anni con alle spalle un Ph.D in matematica a Princeton e due anni come
assistant professor a Harward. E con una certa ironia: la nuova idea e'quella
di organizzare un torneo di briscola. L'unico ostacolo rimasto e' reperire
salami e prosciutto per i premi.
Qualcuno ha meglio apprezzato lo stile di vita locale, come Valentino
Dardanoni, palermitano e ora professore di economia a Perugia, che negli anni
in cui ha abitato qua ha imparato a fare surf. Altri hanno deciso di rimanere
e hanno messo su famiglia. La maggior parte, prima o poi, ritorna.

Tra pochi giorni "Il Moro di Venezia" sfidera' "America 3" per il possesso
della Coppa. E tra pochi giorni i miei amici Marco e Stefania verranno a
trovarmi dalla Virginia, dove vivono e studiano. Allora affitteremo un 24
piedi a vela e andremo al largo di Point Loma a fare il tifo. Sventoleremo il
tricolore, ma cosi' per ridere.

Claudio Calvelli

unread,
May 9, 1992, 12:53:57 PM5/9/92
to

lpi...@weber.ucsd.edu (Lucio Picci) scrive:

> Per dimostrare al mondo che, malgrado le apparenze, non sono
> l'Alberto Sordi del giornalismo italiano, e per dare il mio primo
> contributo serio a s.c.i. da quando, or volge l'anno, per errore
> spinsi i tasti r-n, godetevi quanto segue.

[ articolo cancellato ]

Oibo' ci mancava anche questa. Lucio Picci si e' ammalato ed e'
diventato serio. Speriamo che non guarisca.

--
Claudio Calvelli - email: c...@dcs.ed.ac.uk - tel.: +44-31-650-5165
posta: Rm 1410 JCMB (KB) The University of Edinburgh, EH9 3JZ Scotland

Bijan Marjan-x4536

unread,
May 9, 1992, 3:04:29 PM5/9/92
to
In article <ugqhh...@network.ucsd.edu> lpi...@weber.ucsd.edu (Lucio Picci) writes:

[tantissimo materiale cancellato...]

> nelle nostre citta' inquinate, a come siano chiare qui le regole del gioco nel
> posto di lavoro, rispetto al nostro mondo universitario barocco e a volte
> umiliante, e si capisce perche' quelli che in Italia tornano facciano di tutto
> per mantenere contatti qua, certo utili dal punto di vista scientifico, ma
> forse soprattutto importanti come valvola di sfogo da un Italia da terzo mondo.
>
> Ognuno e' preso da mille cose da fare, ma in qualche modo si mantengono le
> tradizioni. Come la bagna cauda, specialita' di Stefano Demichelis, piemontese,
> 27 anni con alle spalle un Ph.D in matematica a Princeton e due anni come
> assistant professor a Harward. E con una certa ironia: la nuova idea e'quella
> di organizzare un torneo di briscola. L'unico ostacolo rimasto e' reperire
> salami e prosciutto per i premi.
> Qualcuno ha meglio apprezzato lo stile di vita locale, come Valentino
> Dardanoni, palermitano e ora professore di economia a Perugia, che negli anni
> in cui ha abitato qua ha imparato a fare surf. Altri hanno deciso di rimanere
> e hanno messo su famiglia. La maggior parte, prima o poi, ritorna.
>
> Tra pochi giorni "Il Moro di Venezia" sfidera' "America 3" per il possesso
> della Coppa. E tra pochi giorni i miei amici Marco e Stefania verranno a
> trovarmi dalla Virginia, dove vivono e studiano. Allora affitteremo un 24
> piedi a vela e andremo al largo di Point Loma a fare il tifo. Sventoleremo il
> tricolore, ma cosi' per ridere.

^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

Certo, anche se questo e` vero per certa gente, mi pare che sia proprio questo
atteggiamento di abbandono e frustrazione (e rimorso) verso l'Italia che non
migliora le cose. L'Italia di problemi ne ha tanti; ma di certo non e`
l'unico paese del mondo ad averne. Gli Stati Uniti, Germania, e altri
G-7 non possono di certo negare i loro problemi. La differenza e` che loro
cercano di risolvere le cose quando emergono. In Italia, purtroppo, molti
assumono un'atteggiamento trasandato, senza pensare al paese e a i
necessari miglioramenti.

--------------------------------------------------------------------------
Bijan Marjan EECS Department Lehigh University Bethlehem PA 18015-3084 USA
INTERNET: bma...@scarecrow.EECS.Lehigh.EDU
--------------------------------------------------------------------------

Lucio Picci

unread,
May 9, 1992, 4:16:34 PM5/9/92
to
In article <BMARJAN.92...@pluto.csee.lehigh.edu> bma...@pluto.csee.lehigh.edu (Bijan Marjan-x4536) writes:
>> tricolore, ma cosi' per ridere.
> ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
>
> Certo, anche se questo e` vero per certa gente, mi pare che sia proprio questo
> atteggiamento di abbandono e frustrazione (e rimorso) verso l'Italia che non
> migliora le cose. L'Italia di problemi ne ha tanti; ma di certo non e`
> l'unico paese del mondo ad averne. Gli Stati Uniti, Germania, e altri
> G-7 non possono di certo negare i loro problemi. La differenza e` che loro
> cercano di risolvere le cose quando emergono. In Italia, purtroppo, molti
> assumono un'atteggiamento trasandato, senza pensare al paese e a i
> necessari miglioramenti.
>


La trasandatezza non e' da intendersi nei confronti dei Problemi del
Paese, ma solo verso lo Sventolamento dell Bandiera. Le due cose
sono diverse.
Per il resto, nessun abbandono (ne' rimorso: verso che cosa?).
Un po' di frustrazione forse, pensando al 40ennio di malgoverno.

Salut,

Lucio

===================================================================
== Lucio Picci == Lo sai che i papaveri ==
== Oppiomane == son' alti-alti-alti... ==
== Dept. of Economics, == ==
== U.C.S.D., San Diego. == Nilla Pizzi ==
===================================================================

Lucio Picci

unread,
May 9, 1992, 4:45:50 PM5/9/92
to
In article <33...@skye.dcs.ed.ac.uk> c...@dcs.ed.ac.uk (Claudio Calvelli) writes:
>
>Oibo' ci mancava anche questa. Lucio Picci si e' ammalato ed e'
>diventato serio. Speriamo che non guarisca.
>

Don't you worry, e' solo un raffreddore.


Salut,

Lucio

Massimo Boninsegni

unread,
May 9, 1992, 5:24:15 PM5/9/92
to
In article <ugqhh...@network.ucsd.edu> lpi...@weber.ucsd.edu (Lucio Picci) writes:
>
>
>Per dimostrare al mondo che, malgrado le apparenze, non sono
>l'Alberto Sordi del giornalismo italiano, e per dare il mio primo
>contributo serio a s.c.i. da quando, or volge l'anno, per errore
>spinsi i tasti r-n, godetevi quanto segue.
>
> (...articolo riportato dal "Manifesto", quotidiano comunista...)

Scusami, ma a questo punto non capisco piu' quand'e' che stiate scherzando e
quand'e' che parliate sul serio. A me sembra un buon articolo, descrive San
Diego esattamente come me la immagino; per quel che mi riguarda, considero il
"manifesto" un buon giornale, dichiaratamente di parte ma ben scritto e,
generalmente, ricco di osservazioni intelligenti (allo stesso modo considero
una buona rivista l' "Economist", dichiaratamente di parte opposta, tanto
per non attirare flames dai conservatori).

L'argomento pero' mi interessa e mi piacerebbe conoscere la tua
opinione. Non sono mai stato in California, eccetto per una breve puntata
ad Anaheim che non considero particolarmente rappresentativa. Vivo in
Florida da cinque anni, ed anche se la gente mi dice
che la California e' molto diversa, ogni volta che ho viaggiato attraverso
gli Stati Uniti ho trovato (eccetto quando ho visitato grandi citta' come
Chicago) soprattutto differenze climatiche, a volte di accento, ma tutto
sommato una sostanziale uniformita'. Non voglio fare di tutte le erbe un
fascio, ma, parlando grossolanamente e con le dovute riserve eccetera eccetera
mi sembra di poter dire che vi sia molta meno differenza tra Indianapolis e
Orlando che fra Bologna e Koeln (non so se le distanze siano le stesse, non
fate i pignoli, se e' un esempio del pimpero cercatene uno migliore, sono
convinto che ci sia).

L'urbanizzazione, per esempio, e' quasi sempre la
stessa, quasi tutte le citta' che ho visto mi hanno dato proprio la sensazione
di "grandi periferie di un centro che non esiste"; "downtown" commerciale in
cui la vita si spegne alle 18:30, due o tre ristoranti "italiani" o
"messicani", dieci o dodici "cinesi", due o tre "houses of ribs" e i soliti
Wendy's, McDonald's and so on. Una netta distinzione tra "quartiere dei buoni"
e "quartiere dei cattivi" (divisione normalmente corrispondente a differenze
razziali): una serie di villette piu' o meno lussuose nel primo, ordinate,
pulite con il giardinetto di fronte e la BMW posteggiata nella rimessa,
baracche con i vetri rotti e i muri fatiscenti nel secondo, entrambi situati
tre-quattro miglia fuori dal downtown. Pochissimi posti dove andare se si vuol
uscire la sera (non sto parlando delle New York o delle Chicago, lo ripeto,
sto parlando delle Indianapolis, Cincinnati o simili), non un'anima che cammina
per le strade.

Ho riscontrato omogeneita' anche in altri aspetti della vita quotidiana, ma
mi fermo qui: ogni volta, pero', trovo qualcuno che mi dice :"Ah, ma la Cali_
fornia e' diversa...". E' vero ?
Thank you.

Massimo Boninsegni
Dept. of Physics
Florida State University

mol...@cc.utah.edu

unread,
May 9, 1992, 6:17:39 PM5/9/92
to
In article <ugqhh...@network.ucsd.edu>, lpi...@weber.ucsd.edu (Lucio Picci) writes:
>
>
> Per dimostrare al mondo che, malgrado le apparenze, non sono
> l'Alberto Sordi del giornalismo italiano, e per dare il mio primo
> contributo serio a s.c.i. da quando, or volge l'anno, per errore
> spinsi i tasti r-n, godetevi quanto segue.
>
> Mandate a letto i bambini e preparate le difese mentali: ecco
> a voi un esempio di Puro Giornalismo:
>
> (da "Il Manifesto" , Sabato 9 maggio 92. Versione originale; la
> versione pubblicata e' stata vittima della solita censura
> comunista)
>


Lucio e' bellissimo.


Maurizio


=-===-=-----=-=-=------=-=-=-------=--==-=--=-------=-=-=-=-=--==-=-=
Maurizio Oliva Middle East Center University of Utah
MOL...@CC.UTAH.EDU, TCP/IP 128.110.48.3, DECNET 24975,
H (801) 537-7016, O (801) 581-4058
-=-=-=------=-=-=-==--=---------=-=-==-=-=-=-=-=---------=-==-=--==-=


mol...@cc.utah.edu

unread,
May 9, 1992, 6:26:50 PM5/9/92
to
> In article <ugqhh...@network.ucsd.edu>, lpi...@weber.ucsd.edu (Lucio Picci) writes:
>>
>>
>> Per dimostrare al mondo che, malgrado le apparenze, non sono
>> l'Alberto Sordi del giornalismo italiano, e per dare il mio primo
>> contributo serio a s.c.i. da quando, or volge l'anno, per errore
>> spinsi i tasti r-n, godetevi quanto segue.
>>


che cosa sarebbe l'Alberto Sordi del giornalismo italiano?

Luciano Lavagno

unread,
May 9, 1992, 6:38:34 PM5/9/92
to
In article <BMARJAN.92...@pluto.csee.lehigh.edu>,

bma...@pluto.csee.lehigh.edu (Bijan Marjan-x4536) writes:
>In article <ugqhh...@network.ucsd.edu> lpi...@weber.ucsd.edu (Lucio Picci)
>writes:
[...]

>> della Coppa. E tra pochi giorni i miei amici Marco e Stefania
>verranno a
>> trovarmi dalla Virginia, dove vivono e studiano. Allora affitteremo un
>24
>> piedi a vela e andremo al largo di Point Loma a fare il tifo.
>Sventoleremo il
>> tricolore, ma cosi' per ridere.
> ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
>
> Certo, anche se questo e` vero per certa gente, mi pare che sia proprio
>questo
> atteggiamento di abbandono e frustrazione (e rimorso) verso l'Italia che non
> migliora le cose. L'Italia di problemi ne ha tanti; ma di certo non e`
> l'unico paese del mondo ad averne. Gli Stati Uniti, Germania, e altri
> G-7 non possono di certo negare i loro problemi. La differenza e` che loro
> cercano di risolvere le cose quando emergono. In Italia, purtroppo, molti
> assumono un'atteggiamento trasandato, senza pensare al paese e a i
> necessari miglioramenti.
Beh, mi pare che gli ultimi 2 presidenti americani abbiano dimostrato
un'abilita' nel nascondere i problemi sotto il tappeto da fare invidia ad
Andreotti, Craxi e tutti gli altri.
Vedi, per esempio, il fatto di far crescere il deficit a dismisura pur di non
aumentare le tasse e non ridurre la spesa. La somiglianza, tra parentesi, e'
notevole. In USA le tasse non vengono aumnetate ai ricchi per non farli
arrabbiare. In Italia le tasse non vengono fatte pagare ai ricchi per non farli
arrabbiare.
Ti do atto, comunque, che la situazione in Italia sia vergognosa. Non siamo i
soli, comunque :-).
Ciao !
Luciano
--
Luciano Lavagno Dept of EECS, Univ of California, Berkeley, CA 94720, USA
+1-510-642-5012 luc...@ic.Berkeley.EDU

Lucio Picci

unread,
May 9, 1992, 7:10:50 PM5/9/92
to
In article <87...@sun13.scri.fsu.edu> mas...@ds1.scri.fsu.edu (Massimo Boninsegni) writes:
>
>Scusami, ma a questo punto non capisco piu' quand'e' che stiate scherzando e
>quand'e' che parliate sul serio.

Don't worry, non sei l'unico.

>;per quel che mi riguarda, considero il
>"manifesto" un buon giornale,

un ottimo giornale.

> dichiaratamente di parte ma ben scritto

scritto be-nis-si-mo.

>L'argomento pero' mi interessa e mi piacerebbe conoscere la tua
>opinione. Non sono mai stato in California, eccetto per una breve puntata
>ad Anaheim

Se ad Anaheim sei stato a Disneyland allora del Sud della California
hai gia' visto tutto.


Hai ragione, ci sono piu' differenze tra bologna e koln che tra
qualsiasi due citta' statunitensi (almeno tra quelle che ho visto
io). Questo per certi versi e' scontato, considerando che qua, oltr
ad esserci una lingua in comune (bilinguismi a parte), c'e' maggiore
mobilita' geografica rispetto all'europa.
Per altri no, e si potrebbero dire varie cose riguardo
all'omegeneita' della cultura americana (e all'omogeneizzazione
della cultura europea).

Pero' differenze all'interno degli s.u. ce ne sono eccome. Ad
esempio a LA si respira un'aria completamente diversa rispetto a
San Fran.

Forse pero' a pensarci bene un osservatore americano vedrebbe meno
differenze tra koln e bo. di quante ne vediamo noi.
Cosi' come noi qui percepiamo gli aspetti "freeways-macdonalds-
downtown" , loro percepiscono gli aspetti "piazza-cafe-gente che fa
la passeggiata" E in questo Bologna non e' molto dissimile da Koeln.

Gli argomenti che sollevi sono persino troppo interessanti e seri per s.c.i.,
e secondo me non ce li meritiamo. Spero che qualche acuto intelletto
voglia smentirmi in questo.


Ciao,
Lucio

Lucio Picci

unread,
May 9, 1992, 7:13:18 PM5/9/92
to
In article <1992May9...@cc.utah.edu> mol...@cc.utah.edu writes:
>
> Lucio e' bellissimo.
>


Beh adesso non esageriamo. Bellissimo e' un po troppo, al massimo
diciamo che posso piacere.


Lucio

mol...@cc.utah.edu

unread,
May 9, 1992, 7:40:25 PM5/9/92
to

questo non lo so, mandami una foto che la mostro a qualche amica.


>
> Lucio

Maurizio
--

Bruno Di Stefano

unread,
May 10, 1992, 8:22:42 PM5/10/92
to
Ottimo. Congratulazioni. Continua a scrivere.


Bruno Di Stefano

ste...@ecf.toronto.edu (course related matters)
br...@bullet.ecf.toronto.edu (professional matters)

Bruno Di Stefano

unread,
May 10, 1992, 9:42:44 PM5/10/92
to
In article <87...@sun13.scri.fsu.edu> mas...@ds1.scri.fsu.edu (Massimo Boninsegni) writes:
> ............... .............. .......... .....

>L'urbanizzazione, per esempio, e' quasi sempre la
>stessa, quasi tutte le citta' che ho visto mi hanno dato proprio la sensazione
>di "grandi periferie di un centro che non esiste"; "downtown" commerciale in
>cui la vita si spegne alle 18:30, due o tre ristoranti "italiani" o
>"messicani", dieci o dodici "cinesi", due o tre "houses of ribs" e i soliti
>Wendy's, McDonald's and so on. Una netta distinzione tra "quartiere dei buoni"
>e "quartiere dei cattivi" (divisione normalmente corrispondente a differenze
>razziali): una serie di villette piu' o meno lussuose nel primo, ordinate,
>pulite con il giardinetto di fronte e la BMW posteggiata nella rimessa,
>baracche con i vetri rotti e i muri fatiscenti nel secondo, entrambi situati
>tre-quattro miglia fuori dal downtown. Pochissimi posti dove andare se si vuol
>uscire la sera (non sto parlando delle New York o delle Chicago, lo ripeto,
>sto parlando delle Indianapolis, Cincinnati o simili), non un'anima che cammina
>per le strade.
>
Tutto vero. E` collegato alla struttura produttiva e sociale della societa`
americana. Non e` stato sempre cosi` e non e` detto che sara` sempre cosi`.

Lo sviluppo della "distributed suburbia" (grandi periferie di un centro
che non esiste) e` iniziato alla fine della seconda guerra mondiale, con
il diffondersi dell'automobile e con l'abbassamento del costo reale
(cioe` rapportato al potere d'acquisto dei salari) della benzina.

Tutti i grandi datori di lavoro (i.e: GM. Ford, IBM, RCA, GE, BELL,
Dupont) erano situati nel centro delle grandi citta` ed il grosso
dei dipendenti andava a lavorare con il bus. Alla fine della WWII
e` giunto il momento di rinnovare impianti industriali ed uffici.
Lentamente le ditte hanno cominciato a spostarsi sempre piu` in
periferia o in localita` minori. La gente andava al lavoro dalla
citta` verso la periferia. Poi, piano piano si sono stufati del
lungo commuting time e si sono trasferiti vicino al posto di lavoro.

All'inizio degli anni 60 si e` verificato anche l'esodo di quelli che
ancora lavoravano nelle grandi citta`, attirati dalle case a basso
costo. L'elemento catalizzatore e` stato il modello culturale della
casa da 4000 square feet (o piu`), 4 o 5 camere da letto, e (ovviamente),
garage triplo, il basement da 1500-2000 square feet, etc. Dove il clima
l'ha permesso pure la piscina.

Sono rimaste delle eccezioni (N.Y. City, Boston, Chicago, Detroit entro
certi limiti). Non ho esperienza diretta di west coast. Ho visto pero`
le varie Cleveland e St Louis. Uno spettacolo apocalittico.

Quello che ho notato negli anni (ormai 15) e` che la diversa struttura
urbanistica delle varie citta` americane e` collegata alla diversa
struttura sociale. In realta` il problema (o la spiegazione) sta
nella struttura di classe della socita` americana.

Gli americani tendono sempre a dire che la loro e` una class-less
society (contrariamente all'Europa, aggiungono con o senza un sorriso).
Il grosso degli americani pensa di essere "middle class". E` rarissimo
trovare un americano che si definisca un povero disgraziato o un ricco.
In realta` questa e` un impressione molto fallace: la societa`
americana e` molto piu` classista delle varie societa` europee.
Cio` che e` diverso e` il meccanismo di cambiamento di classe, basato
prevalentemente sull'acquisizione o sulla perdita di denaro.
In Europa il vero cambiamento di classe tende a richiedere piu` di
una generazione (piu` di un sociologo asserisce che occorrono 3
generazioni perche` la transizione sia effettiva e l'individuo sia
assimilato nella nuova classe). In America il cambiamento di classe
tende ad avvenire in una generazione.

Nei downtown americani ci sono o i molto poveri o i molto ricchi,
cioe` le due classi che non esistono :-) Ovviamente si tratta di due
aree ben distinte del downtown.

C'e` poi un'altra classe, numericamente minoritaria: la borghesia
intellettuale. Mi riferisco a quella borghesia che fa l'abbonamento
annuale al Metropolitan, al Guggenheim, che si informa su cio`
che accade altrove (i.e: in Europa), che sa leggere giornali in
una qualche lingua straniera, e... inevitabilmente si trasferisce
a N.Y., Boston, ed in posti simili. Questa gente tende ad essere
piu` outgoing ed a socializzare di piu`, ad uscire di tanto in tanto
dopo cena.

Ho comunque notato che ci sono esemplari di questa borghesia intellettuale
anche nel deserto. Tendono a starci in apnea, in attesa di potersi
trasferire a San Francisco o a New York. Durante una visita a St Louis,
circa 12 anni fa, scoprii che c'era una piccolissima area centrale
dove la sera la gente usciva per andare al ristorante, guardando
libri in un solitario negozio di libri, andando a cinema (a vedere
film in francese ed in italiano!), etc. Facendo quattro chiacchiere
con la proprietaria (francese) di un ristorante francese, seppi che
nella zona c'erano dei bei condomini, low rise, a $200,000 l'uno
(questo ai tempi in cui la tipica villetta americana costava $40,000).
Era il ghetto di coloro che erano a St Louis per lavoro, erano persone
che avevano successo economico, ma erano i piccoli borghesi intellettuali
di cui sopra.

Ci sono poi gli immigrati di prima generazione, quelli mirabilmente
descritti da Lucio Picci, che dopo un po` d'anni o tornano in Europa
o trovano il modo di trasferirsi in una delle isole urbane che gli
americani "veri" non considerano citta` americane (i.e: N.Y, etc.).

Le cose sono un po` meglio qui in Canada, dove 1 Canadese su 4 abita
in una delle tre maggiori aree urbane (Toronto, Montreal, e Vancouver),
dove si puo` entrare in ristorante alle 10:00 p.m., dove si puo`
comprare un giornale italiano (tedesco, francese, spagnolo, etc) alle
11:00 p.m. (e a volte pure a mezzanotte) e dove, di tanto in tanto
arriva perfino il Manifesto :-) (l'ho visto una media di una o due
volte all'anno). Ovviamente parlo del centro. Ma questo sarebbe vero
pure a Roma, dove il bar sotto casa dei miei genitori chiude alle
9:00 p.m.

Pierluigi Miraglia

unread,
May 10, 1992, 11:43:05 PM5/10/92
to
In article <BMARJAN.92...@pluto.csee.lehigh.edu> bma...@pluto.csee.lehi
gh.edu (Bijan Marjan-x4536) writes:
[many cuts]

> migliora le cose. L'Italia di problemi ne ha tanti; ma di certo non e`
> l'unico paese del mondo ad averne. Gli Stati Uniti, Germania, e altri
> G-7 non possono di certo negare i loro problemi. La differenza e` che loro
> cercano di risolvere le cose quando emergono. In Italia, purtroppo, molti
> assumono un'atteggiamento trasandato, senza pensare al paese e a i
> necessari miglioramenti.

Mi fa sempre piacere tirare una pugnalata alla patria avita, ma stavolta
devo difenderla. E' vero che l'abitudine alla scrollata di spalle e al
ma che ci vuoi fare?" o "ma chi te lo fa fare?" e' una storica e
vergognosa passione italica, ma devo dire che si tratta di un'abitudine
che si "porta" moltissimo anche all'estero.
Case in point: le attuali convulsioni presidenziali negli USA, dove una
popolazione male educata e peggio informata si trastulla con quesiti
sulle donne di Clinton o il wimp factor di Bush. Nel frattempo, i
grossi problemi che affliggono il paese sono discussi solo per
sbaglio.
Infatti, vorrei citare Paul Samuelson (economia, MIT) che in una
intervista su PBS si e' detto preoccupato che la politica economica
USA stia assumendo un carattere "italiano" (sic): deficit incontrollabili,
investimenti in discesa, generale deterioramento dei servizi e delle
infrastrutture, disgusto per la politica, conseguente irresponsabilita'
dei governanti etc.
Bon appetit.
PL.
--
Pierluigi Miraglia Mirag...@osu.edu
Dept. of Philosophy, The Ohio State University
Logic before Frege: "Metalanguage? It's like when you talk about
football in French" (Intro. to Symbolic Logic anonymous)

Gian_Uberto Lauri 228495

unread,
May 11, 1992, 6:37:53 AM5/11/92
to
Approfitto della discussione aperta dall'ottimo posting di Lucio per
chiedere a qualcuno di descrivermi Chicago. Per ora ho capito solo che
non sembra la periferia di un centro inesistente...

Grazie e mille.

o oooooo Gian Uberto Lauri
o o sa...@alessia.dei.unipd.it
o o

Carlo Graziani

unread,
May 11, 1992, 2:07:57 PM5/11/92
to

La questione della presenza (o dell' assenza) di un nucleo cittadino nelle
citta` Americane puo` essere risolta in gran parte da una semplice
costatazione: quelle citta` che si erano gia` stabilite tali e sviluppate
prima dell' eta` dell' automobile (es. NY, Boston, Philadelphia, Chicago,
SF...) hanno strutture urbane piu` "classiche", e tra l'altro un centro
citta` chiaro ed identificabile. Le citta` nate piu` recentemente, invece,
sono piu` decentralizzate, dipendendo da reti autostradali urbane che
permettono una estensione maggiore. Si tratta di una struttura urbana
che da per scontato il fatto che tutti i cittadini sono proprietari di
una automobile (e di conseguenza i trasporti pubblici sono abbastanza
scadenti). Los Angeles, che prima degli eventi narrati nel film "Chinatown"
era un paesotto di poca importanza, e` l'esempio piu` noto di questo
tipo di citta`, ma ve ne sono altre persino piu` "aliene" agli occhi
di un Europeo. Huntsville (Alabama), per esempio, dove si trova
il Marshall Space Flight Center della NASA, si potrebbe descrivere
come una specie di rendez-vous autostradale, dove le autostrade sono di
gran lunga piu` numerose delle strade cittadine, e dove si fatica a trovare
un marciapiede.

Chicago, trattandosi di un importante raccordo ferroviario (una specie di
Bologna, insomma) gia` all epoca della grande espansione verso Ovest, prese
forma la forma piu` classica. Il centro citta` (detto "the Loop"), si
affaccia sul lago di Michigan, ed e` costellato di grattacieli (a mio avviso
piu` graziosi di quelli di New York). Vi si trovano anche molti musei,
teatri, ristoranti, e negozi di tono.

Nelle zone circostanti al Loop vi sono parecchi quartieri "etnici" (Italiani,
Polacchi, Lituani, Indiani (dell' India) e cosi via). A sud e verso ovest
si trovano le zone povere e prevalentemente di popolazione negra (o nera?
qual'e` il termine "corretto"?), mentre i sciuri abitano per la maggior
parte nella zona settentrionale (questa storia non mi e` nuova... :-| ).

La citta` dispone di una orchestra sinfonica quotatissima, ma musicalmente
Chicago e` nota per il Jazz e famosa per il Blues. E` facile trovare
esponenti "luminari" di entrambe generi musicali nei bar specializzati,
ed ogni estate si fanno Festival di Jazz e di Blues nel Grant Park (in centro).

Chicago e` divisa politicamente lungo falde sia economiche che razziali,
e soffre di molti dei problemi tipici delle grandi citta` USA (poverta`,
droga, crimine...). Mi ha sorpreso il fatto che non ci siano stati
episodi di violenza di rappresaglia (contro il verdetto King) qui come
invece ci sono stati in moltre altre citta`. Non me lo so spigare ---
avrei immaginato che questo tipo di manifestazione avrebbe trovato
terreno piu` fertile qui che non a Madison, per esempio.

Vabbe`, basta cosi. Non si trattera` di un dotto trattato degno di
pubblicazione sul "Manifesto" (Complimenti, Lucio), ma forse dara`
l'idea.

Ciao,
Carlo

-----------------------------------------------------------------------------
Carlo Graziani | Warning: some of the above may not be a fully |
Dept. of Physics | correct representation of profound cosmic truth.|
University of Chicago | |
ca...@nu.uchicago.edu | I plan to write in Elmer Fudd. |
-----------------------------------------------------------------------------

Ugo Piomelli

unread,
May 11, 1992, 5:27:37 PM5/11/92
to

In article <87...@sun13.scri.fsu.edu>, mas...@ds1.scri.fsu.edu (Massimo Boninsegni) writes:

>
>L'argomento pero' mi interessa e mi piacerebbe conoscere la tua
>opinione. Non sono mai stato in California, eccetto per una breve puntata
>ad Anaheim che non considero particolarmente rappresentativa. Vivo in
>Florida da cinque anni, ed anche se la gente mi dice
>che la California e' molto diversa, ogni volta che ho viaggiato attraverso
>gli Stati Uniti ho trovato (eccetto quando ho visitato grandi citta' come
>Chicago) soprattutto differenze climatiche, a volte di accento, ma tutto
>sommato una sostanziale uniformita'. Non voglio fare di tutte le erbe un

>


>L'urbanizzazione, per esempio, e' quasi sempre la
>stessa, quasi tutte le citta' che ho visto mi hanno dato proprio la sensazione
>di "grandi periferie di un centro che non esiste"; "downtown" commerciale in
>cui la vita si spegne alle 18:30, due o tre ristoranti "italiani" o
>"messicani", dieci o dodici "cinesi", due o tre "houses of ribs" e i soliti
>Wendy's, McDonald's and so on. Una netta distinzione tra "quartiere dei buoni"
>e "quartiere dei cattivi" (divisione normalmente corrispondente a differenze
>razziali): una serie di villette piu' o meno lussuose nel primo, ordinate,
>pulite con il giardinetto di fronte e la BMW posteggiata nella rimessa,
>baracche con i vetri rotti e i muri fatiscenti nel secondo, entrambi situati
>tre-quattro miglia fuori dal downtown. Pochissimi posti dove andare se si vuol
>uscire la sera (non sto parlando delle New York o delle Chicago, lo ripeto,
>sto parlando delle Indianapolis, Cincinnati o simili), non un'anima che cammina
>per le strade.
>
>Ho riscontrato omogeneita' anche in altri aspetti della vita quotidiana, ma
>mi fermo qui: ogni volta, pero', trovo qualcuno che mi dice :"Ah, ma la Cali_
>fornia e' diversa...". E' vero ?
>Thank you.
>
>Massimo Boninsegni
>Dept. of Physics
>Florida State University
>

Nel corso delle mie peregrinazioni studentesche e lavorative ho passato:
1. 2 anni a South Bend, Indiana
2. 4 anni a Palo Alto, California
3. 5 anni a Washington, DC,
e la mia impressione degli USA concorda essenzialmente con la tua.


Per me, gli USA, con l'eccezione di un paio di posti (New York,
San Francisco, Boston) sono tutti uguali. Poco distingue Chicago,
Indianapolis o South Bend Indiana. La propensione americana per la
suburbanizzazione poi si nota anche nelle citta' con una parvenza di
centro urbano (Washington, SF, Boston) la maggioranza degli abitanti
ha l'aspirazione di muoversi verso i sobborghi (Bethesda, Marin, il New Jersey),
per potere aver il giardinetto, il posto dove parcheggiare la
macchina, il supermercato con parcheggio etc.

Quanto alla California, di Californie ce ne sono molte. Non sono
stato mai a San Diego, che dalla descrizione di Lucio e' quello che mi
aspetterei, ma Los Angeles, per esempio, e' essenzialmente diversa da
San Francisco. SF e' una citta' molto a misura d'uomo, con un centro
urbano e in cui ci si puo' muovere a piedi, o si puo' fare una
passeggiata dopo cena (vabbe', ci sono le montagne ma l'alpinismo fa
bene alla digestione; poi anche Napoli e' in collina). Los Angeles
sono solo autostrade (Detto con la mente sgombra di pregiudizi che
caratterizza il Northern Californian :-) ). E poi c'e' la Central
Valley agricola, la North Coast anche agricola (ma i raccolti sono
spesso illegali), le montagne ...

Nell'est ci sono un paio di posti in cui si puo' vivere, ma appena si
esce dal centro si torna nella Middle America. Non c'e' molta
differenza tra sobborghi ricchi come Menlo Park (CA) e Bethesda (MD),
o fra sobborghi poveri come Langley Park (MD) e East Palo Alto (CA).

La ragione per quest'urbanizzazione uniforme si deve cercare, credo, nella
politica delle grandi compagnie automobilistiche che, negli anni '40 e
'50, comprarono tutte le linee di trasporto urbano, le chiusero e
divelsero le rotaie del tram, per costringere gli americani ad usare
( ==> comprare ) l'auto.

Comunque, vacci a San Francisco, che e' diversa.

Statti bene

Ugo


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