E' chiaro che si vanno sempre a misurare gli effetti prodotti, in
genere, ed in questo caso potrei supporre di misurare l'effetto che si
produce all'interazione del fotone con opportuni strumenti, che pero'
si badi bene, non perturbino il fenomeno cosi' come dovrebbe accadere
nudo e crudo.
SORGENTE_CARICA-e-m_A--->emissione--->Fotone_in_volo_nello_spazio--->assorbimento--->DESTINAZIONE_CARICA-e-m_B
Potrebbe andar bene come descrizione secondo voi?
SE <SI>, allora mi aspetto che "la grandezza" VELOCITA' sia associabile
alla luce anche durante un intervallo di tempo compreso tra l'emissione
e l'assorbimento. Ma e' corretta questa idea?
Posso associare il concetto di velocita' a qualche cosa che non posso
definire?
O meglio, posso definire (in questo caso il fotone), ma posso definirlo
non nel "tempo di volo".
Il fotone mi e' concesso definirlo soltanto negli istanti
emissione/assorb., altrimenti mi aspetto di poter solamente
ipotizzare.....
Ti dico la mia opinione.
La velocita' della luce *non* si misura.
Il metodo che proponi sopra potrebbe andare se avessimo, sia in A (punto in
cui il fotone viene emesso) che in B (punto in cui viene rivelato), degli
orologi sincronizzati. Gli orologi possiamo anche metterceli, ma poiche' la
sincronizzazione degli stessi si fa proprio usando la luce (o in maniera
equivalente) ne segue che la "misura" suddetta dara' il risultato che
*abbiamo deciso di ottenere* nel momento in cui abbiamo effettuato la
sincronizzazione. Ma questa e' ovvio che non e' una misura, e' una
definizione: sincronizziamo gli orologi in moto tale da ottenere la
velocita' della luce da A verso B uguale alla velocita' da B verso A.
Poniamo per definizione vA->B=vB->A (potremmo anche scegliere, senza alcun
problema sostanziale, definizioni diverse).
Diversa e' la questione per quanto riguarda la velocita' di andata e
ritorno. Li' c'e' qualcosa da misurare.
Posti due segmenti AB e AC di uguale lunghezza, la misura di vA->B->A (in
sostanza la misura del tempo che occorre affinche' la luce percorra l'andata
da A verso B e il ritorno da B verso A) non e' detto che sia uguale a
vA->C->A. Il "non e' detto" sta a significare che l'esito della misura non
e' stato da noi prederminato come nel caso della "misura" di sola andata.
Due fotoni partono contemporaneamente da A; uno va verso B, l'altro verso C.
Rimbalzano e poi tornano in A. Potrebbero non tornare in contemporanea. Se
prendessimo onde sonore invece che onde luminose, non tornerebbero in
contemporanea (a meno che non siamo in quiete rispetto al mezzo di
propagazione delle onde sonore). L'esperimento di Michelson-Morley,
opportunamente interpretato, mostra che le onde luminose tornano in
contemporanea. Questo fatto permette l'utilizzo delle onde luminose nella
costruzione di orologi: due orologi a luce sincroni rimangono sincroni anche
se variamo la loro orientazione reciproca. Stesso discorso non possiamo
farlo per gli "orologi a suono": due "orologi a suono" sincroni *non*
rimangono sincroni se variamo la loro orientazione reciproca. Proprio per
questo l'orologio a luce e' un orologio, l' "orologio a suono" non lo e'
(funziona bene solo nei riferimenti inerziali in quiete rispetto al mezzo di
propagazione delle onde sonore, negli altri riferimenti inerziali il suo
funzionamento dipende dalla sua orientazione).
Ciao.
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
(cut)
> La velocita' della luce *non* si misura............ e' ovvio che non e' una misura, e' una
> definizione: sincronizziamo gli orologi in moto tale da ottenere la
> velocita' della luce da A verso B uguale alla velocita' da B verso A.......
(cut)
Questo e' sacrosanto!
Anzi, a quello che hai scritto gli darei un nome, cosicche' tutte le
volte, invece di ripetere il discorso, dico il nome e zac.... risparmio
tempo....:))
Il : BC_tempo_luce_Ridondante ?
Nel senso che ogni volta si dovrebbe partire da queso che tu scrivi!
Di qui, in poi mi sembra che si vada ad esplorare un po' l'ignoto....
come dice cometa_luminosa: il fotone sta solo nel rivelatore... e se
fosse cosi'?
Cioe': se io penso di misurare la velocita' della luce (la velocita'
con cui il "segnale" attua la reciproca influenza tra gli oggetti) a
cosa mi debbo attenere?
Se l'informazione (nel suo spostarsi) facciamo si' che rispecchi quei
vincoli di cui hai parlato, possiamo dire che lo spazio-tempo e'
semplicemente un'idea?
Mi chiedo... che differenza c'e' tra il mondo (quello vero, quello in
cui si va a fare la spesa, si mangia a tavola, ecc. ecc.) reale e
quello "virtuale" del web?
Ragioniamoci su... io ho scoperto delle cose interessanti.. :))
In buona sostanza tutto sta nella luce! (o meglio in colui che ci rende
partecipi, nel predicato della nostra percezione del mondo).
Il mondo lo si percepisce.... attenzione! Noi non siamo il mondo, noi
lo <<vediamo>>.
E il cyber-spazio? Qui dietro c'e' tutto quello che serve per capire
anche la relazione E=mc2..... :))
E tutto quadra , proprio perche' il fotone ha sempre vel. c.... esso
non esiste! O meglio, non lo si puo' far esistere "per noi"... per noi
esso puo' solo apparire e/o scomparire , ed in quel preciso istante!
Ma xche' un fotone impiega tot per fare A_B, e un tot diverso per fare
A_C? E' davvero lo spazio quello che fa ritardare la ricezione del
fotone? O no? Lo spaziotempo e' la piu' grande invenzione della mente
umana.... ma il mondo e' spazio-temporale solo per noi, per un fotone
no!
> Quali possono i mezzi da usarsi per misurarla?
In rete puoi trovare molte descrizioni di esperimenti per la misura
della velocita' c.
Dai classici di Roemer e Fizeau a quelli attualmente svolti in
laboratorio.
Due link di esempio
http://ulisse.sissa.it/Answer.jsp?questionCod=101319016
http://www.mfn.unipmn.it/Corsi-di-L/Fisica1/Orientamento/clight/clight.html
Ciao
R.
Non sono affatto sicuro di aver ben compreso i vari passaggi del tuo post.
Provo a commentare quelli che credo di aver colto meglio.
> Questo e' sacrosanto!
> Anzi, a quello che hai scritto gli darei un nome, cosicche' tutte le
> volte, invece di ripetere il discorso, dico il nome e zac.... risparmio
> tempo....:))
> Il : BC_tempo_luce_Ridondante ?
Ecco, qua non capisco, il "BC_tempo_luce_Ridondante" sarebbe il nome che
proporresti per riassumere il mio precedente post ?
> Nel senso che ogni volta si dovrebbe partire da queso che tu scrivi!
> Di qui, in poi mi sembra che si vada ad esplorare un po' l'ignoto....
> come dice cometa_luminosa: il fotone sta solo nel rivelatore... e se
> fosse cosi'?
Non ho seguito bene i recenti threads in cui comparivano i post di
cometa_luminosa, avevo letto quello in cui diceva qualcosa del genere "il
fotorivelatore puo' fare click o non farlo. A questo livello il fotone e'
solo un click del rivelatore". Volevo rispondere, poi non l'ho fatto anche
perche' non avevo seguito il thread. Ad ogni modo, se ho ben capito cosa
voleva dire cometa_luminosa (o se ben capisco cosa vuoi dire tu sopra
citando lei), a me verrebbe da rispondere che in fisica e' sempre cosi'.
Anche per il tavolo potremmo dire che "sta solo nel metro" che lo sta
misurando. Certo, potremmo obiettare che del tavolo osserviamo molte altre
proprieta', mica solo la sua lunghezza (proprieta' che ci viene mostrata dal
metro). Osserviamo il suo colore, con gli occhi, la sua durezza, sbattendoci
la testa sopra ... L'osservare tante proprieta' associate ad uno "stesso"
"oggetto", ci fa pensare all'oggetto (il tavolo nel nostro esempio) come a
qualcosa di realmente esistente, cioe' esistente indipendentemente dal fatto
che ci sia un metro, o un occhio, o una testa, a misurarne le proprieta'.
Il fotone avra' anch'esso altre proprieta'. Ma se anche avesse, per il
momento, solo la proprieta' di far fare click ai rivelatori (cioe' se non
avessimo ancora individuato alcuna altra proprieta' dei fotoni), avrebbe
comunque, a mio modo di vedere, "diritto di cittadinanza". Certo, anche al
"calorico" si potevano associare delle proprieta', poi il calorico e' stato
sostituito da altri concetti che meglio di esso descrivono gli eventi.
Potrebbe avvenire la stessa cosa anche ai fotoni, ma anche ai tavoli.
Insomma, io non vedo un margine netto. Quando decidiamo che un certo
concetto descrive qualcosa di "reale", cioe' non e' solo "l'effetto di una
misura"?
Gli atomi hanno subito una sorte analoga, alcuni li vedevano solo come
"strumenti matematici" utili per descrivere alcuni eventi. Oggi nessuno si
sognerebbe di mettere in dubbio la loro "reale" esistenza.
> Cioe': se io penso di misurare la velocita' della luce (la velocita'
> con cui il "segnale" attua la reciproca influenza tra gli oggetti) a
> cosa mi debbo attenere?
Beh, qui la mia opinione l'ho espressa nel precedente post.
Non devo attenermi a nulla. Quella velocita' e' un concetto privo di senso
fisico, siamo noi a fissarla a nostro piacimento.
> Se l'informazione (nel suo spostarsi) facciamo si' che rispecchi quei
> vincoli di cui hai parlato, possiamo dire che lo spazio-tempo e'
> semplicemente un'idea?
Qui non capisco.
L'informazione si sposta, e noi utilizziamo proprio lo spostamento di quella
informazione per sincronizzare gli orologi. Lo spazio-tempo, per come lo
intendo io, e' semplicemente un insieme di punti dove sono piantate delle
bandierine con sopra degli orologi. Sulle bandierine sono scritti tre numeri
ordinati (numero x, numero y, numero z) e gli orologi sono tutti
sincronizzati.
Il fatto che si possa sincronizzare a nostro piacimento a me non farebbe
concludere che lo spazio-tempo e' "semplicemente un'idea". E' un insieme di
bandierine dove abbiamo deciso di scrivere dei numeri seguendo una ben
precisa procedura (anche nello scrivere i tre numeri sulle bandierine siamo
liberi di scegliere la procedura. Facciamo fare un passo al corpo rigido e
sulla bandierina ci scriviamo 1, poi un altro passo e scriviamo 2 ... ma
potremmo anche scegliere di metterci 1, poi 4, poi 9 ...) e ci abbiamo messo
sopra degli orologi che abbiamo sincronizzato seguendo una ben precisa
procedura.
> Mi chiedo... che differenza c'e' tra il mondo (quello vero, quello in
> cui si va a fare la spesa, si mangia a tavola, ecc. ecc.) reale e
> quello "virtuale" del web?
> Ragioniamoci su... io ho scoperto delle cose interessanti.. :))
Qui veramente non riesco a capire cosa vuoi dire.
La prima differenza che mi verrebbe in mente e' che so come fare per
sbattere la testa contro il tavolo reale dove poggia il mio pc, e so che se
lo faccio mi si forma un bernoccolo. Per sbattere la testa contro un tavolo
virtuale non so proprio cosa dovrei fare.
Ma questa differenza la conosci ovviamente benissimo anche tu.
Di conseguenza posso solo dire che non capisco il seguito del tuo post.
> Ti dico la mia opinione.
> La velocita' della luce *non* si misura.
> Il metodo che proponi sopra potrebbe andare se avessimo, sia in A (punto in
> cui il fotone viene emesso) che in B (punto in cui viene rivelato), degli
> orologi sincronizzati. Gli orologi possiamo anche metterceli, ma poiche' la
> sincronizzazione degli stessi si fa proprio usando la luce (o in maniera
> equivalente) ne segue che la "misura" suddetta dara' il risultato che
> *abbiamo deciso di ottenere* nel momento in cui abbiamo effettuato la
> sincronizzazione.
Ma non ne vedo la necessità: possiamo partire da due orologi molto
vicini, già sincronizzati, e far compiere alla luce un lungo cammino,
dal primo al secondo, per mezzo di specchi opportunamente posizionati.
Se invece vogliamo due orologi separati spazialmente, non è necessario
sincronizzarli con un segnale EM: possiamo partire da due orologi
vicini, perfettamente identici anche fisicamente, già sincronizzati e
poi allontanarli in direzioni opposte e con la stessa velocità
(rispetto al sist. di riferimento dal quale sono partiti); potrei, ad
es. posizionarli in un punto dello spazio interplanetario, separarli
con una molla compressa e poi tagliare il filo della molla...
>Non ho seguito bene i recenti threads in cui comparivano i post di
>cometa_luminosa, avevo letto quello in cui diceva qualcosa del genere "il
>fotorivelatore puo' fare click o non farlo. A questo livello il fotone e'
>solo un click del rivelatore". Volevo rispondere, poi non l'ho fatto anche
>perche' non avevo seguito il thread. Ad ogni modo, se ho ben capito cosa
>voleva dire cometa_luminosa (o se ben capisco cosa vuoi dire tu sopra
>citando lei), a me verrebbe da rispondere che in fisica e' sempre cosi'.
>Anche per il tavolo potremmo dire che "sta solo nel metro" che lo sta
>misurando. Certo, potremmo obiettare che del tavolo osserviamo molte altre
>proprieta', mica solo la sua lunghezza (proprieta' che ci viene mostrata dal
>metro). Osserviamo il suo colore, con gli occhi, la sua durezza, sbattendoci
>la testa sopra ... L'osservare tante proprieta' associate ad uno "stesso"
>"oggetto", ci fa pensare all'oggetto (il tavolo nel nostro esempio) come a
>qualcosa di realmente esistente, cioe' esistente indipendentemente dal fatto
>che ci sia un metro, o un occhio, o una testa, a misurarne le proprieta'.
>Il fotone avra' anch'esso altre proprieta'. Ma se anche avesse, per il
>momento, solo la proprieta' di far fare click ai rivelatori (cioe' se non
>avessimo ancora individuato alcuna altra proprieta' dei fotoni), avrebbe
>comunque, a mio modo di vedere, "diritto di cittadinanza".
Come ho esposto nell'altro thread "Dualità onda-particella", dal mio
punto di vista, una particella, per essere tale, dovrebbe perlomeno
continuare ad esistere anche dopo essere stata rivelata in un
determinato punto dello spazio, così come una pallina da tennis che
posso fotografare in vari punti dello spazio.
Altrimenti, potrei dire che, per esempio, esiste soltanto l'onda EM che
interagisce con il fotomoltiplicatore in un determinato modo.
In questo modo potresti anche usare un solo orologio che misura l'intervallo
di tempo dT fra l'istante in cui il fascio di luce parte e l'istante in cui
arriva dopo aver percorso un tragitto chiuso lungo L. Poi si pone c=L/dT.
Poi e' al test sperimentale che va chiesto se e' vero che al variare della
lunghezza L si ottiene sempre la stessa c, cioe' che dT e' proporzionale a L
(e se cosi' non fosse ci sarebbero problemi per la relativita'). Ad ogni
modo questa *non e'* quella che usualmente si chiama "velocita'". Quando
parliamo di velocita' abbiamo gia' due orologi sincronizzati, uno qua e
l'altro la', registriamo gli istanti di arrivo qua e arrivo la', e facciamo
il rapporto distanza fratto intervallo di tempo.
Con un orologio solo possiamo fare quello che dici sopra, che, sotto ipotesi
abbastanza ragionevoli, si puo' mostrare essere uguale alla velocita' di
andata e ritorno e comunque, anche la velocita' di andata e ritorno (o la
velocita' su percorso chiuso ricordata da te sopra) si puo' dire che si
misura o meno a seconda dei gusti (io preferisco dire che non si misura).
Tutto dipende da come decidiamo di definire l'unita' temporale. Se decidiamo
di definire l'unita' temporale come l'intervallo di tempo che la luce
impiega per percorrere, in andata e ritorno, un tragitto di lunghezzza
unitaria, allora la velocita' della luce di andata e ritorno e' unitaria per
definizione.
> Se invece vogliamo due orologi separati spazialmente, non è necessario
> sincronizzarli con un segnale EM: possiamo partire da due orologi
> vicini, perfettamente identici anche fisicamente, già sincronizzati e
> poi allontanarli in direzioni opposte e con la stessa velocità
> (rispetto al sist. di riferimento dal quale sono partiti); potrei, ad
> es. posizionarli in un punto dello spazio interplanetario, separarli
> con una molla compressa e poi tagliare il filo della molla...
Cioe' gli orologi si possono anche sincronizzare per trasporto (era a questo
che pensavo quando nel precedente post dicevo che la sincronizzazione si fa
usando fasci luminosi o "in maniera equivalente"). Questa e' stata, a mio
avviso, la principale critica alla tesi della convenzionalita' della
simultaneita' (che io sappia il primo a sostenerla e' stato Bridgman). Tale
critica, sempre secondo il mio punto di vista, non regge in quanto si puo'
mostrare la perfetta equivalenza fra il metodo di sincronizzazione per
trasporto e quello tramite fasci luminosi.
> Come ho esposto nell'altro thread "Dualità onda-particella", dal mio
> punto di vista, una particella, per essere tale, dovrebbe perlomeno
> continuare ad esistere anche dopo essere stata rivelata in un
> determinato punto dello spazio, così come una pallina da tennis che
> posso fotografare in vari punti dello spazio.
> Altrimenti, potrei dire che, per esempio, esiste soltanto l'onda EM che
> interagisce con il fotomoltiplicatore in un determinato modo.
Continuo a non capire dove metti la barriera. Personalmente mi sentirei di
dire che la Terra e' reale, e, volendo seguire alla lettera la tua
definizione, direi certamente che e' vero che continua ad esistere anche
dopo aver interagito con una "cometa luminosa" di passaggio :-). Pero'
potrebbe arrivare un giorno in cui sara' poco sensato dire che la Terra
"continua ad esistere". Al che si potrebbe riprendere la tua definizione e
dire che la Terra e' esistita "finche' continuava ad esistere anche dopo
aver interagito con le comete", ma il povero fotoncino a questo punto
direbbe: "Bene, ma allora perche' non si dovrebbe dire che anche io sono
stato "reale" fino a che non sono "scomparso" in un rivelatore"?
Sul fatto che il fotone non si possa fotografare mentre viaggia direi che
dipende da come vedi le cose. Un fotone di energia abbastanza intesa lo puoi
"fotografare": sposta gli elettroni che gli si parano davanti e dallo
spostamento degli elettroni tiriamo fuori la "fotografia". E poi io ritengo
comunque valido il discorso che, se anche non si potesse "fotografare" in
alcun modo, comunque il fotone mostrerebbe la sua presenza grazie ai click
dei rivelatori. Come i tavoli che mostrano tante loro proprieta', il fotone
intanto mostra quella sua proprieta'. Finche' funziona lo consideriamo reale
(come i tavoli e come veniva probabilmente considerato il calorico), se un
giorno dovesse non funzionare piu' smetteremo di consideralo reale (come il
calorico e come, in via di principio, potrebbe accadere anche ai tavoli).
E' vero che la velocità della luce si misura o meno a seconda di come
si definisce l'unità temporale (infatti adesso è proprio così, c 299792458 m/s per definizione).
Ma se un giorno si scoprisse che i fotoni (esistono e) hanno massa a
riposo non nulla, allora la loro velocità v dipenderebbe dalla
frequenza f, e si dovrebbero condurre esperimenti per determinare con
precisione v(f). Diresti ancora che la velocità della luce non è
misurabile?
Ovviamente no, si dovrebbe stabilire arbitrariamente un valore per la
velocità dei fotoni di una specifica frequenza, e poi si dovrebbe
però misurare la velocità alle altre frequenze.
> Sul fatto che il fotone non si possa fotografare mentre viaggia direi che
> dipende da come vedi le cose. Un fotone di energia abbastanza intesa lo puoi
> "fotografare": sposta gli elettroni che gli si parano davanti e dallo
> spostamento degli elettroni tiriamo fuori la "fotografia".
Bene. Allora puoi dirmi che dimensioni ha un fotone? Quanto è lungo,
largo, che forma ha?
>E poi io ritengo
> comunque valido il discorso che, se anche non si potesse "fotografare" in
> alcun modo, comunque il fotone mostrerebbe la sua presenza grazie ai click
> dei rivelatori.
"Il fotone mostra la sua presenza grazie ai click dei rivelatori", non
è fisica, è filosofia. Potrei dire: "sono io che faccio fare click ai
rivelatori, dimostrando così questa mia particolarità". Dimostrami
che mi sbaglio.
Attenzione: qui "arbitrariamente" non è il termine corretto. Intendevo
che la velocità sarebbe automaticamente determinata in base a come
viene definita arbitrariamente l'unità temporale, proprio come si fa
adesso, solo che in quel caso sarebbe riferito ad una specifica
frequenza. Es: 1 secondo = tempo impiegato da una radiazione EM
monocromatica di 550 nm a percorrere 299.792.458 metri.
Questo giorno e' di la' da venire, e personalmente non riesco proprio ad
immaginare in alcun modo un fotone fermo sopra ad una bilancia. Una bilancia
e' un oggetto macroscopico, fermo rispetto ad un riferimento inerziale che
e' fatto di materiale macroscopico rigido. I corpi rigidi sono tali perche'
le interazioni fra i costituenti i corpi stessi sono tali da renderli
rigidi. Tali interazioni sono mediate dal campo elettromagntico, cioe' da
fotoni. Io non riesco ad immaginare un corpo rigido fermo in un riferimento
in cui siano fermi anche i fotoni, il che e' come dire che non riesco ad
immaginare un riferimento in cui i fotoni siano in quiete.
Discorso analogo per gli eventuali tachioni. Io non risco ad immaginarmeli
fermi in alcun riferimento inerziale.
Indipendentemente da questa questione della eventuale massa a riposo del
fotone (questione alla quale, come detto, io non riesco a dare un senso)
potrebbe comunque essere vero che sparando da A due fasci luminosi di
diversa frequenza, dopo riflessione in B, un fascio torni in A prima
dell'altro. In questo caso, come dici nel post successivo, prenderemmo una
frequenza come riferimento F e definiremmo l'unita' temporale come
l'intervallo di tempo necessario alla luce di frequenza F per percorrere *in
andata e ritorno* la lunghezza unitaria/2. Sarebbe comunque unitaria per
definizione la velocita' *di andata e ritorno* della luce di frequenza F. La
velocita' della luce di sola andata, per qualsiasi frequenza, cosi' come la
velocita' di andata di qualsiasi corpo (cioe' il rapporto L/dT con dT dato
dalla differenza degli istanti segnati dagli orologi fissi alla partenza e
all'arrivo), sarebbe comunque convenzionale.
C'e' da dire comunque che, se avvenisse una cosa del genere (velocita' di
andata e ritorno della luce, nel vuoto, dipendente dalla frequenza), a me
pare che ci sarebbero seri problemi per tutta la relativita'. E, ancora
peggio, andremmo comunque a finire in problemi come quelli prospettati
all'inizio. Se cF1>cF2 (velocita' della luce a frequenza F1 maggiore di
quella a frequenza F2) in un certo riferimento R, si dotrebbe forse
immaginare l'esistenza di opportuni riferimenti inerziali in cui i fotoni
che in R hanno frequenza F2 siano in quiete. E cosa sarebbero questi fotoni
?
> > Sul fatto che il fotone non si possa fotografare mentre viaggia direi
che
> > dipende da come vedi le cose. Un fotone di energia abbastanza intesa lo
puoi
> > "fotografare": sposta gli elettroni che gli si parano davanti e dallo
> > spostamento degli elettroni tiriamo fuori la "fotografia".
>
> Bene. Allora puoi dirmi che dimensioni ha un fotone? Quanto è lungo,
> largo, che forma ha?
Certo che non te lo so dire. Allo stesso modo non ti so dire quanti conteggi
avrei a seguito della interazione del mio tavolo con un fotomoltiplicatore.
Ripeto, il tavolo ha certe proprieta' di cui prendiamo atto grazie ad alcune
misure, il fotone ne ha altre di cui prendiamo atto grazie ad altre misure.
Se il tavolo pretendesse il patentino di "ente realmente esistente" in
quanto per esso e' possibile effettuare alcune misure alle quali diamo il
nome di "lunghezza" e "larghezza" (e pretendesse che tale patentino venisse
negato al fotone proprio perche' per esso sono impossibili quelle misure),
secondo il mio punto di vista anche il fotone potrebbe pretendere il
patentino in quanto per esso e' possibile far fare click a un
fotomoltiplicatore (e potrebbe pretendere che tale patentino venisse negato
ai tavoli per la loro incapacita' di far fare click ai fotomoltiplicatori).
> >E poi io ritengo
> > comunque valido il discorso che, se anche non si potesse "fotografare"
in
> > alcun modo, comunque il fotone mostrerebbe la sua presenza grazie ai
click
> > dei rivelatori.
>
> "Il fotone mostra la sua presenza grazie ai click dei rivelatori", non
> è fisica, è filosofia. Potrei dire: "sono io che faccio fare click ai
> rivelatori, dimostrando così questa mia particolarità". Dimostrami
> che mi sbaglio.
Se vuoi una dimostrazione scientifica non te la potrei proprio dare (non
potrei nemmeno mostrarti scientificamente che sbaglieresti nel dire che il
tavolo ha quella larghezza perche' degli angeli lo tengono assemblato in
quel modo). D'altro canto qua siamo (entrambi) nel campo della filosofia, o
della epistemologia.
Il mio punto di vista l'ho gia' espresso in uno dei post che ho mandato
qualche giorno fa in risposta a marcofucius:
questa *e'* fisica, anzi, tutta la fisica e' sempre cosi'.
Effettuiamo una certa misura e dall'esito della stessa diciamo "il tavolo ha
la lunghezza di 2 metri". Con cio' *non pretendiamo* di asserire alcunche'
sull'essenza "reale" del tavolo. In sostanza, chiunque venisse a fare
qualsiasi elucrubazione filosofica sulla vera essenza del tavolo, e sul
fatto che la nostra misura in realta' non ci dice nulla di questa vera
essenza, ci lascerebbe indifferenti. In sostanza gli risponderemmo:
"potrebbe anche essere come dici, ma noi non siamo interessati alla "vera
essenza" di cui parli tu (veramente non abbiamo nemmeno capito tanto bene
cosa cavolo sarebbe questa vera essenza), siamo interessati semplicemente ai
risultati delle nostre misure".
Sempre secondo il mio punto di vista, posto quanto detto sopra, ciascuno
scienziato decide poi di operare secondo una propria visione filosofica.
Alcuni decidono di portare alle estreme conseguenze quanto detto sopra
(sarebbero, se ho ben capito, quelli che hanno una visione positivista, o
neopositivista bohh, non le capisco-conosco tanto bene queste correnti) e
dicono che una volta trovato un modello che descrive gli eventi abbiamo
fatto tutto cio' che c'e' da fare, il resto e' metafisica. Altri (i
realisti) dicono che il modello non e' soddisfacente se non riesce a
descrivere, oltre agli effetti delle misure, anche i reali "corpi"-"enti"
che interagendo fra di loro danno luogo a quegli effetti. Secondo i
realisti, andare alla ricerca di "cio' che c'e' sotto" non e' metafisica,
e' fisica; e' proprio quello il nocciolo della fisica. Personalmente sono
assolutamente per il realismo, direi di essere un "estremista" del realismo.
>frequenza f, e si dovrebbero condurre esperimenti per determinare con
>precisione v(f).
Scusa ma i fotoni hanno massa di riposo nulla per
*definizione* o non sono aggiornato io?
--
Saluti, Dalet
> Questo giorno e' di la' da venire, e personalmente non riesco proprio ad
> immaginare in alcun modo un fotone fermo sopra ad una bilancia. Una bilancia
> e' un oggetto macroscopico, fermo rispetto ad un riferimento inerziale che
> e' fatto di materiale macroscopico rigido. I corpi rigidi sono tali perche'
> le interazioni fra i costituenti i corpi stessi sono tali da renderli
> rigidi. Tali interazioni sono mediate dal campo elettromagntico, cioe' da
> fotoni.
Giusto. Considerazione interessante. Ma il fatto di essere in un
riferimento in cui alcuni fotoni sono fermi non implicherebbe che lo
fossero tutti. Del resto esistono già interazioni mediate da
particelle con massa a riposo non nulla, ad esempio l'interazione
forte; non mi sembra che i nuclei atomici siano tutti instabili per
questo.
> Indipendentemente da questa questione della eventuale massa a riposo del
> fotone (questione alla quale, come detto, io non riesco a dare un senso)
> potrebbe comunque essere vero che sparando da A due fasci luminosi di
> diversa frequenza, dopo riflessione in B, un fascio torni in A prima
> dell'altro. In questo caso, come dici nel post successivo, prenderemmo una
> frequenza come riferimento F e definiremmo l'unita' temporale come
> l'intervallo di tempo necessario alla luce di frequenza F per percorrere *in
> andata e ritorno* la lunghezza unitaria/2. Sarebbe comunque unitaria per
> definizione la velocita' *di andata e ritorno* della luce di frequenza F. La
> velocita' della luce di sola andata, per qualsiasi frequenza, cosi' come la
> velocita' di andata di qualsiasi corpo (cioe' il rapporto L/dT con dT dato
> dalla differenza degli istanti segnati dagli orologi fissi alla partenza e
> all'arrivo), sarebbe comunque convenzionale.
Si, giusto.
> C'e' da dire comunque che, se avvenisse una cosa del genere (velocita' di
> andata e ritorno della luce, nel vuoto, dipendente dalla frequenza), a me
> pare che ci sarebbero seri problemi per tutta la relativita'. E, ancora
> peggio, andremmo comunque a finire in problemi come quelli prospettati
> all'inizio. Se cF1>cF2 (velocita' della luce a frequenza F1 maggiore di
> quella a frequenza F2) in un certo riferimento R, si dotrebbe forse
> immaginare l'esistenza di opportuni riferimenti inerziali in cui i fotoni
> che in R hanno frequenza F2 siano in quiete. E cosa sarebbero questi fotoni?
Particelle a riposo, come tante altre. Non capisco la domanda.
> In sostanza, chiunque venisse a fare
> qualsiasi elucrubazione filosofica sulla vera essenza del tavolo, e sul
> fatto che la nostra misura in realta' non ci dice nulla di questa vera
> essenza, ci lascerebbe indifferenti. In sostanza gli risponderemmo:
> "potrebbe anche essere come dici, ma noi non siamo interessati alla "vera
> essenza" di cui parli tu (veramente non abbiamo nemmeno capito tanto bene
> cosa cavolo sarebbe questa vera essenza), siamo interessati semplicemente ai
> risultati delle nostre misure".
Ok. Allora: tu prendi un tavolo (il che significa che il tavolo esiste
già!) e lo misuri.
Poi: tu prendi un fotone e lo...un momento! Ma che cos'è che prendi?
Se tu definisci la parola "fotone" come: "la misura effettuata su un
fotone" devi già avere un fotone per poterlo misurare, ma non puoi,
perchè il fotone è la misura stessa!
Ciao.
No, non č per definizione. Sono stati condotti esperimenti per
determinare (indirettamente) la massa a riposo dei fotoni, che hanno
confermato che č 0 a meno dell'incertezza di misura, il che significa:
se hanno massa, questa deve essere inferiore a circa 2*10^-51 Kg.
Non so come sono stati condotti gli esperimenti piů recenti a questo
riguardo, ma quelli di cui sono a conoscenza (da Le Scienze di un 15
anni fa) misuravano la deviazione della legge di Coulomb da 1/R^2. Se
l'esponente non fosse esattamente uguale a 2, i fotoni avrebbero massa.
Sostanzialmente si verificava la legge di Gauss tra sfere conduttrici o
qualcosa di simile.
In ogni caso, se i fotoni avessero massa a riposo non nulla, le
equazioni di Maxwell dovrebbero essere modificate.
>In ogni caso, se i fotoni avessero massa a riposo non nulla, le
>equazioni di Maxwell dovrebbero essere modificate.
Ma sei sicuro di questo che dici? Cioe' non e' che per
caso allora bisogna riscrivere anche tutta la Relativita'
e forse tutta la fisica?
E poi resterebbe valida la teoria ondulatoria immutata e
il fotone diverrebbe un'onda di materia come De Broglie.
--
Saluti, Dalet
Non credo sia 'per definizione'. C'è una motivazione fisica. Il fotone
ha massa a riposo nulla perché si viaggia alla velocità c.
Ciao
> Il 02-12-2006, cometa luminosa dice:
>
> >In ogni caso, se i fotoni avessero massa a riposo non nulla, le
> >equazioni di Maxwell dovrebbero essere modificate.
>
> Ma sei sicuro di questo che dici? Cioe' non e' che per
> caso allora bisogna riscrivere anche tutta la Relativita'
> e forse tutta la fisica?
Secondo me la Relatività cambierebbe poco, per 2 motivi:
1. In Relatività, la costante c è, in realtà, la massima velocità
di trasmissione dei segnali. Non è necessario che tale segnale si
trasportato da una radiazione elettromagnetica, o, comunque, da una
radiazione EM di qualunque frequenza. c diverrebbe, probabilmente, il
limite per f che tende all'infinito, della velocità di propagazione di
una rad. EM di frequenza f.
2. La velocità dei fotoni risulterebbe così vicina alla velocità
limite c che, all'atto pratico, gli effetti sarebbero gli stessi, nel
limite delle attuali condizioni sperimentali.
> > pare che ci sarebbero seri problemi per tutta la relativita'. E, ancora
> > peggio, andremmo comunque a finire in problemi come quelli prospettati
> > all'inizio. Se cF1>cF2 (velocita' della luce a frequenza F1 maggiore di
> > quella a frequenza F2) in un certo riferimento R, si dotrebbe forse
> > immaginare l'esistenza di opportuni riferimenti inerziali in cui i
fotoni
> > che in R hanno frequenza F2 siano in quiete. E cosa sarebbero questi
fotoni?
>
> Particelle a riposo, come tante altre. Non capisco la domanda.
In tal caso perderebbero quella che a me pare essere una caratteristica
specifica dei fotoni che e' quella di essere mediatori delle interazioni fra
gli atomi, cioe' i costituenti i corpi rigidi. Si potrebbe comunque
immaginare l'esistenza in quel riferimento dei corpi rigidi (le interazioni
fra i loro atomi sarebbero mediate da altri fotoni), pero' mi pare proprio
che la relativita' in questo caso subirebbe un colpo che direi mortale.
Ad ogni modo, il problema era se pensavo si potesse dire che la velocita'
della luce di andata e ritorno e' non misurabile in quanto assunta per
definizione, anche nel caso in cui si osservasse una massa a riposo non
nulla per i fotoni. La mia risposta principale e' che in quel caso si
aprirebbero problemi di fondo talmente grandi che anche solo cercare di dare
un senso alle parole "velocita' di andata e ritorno della luce" sarebbe
problematico. Ad esempio la legge di composizione delle velocita' non si
capirebbe piu' tanto bene cosa diventerebbe (siccome ho visto che ne parli
in altro post rispondendo a Dalet, riprendo la questione andando a
commentare quella tua risposta).
> Ok. Allora: tu prendi un tavolo (il che significa che il tavolo esiste
> già!) e lo misuri.
> Poi: tu prendi un fotone e lo...un momento! Ma che cos'è che prendi?
> Se tu definisci la parola "fotone" come: "la misura effettuata su un
> fotone" devi già avere un fotone per poterlo misurare, ma non puoi,
> perchè il fotone è la misura stessa!
Cometa, mi spiace ma mi pare proprio che su questo punto ci stiamo ripetendo
da un po' di post le stesse cose. Insisto ancora una volta in quanto mi pare
che nei tuoi interventi tu risponda non cogliendo il cuore del punto da me
sollevato (il che mi fa sospettare che io non abbia ancora esposto il punto
con chiarezza, almeno non con una chiarezza tale da renderlo chiaro a te).
Quando dici "prendo un tavolo" stai dicendo che esegui delle operazioni sul
tavolo. Tali operazioni le puoi eseguire in quanto il tavolo ha mostrato
avere delle proprieta' tali da permettere a te di poter eseguire su di esso
quelle operazioni.
Gia' nella proposizione precedente io faccio uso della parola "tavolo"
assumendo una posizione realista, sto assumendo che il tavolo esista, quale
che sia la sua "reale essenza". Ma uno scettico avrebbe tutte le ragioni nel
dire che io assumo tale esistenza semplicemente sulla base del fatto che le
operazioni che io eseguo su di esso mi danno delle risposte. E' solo su
questo che baso la mia convinzione che il tavolo esista, e non vedo proprio
su cosa altro potrei basarla.
Per il fotone e' qualitativamente la stessa identica cosa. Si potra' dire
che sono poche le operazioni che posso eseguire sul fotone, per il tavolo
sono molte di piu', ma questa e' semplicemente una differenza quantitativa.
E' per questo che ti dico che non capisco dove tu "metti la barriera". Come
fai a stabilire che un certo ente esiste veramente mentre un altro e'
semplicemente una nostra ipotesi? A voler essere precisi in fisica tutti gli
enti sono sempre introdotti come ipotesi, poi, se un fisico assume una
posizione realista, tratta quegli enti come se esistessero veramente, ed e'
pronto a decretarne la morte (come per il calorico) qualora gli eventi
mostrassero risultati non compatibili con un certo ente ipotizzato.
Con cio' non voglio dire che un realista debba considerare "realmente
esistenti" tutti gli enti ipotizzabili in qualche maniera. Si fanno delle
ipotesi sulla base di alcune evidenze sperimentali, poi, piu' aumentano le
evidenze sperimentali, piu' il realista rafforza la sua convinzione che
quell'ente ipotizzato "esista veramente" (quale che sia il significato della
parola "esistere").
Einstein probabilmente ha iniziato a credere nell'esistenza "reale" dei
fotoni gia' dal 1905. La stragrande maggioranza dei fisici ha continuato a
non credere in tale esistenza fino alla scoperta dell'effetto Compton. Dopo
l'effetto Compton direi che la stragrande maggioranza dei fisici creda
nell'esistenza reale dei fotoni (almeno quelli di estrazione realista).
Pero' direi che sia abbastanza discutibile stabilire quale dovrebbe essere
il "corretto" attegiamento: quello di Einstein, quello dei fisici post
effetto Compton, o quello di chi ancora oggi volesse mantenere i fotoni nel
limbo delle ipotesi?
Con questo voglio dire che se tu ritieni che le evidenze sperimentali a
sostegno dell'ipotesi del fotone siano ancora troppo poche per poter
decretare il fotone come "realmente esistente", sei ovviamente libera di
farlo. Anche Mach riteneva le evidenze sperimentali a sostegno dell'ipotesi
atomica non sufficienti per poter decretare l'atomo realmente esistente.
Ma tu mi pare che la metta in termini diversi. Tu mi pare che vorresti
sostenere che il fotone non va considerato realmente esistente in quanto
esso non mostra alcune proprieta' (lunghezza, larghezza ...- per la
precisione andrebbe detto che il fotone non ha "ancora mostrato" di
possedere quelle proprieta', potrebbe anche darsi che un giorno si scopra
una qualche misura che buona parte dei fisici concorderebbe nel chiamare
"misura della larghezza del fotone"). Qui si va a toccare un altro punto,
come se un qualsiasi ente "realmente esistente" dovesse necessariamente
mostrare almeno un minimo di proprieta'. Ci sarebbe da stabilire con
esattezza quali dovrebbero essere queste proprieta' (ad esempio, l'uccellino
stabilisco che esiste veramente perche' lo *sento* cantare e lo *vedo*
volare. Il tavolo lo *vedo* poggiare sul pavimento ma *non lo sento*
emettere alcun suono!!!! Che faccio? Stabilisco che la proprieta' di
emettere suoni e' essenziale o no?). Sarebbe una impresa abbastanza ardua e
questa si' decisamente piu' da filosofi che da fisici. I fisici direi che
abbiano un atteggiamento decisamente pragmatico. Vedono alcune proprieta' e,
senza stare tanto a chiedersi se sono proprieta' "essenziali" o meno,
ipotizzano degli enti associati a quelle proprieta' (questo mi pare faccia
Einstein riguardo ai fotoni nel 1905). Poi se si riescono ad osservare altre
proprieta' associate a quegli enti (effetto Compton), l'ente ipotizzato
aumenta il suo "grado" di reale esistenza (cioe' aumenta la convinzione del
fatto che quell'ente esista veramente). Permane il fatto che il grado
"assoluto" non si avra' mai, ne' per i fotoni ne' per i tavoli. Ma
l'assoluto riguarda eventualmente i filosofi, non i fisici.
> Ciao.
> > Ma sei sicuro di questo che dici? Cioe' non e' che per
> > caso allora bisogna riscrivere anche tutta la Relativita'
> > e forse tutta la fisica?
>
> Secondo me la Relatività cambierebbe poco, per 2 motivi:
Io invece, come dicevo all'altro post, ritengo che la Relativita' andrebbe
modificata in maniera talmente radicale che dubito seriamente che possa
"sopravvivere".
> 1. In Relatività, la costante c è, in realtà, la massima velocità
> di trasmissione dei segnali. Non è necessario che tale segnale si
> trasportato da una radiazione elettromagnetica, o, comunque, da una
> radiazione EM di qualunque frequenza. c diverrebbe, probabilmente, il
> limite per f che tende all'infinito, della velocità di propagazione di
> una rad. EM di frequenza f.
Questa storia di c come velocita' massima di trasmissione dei segnali l'ho
gia' letta altre volte. Non l'ho mai capita, e sono abbastanza convinto che
sia sbagliata. La velocita' massima di trasmisione dei segnali *non esiste*.
Con cio' intendo che la relativita' non vieta assolutamente l'esistenza di
segnali propagantesi a una qualsiasi velocita'. In realta' c'e' da ricordare
il significato che diamo alla parola velocita', per poter vedere con
chiarezza cosa e' che viene "vietato" dalla relativita' (o meglio, come
vedremo, e' vietato dalla logica piu' che dalla relativita').
Abbiamo due orologi, uno nell'origine (0,0,0) (chiamiamo O0 tale orologio),
e uno nel punto nel punto (d,0,0) (chiamiamo Od tale orologio). I due
orologi sono stati sincronizzati nella maniera usuale. All'istante tin,
cioe' quando O0 segna tin, un segnale S parta dal punto (0,0,0). Tale
segnale arrivera' nel punto (d,0,0) all'istante tfin, cioe' quando Od segna
tfin. Quello che chiamiamo v e', come sappiamo tutti, il rapporto
d/(tfin-tin).
Non esiste niente in relativita' che vieti la possibilita' che tfin sia
uguale a tin (dando cosi' luogo a velocita' infinita), ma potrebbe anche
essere tfin<tin, dando cosi' luogo a velocita' di propagazione "negative",
cioe' segnali che arrivano "prima di partire", cosa per niente assurda, come
non e' assurdo che un aereo parta dall'Australia alle 6 (orario
dell'Australia) e arrivi a Roma alle 5 (orario di Roma).
C'e' comunque un limite per tfin (quello imposto piu' dalla logica che dalla
relativita' di cui parlavo sopra).
Poniamo che da (0,0,0) partano all'istante tin due segnali, uno sia un
segnale luminoso L (cioe' proprio quel tipo di segnale che abbiamo
utilizzato per sincronizzare gli orologi), l'altro sia un generico segnale S
che in via di principio potrebbe viaggiare a qualsiasi velocita'. Per come
abbiamo deciso di sincronizzare gli orologi, sappiamo che L arrivera' in
(d,0,0) all'istante tin+d/c (c e' la velocita' di andata e ritorno della
luce; se immaginiamo esistere una dipendenza di tale velocita' dal "tipo" di
luce, allora diciamo che c e' la velocita' di andata e ritorno della luce
che abbiamo deciso di utilizzare nel processo di sincronizzazione. Tale
velocita' possiamo anche porla per definizione uguale a 1).
S potra' anche arrivare in (d,0,0) prima di L, ma non potra' mai arrivare
con un anticipo maggiore di 2d/c.
Se cio' avvenisse si avrebbe il seguente paradosso:
1) quando O0 segna tin partono da (0,0,0) i due segnali;
2) L arriva quando Od segna tin+d/c, S arriva quando Od segna un istante
tfin<tin+d/c-2d/c=tin-d/c;
3) quando Od riceve L (cioe' quando sta segnando l'istante tfin<tin-d/c)
potrebbe partire da Od un segnale luminoso L1 verso (0,0,0). Sappiamo che
tale segnale arrivera' in (0,0,0) quando O0 segna l'istante t*=tfin+d/c.
Essendo tfin<tin-d/c abbiamo che L1 arrivera' in (0,0,0) quando O0 segna un
istante t*<tin. Il che e' assurdo in quanto L1 arriverebbe in (0,0,0) prima
della partenza di S.
Abbiamo quindi trovato il limite per tfin. tfin puo' essere minore di tin ma
non puo' essere minore di tin-d/c.
Non esistendo alcun limite massimo per la velocita' di trasmissione dei
segnali, la c che compare nelle trasformazioni di Lorentz non puo' essere la
velocita' limite di trasmissione dei segnali.
Inoltre, riguardando la costruzione della relativita' (il processo di
sincronizzazione, la costruzione delle trasformazioni di Lorentz ...), si
vede che la c che compare e' proprio la velocita' (di andata e ritorno) del
segnale che e' stato utilizzato nel processo di sincronizzazione.
Volendo attribuire a quel c il significato di "velocita' massima", dovremmo
innanzitutto sapere quale sarebbe questo segnale avente la velocita' massima
(per poterlo usare nel processo di sincronizzazione), le equazioni di
Maxwell non descriverebbero piu' l'andamento delle onde luminose ma delle
onde "di velocita' massima" (a meno che nelle equazioni di Maxwell compaia,
invece di c, la velocita' delle onde luminose che dovranno essere sincrone
ai segnali di "velocita' massima"). Gli orologi a luce sarebbero orologi
(cioe' sarebbero sincroni fra di loro), solo se fossero sincroni con gli
orologi a "segnale di velocita' massima".
La velocita' massima c'e' non per i segnali in genere. Gli orologi, che sono
oggetti macroscopici, devono necessariamente avere una velocita' limite.
L'orologio piu' semplice e' un regolo rigido con un segnale che si riflette
ai suoi estremi.
Il regolo rigido non puo' muoversi a velocita' maggiore delle velocita' dei
mediatori delle forze che esistono fra i costuenti il corpo rigido.
Poniamo anche che esista una velocita' limite maggiore della velocita' di
tutte le onde luminose nel vuoto (onde che immaginiamo avere velocita'
dipendenti dalla loro frequenza). Se questa velocita' limite e' una
velocita' limite per gli oggetti macroscopici, allora o gli oggetti
macroscopici sono tenuti insieme da forze che sono mediate da segnali che si
propagano alla velocita' limite oppure avremmo dei paradossi seri (l'atomo
di sinistra "sorpassa" l'atomo di destra il quale "non si e' ancora accorto"
che il regolo si sta muovendo verso destra).
Se diciamo che sono le onde luminose a mediare le forze che tengono insieme
i corpi rigidi, allora tali corpi (ad esempio gli orologi) non possono
muoversi piu' velocemente delle onde luminose. Il limite interessante
sarebbe quindi la massima velocita' delle onde luminose.
Sia vL la velocita' limite per le onde luminose. Immaginiamo un'onda
luminosa O che si propaga, in un certo riferimento R, a velocita' vp<vL. O
sia mediatrice delle forze che tengono insieme un certo regolo Reg. Sia R'
un nuovo riferimento inizialmente in quiete rispetto a R e dentro R' sia
posto il regolo Reg. R' si metta in moto ad una velocita' v' compresa fra vp
e vL. In R osserveremmo l'assurdo che Reg si sta muovendo ad una velocita'
maggiore della velocita' delle onde che mediano le forze che lo tengono
assemblato. Dovremmo dire che, poiche' all'interno di R' si trova Reg,
allora il limite massimo per v' e' dato da vp.
Avremmo in sostanza tanti regoli di tanti tipi, ognuno con la propria
velocita' massima (data dalla velocita' dei mediatori delle forze che
tengono assemblato il regolo). La velocita' massima di un riferimento
sarebbe data dalla piu' piccola velocita' massima dei regoli contenuti nel
riferimento. Insomma, mi pare che sarebbe un bel casino: il concetto di
regolo andrebbe precisato (ancora piu' di quanto sia necessario oggi), i
riferimenti non sarebbero tutti equivalenti, alcuni potrebbero raggiungere
alcune velocita' altri no ...
>>>In ogni caso, se i fotoni avessero massa a riposo non nulla, le
>>>equazioni di Maxwell dovrebbero essere modificate.
>>Ma sei sicuro di questo che dici? Cioe' non e' che per
>>caso allora bisogna riscrivere anche tutta la Relativita'
>>e forse tutta la fisica?
>Secondo me la Relatività cambierebbe poco, per 2 motivi:
>1. In Relatività, la costante c è, in realtà, la massima velocità
>di trasmissione dei segnali.
Ok questo e' come risulta/ricordo anch'io.
>Non è necessario che tale segnale si
>trasportato da una radiazione elettromagnetica, o, comunque, da una
>radiazione EM di qualunque frequenza.
Ma allora stai scavalcando a pie' pari l'ostacolo, perche'
allora vuol dire semplicemente che i fotoni non vanno a c.
Cioe' se hanno massa di riposo Einstein dice che non possono
andare a c e tu dici: ok non vanno a c, ma allora che fotoni
sono? I fotoni o sono la luce e allora vanno a c oppure la
luce va a c e i fotoni no perche' senno' vanno contro
Einstein, dunque sono cosa diversa dalla luce.
>c diverrebbe, probabilmente, il
>limite per f che tende all'infinito, della velocità di propagazione di
>una rad. EM di frequenza f.
Ma scusa la velocita' di propagazione di un'onda mica
dipende dalla frequenza, senno' che onda e'? e poi senno'
ci risiamo con la luce che e' un'onda ma anche non lo e',
come i fotoni che sono luce ma la luce va piu' in fretta.
>2. La velocità dei fotoni risulterebbe così vicina alla velocità
>limite c che, all'atto pratico, gli effetti sarebbero gli stessi, nel
>limite delle attuali condizioni sperimentali.
Ma il fatto e' che se hanno massa vanno contro i postulati
della Relativita' e poi la massa relativistica quando
accelera fino a c diventerebbe infinita anche se come
dici e' minimissima che sfugge alle misure, no?
--
Saluti, Dalet
> Sia vL la velocita' limite per le onde luminose. Immaginiamo un'onda
> luminosa O che si propaga, in un certo riferimento R, a velocita' vp<vL. O
> sia mediatrice delle forze che tengono insieme un certo regolo Reg. Sia R'
> un nuovo riferimento inizialmente in quiete rispetto a R e dentro R' sia
> posto il regolo Reg. R' si metta in moto ad una velocita' v' compresa fra
vp
> e vL. In R osserveremmo l'assurdo che Reg si sta muovendo ad una velocita'
> maggiore della velocita' delle onde che mediano le forze che lo tengono
> assemblato. Dovremmo dire che, poiche' all'interno di R' si trova Reg,
> allora il limite massimo per v' e' dato da vp.
In realta' si potrebbe anche ipotizzare che la velocita' di propagazione dei
segnali luminosi dipenda dal moto della sorgente. Cosi' Reg potrebbe anche
trovarsi all'interno di R' che si muove, rispetto a R, a velocita' v'>vp
verso destra. vp sarebbe la velocita' di propagazione dei segnali luminosi
mediatori delle forze che tengono assemblato Reg, nel riferimento di quiete
di Reg. Pero' se Reg fosse in moto, allora emetterebbe verso destra onde a
frequenza maggiore rispetto a quelle che emetterebbe nel riferimento di
quiete, cosi' quelle onde (nell'ipotesi di velocita' delle onde dipendenti
dalla frequenza delle stesse) potrebbero comunque avere velocita' maggiori
di di v', risolvendo cosi' il paradosso. Mi pare comunque che la revisione
della relativita' dovrebbe essere profonda. Pero' in effetti potrebbe anche
darsi che possa sopravvivere. Tu, cometa luminosa, sai per caso di gente che
ha investigato l'ipotesi di velocita' della luce nel vuoto dipendente dalla
frequenza ?
(cut)
> Io invece, come dicevo all'altro post, ritengo che la Relativita' andrebbe
> modificata in maniera talmente radicale che dubito seriamente che possa
> "sopravvivere".
(cut)
Dici la TeoriaRelSpeciale?
(cut)
> Questa storia di c come velocita' massima di trasmissione dei segnali l'ho
> gia' letta altre volte. Non l'ho mai capita, e sono abbastanza convinto che
> sia sbagliata. La velocita' massima di trasmisione dei segnali *non esiste*.
(cut)
E' un fatto ampiamente discusso da molti fisici (tra cui anche Landau,
Feynman, Einstein, Penrose... )... ma cosa non ti convince?
Non capisco quello che vuoi dire, perche' a me risulta troppo
evidente... quindi mi sembra strano poi che tu non sia d'accordo.
Mi spieghi meglio la tua frase:
<<...La velocita' massima di trasmisione dei segnali *non esiste*....>>
Cioe' non e' limitata superiormente, oppure non e' un qualcosa a cui
puo' essere associata la velocita'?
(cut)
> Con cio' intendo che la relativita' non vieta assolutamente l'esistenza di
> segnali propagantesi a una qualsiasi velocita'.
(cut)
yes, hai ragione... ma purtroppo se un qualche cosa (tachione-->che
supera c) esiste nessuno se ne accorgerebbe mai!
O meglio (se si accetta la fisica fino ad ora cosi' com'e') l'esistenza
del tachione ha 2 risvolti:
1) nessuno potrebbe mai percepirlo..e quindi fai un po' tu...[e questo
vale se la c non e' la luce...cioe' fotone a massa piccolissima]
2) Porterebbe a dei paradossi sulla causalita': anche ad esempio che io
possa interagire ora col mio futuro, ed in una qualche maniera
manometterlo! [se invece luce c, fotone massa nulla].
> Ciao Bruno
Ciao,
> (cut)
> > Io invece, come dicevo all'altro post, ritengo che la Relativita'
andrebbe
> > modificata in maniera talmente radicale che dubito seriamente che possa
> > "sopravvivere".
> (cut)
>
> Dici la TeoriaRelSpeciale?
Si. Comunque, a commento del mio post avevo portato una aggiunta nella quale
facevo presente che, dire velocita' della luce dipendente dalla frequenza,
equivale anche a dire che tale velocita' dipende dal moto della sorgente
(via effetto Doppler) e i paradossi che mi sembravano inevitabili si
potrebbero probabilmente superare. Non ho la minima idea se il tutto si
potrebbe comunque comporre in una qualche maniera coerente. Non ho nemmeno
idea se l'ipotesi prospettata da cometa luminosa (velocita' della luce
dipendente dalla frequenza) sia mai stata investigata a fondo. In ogni caso
mi parrebbe che la relativita', qualora sopravvivesse, cambierebbe aspetto.
>
> (cut)
> > Questa storia di c come velocita' massima di trasmissione dei segnali
l'ho
> > gia' letta altre volte. Non l'ho mai capita, e sono abbastanza convinto
che
> > sia sbagliata. La velocita' massima di trasmisione dei segnali *non
esiste*.
> (cut)
>
>
> E' un fatto ampiamente discusso da molti fisici (tra cui anche Landau,
> Feynman, Einstein, Penrose... )... ma cosa non ti convince?
> Non capisco quello che vuoi dire, perche' a me risulta troppo
> evidente... quindi mi sembra strano poi che tu non sia d'accordo.
Il punto e' che tutti i discorsi a sostegno della esistenza di una velocita'
massima (con "tutti" intendo tutti quelli che ho visto io), si fondano su
presunti paradossi causali che si avrebbero qualora la velocita' massima
venisse superata (cosa che infatti riprendi anche tu sotto).
Quello che io ritengo e' che quei discorsi siano sbagliati, o meglio, sono
discorsi che poggiano, piu' o meno esplicitamente, anche su ipotesi non
necessarie. Rimuovendo le ipotesi non necessarie, il limite massimo per la
velocita' di propagazione dei segnali scompare (scompaiono i paradossi
causali).
Il sospetto che ci fosse qualcosa che non quadrava mi e' venuto pressoche'
subito una volta presa coscienza della convenzionalita' della simultaneita'
(che porta come conseguenza la convenzionalita' della velocita' one way).
Viene naturale chiedersi: "Ma se la velocita' one-way e' un ente privo di
interesse fisico, quale significato fisico potra' mai avere una proposizione
che vieta alla velocita' one-way di superare un qualche limite?"
Provando a rispondere a tale domanda, ho analizzato i discorsi sui paradossi
causali, di cui parli anche tu, e ho notato che tali discorsi si basano fra
l'altro sull'ipotesi che i segnali superluminali siano soggetti al principio
di relativita'. Questa e' l'ipotesi che io ritengo non necessaria.
Ipotizzando che il principio di relativita' *non* si possa applicare ai
segnali superluminali, la dimostrazione sui paradossi causali crolla.
Ma la teoria della relativita' non impone che il principio di relativita'
debba necessariamente applicarsi ad ogni fenomeno fisico (ad esempio non si
applica al suono), il che e' come dire che la teoria della relativita' non
impone un legame diretto fra l'esistenza di segnali superluminali e i
paradossi causali.
> Mi spieghi meglio la tua frase:
> <<...La velocita' massima di trasmisione dei segnali *non esiste*....>>
> Cioe' non e' limitata superiormente, oppure non e' un qualcosa a cui
> puo' essere associata la velocita'?
Intendo che non e' limitata superiormente. Intendo, per la precisione,
qualcosa di piu', cioe' che tale velocita' potrebbe anche essere negativa in
questo senso:
1) poniamo di aver sincronizzato gli orologi secondo la procedura standard;
2) un segnale S parte da P nell'istante in cui l'orologio fisso in P segna
l'istante tin;
3) il segnale S arriva in Q nell'istante in cui l'orologio fisso in Q segna
l'istante tfin (P e Q sono nello stesso riferimento inerziale);
4) potrebbe anche essere tfin=tin (nel qual caso la velocita' di S
risulterebbe infinita), ma potrebbe anche essere tfin<tin. L'unico limite
imposto a tfin e': tfin>tin-d/c, dove d=distanza PQ e c=velocita' di andata
e ritorno della luce.
Se tfin<tin il segnale S si propaga "a velocita' negativa", cioe' si propaga
poniamo verso destra, ma la sua velocita' verso destra e' negativa (cioe'
l'istante di arrivo sara' inferiore dell'istante di partenza, cosa non
assurda essendo i due istanti segnati da due orologi diversi). Il segnale
*non* si propaga verso sinistra; la partenza e' a sinistra (all'istante tin)
e l'arrivo a destra (all'istante tfin<tin). La quantita' di moto del segnale
(che e' un ente di interesse fisico, diversamente dalla velocita' one-way, e
che, come tale, e' non convenzionale) e' diretta verso destra, cioe' e'
diretta nel verso di propagazione del segnale.
> (cut)
> > Con cio' intendo che la relativita' non vieta assolutamente l'esistenza
di
> > segnali propagantesi a una qualsiasi velocita'.
> (cut)
>
> yes, hai ragione... ma purtroppo se un qualche cosa (tachione-->che
> supera c) esiste nessuno se ne accorgerebbe mai!
> O meglio (se si accetta la fisica fino ad ora cosi' com'e') l'esistenza
> del tachione ha 2 risvolti:
>
> 1) nessuno potrebbe mai percepirlo..e quindi fai un po' tu...[e questo
> vale se la c non e' la luce...cioe' fotone a massa piccolissima]
>
> 2) Porterebbe a dei paradossi sulla causalita': anche ad esempio che io
> possa interagire ora col mio futuro, ed in una qualche maniera
> manometterlo! [se invece luce c, fotone massa nulla].
Proprio questi due punti, per l'esattezza:
1) come fare per "percepire" i segnali superluminali (lasciando pressoche'
inalterata tutta la fisica nota fino ad ora. Cambirebbero solo i collassi
delle funzioini d'onda che non avverrebbero piu' "causa telepatia" come, a
mio modo di vedere, imporrebbe la visione ortodossa dominante, ma
avverrebbero causa interazioni locali con questi segnali superluminali),
2) perche' i segnali superluminali *non* sono necessariamente connessi ai
paradossi causali,
sono il centro del mio discorso ... il cui sottofondo e': "non e' affatto
detto che il realismo locale sia morto, anzi potrebbe essere piu' vivo che
mai".
Piu' volte nel recente passato ho esposto queste mie idee qua o su is,
qualora tu fossi interessato le potresti trovare esposte (nella maniera piu'
chiara possibile posto il mio inglese) sugli arxiv mettendo "cocciaro" alla
voce "autore".
> E' un fatto ampiamente discusso da molti fisici (tra cui anche Landau,
> Feynman, Einstein, Penrose... )... ma cosa non ti convince?
Siccome a tale proposito non avevo mai letto niente di Penrose (nemmeno di
Feynmann e Landau per la verita'), il tuo post mi ha fatto venire la
curiosita' e sono andato a spulciare "La mente nuova dell' imperatore"
Penrose, Sansoni 1997 pagg 276-279. E' interessante notare come Penrose
sottolinei esplicitamente il fatto che, per arrivare al paradosso, utilizza
l'ipotesi che per i segnali superluminali sia applicabile il principio di
relativita'.
A me pare veramente molto strano che nessuno abbia mai pensato di supporre
che, per quanto riguarda i tachioni, potremmo non essere "sotto coverta", e
ne abbia poi tratto le conseguenze.
Queste sono le parole di Penrose:
"Supponiamo che sia stato costruito un qualche dispositivo in grado di
inviare un segnale a velocita' un po' maggiore di quella della luce. Usando
questo dispositivo, l'osservatore W trasmette un segnale da un evento A
sulla sua linea oraria a un evento lontano B, che si trova immediatamente
sotto il cono di luce di A. Nella figura 5.31a questa situazione e'
rappresentata dal punto di vista di W, mentre nella figura 5.31b e'
ridisegnata dal punto di vista di un osservatore U che si allontana
rapčidamente da W (diciamo da un punto compreso fra A e B) e per il quale
l'evento B appare essersi verificato _prima_ di A! [...] Dal punto di vista
di W, gli spazi simultanei di U sembrano essere <<inclinati>>: ecco perche'
l'evento B puo' apparire a U anteriore ad A. Cosi', per U, il segnale
trasmesso da W sembrerebbe viaggiare a ritroso nel tempo!
Questa non e' ancora del tutto una contraddizione [nota mia: io direi che
non lo e' per niente, come e' ovvio una volta accettata la convenzionalita'
della simultaneita'. Ad ogni modo qui Penrose, pur non sottolineandolo, sta
in sostanza dicendo che la presentazione dei "paradossi" causali data da
Einstein (Ann. der Physik1907), ripresa da Pauli in "Teoria della
relativita'" (1921), non mette in luce "del tutto una contraddizione".
Penrose va dunque avanti nell'intenzione di mettere appieno in evidenza la
contraddizione]. Ma per simmetria col punto di vista di U (per il principio
di relativita' speciale), un *terzo* osservatore V, allontanandosi da U in
direzione opposta a W e dotato dello stesso dispositivo di segnalazione di
W, potrebbe emettere anche lui un segnale poco piu' veloce luce dal
*proprio* punto di vista, nella direzione di U [nota mia: ecco il punto!!!
Da qui in poi la "frittata" e' fatta. Penrose assume che i tachioni siano
"sotto coverta". Correttamente lo dice, ma poi il discorso va avanti come se
egli avesse fatto uso di un principio della fisica assolutamente non
violabile. Invece sappiamo benissimo che il principio di relativita' puo'
essere violato senza alcun problema (lo e' per il suono)]. Anche questo
segnale sembrerebbe, a U, viaggiare a ritroso nel tempo, ora nella direzione
spaziale opposta. In effetti V potrebbe trasmettere questo secondo segnale
verso W nel momento (B) in cui riceve il segnale originario trasmesso da W
in coincidenza con un evento C che, nel giudizio di U, e' anteriore
all'evento di emissione originario A (figura 5.32). Peggio ancora, l'evento
C e' realmente anteriore all'evento di emissione A _sulla linea oraria_ di
W, cosicche' W _sperimenta_ realmente l'evento C come anteriore
all'emissione da parte sua del segnale del segnale in A! Il messaggio che
l'osservatore V ritrasmette a W potrebbe, per un accordo anteriore con W,
ripetere semplicemente il messaggio da lui ricevuto in B. Cosi', W riceve,
in un tempo anteriore sulla sua linea oraria, lo stesso messaggio che
trasmettera' successivamente!
[...]
Cosi' la trasmissione disegnali piu' veloci della luce, congiuntamente al
principio di relativita' di Einstein, conduce a una lampante contraddizione
con i nostri normali sentimenti di <<liberta' del volere>>. In realta' la
questione e' ancora piu' seria. Potremmo infatti immaginare che l'
<<osservatore W>> fosse forse solo un dispositivo meccanico, programmato per
trasmettere il messaggio <<SI>> se riceve <<NO>> e <<NO>> se riceve <<SI>>.
Anche V potrebbe essere un dispositivo meccanico, ma potrebbe essere
programmato per trasmettere <<NO>> se riceve <<NO>> e <<SI>> se riceve
<<SI>>. Questa situazione conduce alla stessa contraddizione essenziale che
abbiamo visto prima, la quale e' a quanto pare indipendente dalla questione
se W abbia effettivamente la liberta' di prendere decisioni e ci dice che un
dispositivo capace di inviare segnali piu' veloci della luce <<non e'
valido>> come possibilita' fisica."
L'ultima proposizione sottolinea quanto dicevo prima nel commento che ho
inserito nel testo di Penrose.
Prima si dice esplicitamente che il discorso si basa fra l'altro sul
principio di relativita', poi, invece di concludere che i tachioni, se
esistono, non possono essere "sotto coverta", si conclude dicendo che i
tachioni sono vietati "come possibilita' fisica". E' questo il punto che
"non mi convince" in questi discorsi. Piu' che un discorso non convincente
mi pare un discorso sbagliato nella sostanza: la tesi viene presentata in
una forma tale da lasciare intendere che abbia una generalita' molto piu'
vasta di quella che di fatto le viene riservata dalle ipotesi utilizzate.
Penrose prosegue cosi':
"Questo fatto avra' implicazioni sconcertanti per noi piu' avanti (capitolo
6, p. 369)".
E a pag. 369 Penrose parla del paradosso EPR. Cioe', per non dire a pag. 279
che i tachioni, se ci sono, sono fuori dall'ambito del principio di
relativita', saremo poi costretti, a pag. 369, ad ingoiare dei rospi enormi,
di difficilissima digeribilita'.
> Questa storia di c come velocita' massima di trasmissione dei segnali l'ho
> gia' letta altre volte. Non l'ho mai capita, e sono abbastanza convinto che
> sia sbagliata. La velocita' massima di trasmisione dei segnali *non esiste*.
> Con cio' intendo che la relativita' non vieta assolutamente l'esistenza di
> segnali propagantesi a una qualsiasi velocita'. In realta' c'e' da ricordare
> il significato che diamo alla parola velocita', per poter vedere con
> chiarezza cosa e' che viene "vietato" dalla relativita' (o meglio, come
> vedremo, e' vietato dalla logica piu' che dalla relativita').
> Abbiamo due orologi, uno nell'origine (0,0,0) (chiamiamo O0 tale orologio),
> e uno nel punto nel punto (d,0,0) (chiamiamo Od tale orologio). I due
> orologi sono stati sincronizzati nella maniera usuale. All'istante tin,
> cioe' quando O0 segna tin, un segnale S parta dal punto (0,0,0). Tale
> segnale arrivera' nel punto (d,0,0) all'istante tfin, cioe' quando Od segna
> tfin. Quello che chiamiamo v e', come sappiamo tutti, il rapporto
> d/(tfin-tin).
Mi sfugge il tuo ragionamento. Se gli orologi sono sincronizzati, e non
sono in moto relativo l'uno rispetto all'altro, segnano sempre lo
stesso orario.
Cioe' quando il segnale parte da (0,0,0) entrambi segnano l'istante
tin, e di nuovo entrambi segnano tfin all'arrivo del segnale in
(d,0,0).
Anche supponendo che l'orario segnato sia diverso (come nel caso del
volo Australia-Roma), quello che e' importante e' che Dt = (tfin - tin)
sara' uguale per entrambi gli orologi.
E fin qui non abbiamo toccato la relativita' speciale.
Ora, se diamo per buone le trasformazioni di Lorentz, c e' una
velocita' limite, nel senso che se esiste un riferimento inerziale (RI)
in cui un oggetto X e' fermo, in tutti i RI l'oggetto X avra' velocita'
inferiore a c. Se invece l'oggetto X si muove a velocita' c in un RI,
allora si muove a velocita' c in tutti i RI.
Poi c'e' il discorso dei tachioni, su cui in realta' non mi sono mai
soffermato; comunque, ipotizzando la loro esistenza, da un punto di
vista puramente cinematico non potrebbero mai essere misurati a
velocita' inferiori a c.
> Se cio' avvenisse si avrebbe il seguente paradosso:
> 1) quando O0 segna tin partono da (0,0,0) i due segnali;
Per comodita', visto che i due orologi sono sincronizzati (come detto
sopra), ne usiamo uno solo, poniamo tin=0. Inoltre, dato che stai
supponendo che non esista una velocita' limite, ignoriamo per il
momento la cornice relativistica.
Al tempo 0 partono un segnale L a velocita' c, un segnale S a velocita'
v arbitraria
> 2) L arriva quando Od segna tin+d/c, S arriva quando Od segna un istante
> tfin<tin+d/c-2d/c=tin-d/c;
A questo punto, il tempo di percorrenza di L e' d/c , il tempo di
percorrenza di S e' T = d/v
Per ipotesi, se S arriva prima di L, deve essere T < d/c.
E la cosa finisce qui. Non riesco a capire da dove salta fuori
quell'addendo -2d/c.
[taglio il resto del paradosso perche' e' conseguenza di questo punto]
Ciao
R.
>
> >Non è necessario che tale segnale si
> >trasportato da una radiazione elettromagnetica, o, comunque, da una
> >radiazione EM di qualunque frequenza.
>
> Ma allora stai scavalcando a pie' pari l'ostacolo, perche'
> allora vuol dire semplicemente che i fotoni non vanno a c.
> Cioe' se hanno massa di riposo Einstein dice che non possono
> andare a c e tu dici: ok non vanno a c, ma allora che fotoni
> sono? I fotoni o sono la luce e allora vanno a c oppure la
> luce va a c e i fotoni no perche' senno' vanno contro
> Einstein, dunque sono cosa diversa dalla luce.
Vedi Dalet, secondo me questo è uno degli esempi di cui parlavo, nel
thread "Dualità onda-particella" di differenza che c'è tra Fisica e
Matematica. Ho ragione o no quando affermo che questa differenza non
viene spiegata bene?
Quello che tu hai fatto è un ragionamento matematico perfetto, ma la
fisica è un'altra cosa.
Cerca di estrarre il significato fisico dalle equazioni e di capire che
queste provengono da qualche assunzione o postulato. Quali sono i
postulati della relatività speciale? Il fatto che siano dei postulati
non significa che sono veri A Priori, come in matematica! Sono veri
fintanto che risulta così sperimentalmente!
Cerca di capire che sono postulati, appunto, e che quindi, una volta
stabiliti, il resto è matematica, e se poi tu credi che tutti i
successivi risultati debbano essere presi per oro colato, è perchè
hai dimenticato (o non te lo hanno fatto ricordare abbastanza) che
tutto viene da un modello, che potrebbe non essere adeguato.
> >c diverrebbe, probabilmente, il
> >limite per f che tende all'infinito, della velocità di propagazione di
> >una rad. EM di frequenza f.
>
> Ma scusa la velocita' di propagazione di un'onda mica
> dipende dalla frequenza, senno' che onda e'? e poi senno'
> ci risiamo con la luce che e' un'onda ma anche non lo e',
> come i fotoni che sono luce ma la luce va piu' in fretta.
Perchè, gli elettroni, per esempio, non sono anche onde? Non hanno
anch'essi frequenza, lunghezza d'onda, velocità di fase, velocità di
gruppo, ecc.?
Poi, senza bisogno di scomodare elettroni o altre particelle con massa
non nulla, non lo sapevi che, all'interno di un mezzo materiale, per
esempio il vetro, la velocità della luce dipende dalla frequenza? Un
prisma di vetro scompone i colori proprio per questo!
> >2. La velocità dei fotoni risulterebbe così vicina alla velocità
> >limite c che, all'atto pratico, gli effetti sarebbero gli stessi, nel
> >limite delle attuali condizioni sperimentali.
>
> Ma il fatto e' che se hanno massa vanno contro i postulati
> della Relativita' e poi la massa relativistica quando
> accelera fino a c diventerebbe infinita anche se come
> dici e' minimissima che sfugge alle misure, no?
Una qualunque minimissima massa diventerebbe infinita, una volta
accelerata fino alla massima velocità di propagazione dei segnali, che
non è necessariamante Esattamente uguale a c (nel senso che potrebbe
essere, tanto per dire, 1.0000000000001c, invece).
Ciao.
Quello che tu dici sopra e' un ottimo esempio di come veniva trattato il
tempo prima della relativita'.
Reichenbach sottolinea che il seme (la "base logica") che da' luogo alla
nascita della relativita' e' proprio la presa di coscienza da parte di
Einstein della fallacia di proposizioni come quelle appena esposte (a ben
vedere si dovrebbe forse dire "presa di coscienza da parte di Einstein e
Poincare'", con, a seconda dei gusti, uno dei due nomi messo prima
dell'altro). Reichenbach lo dice in diversi scritti, uno dei piu' famosi e'
il saggio che presenta per il volume curato da Schilpp "Albert Einstein:
Philosopher-Scientist" (1949), pubblicato in occasione del 70esimo
compleanno dello stesso Einstein. Il volume e' stato pubblicato in
traduzione italiana dalla einaudi nel 1958, volume che e' ormai fuori
commercio; una versione ridotta (che pero' contiene il saggio di
Reichenbach) e' stata pubblicata dalla Boringhieri nel 1979 con il titolo
"Autobiografia scientifica". Dice Reichenbach (tratto dal volume della
Boringhieri, pagg. 181-182):
"La base logica della teoria della relativita' e' la scoperta che molte
affermazioni, la cui verita' o falsita' si riteneva dimostrabile, non sono
che semplici definizioni convenzionali"
[...]
"Le definizioni convenzionali utilizzate per la costruzione dello spazio e
del tempo sono di tipo particolare: sono definizioni coordinative. In altre
parole, esse sono date dalla coordinazione di un oggetto o processo fisico a
qualche concetto fondamentale. Per esempio il concetto di "lunghezza uguale"
e' definito con riferimento a un oggetto fisico, un regolo rigido, il cui
trasporto stabilisce le distanza uguali. Il concetto di "simultaneita'" e'
definito mediante l'impiego di raggi luminosi che si muovono su distanze
uguali."
In altri termini, dicendo
"Quando parte il segnale da (0,0,0) *entrambi* gli orologi segnano lo stesso
istante"
si dice una cosa che, se non viene supportata dalla sottolineatura di quale
e' stato il processo di sincronizzazione, e' *priva di senso fisico*, cioe'
non ha alcun senso.
E, quando anche venisse ricordato il processo di sincronizzazione scelto,
permarrebbe comunque vero che il confronto fra gli istanti segnati da
orologi lontani non ha senso fisico in quanto dipendente dalla scelta fatta
nel processo di sincronizzazione.
Sta proprio qua il nocciolo della tesi sostenuta dai fautori della
convenzionalita' della simultaneita'. Ed e' proprio questo il punto che non
viene accettato dai non convenzionalisti. Mia opinione e' che le tesi degli
anticonvenzionalisti siano inevitabilmente destinate a scomparire, per
quanto non sia ancora universalmente riconosciuta la inattaccabilita' delle
tesi dei convenzionalisti.
> Anche supponendo che l'orario segnato sia diverso (come nel caso del
> volo Australia-Roma), quello che e' importante e' che Dt = (tfin - tin)
> sara' uguale per entrambi gli orologi.
>
> E fin qui non abbiamo toccato la relativita' speciale.
No, no, l'abbiamo toccata eccome!!! Abbiamo toccato la sua "base logica".
Tfin e' l'istante segnato dall'orologio fisso nell'aereoporto romano
nell'istante in cui arriva l'aereo; tin e' l'istante segnato dall'orologio
fisso nell'aereoporto australiano nel momento in cui l'aereo parte
dall'Australia. Tfin-tin *non e'* un intervallo di tempo avente un qualche
significato fisico. Ad esempio basterebbe che l'Italia assumesse l'ora
legale proprio mentre l'aereo e' in volo e l'intervallo tfin-tin
risulterebbe piu' lungo di un'ora rispetto a quanto sarebbe se in Italia
fosse rimasta l'ora solare. Cioe', basterebbe scegliere una sincronizzazione
diversa e l'intervallo tfin-tin cambierebbe. Secondo il mio punto di vista,
e' assolutamente ovvio che tfin-tin *non ha* alcun significato fisico, il
che e' come dire che e' assolutamente ovvio che le tesi degli
anticonvenzionalisti sono insostenibili.
Prendere coscienza di tale "ovvieta'" (che diventa tale solo dopo che
qualcuno ce la mostra; prima dell'attacco di Einstein-Poincare', e della
sottolineatura di Reichenbach, il concetto di tempo "classico" era talmente
radicato in noi che non riuscivamo a vedere quella cosa "ovvia") e', a detta
di Reichenbach, la "base logica" della relativita'. E' talmente vero che il
concetto di tempo "classico" e' radicato in noi, che gli stessi Einstein e
Reichenbach, pur avendo messo in luce il carattere convenzionale della
simultaneita', cadranno in errori dovuti proprio al fatto che il concetto di
tempo "classico" torna inevitabilmente a "fare capolino", se non facciamo
attenzione a trattarlo per quello che e'.
> Ora, se diamo per buone le trasformazioni di Lorentz, c e' una
> velocita' limite, nel senso che se esiste un riferimento inerziale (RI)
> in cui un oggetto X e' fermo, in tutti i RI l'oggetto X avra' velocita'
> inferiore a c. Se invece l'oggetto X si muove a velocita' c in un RI,
> allora si muove a velocita' c in tutti i RI.
Ok, diamo per buone le trasformazioni di Lorentz (nel senso che, assumendo
la sincronizzazione standard, le trasformazioni avranno quella forma) e c
sara' una velocita' limite per i corpi macroscopici rigidi, cioe', ad
esempio, per gli orologi. Come dicevo in altri post, particolarmente
nell'ultimo (che probabilmente e' apparso dopo che tu avevi spedito il tuo),
in cui commento alcuni passi di Penrose, c non e' una velocita' limite per
un qualsiasi tipo di segnale.
> Poi c'e' il discorso dei tachioni, su cui in realta' non mi sono mai
> soffermato; comunque, ipotizzando la loro esistenza, da un punto di
> vista puramente cinematico non potrebbero mai essere misurati a
> velocita' inferiori a c.
Ho gia' detto in un precedente post in risposta a marcofuics (anche questo
pubblicato probabilmente dopo che tu avevi spedito il tuo) come, secondo il
mio parere, si dovrebbe fare per rivelare i tachioni. O meglio, li' ho detto
dove ho spiegato la cosa (arxiv, autore cocciaro).
> > Se cio' avvenisse si avrebbe il seguente paradosso:
> > 1) quando O0 segna tin partono da (0,0,0) i due segnali;
>
> Per comodita', visto che i due orologi sono sincronizzati (come detto
> sopra), ne usiamo uno solo, poniamo tin=0. Inoltre, dato che stai
> supponendo che non esista una velocita' limite, ignoriamo per il
> momento la cornice relativistica.
Come detto sopra, secondo il mio punto di vista (che io non riesco proprio a
vedere dove potrebbe essere attaccato, comunque sarei ben felice di entrare
nel merito della questione con te o con chiunque altro fosse interessato) la
relativita' *non vieta* l'esistenza di segnali superluminali, quindi
ipotizzare la loro esistenza *non significa* porsi al di fuori della
"cornice relativistica".
Inoltre "usare un solo orologio" direi che sia pressoche' impossibile. Lo
"strumento" spazio-tempo ci sta a dire proprio che *non possiamo* utilizzare
un solo orologio: abbiamo bisogno di tanti orologi fissi ciascuno in un
diverso punto del nostro riferimento. Quando l'aereo arriva a Roma si guarda
l'orologio di Roma segnare l'istante tfin e *non si puo' dire*: "Proprio
adesso l'orologio australiano sta segnando l'istante tfin". Tale
proposizione e' priva di senso.
> Al tempo 0 partono un segnale L a velocita' c, un segnale S a velocita'
> v arbitraria
>
> > 2) L arriva quando Od segna tin+d/c, S arriva quando Od segna un istante
> > tfin<tin+d/c-2d/c=tin-d/c;
>
> A questo punto, il tempo di percorrenza di L e' d/c , il tempo di
> percorrenza di S e' T = d/v
> Per ipotesi, se S arriva prima di L, deve essere T < d/c.
> E la cosa finisce qui. Non riesco a capire da dove salta fuori
> quell'addendo -2d/c.
Il punto e' che quello che tu chiami "tempo di percorrenza" e' privo di
senso. La "base logica" della relativita' sta proprio nel prendere coscienza
di cio'. d/c e' semplicemente la differenza fra l'istante segnato da Od nel
momento in cui, in (d,0,0), si riceve L (tale istante vale tin+d/c), e
l'istante segnato da O0 nel momento in cui, in (0,0,0), si emette L (tale
istante vale tin). Tale differenza e' priva di senso fisico in quanto e'
quella che e' perche' noi *abbiamo deciso* di farla essere cosi' quando
abbiamo sincronizzato gli orologi.
L'addendo -2d/c salta fuori in quanto, se in (d,0,0) il segnale S venisse
ricevuto nel momento in cui Od segna l'istante tfin<tin-2d/c, allora si
avrebbe il paradosso causale che mostravo nel seguito del post al quale hai
risposto (questo nell'ipotesi che siano valide le assunzioni della
relativita', in particolare che sia valido il fatto che, una volta
sincronizzati gli orologi, la misura di velocita' one-way della luce dara'
sempre lo stesso risultato).
> Ciao
> R.
> > Cioe' quando il segnale parte da (0,0,0) entrambi segnano l'istante
> > tin, e di nuovo entrambi segnano tfin all'arrivo del segnale in
> > (d,0,0).
>
> Quello che tu dici sopra e' un ottimo esempio di come veniva trattato il
> tempo prima della relativita'.
No, nel caso particolare vale anche all'interno della relativita'
speciale. Se io so che gli orologi sono in quiete l'uno rispetto
all'altro in un riferimento inerziale, mi basta sincronizzarli una
volta e poi restano sempre sincronizzati.
Se invece sono (l'uno rispetto all'altro) in moto rettilineo uniforme,
allora non ha senso misurare tfin(riferimento O1) - tin(riferimento O2)
per determinare la velocita' di propagazione.
Dovremo misurare tfin(O1) - tin(O1) e tfin(O2) - tin(O2), e a quel
punto la relativita' speciale ci dice che questi *intervalli* sono
diversi.
> Il concetto di "simultaneita'" e' definito mediante l'impiego di raggi luminosi che si muovono > su distanze uguali."
Perche' su distanze uguali?
> In altri termini, dicendo
> "Quando parte il segnale da (0,0,0) *entrambi* gli orologi segnano lo stesso
> istante" si dice una cosa che, se non viene supportata dalla sottolineatura di quale
> e' stato il processo di sincronizzazione, e' *priva di senso fisico*, cioe'
> non ha alcun senso.
No, se gli orologi sono in quiete nello stesso riferimento, basta dire
che sono stati sincronizzati in un certo momento, e lo saranno sempre.
Indipendentemente da come sono stati sincronizzati.
> Cioe', basterebbe scegliere una sincronizzazione
> diversa e l'intervallo tfin-tin cambierebbe.
Stai interpretando male il concetto di sincronizzazione. La
sincronizzazione e' data dalla costanza della differenza tra gli orari
segnati dai due orologi. Se ogni volta che effettuo la sincronizzazione
questa differenza e' la stessa, allora gli orologi sono *sempre
sincronizzati*.
> Secondo il mio punto di vista
Secondo me stai interpretando in modo errato il concetto di coordinate
rispetto ad un riferimento inerziale.
Ciao
R.
Secondo me, la questione e' difficile non perche' essa sia di laboriosa
complessita' computazionale, no.
La questione e' difficile perche' essa si pone a fondamento di
parecchia fisica, e' come una intricata intercorrelazione tra troppi
fenomeni.
Se tu inizi a riflettere su questo fatto devi per forza aprirti a nuove
prospettive.
La causalita' e' quanto di piu' profondo si possa arrivare a percepire,
ed e' legata ad essa la "possibilita' di ammettere (anche nella
elettro-dinamica classica) le onde avanzate". Se inizi a rosicchiare
questi assunti basilari poi devi rivedere da capo il significato
intrinseco del "campo"... ma non nella sua definizione operativa,
bensi' nella sua accezione "ontologica" : mi spiego meglio... <<a cosa
serve?>>-----oppure-----<<Cosa e'?>>
(io ti dico anche che la RG e' troppo elegante per essere soltanto
adibita alla gravitazione, e secondo me dovrebbe essere abbandonato il
campo in genere per fare spazio a teorie RG-like).
Dietro alla causalita' vi e' nascosto quasi tutto. Hai mai pensato che
l' "Aleatorio" sia sostanzialmente quello che non si puo' conoscere, e
che tale inconoscibile o e' un nostro limite/difetto oppure (vedi
Plank) e' intrinseco del mondo?
La conoscenza e' la controparte della causalita', cio' che si conosce
ci permette di stabilire se puo' condizionare eventualmente possibili
eventi-Effetto, ma bisogna conoscere. Cosa implica la conoscenza?
Mi spiego con un esempio:
Secondo te un teorema (in matematica) apporta nuova "conoscenza"?
Oppure esso e' soltanto la rielaborazione (fatta in altra forma, con
prospettive differenti) degli assunti [ipotesi] da cui prescinde?
Se pensiamo alla matematica come ad uno spazio a tante dimensioni,
allora basta analizzare un solo punto ed un suo piccolo intorno per
conoscere tutto... poiche' secondo me basta un unita' e lo zero per
ricostruire tutta la matematica. In fisica vale la stessa cosa? In un
piccolo posto dell'universo e' conservata quanta informazione? Secondo
te se fossi "capacissimo" potrei, attraverso l'indagine di cio' <<che
e' in una piccolissima regione>> inferire sull'intero universo?
Io penso di si. Io penso che : <<tutto, e' dappertutto e sempre>>. A
noi sembra che le cose siano qui e adesso, oppure li' e in quel tempo,
ma e' una apparenza.
Infatti sia la RG che la QFT puntano in questa direzione.
La RG dice che il futuro e' come il passato, e' tutto accaduto in un
ipotetico iper-mondo di dimensione superiore (5D nel caso classico); si
evince banalmente dalla eq.ne di Einstein, mentre per la QFT non e'
molto evidente.
Detto questo io ti diro', e' da un po' di tempo che rifletto su queste
faccende (saranno passati diversi anni) e cerco di leggere argomenti
inerenti.... e vedo come sia inequivocabilmente tutto interconnesso.
Quand'anche io possa pensare che alcuni testi/libri/articoli abbiano
poco a che fare con "la velocita' della luce" mi devo ricredere, alla
fin fine (sempre pero' che questi scritti non siano pura fisica, sempre
che siano filosofici ... tra la filosofia e la fisica) e' tutto
collegato.
> Una qualunque minimissima massa diventerebbe infinita, una volta
> accelerata fino alla massima velocità di propagazione dei segnali
Qual e' il significato che tu dai a questa cosa?
Qui intendevo massa relativistica naturalmente, non massa a riposo.
Le trasformazioni di Lorentz, E = m*c^2/SQRT[1-(v/c)^2],
M = m/SQRT[1-(v/c)^2], dove m è la massa a riposo e M è la massa
relativistica, e tutti i risultati della Relatività Speciale nascono
da:
1. Principio di Relatività
2. La velocità della luce non dipende dal sist. di rif. inerziale.
Quello che potrebbe, qui, essere messo in discussione è il 2.
Se esistesse una velocità limite di propagazione dei segnali, allora
questa dovrebbe essere, necessariamente, indipendente dal sist. di rif.
e quindi soltanto il postulato 1. sarebbe necessario.
Supponiamo infatti, per assurdo, che tale velocità limite dipenda dal
rif., e sia V in un certo sist. di rif. S. Allora potrei trovare un
sist. di rif. S' in cui essa è maggiore di V, contro l'ipotesi, ad
esempio muovendomi in senso opposto.
Una volta trovata una velocità che non dipende dal sistema di
riferimento inerziale, tutti i risultati della relatività (supponendo
valido anche 1.) conseguono automaticamente, comprese le relazioni di
cui sopra per l'energia totale e la massa relativistica.
Non saprei cosa aggiungere se non ripetermi.
Io non ho detto che orologi in quiete perdono la sincronizzazione. Anche
orologi in moto non la perdono. Sincronizzare significa scegliere una certa
procedura in base alla quale un certo orologio, in moto o meno che sia,
viene settato ad un certo istante nel momento in cui avviene un certo evento
(l'evento deve avvenire li' dove si trova l'orologio da sincronizzare). Una
volta settato ad un certo valore poi l'orologio va avanti a misurare gli
intervalli di tempo e, ovviamente, "non perde" piu' la sincronizzazione, nel
senso che l'istante che segnera' sara' sempre dipendente dal valore al quale
e' stato settato nel momento in cui e' stato sincronizzato.
Il motivo per il quale ti dicevo che quelle proposizioni vanno contro quella
che Reichenbach chiama "base logica" della relativita', e' che, come dice
Einstein (e Reichenbach sottolinea), la sincronizzazione viene fatta
settando "per definizione" l'orologio lontano all'istante tin+d/c nel
momento in cui riceve il fascio di luce partito, da distanza d, nel momento
in cui l'orologio fisso nel punto di partenza segnava l'istante tin.
E' tutta li', in quel "per definizione" ("durch Definition" scritto in
italico nell'originale del 1905), quella che Reichenbach chiama "base
logica" della relativita'.
Poi Reichenbach va avanti nel dire che, come tutte le definizioni, anche la
definizione (detta standard) adottata da Einstein puo' essere modificata non
essendoci alcuna conseguenza per la fisica. Ne segue che il "tempo di
percorrenza" di un aereo fra la Nuova Zelanda e Roma (o di un fotone fra i
punti A e B, o di un qualsiasi segnale fra un qualsiasi punto e un qualsiasi
altro) e' un concetto privo di significato fisico: basta cambiare la
sincronizzazione per cambiare quel tempo di percorrenza; basta che l'Italia
torni all'ora solare per far passare quel tempo di percorrenza da 4 ore a 3
ore, o anche, da 10 minuti a -50 minuti. Ne segue anche che non ha alcun
senso dire, essendo a Roma: "Proprio adesso in Nuova Zelanda sono le 5".
Quando noi pronunciamo una proposizione del genere intendiamo qualcosa di
strettamente connesso alla sincronizzazione scelta.
Per la precisione intendiamo questo (se sincronizzassimo secondo la
relazione standard, cosa non vera in quanto, come noto, gli orologi sulla
Terra si sincronizzano secondo il sistema dei fusi orari):
"Se, proprio adesso che il mio orologio segna l'istante tin, mandassi un
segnale luminoso L verso la Nuova Zelanda, allora L sara' ricevuto in Nuova
Zelanda quando l'orologio fisso la' segnera' l'istante tin+d/c, essendo
d=distanza fra me e la Nuova Zelanda e c=velocita' di andata e ritorno della
luce".
Non diciamo niente sulle proprieta' "ora" dell'orologio fisso in Nuova
Zelanda (non potremmo dirlo perche' non avrebbe senso). Ci stiamo invece
pronunciando sulle proprieta' dell'orologio fisso in Nuova Zelanda
(l'istante da lui segnato) nel momento in cui la', in Nuova Zelanda,
avverra' un certo evento (la ricezione del segnale luminoso da noi spedito).
> > Il concetto di "simultaneita'" e' definito mediante l'impiego di raggi
luminosi che si muovono > su distanze uguali."
>
> Perche' su distanze uguali?
Credo che Reichenbach voglia intendere questo:
quando diciamo "il mio orologio ha misurato 2 minuti da quando e' squillato
il telefono a quando ho riagganciato la cornetta"
intendiamo questo:
1) un segnale luminoso e' partito dal punto dove sono nel momento esatto in
cui (nel punto dove sono) ha squillato il telefono;
2) il segnale luminoso si e' andato a riflettere su uno specchio che si
trova nel punto A, distante d da me, per poi tornare da me, riflettersi di
nuovo verso A (potrebbe anche andare verso B, l'importante e' che A e B
abbiano, rispetto a me, distanze *uguali*), tornare ancora ecc ...;
3) esattamente nel momento in cui riagganciavo la cornetta il segnale
luminoso tornava da me dopo la n-esima riflessione essendo n=(c*2minuti)/2d.
In sostanza credo che Reichenbach voglia dire che quando diciamo "orologio"
intendiamo un orologio a luce o un qualsiasi altro marchingegno che sia
sincrono all'orologio a luce.
cometa luminosa ha scritto:
> Qui intendevo massa relativistica naturalmente, non massa a riposo.
>
> Le trasformazioni di Lorentz, E = m*c^2/SQRT[1-(v/c)^2],
> M = m/SQRT[1-(v/c)^2], dove m è la massa a riposo e M è la massa
> relativistica, e tutti i risultati della Relatività Speciale nascono
ma e' una rielaborazione della contrazione delle lunghezze.... o mi
sbaglio?
io mi riferisco a quello che anche tu spesso vuoi porre in risalto, e
cioe' non il fatto matematico ma il significato fisico...
> da:
> 1. Principio di Relatività
> 2. La velocità della luce non dipende dal sist. di rif. inerziale.
Beh, se tu ci pensi, se il suono potesse propagarsi senza mezzo
anch'esso sarebbe indpte dal sist_rif.
In genere la velocita' dell'onda si aggiunge alla vel.ta' del mezzo su
cui si propaga..... ma poi c'e' un <<ma>>.
Se un suono si propaga in una bacchetta di ferro esso andra' da un capo
all'altro della bacchetta "sfruttando il mezzo" (il ferro) per
propagarsi. Se la bacchetta gia' di per se' viaggia ovviamente il
fronte d'onda sonoro avra' percorso tanto spazio da risultare in tutto
sia quello che gli compete sia in piu' quello che gli offre la
bacchetta spostandosi.
Ecco che la luce non appoggiandosi "sulla bacchetta" non aggiunge nulla
(ne' sottrae) al suo spazio percorso.
Ovviamente visto che il suono e' una (fonone-like) perturbazione del
reticolo atomico del metallo, esso sara' una mediazione "stocastica"
(tipo random walk) sulle vibrazioni, che a loro volta trasferiscono la
dinamica sulla base della attrazione-repulsione e-m (oscillatori
armonici in prima approx.).
se ad esempio orienti drasticamente le perturbazioni del reticolo
ottieni un aumento della velocita' longitudinale a discapito di un
abbassamento della vel.ta' trasversale (un incanalamento longitudinale
del flusso energetico operato ad ex. con immersione in campi
magnetici)....
e stai sempre al limite vecchio: ogni "suono" (ogni perturbazione) non
potra' mai superare la perturbazione sulla quale si appoggia, cioe' la
interazione elettromagnetica.
E' la "durata del processo" di emissione/assorbimento che ti da'
un'idea del rapporto tra moto del ricevitore e dell'onda. Se questo
processo (di passaggio d'energia dall'onda al ricevitore) avviene in un
tempo nullo allora hai che la velocita' dell'onda e' costante, se
invece hai un intervallo di tempo finito durante il quale l'onda cede
energia allora ecco l'accoppiamento.
Sei (siete) d'accordo? Se non sei (siete) in accordo con me posso
convincervi di questo con un discorso piu' elaborato, ma vi assicuro
che questo che ho scritto vale; [ovviamente quando l'onda sia "l'onda"
che tutti abbiamo studiato :)) cioe' no-fanta-scienza e/o magia].
Io adesso mi riallaccio a quello che avevo chiesto prima: che
significato dai all'incremento della massa quando vista "correre"?
O meglio, qual e' il significato che si puo' dare al fatto che la
<<energia>> passa da un corpo all'altro , o meglio da un entita'
all'altra?
In questo caso passa dall'onda all'atomo diciamo.... cioe' l'onda e-m
trasporta energia (nello spazio) dalla sorgente al destinatario.
Al tempo della ricezione questa energia cessa di appartenere al campo
(all'onda e-m) per diventare energia del sistema-ricevitore (dell'atomo
che assorbe).
E' immediato questo passaggio?
Una volta che l'atomo ricevitore sara' stato eccitato avra' un suo
tempo Tau per rilassarsi, dopo di che ripetera' il fatto.
Questo Tau che significato ha?
Non e' allora ammissibile che l'onda prosegua il suo cammino
indisturbata attraverso l'atomo (che noi percepiamo come entita'
concreta, fermione)?
L'onda non viene mai assorbita, soltanto entra in uno spazio dilatato e
quindi sembra rallentare. L'energia dell'atomo e' questo stesso spazio
dilatato.
Sembra un rifacimento della RG. Ma perche' allora esiste un bordo tra
lo spazio "naturale" che mi appare come esterno e lo spazio "locale,
compattato, tangente"?
> qualora tu fossi interessato le potresti trovare esposte (nella maniera
> piu'
> chiara possibile posto il mio inglese) sugli arxiv mettendo "cocciaro"
> alla
> voce "autore".
Ciao Bruno,
come sta andando la recensione dell'articolo? hai avuto risposta?
Temo che prima di sottomettere a FoP avresti dovuto far revisionare
linguisticamente a un nativo. I referee sono spesso infastiditi da
linguaggio impreciso (e a tratti proprio errato), e puo' capitare che
l'articolo venga rigettato solo per questo. Spero non succeda, ma se succede
non incazzarti.
Complimenti comunque.
Bye
Hyper
Ciao Hyper, grazie tanto per la domanda.
L'articolo e' bloccato da tempo. mi pare che piu' o meno verso Giugno
l'editore mi disse che solo tre referee gli avevano risposto declinando
l'invito ad esprimere parere, altri tre non avevano risposto. Questo gli
faceva concludere che l'articolo non fosse interessante per gli standard
della rivista. Non mi sono tanto interessato a provare una pubblicazione
altrove per i motivi che dico sotto.
> Temo che prima di sottomettere a FoP avresti dovuto far revisionare
> linguisticamente a un nativo. I referee sono spesso infastiditi da
> linguaggio impreciso (e a tratti proprio errato), e puo' capitare che
> l'articolo venga rigettato solo per questo. Spero non succeda, ma se
succede
> non incazzarti.
L'ho fatto rivedere ad una mia amica che parla inglese correttamente. Mi
voleva correggere quasi tutte le frasi, poi io le dicevo "Ma no, come dici
tu poi non si capisce che io vorrei dire cosi' e cosi' ..." e lei "Ma guarda
che come l'hai messa tu non e' propriamente in inglese, io la metterei cosi'
..." a me non andava quasi mai bene e alla fine lei faceva "OK, se non ti
senti sicuro mettila come vuoi, pero' un inglese avebbe qualche problema a
capire". Insomma, a me parrebbe chiarissimo, ma evidentemente e' venuto
fuori un pastrocchio. Il punto e' che ci sarebbe voluta una amica fisica che
parla bene l'inglese, ma questa mia amica e' una letterata.
Ad ogni modo non mi incazzo. Capisco anche l'editore al quale mi saro'
rivolto forse troppo presto per chiedere notizie (o con troppa insistenza),
e quello avra' pensato qualcosa tipo "Quanto scoccia questo :-(, ora me lo
tolgo dalle scatole".
Non mi sono interessato a proporre l'articolo ad una qualche altra rivista
perche' mi sono dedicato piu' alla ricerca di qualcuno disposto a provare il
test sperimentale. Ad ogni modo, gia da tempo avrei iniziato una nuova
versione (l'inglese e' solo leggermente migliorato: l'ho passato sotto un
correttore degli errori di ortografia), puo' darsi che, quando mi decidero'
di finirla, oltre che mandarla agli arxiv, decida di provare a sottoporla a
qualche altra rivista.
> Complimenti comunque.
Grazie tanto, di nuovo.
> Bye
> Hyper
Secondo il mio parere quello che tu dici costituisce un problema.
Autorevoli fisici l'hanno gia' in passato messo in luce. Ad esempio
Bridgman, nel saggio che manda al volume che Schilpp pubblica in occasione
del settantesimo compleanno di Einstein (il volume che ricordavo di recente
riguardo al saggio di Reichenbach), si esprime cosi':
"In particolare, se usiamo un sistema di riferimento che ci permetta la
separazione convenzionale in coordinate spaziali e temporali, allora una
prima specificazione di esso sara' data dal fatto che le coordinate spaziali
debbono essere determinate da regoli "rigidi" e le coordinate spaziali da
"orologi". Logicamente, dovremmo essere capaci di attribuire un significato
primario alle parole "rigidi" e "orologi"; ma per quanto ne so io, non ci si
e' ancora riusciti."
"Albert Einstein, scienziato e filosofo" a cura di P. A. Schilpp pag 285
Edizioni Scientifiche Einaudi (1958).
Mi pare che i due problemi si possano facilmente ridurre ad uno (posti i
regoli rigidi si definisce orologio il contatore di rimbalzi di un fascio
luminoso agli estremi del regolo rigido, cioe' l'orologio a luce), pero'
quel problema rimane: la definizione di corpo rigido.
Tale problema a me pare ineludibile e, per quanto ne so, e' tuttora aperto.
Mi sentirei inoltre di aggiungere che quel problema era ben chiaro, fra gli
altri, allo stesso Einstein che nel 1921, in "Geometria ed esperienza",
http://matsci.unipv.it/persons/antoci/re/Einstein21.pdf , si esprime cosi':
"E' chiaro anche che i corpi rigidi e l'orologio non giocano nell'edificio
concettuale della fisica il ruolo di elementi irriducibili, ma solo il ruolo
di immagini composte, che nella costruzione della fisica teorica non possono
giocare alcun ruolo indipendente. E' tuttavia mio convincimento che questi
elementi concettuali allo stadio attuale di sviluppo della fisica teorica
possono essere introdotti solo come concetti indipendenti; siamo infatti
troppo lontani da una conoscenza dei fondamenti teorici della fisica
atomica, da poter dare costruzioni teoriche esatte di quelle immagini."
Non saprei dire se interpreto correttamente il passo di Einstein, ma a me
pare che egli voglia dire che uno dei principali scopi della fisica atomica
dovrebbe essere quello di arrivare a rispondere al quesito: "Cosa e' un
corpo rigido"?
> L'articolo e' bloccato da tempo. mi pare che piu' o meno verso Giugno
> l'editore mi disse che solo tre referee gli avevano risposto declinando
> l'invito ad esprimere parere, altri tre non avevano risposto. Questo gli
> faceva concludere che l'articolo non fosse interessante per gli standard
> della rivista.
Uhm. Si, gli editors tendono a tirare conclusioni di quel tipo. La realta'
e' che data l'enormita' di riviste in circolazione, il carico di lavoro sul
referee medio sta diventando insostenibile, e a volte non ce la si fa
proprio a impegnarsi per una recensione seria. Io se fossi in te sistemerei
l'inglese, e riproverei. Anche alla stessa rivista, sperando di azzeccare
qualche referee libero. FoP accetta suggerimenti da parte dell'autore su
referee potenziali? se si, potresti indicare Elio, Valter, e altre persone
che potrebbero aumentare le chances. Enrico e Giorgio (per chiudere l'elenco
dei nomi piu' accreditati di questo NG) mi sembrano un po' fuori
dall'argomento dell'articolo, ma potrei sbagliarmi. Non c'e' niente di male
a suggerire recensori, tanto poi non e' detto che l'editor accetti.
> Insomma, a me parrebbe chiarissimo, ma evidentemente e' venuto
> fuori un pastrocchio.
Ehm...proprio un pastrocchio no...pero' qualcosina andrebbe proprio
aggiustata...:-p
> Il punto e' che ci sarebbe voluta una amica fisica che
> parla bene l'inglese,
Meglio ancora un/a nativo/a fisico/a, o perlomeno qualche emigrato/a con
anni di esperienza nella scrittura tecnico/scientifica. Quando ero a
Bologna, facevamo revisionare tutti gli articoli da una insegnante di
inglese di madrelingua. Tuttavia, nonostante questo, capitava relativemente
di frequente di sentirsi raccomandare dai referees una ulteriore revisione
di linguaggio.
> ma questa mia amica e' una letterata.
> Ad ogni modo non mi incazzo. Capisco anche l'editore al quale mi saro'
> rivolto forse troppo presto per chiedere notizie (o con troppa
> insistenza),
> e quello avra' pensato qualcosa tipo "Quanto scoccia questo :-(, ora me lo
> tolgo dalle scatole".
Secondo me, ma spero di sbagliarmi, l'affiliazione con indirizzo di casa
potrebbe aver giocato un ruolo. A me non e' mai capitato di recensire un
articolo da un "privato", o un "indipendente". Chiaramente, se mi capitasse,
immagino che non avrei pregiudizi di sorta, o perlomeno spererei di non
averli. Ma considerate le boundary conditions a cui e' sottoposta l'editoria
scientifica odierna (potenziale di impatto), nonche' le pratiche oramai
consuete di favorire regioni geografiche particolari (e' risaputo che se
nessuno degli autori di un Phys. Rev. e' americano, le chance sono
drammaticamente diminuite), temo che i non-affiliati abbiano vita ancor piu'
dura nel passare lo scrutinio dell'editor.
> Non mi sono interessato a proporre l'articolo ad una qualche altra rivista
> perche' mi sono dedicato piu' alla ricerca di qualcuno disposto a provare
> il
> test sperimentale.
La vedo duretta. Secondo me se partissi con un articolo pubblicato, avresti
una base piu' solida per proporre eventuali esperienze.
> puo' darsi che, quando mi decidero'
> di finirla, oltre che mandarla agli arxiv, decida di provare a sottoporla
> a
> qualche altra rivista.
Ad esempio, Eur. J. Phys., tanto per citare la prima potenzialmente adatta
che mi viene in mente.
Bye
Hyper
Già. Per poterlo definire, bisognerebbe prima avere definito il
concetto di distanza, che non può essere definito senza un regolo
rigido...dico bene?
Beh, secondo il mio parere, piu' o meno si'.
Il concetto di regolo io direi che viene prima di quello di distanza, nel
senso che poi le distanze uguali le definiamo tramite i regoli. Poi pero' e'
ovvio che il regolo non lo possiamo definire usando il concetto di distanza.
Si dovrebbee dire: "Se un certo corpo segue questa fisica ..., allora viene
detto rigido" e, come e' ovvio, in "questa fisica ..." non deve comparire il
concetto di distanza.
Ma poi xche' questo inglese e' dappertutto........ beh, ubi major minor
cessat!
l'italiano come lingua e' molto piu' adatta alla "fisica" della lingua
inglese. C'e' meno possibilita' di entrare in confusione.
E' l'inglese una lingua che per essere correttamente interpretata
necessita di una validazione del contenuto sulla scorta dell'intero
contenuto stesso; in essa si possono annidare delle confusioni e molto
spesso e' il contesto stesso a chiarire quale sia il significato da
porre nel particolare; quindi fai un po' tu ... pensando di parlare di
fisica cosa sia meglio?
Per l'italiano cio' non accade (anche se ultimamente siamo sulla scia
degli americani e stiamo impoverendo la bellezza della lingua... che a
parer mio, filologicamente e semanticamente, e' molto efficace nella
espressione dei concetti).
Ti diro' che il latino e' ancora meglio.
> Io non ho detto che orologi in quiete perdono la sincronizzazione. Anche
> orologi in moto non la perdono. Sincronizzare significa scegliere una certa
> procedura in base alla quale un certo orologio, in moto o meno che sia,
> viene settato ad un certo istante nel momento in cui avviene un certo evento
> (l'evento deve avvenire li' dove si trova l'orologio da sincronizzare). Una
> volta settato ad un certo valore poi l'orologio va avanti a misurare gli
> intervalli di tempo e, ovviamente, "non perde" piu' la sincronizzazione, nel
> senso che l'istante che segnera' sara' sempre dipendente dal valore al quale
> e' stato settato nel momento in cui e' stato sincronizzato.
Innanzitutto in fisica sarebbe forse piu' corretto parlare di
cronometri, e non di orologi, nel senso che non c'e' un concetto di
"orario convenzionale segnato dall'apparecchio", ma di "sequenza
continua di istanti temporali a partire da un arbitrario istante zero".
Dico che due cronometri sono sincronizzati (ovvero "battono lo stesso
tempo") se la differenza degli istanti segnati dall'uno e dall'altro
resta costante ad ogni misurazione.
Dal punto di vista galileiano, si ritiene istantanea la trasmissione di
segnali, quindi la sincronizzazione puo' essere verificata
semplicemente guardando l'istante segnato dai due orologi.
Dal punto di vista einsteiniano, se teniamo conto della velocita'
finita di propagazione della luce, io che osservo i cronometri K1 e K2
da una distanza rispettivamente pari a d1 e d2, dovro' aggiungere d1/c
e d2/c all'istante che leggo sui cronometri.
Per fare questo, finche' gli orologi sono in quiete nel mio
riferimento, mi e' sufficiente sapere che la luce ha velocita' c *nel
mio riferimento*, e non e' necessario che valga l'invarianza di c
rispetto a cambiamenti di riferimento.
Quindi, fino a questo punto, non ha senso introdurre l'idea di una
velocita' limite. Potrebbero esistere segnali piu' veloci del mio
segnale di sincronizzazione, e potrei misurarli senza problemi perche',
verificando che la sincronizzazione e' sempre mantenuta, posso usare i
tempi segnati dai due cronometri come se fossero lo stesso cronometro.
Ovviamente potrei cominciare a misurarli dopo aver effettuato la prima
sincronizzazione.
E non avrei particolari vincoli alla velocita' di trasmissione del
segnale.
La relativita' speciale pero' non dice semplicemente "dobbiamo tener
conto che la luce ha velocita' finita", ma che
1) il valore di c e' costante in tutti i sistemi di riferimento
inerziali.
2) le leggi della fisica sono invarianti rispetto ai cambiamenti di
riferimento inerziale
Da qui le trasformazioni di Lorentz e il fatto che, mentre la
sincronizzazione e' mantenuta tra cronometri in quiete, non lo e' piu'
quando uno dei due cronometri e' in moto rispetto al mio riferimento.
E l'invarianza rispetto alle trasformazioni di Lorentz implica che c
sia una velocita' limite.
Ciao
R.
> Innanzitutto in fisica sarebbe forse piu' corretto parlare di
> cronometri, e non di orologi, nel senso che non c'e' un concetto di
> "orario convenzionale segnato dall'apparecchio", ma di "sequenza
> continua di istanti temporali a partire da un arbitrario istante zero".
ciao, ancora piu' in deep vorrei scendere ad indagare... :)) se e'
possibile....
Mi chiedo:
si potrebbe "misurare il tempo" in un ipotetico universo, diciamo come
il nostro, ma in cui esistesse un solo corpo... puntiforme?
Secondo me no.
Il tempo e' indagabile quando?
Immaginate che sia possibile misurarlo con un crono-metro impersonato
da una dinamica rettillinea e uniforme?
No, ci vuole qualche cosa di accelerato, una variazione e' necessaria
altrimenti non vi puo' essere un confronto... tutto praticamente
verrebbe annullato da una dinamica rettillinea e uniforme.
Meglio e' una dinamica periodica. Ma la domanda mia ora e': esistono
dinamiche non uniformi e costanti che siano non-periodiche?
Pensiamoci bene :))
Tutte le dinamiche qualora non uniformi ne' costanti sono per forza
periodiche!
> Per l'italiano cio' non accade (anche se ultimamente siamo sulla
> scia degli americani e stiamo impoverendo la bellezza della lingua...
> che a parer mio, filologicamente e semanticamente, e' molto efficace
> nella espressione dei concetti).
Premetto che a me la gente che parla di "bellezza" di una lingua mi
sta sempre un po' sulle scatole.
Pero' sulla deleteria influenza del (cattivo) inglese sull'italiano
(degli ignoranti) sono d'accordo.
> Ti diro' che il latino e' ancora meglio.
Se ti vedrei male scrivere in inglese, non parliamo neppure del latino
:-))
--
Elio Fabri
Ciao marcofuics,
ti ringrazio veramente di cuore, ma il punto e' che non mi sarei proprio mai
potuto aspettare tanta gentilezza ... prima della pubblicazione del tuo
messaggio me ne erano gia' arrivati due in privato nei quali altri due
utenti offrivano gentilmente il loro aiuto. Al primo ho risposto dicendogli
che cerchero' al piu' presto di completare la nuova versione per poi
mandargliela per l'eventuale revisione, al secondo ho risposto dicendogli
che non era il caso che si impegnasse nella revisione linguistica visto che
gia' un altro utente aveva offerto il proprio aiuto. Stessa cosa dico a te
rinnovando i ringraziamenti.
> Innanzitutto in fisica sarebbe forse piu' corretto parlare di
> cronometri, e non di orologi, nel senso che non c'e' un concetto di
> "orario convenzionale segnato dall'apparecchio", ma di "sequenza
> continua di istanti temporali a partire da un arbitrario istante zero".
D'accordissimo. Gli orologi sono semplicemente dei cronometri che possono
essere sincronizzati all'istante voluto. Ma e' certo che la parte fisica e'
costituita dal cronometro, cioe' dal misuratore di intervalli di tempo.
> Dico che due cronometri sono sincronizzati (ovvero "battono lo stesso
> tempo") se la differenza degli istanti segnati dall'uno e dall'altro
> resta costante ad ogni misurazione.
Qua mi sa che stai usando la parola "sincronizzazione" dandole un
significato diverso da quello che le do io. Se ben capisco quanto dici, io
chiamo "cronometri sincroni" quelli che tu chiami "cronometri
sincronizzati". In realta' dicendo "cronometri sincroni" si ripete due volte
lo stesso concetto: due cronometri, cosi' come due orologi, non sarebbero
tali se non fossero sincroni.
Con orologi sincronizzati intendo orologi i cui istanti sono stati settati
ad un dato valore secondo una data procedura.
Mi sembra che la parola "sincronizzazione" venga normalmente usata secondo
il significato che le do io.
> Dal punto di vista galileiano, si ritiene istantanea la trasmissione di
> segnali, quindi la sincronizzazione puo' essere verificata
> semplicemente guardando l'istante segnato dai due orologi.
>
> Dal punto di vista einsteiniano, se teniamo conto della velocita'
> finita di propagazione della luce, io che osservo i cronometri K1 e K2
> da una distanza rispettivamente pari a d1 e d2, dovro' aggiungere d1/c
> e d2/c all'istante che leggo sui cronometri.
Qua mi pare che tu continui a sorvolare sulla "base logica" della
relativita'.
Einstein *non dice* che "dovro'" aggiungere d1/c.
Dice che sceglie *per definizione* di settare l'orologio distante d1
all'istante tin+d1/c nel momento in cui riceve il segnale luminoso partito,
da distanza d1, quando l'orologio fisso li' segnava l'istante tin.
Reichenbach riprende la cosa sottolineando che la scelta operata da Einstein
non e' necessaria, si potrebbero operare altre scelte. Tutto il dibattito
sulla convenzionalita' della simultaneita' verte proprio sulla effettiva
possibilita' o meno di poter operare scelte diverse.
> Per fare questo, finche' gli orologi sono in quiete nel mio
> riferimento, mi e' sufficiente sapere che la luce ha velocita' c *nel
> mio riferimento*, e non e' necessario che valga l'invarianza di c
> rispetto a cambiamenti di riferimento.
No. Non ho bisogno di nulla. Una scelta si opera nella maniera che si
"sceglie".
Il dibattito sulla convenzionalita' della simultaneita' si e' protratto per
quasi un secolo. Io lo ritengo chiuso per quanto sia vero che ogni tanto
ancora oggi compare qualche pubblicazione in cui si sostiene la necessita'
della sincronizzazione standard.
Se tu vuoi sostenere la necessita' della sincronizzazione standard (cioe' se
vuoi sostenere, come fanno alcuni, che, sebbene Einstein abbia detto "per
definizione", in realta' la sua scelta e' necessaria, e' dettata dai fatti)
allora ti pregherei di dirlo esplicitamente.
Come ripeto io ritrengo assolutamente insostenibile tale tesi, pero',
per capirsi, e' importante definire bene le proprie posizioni e capire bene
le posizioni degli interlocutori.
Il punto da cui eravamo partiti era che io sostengo la mancanza di
significato fisico in proposizioni tipo "quando il segnale parte da (0,0,0)
entrambi [gli orologi distanti] segnano l'istante tin".
Per dare un significato fisico non vuoto a proposizioni simili si deve
necessariamente passare per la definizione di una sincronizzazione (nel
senso da me indicato) "assoluta". Io almeno non vedo alternative.
> E' la "durata del processo" di emissione/assorbimento che ti da'
> un'idea del rapporto tra moto del ricevitore e dell'onda. Se questo
> processo (di passaggio d'energia dall'onda al ricevitore) avviene in un
> tempo nullo allora hai che la velocita' dell'onda e' costante, se
> invece hai un intervallo di tempo finito durante il quale l'onda cede
> energia allora ecco l'accoppiamento.
Se intendi dire che la velocità di propagazione di un'onda EM (per
esempio) all'interno di un mezzo materiale dipende dalla durata dei
processi di assorbimento ed emissione, allora sono d'accordo, ma
"mettendo i puntini sulle i": bisogna precisare che all'interno di un
mezzo materiale come il vetro, ad esempio, non si tratta tanto di
assorbimento/emissione quanto di "risposta" del cristallo (se è
trasparente a quella frequenza) che vibra con una certa differenza di
fase rispetto alla frequenza forzante, differenza che poi si accumula
in tutto il percorso all'interno del cristallo e che quindi risulta in
un ritardo temporale.
> Io adesso mi riallaccio a quello che avevo chiesto prima: che
> significato dai all'incremento della massa quando vista "correre"?
> O meglio, qual e' il significato che si puo' dare al fatto che la
> <<energia>> passa da un corpo all'altro , o meglio da un entita'
> all'altra?
> In questo caso passa dall'onda all'atomo diciamo.... cioe' l'onda e-m
> trasporta energia (nello spazio) dalla sorgente al destinatario.
> Al tempo della ricezione questa energia cessa di appartenere al campo
> (all'onda e-m) per diventare energia del sistema-ricevitore (dell'atomo
> che assorbe).
> E' immediato questo passaggio?
> Una volta che l'atomo ricevitore sara' stato eccitato avra' un suo
> tempo Tau per rilassarsi, dopo di che ripetera' il fatto.
> Questo Tau che significato ha?
> Non e' allora ammissibile che l'onda prosegua il suo cammino
> indisturbata attraverso l'atomo (che noi percepiamo come entita'
> concreta, fermione)?
> L'onda non viene mai assorbita, soltanto entra in uno spazio dilatato e
> quindi sembra rallentare. L'energia dell'atomo e' questo stesso spazio
> dilatato.
Quindi un atomo o, in generale, un mezzo materiale, lo vedresti come
una sorta di "buca" nel cammino della luce, che quindi non è tanto
"rallentata" quanto "deviata" in un percorso più lungo rispetto al
vuoto?
>
> Quindi un atomo o, in generale, un mezzo materiale, lo vedresti come
> una sorta di "buca" nel cammino della luce, che quindi non č tanto
> "rallentata" quanto "deviata" in un percorso piů lungo rispetto al
> vuoto?
Esattamente... (ma a pansarci bene non e' che queste cose me le stia
inventando adesso, sono solo una interpretazione di quanto gia'
largamente condiviso)
Costui insiste da tempo a riempire internet con le sue elucubrazioni
senza capo ne' coda, in generale impossibili da criticare appunto
perche' prive di senso compiuto: soltanto chiacchiere...
E io per essere "educato" non dovrei dirlo?
Bene: io *sono maleducato*, e non ho nessuna intenzione di cambiare.
Se a qualcuno non piace, peggio per lui.
--
Elio Fabri
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Elio Fabri