La gaffe su Marco Biagi, le straordinarie carriere dei suoi familiari, la
tratta aerea “ad personam” da Albenga a Roma. Quella prudenza
sull’arresto di Di Girolamo
di Peter Gomez
“Certo, c’è bisogno di una moralità più forte, ma anche di non
destabilizzare il sistema”. Quando in febbraio a finire sotto inchiesta
era stato Nicola Di Girolamo, il senatore abusivo entrato in Parlamento
grazie ai voti della ‘ndrangheta e a falsi documenti che attestavano la
sua residenza all’estero, il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio
Scajola, aveva invitato tutti alla prudenza.
NEPOTISMO, ASSEGNI IN NERO E GAFFE SE QUESTO È UN MINISTRO
I miracoli di “Sciaboletta” Scajola fino ai legami con la “cricca”
“Certo, c'è bisogno di una moralità più forte, ma anche di non
destabilizzare il sistema”. Quando in febbraio a finire sotto inchiesta
era stato Nicola Di Girolamo, il senatore abusivo entrato in Parlamento
grazie ai voti della 'ndrangheta e a falsi documenti che attestavano la sua
residenza all'estero, il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio
Scajola, aveva invitato tutti alla prudenza. Gli italiani si stavano
riprendendo a stento dalle rivelazioni sul sistema di appalti truccati che
ruotava attorno a una serie di ex stretti collaboratori del sottosegretario
alla Protezione civile, Guido Bertolaso, che adesso si apriva un altro
fronte.
Così Scajola, 62 anni, era apparso preoccupato. E aveva paventato il
rischio destabilizzazione. Molti pensavano che si riferisse al sistema
politico e a quello economico. Ma in realtà, come si comincia a intuire
adesso, Scajola parlava di se stesso. Sì, perché intorno a “u
ministru”, come lo chiamano nel suo feudo elettorale del Ponente Ligure,
ruota un vero e proprio sistema – elettorale e familiare – che finora lo
ha salvato da qualsiasi rovescio. E che oggi, c'è da giurarlo, lo salverà
anche dall'accusa di aver intascato un assegno da mezzo milione di euro
gentilmente offerto nel 2004 da uno degli uomini della “cricca” che si
era raggrumata dalle parti della Protezione civile: l'architetto Angelo
Zampolini, alter ego e forse testa di legno del costruttore Diego Anemone.
CERTO, IN UN altro Paese (anzi in altri paesi), di fronte a un sospetto del
genere, un ministro come lui che lo scorso anno ha gestito fondi per cinque
miliardi destinati a incentivi a fondo perduto e contributi alle imprese
private, non resterebbe sulla sua poltrona un minuto di più. Anche perché
Scajola è pure di fatto lo sponsor, assieme al premier Silvio Berlusconi
del grande affare dei prossimi 15 anni: il ritorno delle centrali nucleari.
Un po' troppo insomma per non chiedersi se, in tempi di ristrettezze
economiche, non sia il caso di sostituirlo con qualcuno che non abbia
l'imbarazzo di dover spiegare i motivi per cui il suo splendido appartamento
romano con vista sul Colosseo sia stato acquistato, secondo i pm, anche con
soldi in nero, gentile dono della cricca.
MA SCAJOLA, spesso soprannominato Sciaboletta dai giornali per la non
slanciata statura, è assieme a Giulio Tremonti l'uomo più influente del
governo. Ha saputo collezionare deleghe pesanti come Attività produttive,
Comunicazioni e Commercio con l'estero e, soprattutto, ha dimostrato nel
tempo di essere fatto d'acciaio.
La politica, del resto, ce l'ha nel sangue. Anzi nell'albero genealogico. La
sua famiglia ha regalato a Imperia tre sindaci dc: il padre Ferdinando
(costretto a dimettersi negli anni ’50 perché sospettato di aver favorito
il cognato per un posto di primario), Alessandro, e infine lui, Claudio, nel
1982. L’anno seguente, però, Scajola è già in manette. Arrestato dai
carabinieri per ordine dei giudici milanesi che indagavano sullo scandalo
dei casinò: una storia nera di clan mafiosi siciliane che han messo le mani
sulle case da gioco di Sanremo e Campione d’Italia, accordandosi con i
politici locali. Scajola è accusato di essersi incontrato in Svizzera il 20
maggio del 1983 con il sindaco di Sanremo e il conte
Borletti – che aspirava al controllo del casinò sanremese – e di
avergli chiesto 50 milioni a titolo di “rimborso spese” per l’impegno
profuso dai politici di Imperia e Sanremo. Settanta giorni a San Vittore.
Lui si difende ammettendo di aver visto Borletti – ma solo perché
nominato tra i saggi incaricati dal partito di capire che cosa stava
accadendo intorno al casinò – e dicendo di aver chiesto al conte non
tangenti, ma un maggiore equilibrio politico nella gestione della casa da
gioco. Alla fine lo assolvono. Si fa rieleggere sindaco, poi nel ’95 si
ricandida con una lista civica. Di Forza Italia, alleata con An, non ha una
grande opinione: “Sono solo dei fascistelli”. Poi cambia idea e passa
con loro. Carriera folgorante. Berlusconi lo promuove responsabile
organizzativo, lui in pochi anni trasforma il partito di plastica in una
macchina da guerra. E intanto incensa il capo. “Berlusconi è il sole al
cui calore tutti vogliono scaldarsi”, dice serio, ricordando a tutti di
aver ricevuto “l’incarico di lavorare affinché il presidente possa
essere fiero del movimento che ha creato”. Nel 2001 arriva il premio:
ministro dell’Interno. Per la prima volta siede così al Viminale un uomo
che ha conosciuto le patrie galere dal di dentro e non durante le consuete
visite umanitarie. Scajola si allarga. “Nel giro di due anni manderemo in
pensione la carta d’identità cartacea. La nuova carta elettronica potrà
sostituire anche la tessera elettorale” promette nell'estate del 2002
parlando di un progetto (mai realizzato) costato alle tasche dei
contribuenti 36 milioni di euro. È il (provvisorio) canto del cigno. Subito
dopo ecco l'indimenticabile frase che gli costerà il posto. “Marco Biagi?
Era solo un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di
consulenza”, dice a chi gli chiedeva come mai, nonostante le insistenze,
al giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse il suo ministero non avesse dato
la scorta. Poco male. Pochi mesi dopo è di nuovo ministro prima come
responsabile dell'Attuazione del programma e poi (2005) allo Sviluppo
economico. Il via vai nei dicasteri ha delle importanti conseguenze ad
Albenga, dove esiste un piccolo aeroporto. Tutte le volte che “u
ministru” diventa tale, viene inaugurata la tratta per Roma. Inizialmente
si vola con Alitalia, anche se, secondo un'interrogazione parlamentare il
record massimo di passeggeri raggiunge solo quota 18. Poi, dopo la prima
sospensione, si passa ad Airone che fruisce, per la cosiddetta continuità
territoriale, di contributi pubblici messi a disposizione dal governo.
Quindi arriva Prodi e tutto si ferma, per ricominciare nel 2008.
MEGLIO VA CON le carriere dei familiari che, al contrario degli aerei, sono
sempre in volo. Qualche esempio: suo fratello Alessandro, ex segretario
generale della Camera di Commercio di Imperia, è vicepresidente della banca
Carige. L'altro fratello Maurizio è l'attuale segretario generale di
Unioncamere Liguria. Mentre Marco (figlio di Alessandro) è vicesindaco di
Imperia e neo consigliere regionale. Poi c'è la moglie, Maria Verda,
insegnante di storia dell'arte in una scuola superiore. In università è
diventata vicepresidente di un master sul turismo alla facoltà di economia.
Per tenere il corso erano necessarie almeno 15 iscrizioni (circa 2.700 euro
l'una). Alla fine sono state 26. Quindici erano quasi interamente coperte da
una borsa di studio. Chi pagava? Il contribuente. O meglio Promuovitalia,
braccio operativo del ministero del marito.
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