Da Bokassa ad Amin Dada, dalla fuga col bottino alla follia: le vite
dei tiranni dopo la caduta del trono
di Maurizio Chierici
Le cronache degli avvenimenti, e più tardi la storia, ricordano
delle dittature brutalità nascoste sotto l’ipocrisia di sorrisi e
promesse: coprono il dolore delle vittime e le condiscendenze neanche
segrete del mondo civile. Ma ci si dimentica delle pagine minori, vita
quotidiana dei protagonisti pubblici con le preoccupazioni private di
ogni capo famiglia: dopo il potere, processi e rancori, come “sbarcare
il lunario”? Curiosità trascurata dalla grande politica. Chiacchiere
da microstoria che eppure impegnano i consiglieri dell’uomo forte:
mettere subito da parte qualcosa, non si sa mai. Tesori dello Stato
che emigrano in banche lontane da raggiungere nei giorni della fuga.
Paradiso raggiunto da Ben Ali, paradiso degli arabi del petrolio,
paradiso di Londra. La preveggenza del buen retiro è contemplata nel
decalogo di ogni colpo di Stato. Ma non sempre va bene perché non
sempre la democrazia ritrovata si rassegna nel nome della
pacificazione nazionale. È successo ai dittatori di ieri, chissà come
andrà per i dittatori ancora sul trono.
L’Imperatore amato da Giscard d’Estaing
BOKASSA è il protagonista-simbolo di un grottesco irripetibile
nell’era di Internet. Figlio di un piccolo sindacalista assassinato
dai miliziani della Compagnie Foréstière, proprietà della grande
famiglia francese Bardoux, studia in un collegio missionario e fa il
militare di professione. Combatte nell’Europa del nazismo e
nell’Indocina che la Francia perde. Congedato con la Legion d’Onore,
torna nel suo Centro Africa, a Bangui. Si sente francese e i servizi
di Parigi gli regalano un colpo di Stato quando un presidente vuole
frenare la privatizzazione della più grande miniera d’uranio del
continente nero. E Bokassa entra nel bel mondo. Gheddafi lo abbraccia,
Valerie e François Giscard d’Estaing vanno a caccia di elefanti
(proibitissima) ma l’uomo forte chiude un occhio: banchetti e
champagne.Gliaffarisonoaffari: nasce una società a Zurigo assieme a
una banca nelle mani di François Giscard d’Estaing mentre il cugino
governa l’Eliseo.
Scaricato con l’accusa di cannibalismo
IRREQUIETO e incontentabile, Bokassa riceve la più alta
onorificenza francese e il permesso di incoronarsi Imperatore.
Cerimonia e banchetto entrano nelle leggende africane. François
organizza il pranzo: ostriche e paté da Parigi. Ma l’imperatore
pretendenuovionoriefinanziamenti insensati che trascinano nel ridicolo
l’austero Giscard. Che all’improvviso ricorda che il padre
diBokassaerastatouccisodaimiliziani della Compagnie Forestière dei
Badoux, bisnonni della signoraGiscard, suamoglie.Come farlo sparire
senza esserne coinvolti? Invenzione fantastica:
Bokassadiventacannibale.Evengono mostrati cadaveri nei frigoriferi
della “reggia”. Deposto, processato, esilio in Costa d’ Avorio,
condannato a morte ma inspiegabilmente liberato perché Bokassa aveva
pensato al dopo: lettere e contratti al sicuro in una banca svizzera.
Meglio lasciarlo alle stravaganze. Si beve un castello e i capitali;
torna a Bangui dove la condanna a morte diventa ergastolo poi
trasformato in libertà vigilata. Riceve i visitatori avvolto in una
tunica bianca, Chiede la cortesia di consegnare al Papa un messaggio
“personale”, carta intestata Bokassa I, imperatore d’ Africa. Negli
stessi giorni Giscard d’Estaing diventa presidente della commissione
che scrive la Costituzione europea.
BANZER è l’esempio opposto: diventa dittatore moderno della Bolivia
dopo aver studiato guerra psicologica alla Scuola delle Americhe di
Panama, invenzione del Pentagono. Colpo di Stato, migliaia di morti,
torture nelle quali le leggende coinvolgono volontari dell’Italia
nera: Stefano Delle Chiaie e Giovanni Ventura. Insomma, cronache che
non cambiano con una variante: dopo la presa di potere, armi alla
mano, del ’71 (prova generale del
defenestramentodiAllendeinCile)lascia nel ’78 e fonda un partito
nazionalista che lo rielegge più o meno democraticamente. Inflazione
terrificante: 5 mila per centol’anno,prezzichecambianotre volte al
giorno. Assieme al cugino Alvaro Gomez Suarez, re della coca (ma la
Dea non riesce a mandarloinprigioneunsologiorno )è proprietario di
un’impero immobiliare il cui slogan è: Metti i soldi sotto il mattone.
Giornali e tv nelle sue mani. Il povero giornalista che lo intervista
per gli speciali delTg2diSergioZavoli,all’ultimo momento riceve un
foglietto che trasforma le sue domande. Decide di ignorare i “piccoli”
cambiamenti e il colloquio con chi adora solo messaggi e monologhi va
avanticosì.Domanda:sopravvive in Bolivia qualche seguace del
CheGuevara?Risposta:“Irapporti commerciali tra Roma e La Paz restano
eccellenti”. Un’ora di vaniloquio. Banzer muore nel suo letto,
funerali di stato, eredità colossale agli eredi che vivono negli Stati
Uniti.
FUJIMORI era scappato a Tokyo inseguito dall’accusa di aver
ordinato l’uccisione di 25 avversari politici. La doppia nazionalità
(peruviana e giapponese) e la ricchezza accumulata nelle banche
lontane, lo hanno illuso di poter tornare a Lima per riguadagnare il
potere. È andata male. Arrestato in Cile, viene condannato in Perù a
25 anni di una prigione dorata dove si celebra il matrimonio della
figlia, oggi candidata alla presidenza nel nome del padre. È il solo
dittatore ad aver organizzato la finzione di un colpo di stato contro
se stesso, pretesto per dissolvere un parlamento “troppo normale”.
Controllo spietato dell’informazione, Fuji dava sempre appuntamento ai
giornalisti stranieri tra le 7 e le 8 di sera, ora di tutti i Tg.
Risponde con gli occhi sullo schermo. Si scusa ma deve osservare il
Fujimori virtuale che parla e non smette mai. Era il suo metodo di
governo: ascoltare sempre e solo se stesso.
L’Eterno presidente di un’infinita dinastia
KIM IL-SUNG fiore del comunismo di Stalin e Mao, è quasi un Bokassa
asiatico: regna nella Corea del Nord dal 1948 fino alla morte, 1994.
Vita nella guerriglia anti giapponese e nel partito Comunista.
Obbedisce agli ordini degli amici spirituali, il “grande leader” prova
a invadere la Corea del Sud nel 1950. Due paesi separati dal confine
artificiale concordato a Yalta e all’improvviso occupati da truppe
americane e cinesi: è la prima guerra dopo Hiroshima. Kim II-sung
manovra i corridoi della politica con metodi sbrigativi: elimina nelle
purghe gli avversari di partito e con i proconsoli di Mosca
nazionalizza ogni industria e bottega del paese. Distribuisce leggende
sulla sua ubiquità. Gonfia uno sfrenato culto della personalità,
incide il suo nome nella nuova costituzione definendosi Eterno
presidente . Il Muro di Berlino gli crolla addosso ridimensionando
l’importanza strategica della Corea Nord. Quando se ne va lascia la
poltrona al figlio Kim Jong-il, un paese in bancarotta e la
popolazione alla fame: le poche risorse sono nelle casse militari.
Kim Jong-il esaspera gli insegnamenti del padre nell’avventura
nucleare. Ma a differenza del padre è un bon vivant: pranzi, belle
compagnie, tanto cognac. Voci di voci perché nessuno apre bocca. Il
culto della personalità continua: fra le meraviglie turistiche che i
pochissimi visitatori sono obbligati a visitare, ecco la grotta dei
Regali al nostro presidente, compleanni e viaggiatori di passaggio.
Museo allucinante a cento chilometri dalla capitale: lampadari,
divani, televisori al plasma e il profilo in acciaio di New York,
gentilezza dei Black Power sopravvissuti ad Harlem. Sta male. Nella
Repubblica di famiglia sarà il figlio piccolo Kim Jong-un a prenderne
il posto, ma il figlio grande Kim Jong-nam per la prima volta rompe
l’obbedienza e protesta. In qualche modo soldi e potere a braccetto.
Chissà che fine fanno gli appalti milionari degli operai coreani del
nord: aeroporti del Golfo, strade e case nel Sudan. Il Kim padre
impegna braccia condannate ai lavori forzati. Non costano niente e il
guadagno lo controlla il presidente.
IDI AMIN DADA è un “criminale buffo”. Quando governava l’Uganda
riceve la regina Elisabetta con le braccia cariche di banane “per
sfamare il popolo inglese”. Dopo 7 anni di potere scappa lasciando una
scia di 500 mila morti. Genocidio delle tribù rivali, avversari
politici, stranieri che gli facevano paura: asiatici e so-mali,
soprattutto. Uccide personalmente una vecchia signora israeliana
all’ospedale per un maloredopoildirottamentodiunaereo francese ad
Entebbe. Le spara quando un commando di Tel Aviv
liberagliostaggi.Eadirecheilsuo colpo di Stato era stato accolto “con
entusiasmo” da Londra e Israele: “Finalmente un amico nell’Africa
ostile”. Amico alto 2 metri,chepesava120chili,edera campione nazionale
di boxe. Ha riarmato i militari dissanguando il paese. Armi vuol dire
tangenti e Amin scappa come un nababbo. Raccontava in Tv di riuscire a
parlarecolpensieroaicoccodrilli.Indossava giacche lunghe tempestate
dalle decorazioni che si attribuivadasolo .Scappanel‘79nella Libia
di Gheddafi portandosi un aereo e un elicottero. A Tripoli lo
aspettano Ferrari e Mercedes da corsa. Vive come un pascià ma Tripoli
lo annoia. Muore in Arabia Saudita dove i principi gli pagavano lo
stipendio da consulente per gli affari panafricani.
MILOSEVIC ha una carriera trionfante che finisce però nel carcere
dell’Aja l’11 marzo 2006: morte sospetta nel sonno mentre aspettava
l’ultima sentenza del processo per crimini di guerra. Nella stessa
prigione il suicidio di Milan Babic, “duce” dei serbi di Krajina,
regione contesa con la Croazia. E qualche anno prima, sempre
all’Aja, si impicca il comandante serbo croato Slavo Dokmanovic: la ex
Jugoslavia svanisce così. Milosevic si era illuso di domare il Kosovo
e ha provato a distruggere Sarajevo. Pulizie etniche che ricordano i
manuali hitleriani, eppure una parte dei serbi continua a rimpiangerne
il nazionalismo che non considerava i diritti umani. Nella sua ombra
sono cresciuti gli affari e i trafficanti di armi. Ha seminato
ricchezze che gli è stato impossibile godere.
NORIEGA, professionista del doppio gioco, da anni passa da un
carcere all’altro in attesa dell’ultimo processo: lo vuole la Francia,
lo chiede Panama. Miami lo ha già condannato: traffico di armi e di
coca. Aveva sincronizzato il pote- re di presidente di Panama alle
ombre della Cia e alla collaborazione stravagante con i servizi di
Mosca e di Castro. Bush padre lo usava per controllare la guerriglia
della Farc: armi in cambio di droga e Washington sapeva di quale
arsenale disponeva l’inutile rivolta marxista colombiana. Ma l’avidità
di un militare dalla faccia butterata (cara de piña) non ammetteva
rinunce: voleva controllare ogni mercato. Alla fine del 1998
l’invasione Usa. Noriega si nasconde nella nunziatura vaticana,
poisiarrende.Unprocessomisterioso, senza pubblico: insomma l’imbarazzo
per i segreti che Washington non vuole diffondere. Ancora non parla ma
annuncia di farlo ecco perché gli Stati Uniti continuano a respingere
chi lo vuole processare.
PINOCHET all’immagine del generale senza pietà aggiunge anche la
fama di un ladro in guanti
bianchietesoridispersinellebanchedelmondo.Aereicilenidiuna compagnia
del figlio del dittatore (ingegnere Augusto Pinochet junior)
animavano il girotondo armi e droga dell’Iran Gate (regia di Dimitri
Negroponte, zar dello spionaggio Usa, protagonista Oliver North,
pilota degli U2 spia). Perriforniresenzaesserecoinvolti i contras che
assediavano il Nicaragua sandinista, gli Stati Uniti affidano al
generale Pinochet l’organizzazione di uno strano girotondo: sui voli
della compagnia Pinochet, sede California, vanno e vengono da Beirut
carichi di drogaperilmercatomediorientale e tornano con armi russe d
distribuire ai controrivoluzionari che assediano Managua.
Droga e armi
firmati Pinochet
LE RICERCHE dei magistrati cileni hanno scoperto depositi milionari
negli Stati Uniti, in Svizzera e nei paradisi dei Carabi. Pinochet non
ha pagato la vergogna: è morto in tempo. Era un omino, non un gigante.
Nell’ultimo discorso alla caserma O’Higgins balbettava con la voce
sottile di una vecchietta. E quando ha provano ad urlare “Io ho
fermato il comunismo” gli è mancato il fiato. Ma sono molti altri, gli
autocrati e dittatori vivi e morti. Alcuni in carica, altri già “in
pensione”. È vivo Isayas Afewerki, incubo dell’Eritrea. Ha fatto
sparire 11ministri,espulsoleassociazioni umanitarie. Lavoro forzato
per chi non è sposato, suore e preti compresi.Magliaffarilimanovra
come si deve in previsione della fuga. Contatti inoltre per la
costruzione di un villaggio vacanze con Paolo Berlusconi. Qualche
weekend nella villa del premier in Sardegna.
È MORTO SOMOZA non era solo il dittatore fuggito dal Nicaragua nel
1979: possedeva il 63 per cento delle grandi proprietà del paese. Il
resto agli amici latifondisti. Quando il terremoto ha distrutto
Managua con gli aiuti arrivatidaognipartedelmondo,Somoza costruisce
alberghi per turisti in Guatemala e Florida.
Stroessner,dittatoredelParaguay, accoglie il suo esilio. Ma Somoza
sfarfallaconledonnedeglialtri.Si invaghisce della fidanzata del
ministrodegliinterniparaguayanoil quale ordina di “non controllare”
un commando arrivato dall’Argentina per vendicare i delitti di un
protagonista della P2 amico dei militari di Buenos Aires: auto
sgretolatadauncolpodibazooka. Stroessner massone casa e
caserma,dopolacacciatasispegnenellabellissimaabitazionediBrasilia.
Sogno di ogni dittatore.
Nazarbayev autocrate del Kazakhstan, vuole vivere fino a 100 anni.
Galleggia sul petrolio e finanzia una ricerca sull’allungamento della
vita. Da segretario del partito comunista kazako (poltrona sulla quale
era seduto Breznev) a “Primo presidente liberista dell’Asia centrale”
appena cade il muro di Berlino, privatizza giornali, tv, oro nero,
industria pesante a figli, figlie, generi, cognati.
AmicodiBerlusconiilqualepassa ogni tanto a trovarlo per invidia: per
quel 92 per cento di preferenze che raccoglie da 20 anni, ma perchè
anche interessato ai risultati della ricerca rivolta all’eternità. È
vivo e ha solo 54 anni Ahmadinejad, paranoia dell’Iran senza libertà.
Corruzione sussurrata, mai dimostrata. Eppure l’Iran sa bene come
vanno le cose. Nel ’79 lo Scià ha lasciato Teheran con la fama
dell’uomo più ricco del mondo. Ma l’infelicità lo raggiunge nel parco
della villa di Cuernavaca, Messico. Il giornalista italiano , ospite
di Maria Beatrice di Savoia, amica degli esuli, spia le
passeggiatedellaSciàdalmurodicinta che divideva le due case. E
fotografa uno scheletro che stava morendo.
I 30mila morti sulla coscienza di Videla, piduista con Berlusconi
CONTINUA l’autocrazia di Fidel Castro, mentre è finita nel 1997 la
tirannia di Mobutu nel-l’ex Zaire (nome che imposte al paese) ora
Repubblica del Congo. Un golpe nel 1965 contro il presidente Kasa-
Vibu, il sostegno degli americani e un regime opprimente che
impoverisce lo Stato. Fuggito in Marocco, muore di cancro nel 1997.
Vivo inveceVidela,presidentedellagiunta militare dell’Argentina
insanguinata. Si trascina da un processo
all’altroaggrappatoallademenza senile che gli evita la galera e di
pagare per i 30 mila ragazzi spariti. E i soldi nascosti chissà dove
non possono consolarlo.