On 13 Gen, 09:32, Namib <zanzi@bar> wrote:
> Il 13/01/2013 10:03, Roberto da Costa ha scritto:
>
> > È tutta ‘religione’: qualcuno ricorda un dibattito tra Berlusconi e
> > chicchessia che ha cambiato il corso degli eventi elettorali? Io no.
>
> Va anche detto che per i destri (e gli antipatizzanti della sinistra)
insomma, gli eretici. Tipo Carlo Oliva.
LE PROPORZIONI IDEOLOGICHE DEL CAPPUCCINO
di Carlo Oliva
Rivendicare le radici liberal-socialiste del Partito Democratico fa
fino e aiuta nel rafforzarne l’immagine. Peccato che nessuno dei
pensatori di quel filone abbia mai avuto niente a che fare né con il
PCI né con la DC, i due partiti alle origini del PD.
Secondo Eugenio Scalfari, che ne ha scritto in uno dei raffinati
elzeviri che pubblica ogni due settimane sull’“Espresso” (Cappuccino
democratico, 15 marzo 2012), il Partito democratico è un po’ come un
cappuccino, nel senso che è composto da due elementi da nessuno dei
quali si può prescindere per la definizione dell’insieme. In effetti,
omettendo il latte in quella bevanda ci resta solo un caffè e senza il
caffè non si ottiene altro che latte, e allo stesso modo le componenti
ex Ds ed ex Margherita sono essenziali per quel partito e solo dalla
loro combinazione può sprigionarsi quel tipico aroma salvifico in cui
il fondatore di “Repubblica” e buona parte dei suoi lettori confidano.
L’argomento, almeno per quanto si riferisce alla ricetta del
cappuccino, è al di là di ogni possibile contestazione, anche se da
uno dei più venerati maitres à pénser del giornalismo italiano ci si
penserebbe autorizzati ad aspettarsi qualcosa di più. Ma in realtà
Scalfari vuol dire che nessuna delle due componenti può arrogarsi un
diritto di veto nei confronti dell’altra minacciando una nuova
separazione e ne approfitta per esprimere la propria preferenza per un
cappuccino dal sapore, diciamo così, più carico, quale lo si
otterrebbe se nella formazione confluisse anche il gruppo di Vendola.
L’operazione, a suo dire, rafforzerebbe il carattere liberalsocialista
del partito e porrebbe le premesse per la definitiva realizzazione di
quelle riforme di cui tanto il paese abbisogna.
Nemmeno un comunista o democristiano
Personalmente, su questo esito avrei qualche dubbio. Come avrei
qualche perplessità sulla disinvoltura con cui, non solo da parte di
Scalfari, si tende oggi ad appropriarsi del termine
“liberalsocialismo”, una espressione coniata verso la metà degli anni
‘30 del secolo scorso da Carlo Rosselli per definire un programma
politico e ideale che non avrebbe avuto, nei decenni successivi, una
particolare fortuna. Ma a quella tradizione Scalfari è sempre stato
legato e nessuno può contestargli il diritto di auspicare una sua
rinascita. Anche il liberalsocialismo, nella visione rosselliana, era
la sommatoria di due componenti eterogenee ma imprescindibili, quella
socialista e quella liberale, ciascuna delle quali avrebbe vivificato
l’altra con il proprio sistema di valori e ne avrebbe emendato i
difetti. Detta così, la prospettiva può sembrare un po’ meccanica e in
effetti il pensiero di Rosselli prevedeva qualche mediazione in più
(aveva , in particolare, delle accentuazioni libertarie che forse
potrebbero interessare ai lettori di questa rivista), ma in questi
casi quel che conta è farsi capire e accontentiamoci pure.
C’è una cosa, piuttosto, che non capisco io. Scalfari, che era
presente, rievoca la “lunga giornata” in cui, al Lingotto di Torino,
fu fondato il nuovo partito, e ne ricorda quelli che a suo avviso ne
rappresentavano i precedenti culturali e politici nella storia
d’Italia. “Mi vennero in mente” scrive “Turati, Gobetti, il socialismo
riformista dei fratelli Rosselli, il liberalsocialismo di Guido
Calogero e infine Norberto Bobbio, Piero Calamandrei e Galante
Garrone. Queste furono le patenti nobili del riformismo italiano che …
segnò una traccia profonda nella cultura politica italiana … e che a
mio avviso … dovrebbe rappresentare l’identità profonda del partito
democratico.” Il che è ben detto ma un po’ strano perché, Turati a
parte, nessuno dei nomi citati può essere ricondotto alla tradizione
da cui provenivano i Ds, né tanto meno a quella della Margherita.
Nessuno di quei rispettabili signori era di scuola marxista o credeva
nella dottrina sociale della Chiesa, come a dire, esprimendosi
rozzamente, che non aveva nulla a che fare né con il Partito comunista
né con la Democrazia cristiana, e tutti, in effetti, vissero gli
sviluppi della politica italiana del dopoguerra in una posizione
isolata e minoritaria, raccogliendo da parte dei militanti e dei
dirigenti di quei partiti di massa e dei loro satelliti e alleati una
certa indifferenza ostile e superciliosa, temperata al massimo da
qualche rara e occasionale attestazione di stima.
Maionese impazzita
Ma erano tutti dei rigoristi, secondo la miglior tradizione giacobina,
e non cercavano quel tipo di consenso che si ottiene rinunciando ai
propri valori di fondo. In particolare, essendo tutti, per una
quantità di motivi su cui non possiamo soffermarci adesso, assertori
convinti del punto di vista laico, avrebbero considerata bizzarra
l’idea per cui una forza politica di sinistra avrebbe avuto qualche
prospettiva di successo solo a condizione di accogliere nel proprio
interno una componente ex democristiana. È probabile che se avessero
sentito esprimere l’ipotesi, da esponenti quali erano di un’era
prebasagliana, avrebbero invocato a gran voce la cella imbottita e la
camicia di forza.
Insomma, non tutte le mescolanze sono paragonabili tra loro e chi
pensasse che, in fondo, il cappuccino e il martini, in quanto entrambi
composti dalla fusione di due elementi, siano la stessa cosa potrebbe
subire qualche amaro disinganno. Più che di petizioni di principio e
di padri nobili – che, naturalmente, ciascuno è libero di attribuirsi
a piacere, tanto a chi volete che importi? – la democrazia italiana ha
bisogno di riforme politiche e di attenzione ai diritti civili.
E quanto a questo, l’amalgama su cui si fonda il Partito democratico
non è forse il più propizio: pensate a tutto il canaio che succede
ogni volta che entrano in ballo le questioni cosiddette “di coscienza”
e aspettate a vedere, per esempio, cosa succederà dopo la recente
pronuncia della Cassazione sul matrimonio gay e vi renderete conto che
quella organizzazione, più che a un cappuccino, rischia di somigliare
a una maionese impazzita.
Carlo Oliva