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[MISTERI ECCLESIASTICI] La morte di Celestino V

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federico_rosati

da leggere,
7 set 1998, 03:00:0007/09/98
a
Il Messaggero
Giovedì 3 Settembre 1998
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Il papa eremita
e il mistero
del buco nel cranio
Fu fatto assassinare da Bonifacio VIII
oppure si trattò di una simulazione
a fini politici? La morte del santo continua
a far discutere. E divide L’Aquila,
città dove fu consacrato. I responsi clinici
nelle mani di un frate-detective

L’Aquila
IN MOLTI oggi si inginocchiano di fronte all'altare che, nella
Basilica di Collemaggio, conserva dentro una teca le spoglie di
Celestino V. E' molto amato, da queste parti, il papa contadino ed
eremita che sconvolse, con la sua elezione nel 1294, e per pochi mesi,
ogni attesa, gettando sorpresa e scandalo anche per la sua decisione
di dimettersi dall'incarico, il "gran rifiuto" bollato rabbiosamente
da Dante. Pochi giorni fa, nel ricordo del primo Giubileo, la
Perdonanza aquilana ha rinnovato come ogni anno il rito della
purificazione da tutti i peccati, voluto e attuato, con tanto di
bolla, dal papa santo su cui gli agiografi medioevali hanno scritto
moltissime vite edificanti. Bolla, che, si sa, come ogni altra da lui
promulgata, fu subito annullata dal successore e suo grande, "storico"
avversario: quel Bonifacio VIII che, qualche anno più tardi, il
Giubileo (romano) lo ideò davvero, cercando di cancellare ogni traccia
e ogni ricordo dello scomodo collega. Davvero troppo ingombrante:
Pietro da Morrone si era recato all'incoronazione pontificia senza
alcuna pompa, scendendo dalla sua aspra montagna a dorso di asino,
anche se scortato dal suo sponsor politico Carlo II d'Angiò. E durante
i pochi mesi di potere si era poi fin troppo scopertamente schierato
dalla parte del suo ordine, i Celestiniani, fino a costringere i
Benedettini di Montecassino a togliersi di dosso la tonaca nera a
favore del saio grigio voluto da San Francesco.
«Dov'è il buco, dov'è? E il chiodo che gli fece piantare Bonifacio si
conserva?». C'è legittima curiosità intorno alla reliquia di Celestino
V di cui hanno parlato giornali e stampa (anche "Le Monde"). Molti
ancora si interrogano su una chiacchiera, o diceria. tornata in
circolazione da qualche settimana, in maniera imprevista, e montata in
città fino a creare schieramenti opposti, ognuno agguerrito con i suoi
argomenti, propri e impropri. Ci sarebbe di mezzo un vero giallo, una
morte violenta, addirittura un omicidio su commissione papale. In
pratica c'è chi ancora sostiene che Pietro da Morrone, appena
abbandonato il pontificato in modo così inatteso, sia diventato un
vero problema per il potentissimo cardinale Caetani subito eletto papa
dopo di lui. Già in precedenza, il futuro Bonifacio VIII avrebbe
tentato con ogni mezzo di spingerlo alla fatale decisione di mettersi
da parte con mezzi leciti (il dialogo e la convinzione verbale) e
mezzi illeciti: come il trucco di fingersi, nel cuore della notte, la
voce di un angelo messaggero di ordini divini, grazie a una tromba
scenicamente usata. In ogni caso Caetani (questa è storia documentata)
rinchiuse nel castello di Fumone, dalle parti di Anagni, quel santo
ottuagenario abituato a vivere in grotte e altri luoghi angusti, per
mortificare ogni vanità. E lo sottopose a ogni forma di controllo e di
vessazione, fino a fargli infilzare (qui inizia la leggenda) un bel
chiodo in testa. Bisognava far scomparire al più presto l'uomo
scandaloso e imprevedibile che aveva tanto consenso, seminava panico
con le sue idee pauperistiche e la convinzione che la Chiesa si
potesse governare solo con il potere spirituale e in ogni momento,
nonostante la rinunzia, rischiava di diventare sempre più un simbolo
vivente di contestazione, magari essergli opposto come antipapa,...
Il chiodo (pare) fosse stato conservato, addirittura con tracce di
sangue, in un muro della Chiesa celestiniana di Santo Spirito a
Maiella. Ma il buco, che c'è sempre stato, ogni volta torna a far
parlare di sé, rilanciando l'ipotesi del delitto. L'ultima volta che
il buco - un'impronta rettangolare netta di cinque millimetri per nove
che lascia immaginare una penetrazione di circa cinque centimetri - ha
fatto parlare di sé è stato a metà agosto, quando improvvisamente si è
saputo che quel che resta del cranio celestiniano è stato sottoposto
dieci anni fa a una Tac. Lo ha fatto sapere, anticipandolo sulle
colonne di questo giornale, il padre francescano Quirino Salomone
rettore per anni della Basilica di Collemaggio e attuale responsabile
del Centro Celestiniano. Era capitato, nel 1988, che le spoglie di
Celestino V fossero state trafugate da una banda di apparenti balordi
(probabilmente eterodiretti) e poi ritrovate nel cimitero di un paese
vicino. Un furto con molte lacune nella dinamica della sua
ricostruzione e con una versione "ufficiale" dalle troppe pecche. A
chi davvero, e per quale fine (ricatto? o una enigmatica spinta
promozionale per un culto e una manifestazione, la Perdonanza, da
rilanciare?) potevano interessare quei resti e cosa intervenne di non
programmato che li fece ritrovare? Non si è mai saputo. Comunque in
quella occasione, prima che rientrassero nell'urna di Collemaggio che
li contiene, su di essi fu eseguita la Tac insieme ad altri non meglio
precisati esami "tossicologici". Cosa avrebbero provato questi esami,
la cui registrazione in ospedale non esiste più, si è smagnetizzata la
banda elettronica? Sorpreso dal clamore che ha suscitato la vicenda,
padre Quirino Salomone si chiude ora a riccio, non parla più, tutto
sarà chiarito in un suo libro di prossima uscita. Allude soltanto agli
altri esami che avrebbero scartato l'ipotesi (anch'essa circolata nel
corso dei secoli) dell'avvelenamento di Celestino V, anche se ammette
che, a distanza di settecento anni, «l'analisi non può dare un
risultato certo al cento per cento».
All'Aquila la questione celestiniana è molto sentita. Quando un po' di
anni fa si discusse sull'opportunità di rimettere in piedi la
Perdonanza, ci fu un'interminabile querelle che divise gli animi e
pose sul tappeto molti nodi intorno alla figura del pontefice eremita,
alla sua presenza in città e anche all’enigma che avvolgebbe la sua
fine. A questi misteri allude Errico Centofanti che, con Luciano
Fabiani, è il padre storico dello Stabile Aquilano. Centofanti fu uno
degli interlocutori "istituzionali" di Ignazio Silone quando lo
scrittore, con L'avventura di un povero cristiano, mise in teatro la
storia di Celestino V. Sovrintendente della Perdonanza fino al 1992
(ora è molto polemico sulla sua organizzazione), lancia in questi
giorni un romanzo, Le dimissioni in cui, sotto la cornice di una
storia moderna, circola l'idea del delitto di Stato, anzi di Chiesa.
Ma l'ipotesi viene scartata sdegnosamente da altre parti, come è già
accaduto nel corso dei secoli. Nelle parole di Alessandro Clementi,
illustre medievista e storico della città, e di Walter Capezzali, un
colto bibliotecario autore di molti studi celestiniani, torna l'idea
già avanzata in altre fonti: il buco nel cranio (con gli eventuali
riscontri avallati dalla Tac) sarebbe, semmai, una sorta di prova
costruita a posteriori nell'ambiente francese di Filippo il Bello,
contro Bonifacio VIII per dimostrare le torture cui egli avrebbe
sottoposto in carcere Celestino V. Serviva un santo martire da usare
contro la parte politica che si riconosceva nel Caetani il quale nel
frattempo era morto anche lui e non poteva difendersi da un'accusa
così infamante.
Insomma: l'antico, supposto mistero di una morte che le fonti
dell'epoca ricostruiscono santa e densa di miracoli appassiona ancora.
Anche perché ancora appassiona l'enigma che ruota intorno a questo
protagonista, "profeta disarmato", di un gesto senza precedenti,
campione dell'utopia contro ogni forma di crudele gestione del potere,
così come lo ha descritto Silone il quale di fatto lo ha rilanciato
dopo lo sdegno dantesco che lo aveva ristretto a un'icona fin troppo
riconoscibile. In suo nome, e anche nello spazio di dubbio per cui una
rinunzia così emblematica può significare anche inadeguatezza
psicologica, incapacità di reggere il peso del mondo e delle sue
decisioni firmando in bianco molte bolle pontificie (come pare abbia
davvero fatto Pietro da Morrone), si combattono antiche e nuove
battaglie tra l'intransigenza e la compromissione, ed entrambe covano
all'interno germi nella stessa misura pericolosi. Con l'aiuto di una
Tac, ci si può schierare dall'una o dall'altra parte e rilanciare
l'immagine del martire, vero o costruito ad arte, come a ciascuno può
far comodo. Ieri come oggi.

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