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La medesima battaglia di civiltà contro i medesimi aggressori-Un feroce assassino al servizio di massoneria

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donquixote

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Sep 22, 2008, 5:44:19 PM9/22/08
to
Libertàepersona
Capo d'Orlando, picconate alla targa della piazza.
Lombardo: altri seguiranno
DAL NOSTRO INVIATO CAPO D'ORLANDO (Messina) -
C'è chi vuole riscrivere i libri di storia e chi comincia a rinominare
strade e piazze. Cancellando nomi e perfino spaccando a martellate qualche
targa. La prima vittima eccellente in questo gioco di sali e scendi, di
cielo e terra, di gloria e polvere è l'eroe in camicia rossa osannato in
tanti quadri e in tante sicule dimore dove campeggiano lapidi a
testimonianza di fugaci e a volte improbabili soste.
Lui, «Peppino» Garibaldi, non avrebbe mai immaginato
di veder infranta la sua icona proprio mentre le fanfare
si preparano ad evocarne i 150 anni dell'epopea.
Come vorrebbe fare Vittorio Sgarbi nella «sua» Salemi
che da neo sindaco candida a «capitale garibaldina».

Al contrario di Enzo Sindoni, popolare, eccentrico e discusso primo
cittadino di Capo d'Orlando, la roccaforte dei commercianti antiracket,
adesso proiettata nella storia a martellate. Perché con sacro furore Sindoni
ha proprio ridotto a pezzi la targa di «Piazza Garibaldi » maledicendo
l'eroe come «un feroce assassino al servizio di massoneria e servizi
inglesi». E giù un colpo dietro l'altro.
Per poi incollare sui muri la nuova insegna, «Piazza IV Luglio»,
riferimento ermetico di un evento dimenticato, una battaglia navale
del 1299 con 6 mila morti. Sindoni, eletto con lista civica, assessori
di diverse estrazioni, s'infuria con chi lo accusa di iniziative
folkloristiche e non teme le reazioni dei comitati pro-Garibaldi
appena nati, fiero di incoraggiamenti autorevoli che arrivano
perfino dal vertice della Regione.

Perché Raffaele Lombardo, il governatore autonomista già alleato
in campagna elettorale con la Lega di Bossi, sembra ancor più
determinato: «Adesso bisogna cancellare Cavour il piemontese,
qualche siciliano come Crispi che fece sparare sul suo popolo
e Nino Bixio, il carnefice di Bronte. Ben fatto, a Capo d'Orlando.
Si preparino gli altri sindaci. A settembre abbatteremo i simboli
di una impostura chiamata Unità d'Italia per dedicare strade e
piazze ai nostri eroici emigrati in America, Argentina, Germania,
in tanti Paesi dove hanno buttato sangue grazie a quella conquista
violenta consumata da Garibaldi e compagni».
Una rivisitazione della storia la propone da tempo,
Lombardo, ma i toni sembrano infuocati, un po' «bossiani».
E lui se ne vanta: «Serve in questo Paese il linguaggio di Bossi,
utile soprattutto se declinato con accento meridionale, in dialetto
calabrese o siciliano... ».
E Sgarbi? «Vada a trasformare qualche città delle Marche
o del Piemonte nella capitale di Garibaldi».
E le commemorazioni dell'epopea? «Parteciperò se costretto,
ma l'Unità ci è costata violenza, sangue e miseria».

Il Timone
Il falso mito della guerra civile americana
America 1861-1865. Una guerra incivile
Alcune riflessioni sulla cosiddetta guerra civile americana.
Che non riguardò la schiavitù, come detta la vulgata
"politicamente corretta".
Un episodio importantissimo per la storia occidentale,
una guerra poco civile e molto rivoluzionaria
di Marco Respinti
Definire "guerra civile" la più sanguinosa delle "guerre nordamericane",
combattuta tra il 1861 e il 1865, è fondamentalmente sbagliato, motivo
per cui è storiograficamente - e non solo partigianamente - corretto
definirla (come spesso fanno gli storici di parte "sudista")
"guerra tra gli Stati".
Molti sono peraltro i falsi miti che circondano l'avvenimento.
Il primo è, ovviamente, che essa sia stata in qualche modo causata
dalla schiavitù in cui i bianchi tenevano i neri.
Eppure lo stesso presidente Abraham Lincoln ammise, in una lettera
indirizzata a Horace Greele, direttore di The New York Tribune:
«Il mio obiettivo in questa lotta è di mantenere l'Unione, non di salvare
o distruggere la schiavitù». Del resto, l'80% dei "sudisti" non possedeva
affatto schiavi, un dato ormai acclarato dalla storiografia più seria....
[E pochi sanno che decine di migliaia di negri combatterono
nell'esercito confederato, o che il Presidente confederato Jefferson
Davis, in cambio del riconoscimento della Confederazione da parte
di Francia e Gran Bretagna, era pronto a concedere l'emancipazione
di tutti gli schiavi

http://www.37thtexas.org/html/BlkHist.html

http://it.youtube.com/watch?v=_GVIAypsnh8&NR=1 ]

La guerra non fu fatta, insomma, per liberare gli schiavi: si fece
invece per mantenere con la forza l'Unione tra gli Stati nordamericani.
Ragione per cui è limitato parlare di Nord contro Sud, quanto è invece
veritiero parlare di governo federale unitario contro gli Stati.
Certo, furono esclusivamente gli Stati del Sud a portare alle estreme
conseguenze le divergenze con il governo federale, ma essi concepirono
la propria battaglia come una difesa dei diritti di sovranità di tutti i
singoli Stati dell'Unione, diritti che ritenevano sanciti a chiare lettere
nella Costituzione federale del 1789 e invece traditi dal governo centrale
e "unionista" di Washington.

La vera rivoluzione americana
Ritenendo di non poter sopportare oltre lo stravolgimento del patto
fondativo dell'Unione da parte del governo federale, diversi Stati
del Sud decisero nel 1861 di mettere in atto quello che ritenevano
un proprio diritto costituzionale: l'abbandono dell'accordo
federativo, ossia la secessione.
Pacifica.
A quel punto, fu il governo federale a spostare la
questione sul piano militare inviando truppe "unioniste".
Gli Stati secessionisti diedero allora vita a una nuova lega,
gli Stati Confederati d'America (CSA), che mirava a costituire
una nuova nazione nordamericana, indipendente, confederale
e non federale.
Ovvero in continuità diretta con e decisamente fedele al patto
fondativo originario, che, nella forma assunta a metà Ottocento,
gli Stati secessionisti ritenevano oramai irrimediabilmente travisato
per colpa del governo centrale di Washington.
Un ritorno alle origini, insomma.
Una risposta alla rivoluzione politica operata dal governo federale,
immemore di sé.

Negli Stati Uniti d'America "federale" é infatti il termine impiegato
per indicare ciò che da noi si direbbe "nazionale" (talvolta
"nazionalistico"), "centrale" (talvolta "centralistico") e "statale"
(talvolta "statalistico"). L'organizzazione "confederale", invece,
è un'unione fra Stati che conservano poteri sovrani e indipendenti.

Dopo l'indipendenza, proclamata il 4 luglio 1776 a Filadelfia, le ex
Colonie britanniche dell'America Settentrionale non diedero vita agli Stati
Uniti d'America, ma a una Confederazione di Stati indipendenti uniti solo
debolmente quanto a difesa e a commercio, e più teoricamente che
concretamente.
Il documento ufficiale di riferimento di questa organizzazione fra Stati
furono gli Articoli della Confederazione, approvati il 15 novembre 1777
dal Congresso dei delegati degli Stati (in piena guerra d'indipendenza)
ed entrati in vigore ufficialmente il 1° marzo 1781 dopo la ratifica
di tutti gli Stati.

Con la convocazione della Convenzione costituzionale a Filadelfia il
14 marzo 1787 s'intese poi riformare gli Articoli dela Confederazione per
ovviare ad alcune loro palesi debolezze. Ma ne risultò invece un documento
completamente nuovo, quindi un'organizzazione istituzionale inedita:
l'Unione degli Stati nordamericani e non più la Confederazione.

Gli Stati Uniti d'America nacquero quindi nel 1789, quando
George Washington fu eletto primo presidente vigente la Costituzione.
Il potere delegato alla struttura federale, ovvero al centro, al governo
di Washington, é maggiore, laddove nella precedente struttura confederale
le ex Colonie, poi Stati indipendenti confederati, erano autonomi e sovrani.

La Costituzione federale, del resto, sorse da un compromesso fra
federalisti (centralisti nazionalisti) e antifederalisti (confederalisti).
Il 25 settembre 1789, il primo Congresso degli USA propose
agli Stati dodici emendamenti. Ne furono approvati dieci, che,
ratificati dai vari Stati, entrarono in vigore nel 1791.
Da allora sono parte integrante della Costituzione federale con il nome
di "Bill of Rights", a imitazione della "Carta dei diritti" della tradizione
giuridica britannica modellata dal Common Law consuetudinario.
Quello statunitense costituisce l'insieme dei dieci emendamenti alla
Costituzione che bilanciano a favore dei singoli Stati il potere attribuito
appunto dalla Costituzione al governo federale centrale.

Costituzione e "Bill of Rights" sono dunque un via media fra l'antica
Confederazione e il centralismo moderno, quest'ultimo nato proprio dalla
Guerra cosiddetta civile. Dal 1789 al 1865 (la data della fine della Guerra
è un simbolo significativo) sono esistiti degli USA diversi sia dall'antica
Confederazione, sia dalla nazione postlincolniana di oggi. Un "antico
regime", diverso sia dal "feudalesimo", sia dall'epoca postrivoluzionaria.

Il "Medioevo" americano
La metafora storica non è azzardata. L'epoca della Confederazione,
infatti, ereditando direttamente il passato coloniale di sostanziale
autogoverno, visse del "retaggio medioevale" britannico. Mentre
l'epoca successiva alla Guerra cosiddetta civile rappresenta il periodo
postrivoluzionario dell'America Settentrionale, e questo grazie a quella
"Ricostruzione" (1865-1877) che fu in realtà una vera e propria
spoliazione culturale ed economica, e che giuridicamente stravolse
l'equilibrio fra Stati e governo centrale.
A mero vantaggio dal secondo.

Lo ha scritto efficacemente lo storico Raimondo Luraghi in Cinque
lezioni sulla guerra civile americana, 1861-1865 (La Città dal Sole, Napoli
1997). «II conflitto civile che dal 1861 al 1865 sconvolse gli Stati Uniti
d'America segna una data cruciale nella storia di qual paese: sarebbe
difficile sopravalutare l'importanza dell'impatto.
Anzitutto, con la fine di tale guerra si può ragionevolmente fissare,
per l'Unione americana, la cesura tra età moderna e contemporanea.
La rivoluzione e l'indipendenza dall'Inghilterra, malgrado la loro
grandissima importanza, non ne mutarono infatti radicalmente
il tessuto sociale, economico e culturale; e, quanto alta rivoluzione
francese, essa ebbe sulla storia dal Nord-America una scarsissima
incidenza [...].
Ma la guerra civile fu ben altro.
Essa di fatto seppellì la "vecchia America"; ne alterò le strutture,
non meno per i vincitori che per i vinti.
Una serie di Stati (quelli del Sud, che formavano, come superficie,
una buona metà dell'Unione) furono costretti, "con il ferro
e il sangue", a uscire dall'epoca agraria e a entrare in quella
della grande industria.
La rivoluzione industriale (essa stessa tra i motivi scatenanti
della guerra) trionfò nel paese intero e 1'Unione, che prima, di fatto,
era un agglomerato di più o meno disjecta membra, fu unificata
non diversamente da quanto lo furono, nella stessa temperie, l'Italia
o, meglio ancora, la Germania. E con gli stessi metodi[violenti]».

L'ideologia "francese"
La guerra combattuta per l'indipendenza dalle Colonie britanniche
dell'America Settentrionale contro la madrepatria londinese
fra 1775 e 1783, e definita "rivoluzione americana", non fu affatto
una rivoluzione.
La si è chiamata così per analogia, a posteriori, con quella di Francia
dal 1789, secondo una particolare versione dal sofisma post hoc ergo
propter hoc che si basa su presunta somiglianze fra Dichiarazione
dei Diritti dell'Uomo e dal Cittadino (26 agosto 1789) francese
e "Bill of Rights".
Ma la Déclaration parlava di individui,
il "Bill of Rights"di Stati sovrani.
La prima aveva a che fare con l'illuminismo e si sarebbe inverata
nel giacobinismo, padre dei totalitarismi. La seconda era figlia
dell'Europa classica e cristiana, mediata dalla giurisprudenza britannica.
E parlava di libertà concrete, non di una Loi astratta, rivendicando
il passato invece d'inventarsi un futuro inesistente.
Disse il virginiano Patrick Henry, patriota e antifederalista, il 23 marzo
1775: «Non ho che un lume con cui guidare i miei passi e questo
è il lume dell'esperienza».
Non fu quindi rivoluzione, ma solo guerra d'indipendenza.
La vera sovversione - credevano i nordamericani - era l'assolutismo
di Londra laddove esso negava la tradizione della libertà.
La guerra d'indipendenza fu Reazione, dunque, addirittura controrivoluzione.
O, con Edmund Burke - il primo critico (irlandese) del 1789
di Francia -, una rivoluzione affrontata preventivamente per risolverne
le contraddizioni. La lotta armata fu una extrema ratio e così
la separazione formale del 4 luglio.

«Lungi dall'essere il prodotto di una rivoluzione democratica e di una
opposizione alle istituzioni britanniche - ha scritto nell'Ottocento Lord
John Emerich Edward Dalbergh Acton -, la Costituzione degli Stati Uniti
fu il risultato di una grandiosa reazione a favore delle tradizioni
della madrepatria».

E Alexis de Tocqueville, il più acuto osservatore degli USA:
«Anzitutto mi sembra necessario distinguere accuratamente le istituzioni
degli Stati Uniti dalle istituzioni democratiche in generale».
Non erano, insomma, ciò che nacque in Francia con la rivoluzione
del 1789, e che Tocqueville conosceva bene, e che in gran parte
disprezzava.

La "democrazia moderna" di marca illuministico-giacobina,
centralistica e protototalitaria, si fece strada solo nel corso della prima
metà dell'Ottocento nordamericano, impadronendosi di quelle forze
federaliste a cui i confederalisti avevano a suo tempo strappato
il "Bill of Rights".
Cucinato in salsa puritana oramai secolarizzata, l'illuminismo
giacobino nordamericano lavorò l'Ottocento come quello francese aveva
lavorato il Settecento ed ebbe il suo 1789 rivoluzionario nel 1861.
Accadde negli USA, ma fu lo stesso - le date coincidono - in Italia
con il cosiddetto Risorgimento.

Ricorda
Alla fine della cosiddetta Guerra civile americana, il presidente
degli sconfitti Stati Confederati d'America, Jefferson Davis, venne
incarcerato in condizioni indecenti.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/0a/Davis4-2.JPG

Gli furono vicine solo delle suore di Savannah, in Georgia, che
gl'inviarono un rosario, e Papa Pio IX

http://www.cattolicesimo.eu/mkportal/PAGINE/Papi/PioIX.jpg

http://tinyurl.com/6hralg

che gli mandò una corona di spine (la intrecciò personalmente)
e un proprio ritratto autografato con scritto: «Se qualcuno
vuol venire dietro me, prenda la sua croce e mi segua ...» (Mt 16,24).
Sta tutto al Confederate Museum di New Orleans, in Louisiana.
Jefferson Davis, dopo due anni di carcere duro,
venne liberato senza subire quel processo che egli
incessantemente aveva richiesto.
Papa Pio IX, in quegli anni alle presa con il "Risorgimento",
era convinto che sia l'Italia cattolica sia gli Stati secessionisti
del Sud stessero combattendo la medesima battaglia di civiltà
contro i medesimi aggressori.

http://www.azioneetradizione.it/images/viva_PIO_IX_500.gif

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/0/0c/ConfederateCabinet.jpg

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/a/ab/Virginia_Capitol_1865.jpg

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e1/Leeedit.jpg

http://www.prato.linux.it/~lmasetti/antiwarsongs/img/upl/richmond_3_5_1865.jpg

http://it.youtube.com/watch?v=R657qvs4omU

http://it.youtube.com/watch?v=YAfHigPsC_s

http://it.youtube.com/watch?v=t_5gH7oX8X8

http://it.youtube.com/watch?v=tXlKgPFwW3g

http://it.youtube.com/watch?v=j950n21X-kg

http://it.youtube.com/watch?v=PogYAIi4lUM

http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Map_of_CSA_4.png

http://www.storiamilitare.altervista.org/Francobollo%202.jpg

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d9/ConfederateStatesofAmericaSeal.jpg

http://tinyurl.com/58bu74


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