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Il bestiale, il divino, gli occhi sbarrati: Apocalypse Now Redux

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VitoZ

da leggere,
2 dic 2001, 11:19:0902/12/01
a
Premetto di aver sempre amato Apocalypse Now come del resto buona
parte della cinematografia di Coppola, e di averne apprezzato in modo
particolare la tensione espressiva, la forza di suggestione,
l'elllissi dei nessi logici, tutti motivi per i quale ha senso
(almeno in questo caso) parlare di poema visuale; e qui mi fermo
perché non ha senso ripetere quanto è stato detto più volte in modo
esauriente. Come queste premesse la nuova edizione rischiava di
riuscire deludente. E' successo il contrario, e provo a spiegare
perché.

Apocalypse Now Redux è forse meno compatto del film precedente. Nel
registro espressivo, nelle scelte linguistiche. La conclusione
negativa è inevitabile, se lo si avvicina servendosi di coordinate
estetiche "crociane" in senso lato, tese appunto a valorizzare
aprioristicamente le caratteristiche che andiamo descrivendo: l'unità
di tono dell'opera, l'elemento propriamente poetico (naturalmente
ineffabile, momento di eletta intuizione non verbalizzabile) distinto
dall'elemento "strutturale", la conseguente prevalenza di una
comunicazione non concettuale e via dicendo. D'altra parte, qui
accade una cosa curiosa; perché i sostenitori di questo approccio
sono poi inflessibili per quanto riguarda la componente subordinata
della "struttura", al punto da compilare regesti di pretese
incongruenze (che ci fanno le bunnies più avanti lungo il fiume? Come
mai hanno finito la benzina?), che sarebbero sufficienti ad affossare
la nuova versione, mentre al contrario fanno sorridere, anche senza
scomodare Hitchcock... Forse non è l'approccio più adatto al cinema
di Coppola.

E allora restiamo su un terreno più prosaico. Intanto svariati
aspetti del progetto di Coppola sono più comprensibili, non restano
pure e semplici ipotesi critiche. Ad esempio la consapevolezza
culturale del regista italo americano nell'affrontare la
rappresentazione della guerra; la narrazione ellittica e "poetica" è
chiaramente un punto di arrivo necessario, non una scelta immediata e
arbitraria. Nel senso che dalla versione "Redux" (d'ora in avanti,
Rx) si comprende come il film passi attraverso una narrazione di tipo
romanzesco e naturalistico evidenziandone l'inadeguatezza per
approdare alla sintesi mitica e "iconica", al cinema di visione della
parte finale. Raccontare la guerra come epifania del Male è il
problema che Kubrick si è posto fin dall'inizio della carriera. Già
dalle prime prove del grande Stanley appariva evidente il bisogno di
superamento della mimesis, del dato puramente letterale (le geometrie
figurali di Paths of glory, tanto per ricordare un esempio
conclamato), pienamente coronato da quel "Full Metal Jacket" che
dissolve ogni residuo documentario in implacabile allegorismo; il
minimo compromesso di pacificazione televisiva è impossibile di
fronte a qualcosa che non accade in un esotico "lontano da casa", che
non è il banco di prova di un manipolo di idealistici eroi, che
infine ci costringe a sbarrare occhi programmaticamente "chiusi"
("wide shut", appunto; potrebbe essere il titolo dell'opera omnia di
Kubrick) di fronte al ritorno del rimosso. Da una consapevolezza
simile si muove Coppola, degno erede di tale esperienza (all'epoca,
ancora in fieri). La narrazione romanzesca è (istituzionalmente)
dialogo fra differenti istanze espressive, continuo incrociarsi di
voci, spinto fino all'inattingibilità dell'oggetto in quanto tale
(nel romanzo vero e proprio esistono i discorsi sull'oggetto, più che
l'oggetto direttamente denotato, come ci ha insegnato Bachtin); e
allora Coppola convocherà una serie di voci appartenenti a vari
sottogeneri, tutti direttamente (e indirettamente) coinvolti nel tema
trattato, salvo poi dimostrare che l'unica polifonia realizzabile è
quella babelica, perché non è dato dialogo, rifrazione recirpoca
delle voci; il documentarismo non può interloquire con la
drammaticità dell'esperienza vissuta che anzi, di fronte agli idiomi
consueti si sottrae, incommensurabile. L'epica della frontiera, il
senso agonistico e competitivo dell'esistenza si ribaltano in pura
ostensione di simboli inerti, in delirio surreale (fuor di metafora,
ha perfettamente ragione Kaplan: il tema del surfing in AnRx è svolto
pienamente, ed è finalmente comprensibile, voce dall'alto compresa);
la forzatura innaturale della sessualità (che non a caso interesserà
anche Kubrick) è demistificata in pura e semplice reificazione dei
corpi, con tanto di ironia sferzante sulla contiguità fra amore e
morte (se non sbaglio l'incontro con le bunnies si conclude su un
cadavere che scivola fuori dal frigorifero...per inciso, tutto
l'episodio è strepitoso, con la caratterizzazione
dell'accampamento-discarica e la parodia dei discorsi delle bunnies;
chiunque abbia esperito, anche solo per caso, la delirante
mercificazione dei prodotti video licenziati dall'azienda di Hefner
non può non aver fatto un'amara risata; sono prodotti di infimo
livello, ma anche parte dell'esperienza visiva e immaginativa dello
spettatore medio, e non credo che Coppola li ignori) e tanti saluti
alla retorica cinema di denuncia. Anche dell'episodio "francese",
naturalmente, darei una lettura simile: Coppola non si nega neppure
il riferimento al cinema coloniale; naturalmente ribaltato
dall'interno, con un rudere di famiglia -i sopravvissuti sono in
realtà estranei, ad unirli erano i morti- che sta in piedi sul
cemento dell'animosità e delle recriminazioni, nella migliore
tradizione di tanta narrativa di argomento provinciale (tanto
americana quanto francese), ed una fiacca avventura erotica che lo
stesso protagonista vive stupefatto e dimentica immediatamente.

In questo quadro di assordante glossolalia infernale finisce per
perdersi anche la voce interiore del protagonista; ad arrivare alla
fine è una struttura di discorso puramente mitica e a-logica,
paratattica e giustappositiva, che valorizza la significazione (non
si tratta più di narrare) delle pure e semplici immagini. C'è da
aggiungere a questo punto che la strumentazione retorica, la
grammatica del vedere è ripensata radicalmente lungo tutta l'opera;
accade raramente (questo si capiva anche nella precedente versione,
seppure in modo meno definitivo) di vedere riformulati nella funzione
e nel significato i minimi connettivi del linguaggio cinematografico.
Facciamo un solo esempio; l'abusata, trita connessione fornita dalla
dissolvenza incrociata viene reinventata completamente e indirizzata,
da puro mezzo di interpunzione fra episodi divaricati sul piano
temporale, a significare l'incessante trasformazione della realtà
(mai univoca) e delle esperienze che se ne possono avere. Riesco a
ricordare una sola operazione precedente (differente negli intenti)
che gli possa essere accostata; si tratta dei titoli di testa di
Citizen Kane.

Per concludere (quanto segue non riguarda il confronto fra le due
versioni): nel film si cita in continuazione la poesia di Eliot
(soprattutto The hollow men e J.A.Prufrock love song). I libri letti
da Kurtz sono, oltre alla Bibbia (e non c'è da ridere), "From ritual
to romance" della Weston e "The Golden Bough" di Frazer. Entrambi
figurano nelle note della "Waste Land", quelle di pugno dell'autore
intendo. In esergo alla quale il poeta intendeva collocare un motto
conradiano (venne sconsigliato dal "miglior fabbro" Ezra), e Conrad
ha qualcosina a che fare (scherzo) con la storia di questo film.
Insomma, gli indizi sono troppi per essere casuali. Anche perché
l'organizzazione formale di Apocalypse Now (a maggior ragione, quella
di AnRx) non pare del tutto estranea alla tecnica di composizione
mitica (paratattica e giustappositiva) elaborata da Eliot per il
poemetto, che accosta chiacchiere da signore e discorsi futili a
citazioni classiche e dantesche. Anzi. Così come uno dei miti narrati
nella Waste Land, che Eliot riprese appunto da Frazer e dalla Weston,
non è altro che la fabula, a livello profondo, del film. Si tratta
del mito del re sacrificato, ucciso dal suo giovane successore,
esemplato sulla mitologia mediterranea e mediorientale della divinità
maschile fecondatrice (Adonis, appunto) che viene sacrificata al
volgere dell'anno per garantire il succedersi delle stagioni. Se
l'approdo di Kubrick è una sua personale forma dell'allegorismo nel
senso moderno del termine, Coppola si orienta sulla riscoperta del
mito e del sacro (nel senso antico, violento e terribile); con quanto
di mostruoso e di indicibile, anzi di umanamente non-vedibile che
tutto ciò comporta...e che il (buon) cinema ci costringe a vedere.

vZ


George Kaplan

da leggere,
2 dic 2001, 14:31:5202/12/01
a

VitoZ <vitto...@tin.it> wrote in message
1wsO7.6331$NA1.1...@news2.tin.it...

> E allora restiamo su un terreno più prosaico. Intanto svariati
> aspetti del progetto di Coppola sono più comprensibili, non restano
> pure e semplici ipotesi critiche. Ad esempio la consapevolezza
> culturale del regista italo americano nell'affrontare la
> rappresentazione della guerra; la narrazione ellittica e "poetica" è
> chiaramente un punto di arrivo necessario, non una scelta immediata e
> arbitraria. Nel senso che dalla versione "Redux" (d'ora in avanti,
> Rx) si comprende come il film passi attraverso una narrazione di tipo
> romanzesco e naturalistico evidenziandone l'inadeguatezza per
> approdare alla sintesi mitica e "iconica", al cinema di visione della
> parte finale.

Pienamente d'accordo.

Bravo VitoZ, ottima analisi.


--
"Credevo di fare un film di guerra e a poco a poco il film si e' fatto da
se'. Era la giungla a girarlo, era la nostra follia che ci prendeva tutti,
era la paura".
(Francis Ford Coppola)

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