Qual è la chiesa di Napoli in cui riposano le spoglie di San Giuseppe Moscati? Descrizione Chiesa del Gesù Nuovo

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Gino Di Ruberto [GMAIL]

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Oct 22, 2012, 8:44:15 AM10/22/12
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Rispondo ad una domanda che ho ricevuto personalmente:

Indice:
1. Qual è la chiesa di Napoli in cui riposano le spoglie di San Giuseppe
Moscati?
2. Notizie storiche e descrizione della Chiesa del Gesù Nuovo
3. Notizie su S. Giuseppe Moscati
_________________________________________________________
1. Qual è la chiesa di Napoli in cui riposano le spoglie di San Giuseppe
Moscati?

La chiesa è:

Chiesa del Gesù Nuovo
Tel.
081/5578151
081/5578111
Fax
081/5578120
http://www.gesunuovo.it
http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/pls/cci_dioc_new/bd_dioc_annuario.singolo_ente?id_pagina=3852&id_dioc=188&id_en=15&colore1=&colore2=&layout=0&rifi=&rifp=&vis=1
http://www.inaples.it/ita/dettaglio.asp?idp=28&cod=2

La cappella, entrando, è la seconda sulla destra.
Vedi prossimo paragrafo, navata di destra, 2ª cappella: Cappella della
Visitazione
_________________________________________________________
2. Notizie storiche e descrizione della Chiesa del Gesù Nuovo

da
http://www.gesunuovo.it/Italiano/It_chiesaGN.html

Notizie storiche

La chiesa del Gesù Nuovo, con le adiacenti fabbriche della Casa Professa e
del Palazzo delle Congregazioni, costituiva il complesso più importante e
prestigioso fondato a Napoli dalla Compagnia di Gesù. La chiesa nacque dalla
trasformazione di uno dei palazzi più belli della Napoli rinascimentale:
quello dei Sanseverino, principi di Salerno, costruito nel 1470 dall’architetto
Novello da San Lucano.

Il palazzo visse la sua stagione d’oro con Ferrante Sanseverino, ultimo e
più famoso dei principi salernitani. Tuttavia, a seguito del suo
coinvolgimento nella rivolta del 1547 contro il viceré don Pedro de Toledo,
cagionata dal tentativo di quest’ultimo di introdurre nel Regno l’Inquisizione
spagnola, Ferrante cadde in disgrazia e i beni di famiglia furono confiscati
e messi in vendita: fu così che i Gesuiti, nel 1584, acquistarono la dimora
nobiliare per la ragguardevole somma di 46.000 ducati.

La scelta dei religiosi non era stata casuale: il palazzo, infatti, oltre a
prospettare su una delle rare piazze cittadine, con opportune modifiche e
con una spesa moderata poteva essere trasformato in un edificio di culto,
venendo così incontro anche alla richiesta degli Eletti della Città di
Napoli di non demolire la cosiddetta "reggia dei Sanseverino". I lavori,
finanziati da Isabella Feltria della Rovere, principessa di Bisignano,
furono affidati all’architetto gesuita Giuseppe Valeriano che, sfruttando le
aree interne del palazzo e del giardino, realizzò un tempio con impianto
planimetrico a croce greca (il braccio longitudinale è leggermente
allungato), racchiuso nel perimetro del palazzo quattrocentesco, sfruttando
i paramenti murari già esistenti.

Questi ultimi, comprendenti anche la facciata, erano formati da bugne di
piperno tagliate a forma di diamante: una particolarissima apparecchiatura
muraria che rappresentava un unicum nel panorama dell’architettura
napoletana e che in Italia conta esempi nei palazzi Bevilacqua a Bologna,
dei Diamanti a Ferrara e in quello detto lo Steripinto a Sciacca. Da
ricordare, inoltre, che le bugne dell’edificio napoletano presentano sulla
superficie delle singolari incisioni: si tratta dei cosiddetti contrassegni
dei lapicidi, ossia sigle lasciate dagli scalpellini a mò di firma per
consentire al capocantiere di verificare il numero delle pietre lavorate, in
modo da poter attribuire ad ogni operaio il corrispondente pagamento.

La chiesa, consacrata il 7 ottobre 1601, fu intitolata alla Madonna
Immacolata, ma fin da subito fu comunemente detta del Gesù Nuovo per
distinguerla dall’altra preesistente chiesa della Compagnia, detta di
conseguenza Gesù Vecchio. L’ingresso in chiesa è seguito da una sensazione
di profondo stupore e meraviglia per la straordinaria ricchezza decorativa
dell’interno che, malgrado il dominante tono barocco, è stata realizzata in
un lasso di tempo che va dai primi anni del Seicento a tutto il Novecento.

Il Gesù Nuovo si configura dunque come una sorta di scrigno che custodisce
un repertorio quanto mai vasto della produzione artistica napoletana, alla
cui realizzazione concorsero non solo protagonisti affermati tra cui
Giovanni Lanfranco, Cosimo Fanzago, Luca Giordano e Francesco Solimena, ma
anche tanti artigiani, come intagliatori, scalpellini, ottonari e
stuccatori, che con la loro maestria contribuirono ad accrescere la
magnificenza della chiesa. È il caso, ad esempio, dei numerosi marmorari che
dal Seicento in poi si sono avvicendati per completare il rivestimento
marmoreo di tutte le superfici murarie (cappelle comprese) e del pavimento.

Una delle opere più celebri del Gesù Nuovo è senza dubbio l’affresco della
controfacciata raffigurante la Cacciata di Eliodoro dal Tempio, indiscusso
capolavoro della maturità di Francesco Solimena, firmato e datato 1725. Veri
e propri cicli ad affresco ricoprono invece le volte del transetto e della
navata centrale con raffigurazioni ispirate alla storia dell’ordine. Nel
primo tratto della navata centrale, ad esempio, i dieci riquadri della volta
a botte sviluppano il tema del Nome di Gesù, da cui la Compagnia trae la sua
denominazione: gli affreschi furono eseguiti da Belisario Corenzio tra il
1636 e il 1638 ma, sul finire del XVII secolo, i due riquadri centrali
furono ridipinti da Paolo de Matteis con il Trionfo dell’Immacolata e di San
Michele sui demoni e la Circoncisione di Gesù.

L’intervento del de Matteis interessò anche i due bracci del transetto: in
quello di destra, dove il Corenzio aveva affrescato le Storie di San
Francesco Saverio (1634-1637), rifece lo scomparto centrale con la
Predicazione del Santo (1698), mentre in quello di sinistra ritoccò le
Storie di Sant’Ignazio di Loyola, anch’esse del Corenzio, e ridipinse le due
lunette ai lati del finestrone centrale dove appose anche la sua firma.
Questi interventi furono dettati dalla necessità di porre rimedio agli
ingenti danni del terremoto del 1688, che aveva causato il crollo della
cupola e di parte del transetto sinistro, oltre ad altri dissesti che
avevano interessato alcune cappelle minori.

Infine, nella volta e nelle semilunette ai lati del finestrone della
tribuna, un vasto ciclo mariano articolato in 12 riquadri fu affrescato da
Massimo Stanzione tra il 1639 e il 1640, in sostituzione di quello eseguito
da Belisario Corenzio tra il 1618 e il 1620, distrutto da un incendio nel
1639.

La cupola

La cupola della chiesa fu costruita tra il 1629 e il 1634 dall’architetto
fratel Agazio Stoia ed affrescata da Giovanni Lanfranco tra il 1635 e il
1636. Crollata a seguito del terremoto del 1688, ne sopravvivono solo i
quattro Evangelisti raffigurati nei pennacchi, uno dei quali, il San Matteo,
reca la firma LANFR/AN/CUS. Distrutta anche la seconda cupola costruita da
Arcangelo Guglielmelli e affrescata da Paolo de Matteis tra il 1713 e il
1717, l’odierna scodella realizzata in cemento armato nel 1973 è la copia
della terza cupola costruita da Ignazio di Nardo intorno al 1786 e poi
distrutta per problemi strutturali.

Lo spazio sottostante ospitava un antico pulpito in legno intagliato e
scolpito, sostituito nel 1858 da quello attuale in marmi policromi commessi,
realizzato dal De Gasparre ed addossato ad uno dei pilastri per non
disturbare la visione speculare degli altari dei cappelloni di Sant’Ignazio
di Loyola e di San Francesco Saverio.

LA NAVATA DESTRA

Cappella di S.Carlo Borromeo

La prima cappella della navata destra è dedicata a San Carlo Borromeo,
personaggio di spicco della Controriforma, nonché amico e protettore della
Compagnia di Gesù. Il Santo, arcivescovo di Milano, fu raffigurato in estasi
nel dipinto che sovrasta l’altare da Giovan Bernardo Azzolino, autore anche
del ciclo ad affresco della volta, illustrante la sua opera di assistenza a
favore degli appestati (1618-1620).

Contestualmente Costantino Marasi e Vitale Finelli, con l’aiuto di un’equipe
di marmorari, realizzarono il rivestimento marmoreo dell’intera cappella
(compresi il pavimento e la balaustra) caratterizzato da una decorazione
estremamente rigorosa nei disegni e nei colori. Danneggiati dai
bombardamenti del 1943, i marmi furono sottoposti ad un accurato intervento
di restauro. I rilievi scultorei qui presenti sono opera di Cosimo Fanzago.

La cupoletta esterna fu affrescata da Giuseppe Simonelli alla fine del XVII
secolo con Simboli della Passione, mentre l’Azzolino vi realizzò nei
pennacchi le figure dei Dottori della Chiesa, contemporaneamente agli
affreschi eseguiti all’interno della cappella. Uscendo dal sacro ambiente,
sul primo pilastro che separa la navata centrale da quella laterale si può
ammirare un Crocifisso della seconda metà del XVIII secolo attribuito a
Francesco Pagano.

Cappella della Visitazione

La cappella successiva, dedicata al tema della Visitazione, vide impegnati
nella realizzazione della sua veste decorativa alcuni dei più grandi nomi
del panorama artistico napoletano di metà Seicento: Cosimo Fanzago tra il
1660 e il 1666 ne ultimava il rivestimento marmoreo, portando a termine un
lavoro avviato nel 1650 da Donato Vannelli e Antonio Solaro; Massimo
Stanzione dipingeva la pala d’altare con la Visitazione, completata dal suo
allievo Santillo Sannino intorno al 1660, mentre tra il 1684 e il 1685 Luca
Giordano affrescava le Storie del Battista nella volta e San Giuseppe e il
Profeta Isaia ai lati del finestrone.
Nella cupoletta esterna Gaetano d’Apuzzo affrescò il Sacrificio di Aronne
nel 1790, in sostituzione del Trionfo di Giuditta del Giordano, distrutto
dal terremoto del 1688, che aveva anche ritratto nei pennacchi quattro
Eroine dell’Antico Testamento, tuttora visibili.

In questa cappella si celebra il culto di San Giuseppe Moscati (1880-1927),
medico, ricercatore e docente universitario canonizzato da Giovanni Paolo II
il 25 ottobre 1987. Sepolto nel Cimitero di Poggioreale all’interno della
Cappella dell’Arciconfraternita della SS. Trinità dei Pellegrini, dopo tre
anni, a seguito delle numerose istanze presentategli, l’Arcivescovo di
Napoli, Card. Ascalesi, stabilì che le spoglie mortali del cosiddetto
“medico santo” fossero trasferite nella chiesa del Gesù Nuovo, dove Moscati
era solito raccogliersi in preghiera ogni mattina, prima di iniziare la
giornata lavorativa.

La traslazione ebbe luogo il 16 novembre 1930 ed il corpo fu tumulato sul
lato destro dell’altare di San Francesco Saverio. Beatificato nel 1975, dopo
due anni, a seguito della ricognizione canonica, i suoi resti mortali furono
deposti in un’urna bronzea appositamente realizzata da Amedeo Garufi,
collocata sotto l’altare di questa cappella. Sulla fronte principale dell’urna,
tre bassorilievi illustrano altrettanti momenti significativi della vita del
giovane medico, morto a soli 47 anni.

Procedendo da sinistra verso destra, Moscati è infatti raffigurato in
cattedra circondato dai suoi allievi, nell’atto di confortare una mamma con
il suo bambino e, infine, accanto al letto di un ammalato. Dopo la
canonizzazione, nel 1990 Pier Luigi Sopelsa forgiò una statua in bronzo del
Santo che contribuisce a rendere la sua figura presente ai numerosi fedeli.

Cappella di San Francesco Saverio

Il cappellone di San Francesco Saverio, corrispondente al braccio destro del
transetto, esalta la figura dell’iniziatore delle missioni gesuitiche in
India e in Giappone. A lui sono dedicati i già ricordati affreschi della
volta di Belisario Corenzio e di Paolo de Matteis, il quadro sull’altare di
Giovan Bernardo Azzolino del 1640 che lo raffigura in estasi, e i tre
dipinti dell’ordine superiore di Luca Giordano, realizzati tra il 1676 e il
1677, raffiguranti al centro il Santo caricato delle croci, a destra il
Santo che battezza gli Indiani e, a sinistra, il Santo che miracolosamente
ritrova il crocifisso tra le chele di un granchio.

Una modesta statua lignea, collocata sotto l’altare nel 1934, ne ricorda la
morte solitaria avvenuta nell’isola cinese di Sanciàn. Nella messa a punto
del ricco rivestimento marmoreo del cappellone furono impegnati, tra il 1642
e il 1655, Donato Vannelli, Antonio Solaro e Giuliano Finelli. Le statue
delle nicchie che fiancheggiano la pala d’altare, rappresentanti Sant’Ambrogio
e Sant’Agostino e provenienti dalla cappella di San Carlo Borromeo, sono
opera di Cosimo Fanzago.
Le pareti laterali del cappellone ospitano due dipinti: a destra la Madonna
del Rosario con i quindici misteri, firmata da Fabrizio Santafede, e, a
sinistra, Sant’Anna con la Vergine bambina e Santi, eseguita da Ludovico
Mazzante tra il 1735 e il 1737. All’organizzazione degli spazi
architettonici, speculare a quella del cappellone di Sant’Ignazio di Loyola,
non fu probabilmente estraneo Cosimo Fanzago.

Dalla porta a sinistra dell’altare si accede all’Oratorio di San Giuseppe
Moscati, dove sono esposti ricordi e foto del Santo, un’operazione resa
possibile grazie al generoso lascito di Nina Moscati, sorella del
professore, che ha donato alla chiesa del Gesù Nuovo mobili, vestiti e
suppellettili del fratello, dando così modo di ricrearne anche lo studio e
la camera da letto. In queste sale, inoltre, si conservano anche gli ex-voto
donati da migliaia di fedeli come segno di riconoscenza per le numerose
grazie ricevute.

Cappella di San Francesco Borgia

Segue la cappella dedicata a San Francesco Borgia il quale, prima di entrare
nella Compagnia di Gesù divenendone terzo Generale, era stato viceré di
Catalogna e aveva sposato Eleonora de Castro, dalle quale aveva avuto otto
figli. Distrutta dal terremoto del 1688, la cappella fu nuovamente decorata
nel corso del Settecento: il nuovo altare, che a differenza di tutti gli
altri presenti in chiesa rivela una forma non più parallelepipeda ma
leggermente convessa, in ottemperanza al mutato clima artistico, fu
realizzato nel 1754 dai marmorari della famiglia Cimafonte; coevo è il
dipinto soprastante con San Francesco Borgia che adora il Sacramento, opera
di Sebastiano Conca, che vi appose sia la firma che la data di esecuzione.

A fine secolo Angelo Mozzillo affrescava figure di Angeli nella volta della
cappella, mentre Antonio della Gamba firmava le due Virtù nelle semilunette
ai lati del finestrone. Singolare è la balaustra che chiude la cappella,
realizzata nel 1754 da Agostino Chirola il quale, sulla superficie di
appoggio, intarsiò con marmi policromi i principali attributi iconografici
del santo: il galero, ovvero il cappello rosso a tesa larga che ricorda il
suo rifiuto del titolo cardinalizio, e il calice, che allude invece alla sua
devozione per l’Eucarestia.

Cappella del Sacro Cuore

La cappella successiva è dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Nel 1600 Belisario
Corenzio vi affrescava Storie di Angeli sia nella volta (Santi in Gloria
intorno all’Agnello, la Caduta di Lucifero, la Parabola del Figliol
Prodigo), sia nelle semilunette ai lati del finestrone(il Sogno di Giacobbe
e la Lotta di Giacobbe con l’Angelo), sia sulle due grandi pareti laterali
con, a sinistra, Cristo servito dagli Angeli e, a destra, il Battesimo del
Centurione Cornelio.

La decorazione marmorea si deve ai fratelli Mario e Costantino Marasi che la
realizzarono nel 1605 e che costituisce uno dei primi esempi a Napoli di
commesso marmoreo impiegato su così vasta scala: le pareti, il pavimento e
la balaustra esterna sono rivestiti da un fitto intarsio policromo, i cui
motivi geometrici sono riconducibili all’influenza della scultura toscana di
fine Cinquecento.

La presenza di una seconda balaustra situata all’interno si deve al fatto
che, seppure per un periodo limitato, la cappella fu sede della
Congregazione dei Nobili i cui membri, durante le funzioni liturgiche ivi
celebrate, sedevano proprio tra una balaustra e l’altra. Nel secondo
dopoguerra, in occasione di lavori di restauro che interessarono l’intera
chiesa, anche la cappella fu ammodernata: in quella circostanza, il dipinto
dell’altare di Giovan Bernardo Azzolino fu spostato sulla parete sinistra
del cappellone di Sant’Ignazio di Loyola e sostituito da una statua del
Sacro Cuore di Gesù del 1904, copia di quella che si venera nella basilica
parigina di Montmartre.

Di recente realizzazione sono le due statue ai lati dell’altare,
raffiguranti gli iniziatori del culto del Sacro Cuore di Gesù: a destra,
Santa Margherita Maria Alacoque e, a sinistra, il gesuita San Claudio de la
Colombiere, suo confessore.

LA TRIBUNA (Abside)

La tribuna, fulcro liturgico della chiesa, esalta la figura della Madonna
Immacolata sia attraverso il già citato ciclo ad affresco di Massimo
Stanzione, sia attraverso l’arredo scultoreo, che trova il suo cardine nell’effigie
marmorea della Vergine Immacolata, scolpita da Antonio Busciolano nel 1859.
Le figure di Angeli ed il Globo in lapislazzuli su cui si erge la statua è
quanto resta di una spettacolare composizione scultorea del Settecento.

La statua della Madonna, inserita all’interno di un’ampia e profonda
nicchia, è al centro della scenografica parete di fondo in marmi policromi,
realizzata nella prima metà del Seicento da Cosimo Fanzago, che scandì la
superficie parietale con sei colonne d’alabastro: le centrali fiancheggiano
la suddetta nicchia, mentre le laterali inquadrano due altorilievi,
raffiguranti Sant’Ignazio e San Francesco Saverio, della bottega del
Vaccaro, e le statue di San Pietro e di San Paolo, opera del Busciolano.

Quanto all’altare maggiore, costituito da marmi, bronzo e pietre dure, la
sua realizzazione per alterne vicende subì notevoli ritardi rispetto alla
decorazione dell’intera chiesa: solo nel 1851, infatti, Ercole Grossi,
gesuita ferrarese, ne ideò il progetto definitivo realizzato poi da Raffaele
Postiglione e da una numerosa equipe di marmorari.

L’altare si articola su tre fasce: il basamento reca tre bassorilievi in
bronzo raffiguranti, da sinistra verso destra, la Cena in Emmaus, l’Ultima
Cena e Cristo che promette l’Istituzione dell’Eucarestia; la fascia centrale
è arricchita da decori vegetali con girali d’acanto rincorrentisi e, infine,
sul dossale sei busti di santi legati al culto dell’Eucarestia si sporgono
da nicchie a forma di conchiglia. Procedendo da sinistra vi scorgiamo
infatti le figure di Giuliana da Liegi, Stanislao Kostka, il Beato Lanfranco
da Canterbury, Tommaso d’Aquino, Francesco Borgia e Gaetano da Thiene.

L'Organo

Da ricordare sono anche gli organi: quello di sinistra, del 1640 circa, è di
Vincenzo Miraglia e non è più utilizzabile, mentre quello di destra, del
1650, è stato realizzato da Pompeo De Franco. Quest’organo, restaurato nel
1986 da Gustavo Zanin, è oggi perfettamente funzionante con 52 registri e
2.523 canne. La presenza degli organi non era prevista nel progetto
originario: il canto dell’Ufficio Divino e della Messa non era infatti
consentito dalle Costituzioni di Sant’Ignazio di Loyola poiché si riteneva
che potessero sottrarre tempo alla cura delle anime.

La presenza nel Gesù Nuovo dei due strumenti musicali è da ricondurre,
probabilmente, alle sollecitazioni di Isabella Feltria della Rovere,
fondatrice della chiesa, e del viceré Duca di Osuna.
Infine, dal 1995 a destra dell’altare maggiore è stato collocato un
Crocifisso ligneo della metà del Trecento, proveniente dalla chiesa dei
Santi Andrea e Marco a Nilo, affidato ai gesuiti e da questi ultimi fatto
restaurare.

NAVATA SINISTRA
Cappella di S. Francesco De Geronimo

Procedendo nel percorso di visita dall’altare verso l’ingresso, nella navata
sinistra si incontra la cappella dedicata a San Francesco De Geronimo. L’impianto
è speculare a quello della cappella del Sacro Cuore di Gesù per la presenza
della doppia balaustra, che testimonia come anche questo ambiente sia stato
sede di una congregazione, nella fattispecie quella dei Mercanti. A
differenza delle altre cappelle della chiesa, l’altare è sovrastato da un
gruppo scultoreo raffigurante la Predicazione di San Francesco De Geronimo,
modellato nel 1932 da Francesco Jerace.

Tuttavia, a rendere davvero unica la cappella sono le due grandi
lipsanoteche che ne ricoprono interamente le pareti laterali e che furono
commissionate da Isabella Feltria della Rovere, principessa di Bisignano,
per un duplice motivo: accogliere all’interno di un unico ambiente i
numerosi busti-reliquiario già presenti in chiesa e dare degna sistemazione
ad altre reliquie, che ella stessa aveva donato ai Gesuiti dopo averle
ricevute dal cardinale Odoardo Farnese.

Le lipsanoteche, in legno intagliato e dorato, furono realizzate alla fine
del Seicento. I lavori furono affidati a Giovan Domenico Vinaccia che le
concepì come due grandi scrigni parietali ospitanti ciascuno 34 busti
reliquiario, disposti su cinque file di palchi. Al centro, una nicchia di
maggiori dimensioni accoglie sulla parete destra la statua di San Francesco
Saverio e, sulla parete sinistra, quella di Sant’Ignazio di Loyola.

Le 70 sculture, scolpite in un materiale duttile e “caldo” come il legno, da
sempre tramite d’elezione per la realizzazione di simulacri particolarmente
naturalistici in grado di coinvolgere emotivamente il fedele, nella loro
varietà sia espressiva che gestuale sembrano invitare i fedeli al culto dei
martiri. Ad accrescere il fascino della cappella erano anche gli affreschi
di Francesco Solimena di cui, dopo l’intervento di Giuseppe Petronsio che
nel 1842 ridipinse la volta con la Madonna e San Francesco de Geronimo,
restano solo i quattro Angeli Tubicini e i Serafini alla base della volta.

Cappella del Crocifisso e di San Ciro

La cappella seguente fu eretta dai Gesuiti in ricordo della loro prima
benefattrice, Roberta Carafa, duchessa di Maddaloni. Fin da allora la
cappella fu dedicata al Crocifisso che, affiancato dalla Madonna Addolorata
e da San Giovanni Evangelista, si ammira ancora oggi sull’altare. Le tre
sculture lignee sono caratterizzate da un accentuato espressionismo,
sottolineato da un’intensa cromia.

Il gruppo è attribuito a Francesco Mollica, artista del secondo Cinquecento.
Ai lati dell’altare sono due nicchie ospitanti altrettante statue lignee: a
destra quella ottocentesca di San Giovanni Edesseno, le cui reliquie si
conservano in un’urna cineraria romana del IV secolo, proveniente dall’area
di Villa Melecrinis a Napoli, e, a sinistra, quella settecentesca di San
Ciro, medico ed eremita egiziano, le cui reliquie, riposte nell’urna sotto l’altare,
richiamano ancora oggi centinaia di fedeli.

La decorazione marmorea, compresa la balaustra finemente intarsiata con
Simboli della Passione, risale alla prima metà del Seicento con successivi
interventi di Dioniso Lazzari (1659) e di Giuseppe Bastelli (1734-1735), che
eseguì il pavimento sotto la direzione di Muzio e Giovan Battista Nauclerio.

Gli affreschi della cappella sono stati realizzati tra il 1684 e il 1685 da
Giovan Battista Beinaschi, che contestualmente decorò anche la cupoletta
esterna con il Passaggio del Mar Rosso e i profeti Daniele, Geremia,
Ezechiele e Isaia nei pennacchi. Tutti gli affreschi risultano pesantemente
compromessi da antichi restauri.

Cappella di Sant’Ignazio di Loyola

A seguire, il cappellone di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della
Compagnia di Gesù, corrisponde al braccio sinistro del transetto. Lo spazio
architettonico, fu ridisegnato da Cosimo Fanzago, che vi lavorò a fasi
alterne dal 1637 al 1655, coadiuvato da Costantino Marasi e Andrea Lazzari.

L’artista, attraverso l’uso di volumi contrapposti, sottolineati da un
continuo e sapiente gioco di luci ed ombre, crea nuovi spazi per accogliere
le opere pittoriche e quelle scultoree, esaltandone il significato religioso
e spirituale. Sue sono anche le statue dei profeti David e Geremia, eseguite
tra il 1643 e il 1654. Sull’altare, al posto della tela di Girolamo Imparato
con la Visione di Sant’Ignazio a la Storta, oggi spostata sulla parete
destra, è stato collocato il dipinto della Madonna col Bambino tra Sant’Ignazio
e San Francesco Saverio di Paolo de Matteis, realizzato nel 1715 per la
chiesa dei Gesuiti di Taranto (in seguito passata agli Olivetani).

In alto vi sono le tele di Jusepe Ribera dipinte tra il 1643 e il 1644: al
centro la Gloria di Sant’Ignazio e, a destra, Paolo III approva la regola
del Santo. La terza opera dell’artista spagnolo con Sant’Ignazio che scrive
il Libro degli Esercizi Spirituali, distrutta nel 1943 da un bombardamento,
è stata sostituita dalla Madonna col Bambino e Sant’Anna, di autore ignoto
del XVI secolo, proveniente dalla chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli. Sulla
parete sinistra è collocata la Santissima Trinità e Santi di Giovan Bernardo
Azzolino del 1617, che un tempo decorava l’altare della cappella del Sacro
Cuore di Gesù.

Cappella della Natività

La cappella successiva è dedicata al tema della Natività del Signore,
illustrato nella pala d’altare da Girolamo Imparato nel 1602. L’ambiente
conserva intatto il ricco arredo scultoreo di inizio Seicento, che vide
impegnati nella sua realizzazione alcuni dei più illustri esponenti del
tardo manierismo toscano come Pietro Bernini, cui si deve, a destra dell’altare,
il San Matteo e l’Angelo, eseguito nel 1601, e Michelangelo Naccherino,
allievo del Giambologna, autore nello stesso anno del Sant’Andrea, sul lato
sinistro della mensa eucaristica.

Lo stile sobrio e composto di tutte le sculture rimanda ad un pacato
classicismo e ad un chiaro equilibrio formale che ben riflette quel generale
clima devozionale che caratterizza gran parte della produzione artistica
post-tridentina. Il rivestimento marmoreo delle pareti, il pavimento e la
balaustra furono realizzati da Costantino Marasi tra il 1600 e il 1602. Nel
1601 Belisario Corenzio affrescò l’interno della cappella con le scene dell’Annuncio
ai Pastori, l’Adorazione dei Magi, l’Adorazione dei Pastori e le figure dei
profeti David e Isaia, sia la cupoletta esterna con Storie di Gesù e Maria e
i pennacchi con le Virtù. Da ammirare è anche il gruppo dell’Angelo Custode,
in legno scolpito, dipinto e dorato.

La statua, originariamente collocata in Sacrestia, fu danneggiata da un
incendio nel 1962. Dopo il restauro del 2000, si decise di agevolarne la
pubblica fruizione spostandola in questa cappella. Il gruppo,
tradizionalmente ritenuto opera di Francesco Mollica, è stato recentemente
attribuito ad Aniello Stellato, intagliatore documentato a Napoli dal 1605
al 1642, e ad Orazio Buonocore, che si sarebbe occupato della sua doratura.

Cappella dei Santi Martiri

L’ultima cappella è dedicata ai Santi Martiri, fu decorata a spese di
Ascanio Muscettola, principe di Leporano, e terminata a cura del figlio
Sergio nel 1613. Il tema del martirologio informa l’intero ambiente, come
sottolineato sia dall’arredo scultoreo che da quello pittorico: Giovan
Bernardo Azzolino intorno al 1615 realizzava la pala d’altare con la
Madonna, il Bambino e Santi Martiri, mentre sulle pareti laterali, entro
nicchie marmoree, vi sono due statue scolpite nel 1613 da Girolamo D’Auria
in collaborazione con Tommaso Montani.

Si tratta di Santo Stefano, primo martire della Chiesa, ucciso per
lapidazione, e di San Lorenzo, che fu arso vivo durante le persecuzioni dell’imperatore
Valeriano. Il rivestimento marmoreo della cappella, policromo e a motivi
geometrici, si deve a Costantino Marasi, che vi lavorò dal 1610 al 1618.
Completano la decorazione gli affreschi, sempre di soggetto martirologico,
eseguiti nel 1613 da Belisario Corenzio sia all’interno della cappella che
nella campata esterna.

In quest’ultimo caso, il restauro effettuato nel 1995 ha reso più agevole la
lettura di quattro Santi Crocifissi, raffigurati nei pennacchi, e, nella
cupoletta, della Trinità con Angeli e Schiere di Santi Martiri. Tra questi,
ben riconoscibili per il loro tradizionale abito sono i cinque gesuiti noti
come i “martiri de la Salsette”, dal nome della penisola indiana dove furono
martirizzati nel 1583.

Tra i cinque missionari, beatificati nel 1893 da Leone XIII, si distingue,
con il collo segnato da fendenti, Rodolfo Acquaviva, la cui nobile famiglia
dei duchi d’Atri finanziò l realizzazione degli affreschi all’inizio del
XVII secolo. Infine, uscendo dalla cappella, sul primo pilastro che separa
la navata centrale da quella laterale si può ammirare l’unico monumento
funebre della chiesa, quello del cardinale Francesco Fini, morto nel 1743,
la cui realizzazione è stata attribuita a Francesco Pagano.
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3. Notizie su S. Giuseppe Moscati

Sito ufficiale dedicato a S. Giuseppe Moscati
http://www.moscati.it

Biografia da
http://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_19871025_moscati_it.html

Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove
figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di
Roseto. Fu battezzato il 31 luglio 1880.
Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferí ad Ancona e poi a Napoli, ove
Giuseppe fece la sua prima comunione nella festa dell'Immacolata del 1888.
Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali
al " Vittorio Emanuele ", conseguendovi con voti brillanti la licenza
liceale nel 1897, all'etá di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli
studi universitari presso la facoltà di medicina dell'Ateneo partenopeo.

E' possibile che la decisione di scegliere la professione medica sia stata
in parte influenzata dal fatto che negli anni dell'adolescenza Giuseppe si
era confrontato, in modo diretto e personale, con il dramma della sofferenza
umana. Nel 1893, infatti, suo fratello Alberto, tenente di artiglieria, fu
portato a casa dopo aver subito un trauma inguaribile in seguito ad una
caduta da cavallo. Per anni Giuseppe prodigò le sue cure premurose al
fratello tanto amato, e allora dovette sperimentare la relativa impotenza
dei rimedi umani e l'efficacia dei conforti religiosi, che soli possono
darci la vera pace e serenità. È comunque un fatto che, fin dalla più
giovane età, Giuseppe Moscati dimostra una sensibilità acuta per le
sofferenze fisiche altrui; ma il suo sguardo non si ferma ad esse: penetra
fino agli ultimi recessi del cuore umano. Vuole guarire o lenire le piaghe
del corpo, ma è, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo
sono tutt'uno e desidera ardentemente di preparare i suoi fratelli
sofferenti all'opera salvifica del Medico Divino.

Il 4 agosto 1903, Giuseppe Moscati conseguì la laurea in medicina con pieni
voti e diritto alla stampa, coronando così in modo degno il " curriculum "
dei suoi studi universitari. A distanza di cinque mesi dalla laurea, il
dottor Moscati prende parte al concorso pubblico indetto per l'ufficio di
assistente ordinario negli Ospedali Riuniti di Napoli; quasi
contemporaneamente sostiene un altro concorso per coadiutore straordinario
negli stessi ospedali, a base di prove e titoli. Nel primo dei concorsi, su
ventun classificati, riesce secondo; nell'altro riesce primo assoluto, e ciò
in modo così trionfale che - come si legge in un giudizio qualificato - "
fece sbalordire esaminatori e compagni ".

Dal 1904 il Moscati presta servizio di coadiutore all'ospedale
degl'Incurabili, a Napoli, e fra l'altro organizza l'ospedalizzazione dei
colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso,
salva i ricoverati nell'ospedale di Torre del Greco, durante l'eruzione del
Vesuvio nel 1906.

Negli anni successivi Giuseppe Moscati consegue l'idoneità, in un concorso
per esami, al servizio di laboratorio presso l'ospedale di malattie
infettive " Domenico Cotugno ". Nel 1911 prende parte al concorso pubblico
per sei posti di aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti e lo vince in modo
clamoroso. Si succedono le nomine a coadiutore ordinario, negli ospedali e
poi, in seguito al concorso per medico ordinario, la nomina a direttore di
sala, cioè a primario. Durante la prima guerra mondiale è direttore dei
reparti militari negli Ospedali Riuniti. A questo " curriculum " ospedaliero
si affiancano le diverse tappe di quello universitario e scientifico: dagli
anni universitari fino al 1908, il Moscati è assistente volontario nel
laboratorio di fisiologia; dal 1908 in poi è assistente ordinario
nell'Istituto di Chimica fisiologica. Consegue per concorso un posto di
studio nella stazione zoologica. In seguito a concorso viene nominato
preparatore volontario della III Clinica Medica, e preposto al reparto
chimico fino al 1911. Contemporaneamente, percorre i diversi gradi
dell'insegnamento.

Nel 1911 ottiene, per titoli, la Libera Docenza in Chimica fisiologica; ha
l'incarico di guidare le ricerche scientifiche e sperimentali nell'Istituto
di Chimica biologica. Dal 1911 insegna, senza interruzioni, " Indagini di
laboratorio applicate alla clinica " e " Chimica applicata alla medicina ",
con esercitazioni e dimostrazioni pratiche. A titolo privato, durante alcuni
anni scolastici, insegna a numerosi laureati e studenti semeiologia e
casuistica ospedaliera, clinica e anatomo-patologica. Per vari anni
accademici espleta la supplenza nei corsi ufficiali di Chimica fisiologica e
Fisiologia. Nel 1922, consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale,
con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica ad unanimità di voti della
commissione.

Celebre e ricercatissimo nell'ambiente partenopeo quando è ancora
giovanissimo, il professor Moscati conquista ben presto una fama di portata
nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle
quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed
estere. Queste ricerche di pioniere, che si concentrano specialmente sul
glicogeno ed argomenti collegati, assicurano al Moscati un posto d'onore fra
i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo.

Non sono tuttavia unicamente e neppure principalmente le doti geniali ed i
successi clamorosi del Moscati - la sua sicura metodologia innovatrice nel
campo della ricerca scientifica, il suo colpo d'occhio diagnostico fuori del
comune - che suscitano la meraviglia di chi lo avvicina. Più di ogni altra
cosa è la sua stessa personalità che lascia un'impressione profonda in
coloro che lo incontrano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata
di fede e di carità verso Dio e verso gli uomini. Il Moscati è uno
scienziato di prim'ordine; ma per lui non esistono contrasti tra la fede e
la scienza: come ricercatore è al servizio della verità e la verità non è
mai in contraddizione con se stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità
eterna ci ha rivelato. L'accettazione della Parola di Dio non è, d'altronde,
per il Moscati un semplice atto intellettuale, astratto e teorico: per lui
la fede è, invece, la sorgente di tutta la sua vita, l'accettazione
incondizionata, calda ed entusiasta della realtà del Dio personale e dei
nostri rapporti con lui. Il Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo
sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso
che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i
malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati
della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri
guadagni. E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria,
intuiscono ammirati la forza divina che anima il loro benefattore. Così il
Moscati diventa l'apostolo di Gesù: senza mai predicare, annuncia, con la
sua carità e con il modo in cui vive la sua professione di medico, il Divino
Pastore e conduce a lui gli uomini oppressi e assetati di verità e di bontà.
Mentre gli anni progrediscono, il fuoco dell'amore sembra divorare Giuseppe
Moscati. L'attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le
sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri
con Gesù sacramentato.

Quando, il 12 aprile 1927, il Moscati muore improvvisamente, stroncato in
piena attività, a soli 46 anni, la notizia del suo decesso viene annunciata
e propagata di bocca in bocca con le parole: " È morto il medico santo ".
Queste parole, che riassumono tutta la vita del Moscati, ricevono oggi il
suggello ufficiale della Chiesa.

Il Prof. Giuseppe Moscati è stato beatificato da S. S. Paolo VI nel corso
dell'Anno Santo, il 16 novembre 1975.



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