Cenni sulla storia di Via San Gregorio Armeno

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Gino Di Ruberto [GMAIL]

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Dec 23, 2006, 11:16:01 AM12/23/06
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da
http://www.sorrentoinfo.com/presepi/san-gregorio-armeno.asp

Pastori e Presepi di San Gregorio Armeno

Sempre viva l’attenzione sui pastori ed i presepi di San Gregorio
Armeno.
In un angolo di Napoli si respira l’atmosfera del Natale quasi per
tutto l’anno.

Indice:
1- La “nascita” della zona di San Gregorio Armeno a Napoli e della
tradizione dei presepi e dei pastori napoletani
2- I colori dei pastori e dei presepi di San Gregorio Armeno
3- Qualche curiosità storica su pastori e presepi
4- La consacrazione definitiva dell’ arte presepiale napoletana


1- La “nascita” della zona di di San Gregorio Armeno a Napoli e della
tradizione dei presepi e dei pastori napoletani

Quando, nel 726, un gruppo di monache basiliane si rifugiò a Napoli
per sfuggire agli effetti del decreto emesso dall’ imperatore Leone II
contro il culto delle immagini, nessuna di loro ebbe il sospetto che, nel
portarsi appresso le reliquie di San Gregorio vescovo d’ Armenia, avrebbe
contribuito a dare il nome ad una zona destinata, nel tempo, a divenire il
fulcro di un certo tipo di simbolismo religioso: quello, appunto, dove non
si può fare a meno di ammirare i pastori ed i presepi di San Gregorio
Armeno.
Ciò non toglie che – nell’edificare una chiesa dedicata proprio a San
Gregorio Armeno – sui resti del tempio di Cerere Attica – proprio quelle
monache basiliane determinarono la nascita di un vivace centro di attività
collegate proprio al culto delle immagini e delle reliquie.
Ai giorni d’oggi, però, le maggiori attenzioni, più che alle chiese ed
ai monumenti di cui pure è ricca la zona, si rivolgono alle botteghe di
artigiani che, anche ispirandosi ai soggetti che arricchiscono il presepe
Cuciniello – pezzo pregiatissimo del Museo di San Martino – riproducono:
pastori, scogli ed interi presepi.
Ce ne sono di tutti i tipi e di tutte le misure ed hanno un pregio: i
pastori di San Gregorio Armeno, pur non essendo prodotti naturali,
potrebbero fregiarsi della qualifica Doc o di quella Dop.
Un presepe di San Gregorio Armeno, infatti, è come se fosse griffato.
Ed il suo valore aumenta a secondo dell’autore che lo ha allestito.
Chiunque passeggi per la suggestiva stradina – posta nel cuore di
Napoli - può facilmente comprenderne il perché.


2- I colori dei pastori e dei presepi di San Gregorio Armeno

In botteghe senza porte o su bancarelle coloratissime pastori di ogni
dimensione fanno bella mostra di sé. I più diffusi sono quelli di terracotta
dipinti a mano, ma ce ne sono alcuni che sono ancora più preziosi perché
vestiti con veri indumenti di stoffa, dotati di occhi di vetro, snodati ed
in tutto simili a quelli che hanno reso celebre nel mondo l’arte presepiale
napoletana.
Agli esemplari che si ispirano alla tradizione più rigorosa, di tanto
in tanto, o di anno in anno, si alterna qualche pastore che riproduce
qualche personaggio contemporaneo. Basti pensare che c’è stato il periodo in
cui furoreggiava il pastore di Maradona (all’epoca degli scudetti del
Napoli), poi quello di Antonio di Pietro (ai tempi di Tangentopoli), ma non
è mancato spazio per il pastore che riproduceva le sembianze di personaggi
politici come Bossi e Berlusconi o di indimenticati miti napoletani come
Totò.
Anche questi esemplari destano curiosità, suscitano meraviglia e
provocano divertimento, ma chi “corre” a San Gregorio Armeno, resta
incantato a guardare i personaggi di sempre: i pastori che, da sempre
conservano un posto nelle case e nei cuori di tutti gli italiani.
E’ difficile resistere alla tentazione di acquistarne qualcuno. E, d’altra
parte, ce ne sono per tutte le tasche: da quelli del valore di pochi
spiccioli a quelli che costano centinaia di euro.
La loro lavorazione si articola nel corso dell’intero anno. Al punto
che, nel passeggiare in zona, ogni giorno sembra di respirare il clima delle
feste di Natale.
Tra i tanti visitatori che si accalcano lungo la stretta viuzza, ci
sono anche turisti provenienti da ogni angolo del mondo, ma San Gregorio
Armeno resta una tappa obbligata soprattutto per i napoletani che non
possono resistere alla tentazione di arricchire il proprio presepe con
almeno qualche nuovo pastore.
A guardarla oggi sembrerebbe che questa zona sia la stessa di sempre.
L’ intenso odore di sughero e di muschio (quelli solitamente adoperati
per costruire gli “scogli” e per adornarli) che penetra nelle narici non
riesce a distogliere l’attenzione dalle bancarelle.
E poi, da vedere, non ci sono solo i pastori, ma ogni più piccolo
particolare destinato ad abbellire i presepi. Fontane perfettamente
funzionanti, forni che - grazie ad apposite illuminazioni – sembrano essere
davvero accesi. E poi, ancora, case, colonne, pastori che si muovono, e
canestri pieni di frutta, e miniature di ortaggi, di carni, di piatti. Di
tutto ciò, insomma, che rende inimitabile ed unico il presepe di ciascuno.
Facile comprendere perché il poter vantare l’acquisto di un pastore di
San Gregorio Armeno, o di un presepe di San Gregorio Armeno (presepe,
naturalmente, inteso come “scoglio”) rappresenta un motivo d’orgoglio, alla
stregua di quello che si prova nel dimostrare il possesso di uno status
simbol.
Eppure i pastori ed i presepi napoletani, sono divenuti patrimoni
popolare relativamente tardi.


3- Qualche curiosità storica su pastori e presepi

Inizialmente pastori e presepi venivano considerati come uno dei
simboli capaci di testimoniare l’importanza, l’opulenza ed il mecenatismo di
teste coronate e facoltosi appartenenti all’ aristocrazia.
Basti pensare che il primo esempio degno di memoria, probabilmente, è
quello di cui fu artefice il pittore Marco Cardisco, il quale nel
raffigurare una Adorazione dei Magi, diede loro le sembianze di Carlo V,
Ferrante ed Alfonso d’ Aragona.
Tuttavia, non si può trascurare il fatto che l’opera appena citata,
pur raffigurante un particolare presepiale, resta pur sempre un dipinto.
Per citare il caso di un presepe con dei pastori più simili a quelli
che conosciamo oggi, bisogna prendere in considerazione il lavoro dei
fratelli Pietro e Giovanni Alemanno che, nel 1478, realizzarono il presepe
(attualmente ricco di 19 pastori lignei) che si trova nella Chiesa di San
Giovanni a Carbonara di Napoli.
Tra gli esempi degni d’essere ricordati – anche se di epoche
successive – figurano: il già citato Presepe Cuciniello - che si trova al
Museo San Martino (al Vomero) - e prende il nome dallo scrittore che - nel
1879 – donò una raccolta formata da 180 pastori, 42 angeli, 29 animali e 339
decorazioni. Ed ancora (sempre a Napoli): il presepe di Maiolica,
Giustiniani, il presepe dei Certosini, e quello del Ricciardi, il presepe
della Chiesa di San Lorenzo Maggiore (realizzato dalla famosa famiglia
Ferrigno). E non sono da perdere i presepi della Certosa di Santa Chiara o
della Chiesa di San Domenico Maggiore.
Dopo un primo periodo, intanto, le figure lignee policrome, hanno
cominciato ad alternarsi a statuine di terracotta anche grazie alla nascita
dei primi artisti specializzati nella realizzazione di pastori da presepe.
Al punto da far nascere una vera e propria scuola del presepe
napoletano. A questa, negli anni, diedero lustro Matteo Bottiglieri,
Giuseppe Sammartino, Francesco Celebrano, Nicola Somma, Salvatore di Franco,
Lorenzo Mosca, Giovan Battista Polidoro, Giuseppe Gori, Angelo Viva, Tommaso
Schettini, Nicola Ingaldi cui si aggiunsero gli esperti nella realizzazione
di animali e di nature morte quali: Francesco e Nicola Vassallo, Francesco
Gallo, Tommaso Schettino, Carlo Amatucci, Giuseppe de Luca, Nicola Ingaldi
ed altri ancora.
Ma la fattura dei pastori e gli ingombri dei presepi erano tali che
solo dei veri signori potevano permettersi il lusso di commissionarli.
Basti pensare che, nel 1658, il Conte di Castrillo – all’epoca Viceré
di Napoli – impegnò Michele, Aniello e Donato Perrone per realizzare un
presepe arricchito dalla presenza di 192 pastori.
Diverso, invece, è il caso – molto più tardo – di Re Carlo di Borbone
e dei suoi successori che – secondo una leggenda mai smentita - amavano
allestire personalmente il proprio presepe con l’ausilio di architetti e
scenografi.
E, sempre, nel corso degli anni, la foggia e l’ abbigliamento dei
pastori ha continuato ad evolversi: cominciarono a diffondersi i primi
esemplari in cartapesta e nacquero i primi magnifici esemplari con arti
snodati.
La realizzazione di questi ultimi, era particolarmente complessa: le
teste, di solito, erano di terracotta dipinta a mano; gli arti, invece,
erano di legno, mentre il resto del corpo prendeva forma attorno ad una
“anima” di filo di ferro ricoperta di stoppa. Questi “manichini” venivano
poi vestiti con sete, damaschi ed abiti ricamati che finivano con l’impreziosire
ancora di più ogni singolo pastore.


4- La consacrazione definitiva dell’ arte presepiale napoletana

Tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, l’arte presepiale napoletana
spiccò definitivamente il volo.
Agli inizi del XVIII secolo, infatti, non c’era palazzo nobile, né
abitazione della buona società borghese napoletana che non potesse vantare
il suo presepe ed i suoi pastori.
Poi con il tempo la “moda” ha contagiato anche le classi più modeste
fino a divenire un vero e proprio fenomeno popolare. Fino a giungere ai
giorni nostri come una tradizione che non può essere trascurata.
A dispetto delle disponibilità economiche di ciascuno, in ogni caso,
ogni presepe risulta unico. Ogni più piccolo particolare non ha eguali anche
se tutti si articolano su tre “scene” fondamentali: quella che raffigura il
Mistero della Nascita Divina, quello della Taverna (o locanda), e quello
dell’annuncio ai pastori.
Sparse tra queste scene, ci sono “mille” diversi pastori: tra questi
San Giuseppe, la Madonna, gli Angeli, i re Magi, sono immancabili almeno
quanto “benino”, l’oste della locanda ed il “gruppo” dei clienti seduto
attorno ad un tavolo imbandito
Ed immancabili sono pure gli animali: il bue e l’asino, ospitati nella
grotta; quantità infinite di pecore, di agnelli e di altri animali da aia o
da ovile. E poi cani, cavalli, maiali…
Questo per non considerare le case ed i particolari che rendono ancora
più suggestivo ciascun presepe.

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