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La Voce 14/03/07 Parla il direttore del Centro di Ricerche Storiche : Giovanni Radossi

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Pytheas

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14 mar 2007, 18:49:1714/03/07
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PARLA IL DIRETTORE DEL CENTRO DI RICERCHE STORICHE DI ROVIGNO GIOVANNI
RADOSSI
Sull'esodo c'è stata una nostra presa
di posizione molto coraggiosa
Il tema è stato affrontato nell'autobiografia
«La mia vita per un'idea» di Andrea Benussi (1973)


ROVIGNO - Il Centro di ricerche storiche dell'Unione Italiana con sede a
Rovigno è il punto di riferimento per quella che è la nostra storia, la
storia della regione istro-quarnerina, e soprattutto della storia degli
italiani in Istria, Fiume e Dalmazia. Il CRS nasce nel 1968 allo scopo di
avviare un processo di chiarificazioni e di precisazioni sul passato di
queste terre, che è senza dubbio uno dei più complessi e delicati, vista la
posizione geopolitica, la secolare struttura multietnica della regione. Il
CRS ha organizzato, sin dall'inizio, la sua attività nell'ambito di cinque
sezioni: storia generale della regione, etnografia, dialettologia (romanza),
storia del movimento operaio e della Resistenza; nel 1985 è stata costituita
la sezione per le ricerche sociali. Tema portante del fondo librario è la
storia regionale (comprendente l'Istria, Fiume e la Dalmazia ex-veneta,
territorio dell'insediamento storico della CNI) e le materie attinenti
(archeologia, linguistica, dialettologia, araldica, patrimonio culturale ed
artistico, sociologia, ecc.); dal novembre 1995 ha assunto lo status di
Biblioteca depositaria del Consiglio d'Europa (Strasburgo), con una
particolare sezione sui diritti umani e delle minoranze. Viene visitato
annualmente da oltre 850 ricercatori, in massima parte dall'Italia, Croazia
e Slovenia. Una collezione particolare, con molti esemplari appesi sulle
mura del Centro, è costituita dalle carte geo-topografiche, militari, stampe
e vedute della nostra area, che vanno dal XVI fino al XXI secolo. Dal '68 ai
giorni nostri, dunque in oltre 39 anni di attività, l'istituto ha pubblicato
oltre 200 volumi in lingua italiana e un'ottantina in lingua croata (questi
ultimi in collaborazione con altri studiosi e centri di ricerca). La
produzione editoriale del CRS comprende le serie (ciascuna con argomenti
specifici) degli "Atti", i "Quaderni", le "Monografie", i "Documenti", le
"Fonti", "Acta Historica Nova", le "Ricerche sociali", "Etnia", il
bollettino "La Ricerca" ed infine altre edizioni speciali. Il CRS inoltre
possiede forse l'unica collezione completa del quotidiano della minoranza
italiana "La Voce del Popolo". Direttore, nonché promotore dell'istituzione
è il professor Giovanni Radossi.


Il CRS vanta un'attività straordinaria. Tuttavia la produzione più intensa
riguarda i periodi più lontani a noi, come il medioevo e l'età moderna. Come
mai è stata un po' trascurata l'età contemporanea?


"Non è stata analizzata adeguatamente per il semplice fatto che non
disponevamo di studiosi, nostri connazionali, che si occupassero di questo
argomento. Non disponevamo perché erano argomenti delicati e spesso anche
pericolosi da trattare. Per storia contemporanea s'intende in sostanza dalla
Comune di Parigi fino ai giorni nostri. Per quanto concerne il periodo fino
alla guerra, compreso l'antifascismo, il movimento operaio e il
sindacalismo, il Centro ha compiuto diverse ricerche su questa parte della
storia. Anche la guerra partigiana è stata analizzata, ma soltanto dalla
visuale della storiografia ufficiale, che permetteva solo un'interpretazione,
quella del regime. Su questo argomento abbiamo comunque scritto parecchie
cose e affermo che sono manchevoli su determinati aspetti, in altre parole
nelle pagine non è detta tutta la verità perché semplicemente non era
dicibile. Il regime comunista non permetteva che venisse detta; e non solo,
molto spesso non gradiva neanche che ci si interessasse di questi argomenti.
Tuttavia, devo precisare che i nostri libri hanno un grande pregio, a
differenza delle pubblicazioni della maggioranza su questi fatti, ed è che
non abbiamo raccontato bugie. Ossia quello che non potevamo trattare non lo
abbiamo detto.
Loro, la maggioranza, le hanno dette, trasformandole e falsandole. La
storiografia jugoslava sulla seconda guerra mondiale raccontava le favole
che il regime voleva fossero raccontate. I nostri storici non se la
sentivano di dire cose non vere, e di conseguenza non le abbiamo dette. In
ogni modo siamo stati i primi in Jugoslavia ad accennare al problema delle
cooperative, che è stato un fallimento del regime, e all'esodo da queste
terre. Allo stesso modo abbiamo iniziato ad occuparci delle foibe più di
quindici anni fa. Già verso la fine della Jugoslavia abbiamo pubblicato
qualche elenco sugli infoibati, traendo le fonti dai giornali dell'epoca. Il
Centro ha parlato sulle cooperative e un po' meno sull'esodo per la prima
volta in un'opera stranissima, vale a dire nell'autobiografia 'La mia vita
per un'idea' di Andrea Benussi pubblicata nella collana 'Monografie' del
1973. Andrea Benussi era amico personale del presidente Tito e compagno di
cella nel processo del '28, riteneva di avere i numeri e la forza di poter
dire certe cose. Idee e concetti scritti in una sua autobiografia. Quando me
la sono ritrovata tra le mani mi sono accorto che quest'opera
linguisticamente risultava scorretta. Benussi era una persona di grande
esperienza di vita, ma per quanto concerne lo scrivere era
insufficientemente abilitato. Pertanto le cose e i dati che ha scritto li
abbiamo affidati a una persona che li rimettesse a posto, che desse una
limatura generale al testo. La scelta cadde su Alessandro Damiani, il quale
fece un lavoro eccellente. Ne venne fuori un bellissimo testo. Dopo aver
letto l'edizione corretta e riveduta di Damiani rimasi pietrificato. Io
avevo letto il testo di Andrea Benussi prima di affidarlo a Damiani, ma non
mi ero reso conto che lui stava dicendo delle cose nuove, diverse da quelle
ufficiali di allora. Realtà per molti versi scottanti e per di più dette da
un esponente del Partito Comunista. Per essere sicuri che questi suoi
atteggiamenti fossero una scelta cosciente e voluta, abbiamo dato il testo a
Andrea Benussi che se lo rileggesse e desse il suo benestare. Dopo aver
letto la nostra versione approvò la pubblicazione controfirmando con un
'Leto e coreto', dimostrando in questo modo che l'autore era proprio lui.
Nell'opera, Benussi parla male del cooperativismo, della ferrovia
Stallie-Lupogliano legata alle famose azioni di lavoro volontario che per i
contadini dell'Istria erano forzate. Questi poveracci venivano presi dalle
loro terre e mandati alla costruzione della ferrovia. Inoltre parla dell'esodo
attraverso le sue esperienze di Dignano. Quindi è stata una nostra presa di
posizione molto coraggiosa, devo dire che ci è andata bene perché in primo
luogo si trattava di Andrea Benussi. Non si fidavano di toccarlo troppo,
perché credo che lui si sarebbe potuto difendere invocando l'intervento del
Gabinetto del presidente della Jugoslavia. Tuttavia il libro non passò
inosservato. Venne tradotto da una cooperativa di studenti, in croato, con
il titolo 'Zivot za ideju'. Un'altra opera con cui abbiamo trattato l'argomento
delle nostre terre in età contemporanea è il libro di Arialdo Demartini dal
titolo 'Mancano all'appello', sempre nella collana 'Monografie', è stato il
primo volume con cui nel 1971 il Centro ha esordito. Demartini uno dei
comandanti del battaglione partigiano italiano Pino Budicin, scrive le sue
memorie, dove oltre a descrivere il cammino di guerra e le battaglie,
racconta pure situazioni psicologiche, stati d'animo, richiami a cose
precedenti e successive, sue e dei suoi più vicini collaboratori. Nel libro
Demartini contestava la purezza cristallina della guerra di liberazione e
dei rapporti tra unità italiane e le unità croate dell'esercito. Anche quest'opera
ha visto la versione in croato."


Il CRS non usa prendere posizione difensiva nei confronti degli attacchi da
parte degli storici croati. Come mai?


"Perchè il Centro non ha questa funzione. Non esiste al mondo un'istituzione,
del nostro calibro, che faccia polemiche nei giornali. Sin dalla nostra
creazione siamo stati attaccati. Con il primo volume degli Atti, pubblicato
nel 1971, abbiamo pure scoperto la lapide (della nostra istituzione)
bilingue; una in italiano e una in croato. Il perché di tale scelta? Se
qualcuno vuole romperla lo faccia, e vedremo quale sarà quella presa di
mira. Con l'inaugurazione della lapide ci hanno subito attaccato, primo fra
tutti lo storico croato Zvane Crnja che ci ha definito falsificatori della
storia e snazionalizzatori. Sulla scia di questa prima accusa, per circa
tre, quattro mesi, sono usciti continuamente articoli firmati da lui e da
altri storici croati; e noi puntualmente a rispondere. Badi che erano
articoli di due pagine, su giornali come 'La Voce del Popolo' e 'Glas
Istre'. Ci siamo accorti di essere dieci contro venti milioni, ossia la
popolazione della Jugoslavia. E di conseguenza abbiamo deciso di non
rispondere alle loro provocazioni, forti della convinzione che l'unica
verità è quella scientifica."


La storia delle nostre terre, in quelle dove è presente la minoranza
italiana, è soggetta a revisionismo?


"Più che revisionismo, penso sia soggetta a strumentalizzazione, e sono cose
abbastanza logiche; quello che è importante è costatarlo e convincersi che è
stato così. Lo ha detto anche Petar Strcic in una recente intervista a 'La
Voce', quando diceva che la storiografia al tempo dell'Italia fascista era
serva della politica. Assolutamente vero. Però si è dimenticato di far
notare che anche la storiografia jugoslava faceva l'identica cosa. È stato
Luciano Giuricin a ricordarlo in un intervento nel giornale della minoranza.
È logico che ogni sistema politico autoritario tenti di fare regime. Grazie
al cielo oggi non siamo più in questa forma di governo, ed è questo che non
tutti gli storici croati hanno ancora appreso. La storia deve essere storia.
Nessuno è più condannato per delitto verbale o di pensiero. Se uno ti dice e
afferma dei fatti che tu non condividi, non puoi farlo tacere con le
minacce. Perché sono solo provocazioni che ti squalificano".


Il CRS, come istituzione di punta in ambito storico della Comunità italiana,
ha intrapreso degli studi sistematici sul dramma delle foibe e dell'esodo?


"No. Per l'esodo c'è un problema pratico, noi non disponiamo di alcuna
fonte. Ci occupiamo soprattutto dei rimasti perché la materia è qui; sia i
documenti sia le persone. Dell'esodo non abbiamo niente, noi possiamo
rifarci solo su testimonianze di esodati. Non abbiamo studiato l'esodo nelle
sue forme di scelta, lo abbiamo studiato indirettamente, attraverso dati
come la componente italiana di queste terre sia drammaticamente scomparsa.
Sulle foibe la situazione è ancora più complessa, perché non esiste un pezzo
di carta che possa testimoniare che cosa è avvenuto. L'unico documento, ed è
una prova scritta d'epoca, sono gli articoli e gli elenchi nei giornali come
'Il Piccolo' e il 'Corriere Istriano' dal settembre fino al novembre del '43.
Questa è l'unica fonte che possediamo su questo tragico fatto".


Quanti erano secondo lei gli esodati e gli infoibati?


"È impossibile dare una valutazione esatta sulla tragedia delle foibe. Tra
gli infoibati ci sono state sicuramente persone che avevano conti legati al
regime fascista, ma non responsabilità tali da condannarli a morte. E poi
per condannare ci deve essere un organo leggittimato a condannare, e su
questo argomento non esiste una sola carta. L'elemento nazionale è stato
determinante. Mentre per l'esodo trovo esemplare l'articolo, uscito diverso
tempo fa, per mano del giornalista Denis Kuljis sul periodico croato
'Globus' con il titolo 'Per quello che Mesic ha detto sugli italiani
bisognerebbe mandarlo via', sottotitolo 'I comunisti di Tito volevano
un'Istria etnicamente pulita. Hanno cacciato 188mila italiani dai territori
annessi alla Croazia, Molti di più di quanti i fascisti avessero cacciato i
Croati'. Kuljis si è basato sui dati dello studioso di demografia Vladimir
Zerjavic che tra l'altro ha lavorato qui al Centro verso la fine degli anni
Ottanta, e secondo il quale la cifra degli esodati dovrebbe essere attorno
ai 220mila, parliamo sempre di cifre documentabili. I dati si avvicinano a
quelli dell'archivio dell'Opera nazionale profughi che aveva schedato poco
più di 220mila profughi di queste terre".


La storiografia croata sostiene che l'80 per cento degli esuli erano croati,
argomentando spesso questa affermazione con l'analisi dei cognomi, molti dei
quali di origini croate e o slovene. Secondo lei è sostenibile questa tesi?


"Nelle terre di confine la forma del cognome è assolutamente impropria per
definire la nazionalità di una famiglia o persona. Il mio stesso cognome in
origine è Radossich, per qualcuno posso essere croato, ma per me sono e mi
sento solo italiano. Chi è andato via aveva tanti cognomi in 'c', scritto
all'italiana, oppure di evidente origine, traduzione o rifacimento di
cognomi croati. E quando le autorità jugoslave rifiutavano il permesso di
esodare, ed erano tantissimi i casi, lo facevano con la motivazione che la
lingua madre, e quindi la nazionalità di quella persona, non era italiana
bensì era croata o slovena. Chi invece riceveva il decreto di esodo,
conseguiva pure dalle autorità jugoslave un 'diploma di italianità', perché
veniva loro riconosciuta la lingua madre e quindi la nazionalità italiana."


È vero che Petar Strcic e Zvane Crnja hanno ostacolato e non promosso la
fondazione del CRS di Rovigno?


"Petar Strcic ha avuto le sue idee su questi argomenti che per noi sono
inaccettabili, però non ci ha ostacolato, ha scritto pure qualche articolo
per il Centro. Invece Crnja durante gli anni Settanta ci ha osteggiato, e
poi con il tempo si è calmato, sicuramente sotto le pressioni delle autorità
politiche. In seguito ha anche collaborato con il nostro Centro per la
pubblicazione della serie 'Istra kroz stoljeca' che abbiamo fatto insieme,
per il solo fatto che era volontà delle autorità. Inoltre, per i
festeggiamenti del 30.esimo anniversario del Centro, abbiamo assegnato un
diploma, senza distinzione di merito, a tutti i nostri collaboratori, tra
cui lo stesso Strcic".


Quali sono i rapporti tra il CRS e la storiografia croata?


"In generale siamo rispettati. Ci sono collaborazioni collettive e
individuali con la maggioranza. È fondamentale il rispetto reciproco. Noi
lavoriamo solo con chi ci rispetta."


Gianfranco Miksa


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